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Autore: Aesir    02/05/2018    0 recensioni
E se... Dubhe non avesse riconosciuto Tori? Se fosse stata costretta a intraprendere un'altra strada per dare il suo contributo nella guerra? Giunti come invasori, pedine di Frehitar nella lotta eterna fra Sheireen e Marvash, gli elfi stanno per scoprire che ci sono cose più grandi degli dei.
[Leggerissimo Dubhe/Theana]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Dubhe, Theana
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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PIÙ GRANDE DEGLI DEI

Theana ricordava perfettamente quel giorno.
“Mi serve un favore da te”, le aveva detto Dubhe. La regina era chiaramente nervosa: intrecciava e scioglieva le dita in una catena continua e, quando la maga le aveva fatto cenno di sedere, aveva preso a tormentarsi i capelli. Per un attimo, aveva ricordato a Theana quando era andata a parlarle sui bastioni di Laodamea per domandarle di seguirla alla corte di Dohor, una vita intera prima, quando la loro amicizia non era ancora sorta. Per un attimo, si era di nuovo vista davanti quella ragazzina diciassettenne che si guadagnava da vivere come ladra ed era avvolta da un destino oscuro. Curioso come la vita girasse in cerchio.
Dubhe aveva esitato, apparentemente indecisa su come iniziare il discorso, per poi emettere un sospiro e piantare i suoi occhi grigi in quelli azzurri di Theana. “Ho bisogno che tu ricrei la mia maledizione. