Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |       
Autore: Enchalott    01/05/2018    10 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologo
 
«Con quel mondo hai annientato il mio cuore, mio amato. Perché hai osato tanto?»
«Mia signora, sono il dio della Distruzione. Ho il compito di porre il termine per favorire il nuovo. L’amore per te non interferisce nelle mie incombenze.»
«Per questo dolore io ti annienterò, Irkalla. Che tu sia maledetto per sempre. Che lo sia il tuo cuore spietato. Che io sia dannata per aver perduto il mio per te. Nulla ti salverà dalla mia vendetta, perché non vedo né pentimento né dolore nei tuoi occhi.»
«Non puoi privarmi della vita, Amathira. Sono immortale, se perirò in questa forma rinascerò in un’altra, calcando l’universo in un ciclo eterno.»
«Esiste una morte diversa dalla fine dell’esistenza.»
«Non ti temo, dea del Cielo. Non il tuo anatema. Odiami, se riesci. Uccidimi, se lo desideri. Non cambierà ciò che rappresento.»
«Per mille anni e un giorno non tornerai tra i Superiori. Allo scadere del tempo, ti reincarnerai in un mortale, per mille stagioni sarai condannato a vivere nel gelido tartaro di un Regno senza sole, privo di sentimenti. All’ultima luna comprenderai il significato del bene e del male, troppo tardi. Io ti condanno ad amare e morire in una volta, annegando nella disperazione. La stessa che hai inflitto a me, Irkalla. Non mi rivedrai mai più.»
«E sia.»
 
- Tratto dalla Profezia conservata al tempio di Elestorya -
 
I due Regni
 
Rosse nubi orlate di nero velavano il cielo delle calde terre del Sud. Un insolito vento freddo le addossava alla capitale, sfilacciandone le forme in mille ricami.
Fiocchi di neve erano caduti sui tetti della città di Erinna, sulle ritorte torri d’argilla del palazzo reale come un sudario. Gli abitanti di anydri, il deserto, avevano raccontato delle tracce di brina scorte sulle sabbie dorate, dei sentieri polverosi fumanti di nebbia vespertina. Quando il fiume Emakai aveva depositato a valle cristalli di ghiaccio, vorticanti come spiriti maligni, la regina Eudiya aveva bandito ogni indugio.
Quell’aria pungente era foriera di funesti presagi: dal Nord, landa del gelido regno di Iomhar, proveniva il minaccioso sintomo di un cambiamento e il turbamento dell’ordine naturale avrebbe trascinato con sé l’avverarsi della Profezia.
Il gelo del Nord non avrebbe dovuto azzannare il caldo suolo del Sud, così il torrido vento meridionale non avrebbe dovuto sfiorare Iomhar o tutto si sarebbe dissolto.
Avrei preferito attendere il ritorno di mio marito, ma gli eventi sono precipitati.
Con la mente carica di pensieri Eudiya sedeva all’Anello del Sole, il luogo ove Elestorya avrebbe trovato il suo campione.
Gli uomini più valorosi del Regno si erano distinti, provandosi in forza, destrezza e ingegno: il vincitore avrebbe scelto dodici compagni e sarebbe partito alla volta di Jarlath per incontrare lo sfuggente principe del Nord.
La regina sollevò lo sguardo: Shion, il suo primogenito, era concentrato sulla sfida, i capelli ramati scossi dalla brezza, le dita alla cintura che tormentavano il pugnale gemmato. Sulla fronte abbronzata risplendeva il diadema del reggente, sovrastato dalle tre shad: la gemma Rossa generata dal Fuoco, quella Oro forgiata dai Fulmini, quella Arancio partorita dalla Terra. Shion svolgeva le veci del padre in quell’occasione ufficiale: gli aveva affidato l’incarico che di norma le competeva per saggiarne la tempra.
Eudiya spostò l’attenzione sui sedili vuoti senza celare la propria apprensione: la principessa Dionissa giaceva affetta da un male all’apparenza incurabile e languiva tra le sete del talamo, pregando per la salvezza del Regno con animo generoso. Avvertì un nodo soffocante: avrebbe voluto disporre le nozze della figlia con i fasti degni del suo rango, non bruciare gli incensi magici, supplicando gli dèi per la sua vita.
Adara, la minore, non dava notizie di sé dalla sera prima.
«Non preoccupatevi, madre. Le mie sorelle sono al sicuro. Dionissa guarirà presto e Adara…» il giovane erede al trono inspirò «Sapete che detesta presenziare alle cerimonie.»
La regina assentì, considerando che Adara era come lei alla sua età e che il temperamento indomito era un lascito del suo sangue caldo.
Un fremito attraversò la folla, riscuotendola: nell’Anello erano fermi due contendenti.
Il primo era Aska Rei, l’affascinante comandante della Guardia Reale, un uomo energico e agile come un ghali. Il secondo indossava una maschera di cuoio, forse per ripararsi dal riverbero insopportabile del sole, forse per celare la propria identità. La regola voleva che il vincitore fosse decretato da un duello di spada: gli scudieri si precipitarono in campo per porgere le armi ai due avversari.
Aska Rei si legò con cura i capelli corvini, come se non sentisse la tensione, mentre lo sfidante attendeva con pari impassibilità. Quando il gong echeggiò nell’arena, si scagliarono all’unisono.
Le spade si incrociarono in un’esplosione di scintille, sibilando a mezz’aria e tornando a baciarsi in una danza micidiale volta al primo sangue. Una volta, due volte, finché il misterioso combattente, di corporatura più minuta, non venne sbalzato all’indietro.
Gli spettatori scattarono in piedi con eccitata foga, mentre Aska Rei fronteggiava il rivale con la vittoria in pugno.  
Fu un istante. I raggi del sole si specchiarono sulla lama dell’ignoto guerriero, abbagliando il comandante, che strizzò gli occhi infastidito. Lo sconosciuto spiccò un balzo e atterrò dietro di lui, puntandogli la spada alle scapole. Una goccia di sangue ruscellò sulla lama affilata e cadde al suolo, colorando la sabbia dell’arena.
Aska Rei rimase immobile per un attimo, poi abbassò la spada con un sospiro.
La folla, che aveva trattenuto il fiato, esplose in un boato sorpreso ma liberatorio: era la prima volta che Aska Rei veniva sconfitto, però Elestorya aveva un campione.
 
Eudiya si alzò, il fluente abito scarlatto e oro stormì al vento: i convenuti tacquero e i due combattenti si inginocchiarono ai piedi della sovrana.
«Alzati, campione del Sud! Mostraci il volto di chi regge il destino di Elestorya!»
Lunghi capelli castani scivolarono dalla copertura, sciogliendosi sulla schiena del guerriero; due occhi scuri si levarono con decisione verso la regina, che indietreggiò, soffocando un gemito. Il principe Shion sgranò gli occhi incredulo. Gli astanti fissarono stupefatti la giovane che aveva battuto i combattenti più valenti del regno: la principessa Adara.
Aska Rei scosse la testa e non poté fare a meno di sorridere.
Quei movimenti eleganti, quello stile fluido, quel modo di attendere l’occasione giusta… come ho fatto a non riconoscerla?
«Conosco i vostri pensieri, madre» articolò la ragazza «Una fanciulla cresciuta negli agi non può attraversare le terre inospitali, recando il peso della missione. Ho ventun anni e non mi sono mai allontanata da Erinna, ma sono una principessa di Elestorya. Non voglio delegare la salvezza del nostro popolo. Mio padre è lontano e mio fratello porta con onore le insegne del comando, impossibilitato a intraprendere l’impresa dal compito di reggente. Mia sorella è preda di un misterioso male e voi, madre, siete il simbolo del Sud. Non potete abbandonarlo. Lasciate che sia io a partire, ho vinto il torneo per legittimare il mio intento.»
Eudiya ascoltò turbata. Poi interpellò il capitano con durezza, sapendo che la figlia riceveva da lui lezioni d’arme e che trascorrevano molto tempo insieme.
«Aska Rei, giurate di non aver favorito la vittoria della principessa Adara!»
«Sul mio onore e sugli dèi, maestà. L’allieva ha superato il maestro.»
Lei tentò di scacciare l’apprensione di madre in favore della fermezza di regina.
«E sia» sospirò rassegnata «Che la terzogenita scelga la scorta e si diriga al Nord, portando le nostre speranze. Voi, Aska Rei, la proteggerete a costo della vita.»
«Avete la mia parola e il mio congedo» aggiunse con un guizzo ironico negli occhi grigi «I vostri paladini necessitano di un bagno, lo faremo insieme per sbrigarcela!»
La folla scoppiò a ridere, facendo evaporare la tensione. Eudiya nascose a stento l’ilarità, conoscendo la sua insanabile faccia di bronzo.
«Un giorno vi taglierò quella lingua insolente!»
«Non fatelo, mia regina. Le fanciulle di Elestorya ne piangerebbero l’assenza.»
Altra sghignazzata del pubblico per lo spettacolo aggiuntivo.
«Hai finito?» sibilò Adara, allungandogli una gomitata nelle costole «La corte si ritira. Partiamo domattina all’alba».
 
Dionissa si ritrasse dalle impalpabili organze della finestra, un’ancella deterse il sudore che le imperlava la fronte pallida.
«Principessa, non avreste dovuto stare in piedi così a lungo, la vostra salute…»
«Non angustiatevi, mia buona Toula. Non sarà la gioia per la vittoria di Adara a impartirmi il colpo di grazia. Aprite la porta, verrà da me.»
Come previsto la neo campionessa fece il suo irruente ingresso, cingendo la sorella maggiore, che la accolse nel grembo fasciato di seta verde smeraldo.
«Ce l’ho fatta, Nissa! Avevi ragione, la mamma non ha potuto negarmi il consenso davanti al popolo!»
«Sei stata esemplare. Ero certa che non ti saresti fatta battere neppure da Rei.»
La minore si separò dall’abbraccio, fissando gli occhi scuri in quelli verde oliva dell’altra, esaminando le sue guance scavate e smunte. Dionissa sorrise lieve.
«La mia malattia è legata agli eventi funesti che stanno travolgendo i due Regni. Avverto un sortilegio potente, malvagio, che risucchia la vita dal nostro mondo, un incanto sorretto da un odio implacabile. È ciò che mi devasta l’anima e il corpo.»
«Ho sempre ammirato le tue facoltà divinatorie» assentì Adara «Hai ereditato il Kalah dal sangue nomade della mamma. Ma per quanto concerne gli ammonimenti di quel tomo polveroso che conservano al tempio sono scettica. Non credo alla cosiddetta Profezia, che dovrebbe avviare una nuova era o…»
«Adara» la interruppe seria Dionissa «Non sottovalutare la Profezia solo perché nessuno riesce a comprenderla o a interpretarla appieno. La notte in cui sei nata c’è stato un segno, la luna si è tinta di sangue. Ho percepito una forte tensione magica e per questo…»
«Lo so! Per questo porto l’Imis’eli! Difesa dal male, protezione contro non si sa cosa, che mi indica come la predestinata per non si capisce quale sorte.»
Dionissa sorrise: quella storia era stata propinata centinaia di volte alla sorella senza che il suo scetticismo cedesse di un passo.
«Adara, siamo nelle tue mani. Il tuo percorso sarà segnato da ardue prove, non sottovalutare il destino. Ti accompagnerei, se non fossi tanto debole.»
«Ti porto nei pensieri, sorellina. Vedrai, tornerò con la cura. Dicono che il principe Anthos abbia dei poteri particolari. Questa è la profonda ragione per cui parto, non per la Profezia o per un po’ di neve fuori stagione.»
«Buona fortuna» mormorò Dionissa, lasciandole la mano con le lacrime agli occhi.
Non era l’ansia per la partenza di Adara a farla piangere, non la consapevolezza di essere affetta da un male infido. Era l’indistinta coscienza che non sarebbe tornata.
 
 
Il vento ululava di rabbia impotente, abbattendosi contro le mura millenarie di Jarlath, insinuandosi attraverso i masti della capitale di Iomhar.
In cima alla torre che si stagliava più alta contro il cielo plumbeo, ondeggiava una luce fioca, invisibile nella tormenta. Lì faceva tanto freddo che le vetrate erano ghiacciate all’interno; l’ambiente era spoglio, eccezion fatta per un contorto bacile di pietra nera, che splendeva di una tenue fluorescenza. Per paradosso l’acqua non era congelata e tra le increspature fumiganti, prendevano forma gli eventi dell’Anello di Fuoco e del torneo appena concluso.
I bagliori lattei si riflettevano sul volto intento e sui capelli biondi di un giovane uomo. Mosse la mano e lo scenario sparì, lasciando l’acqua immota. Quando si scostò dal catino, sul petto scintillò il Medaglione del reggente di Iomhar, nel quale erano incastonate le tre yamhnai: la gemma Blu caduta dal Cielo, quella Azzurra donata dai Fiumi, quella Argento scolpita dai Ghiacci.
«Elestorya ha il campione, a quanto pare» mormorò un’ombra alle sue spalle.
Il primo alzò lo sguardo d’ambra.
«Campionessa» ribatté con un sorriso tagliente.
«Mi correggo, principe Anthos. Campionessa.»
   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott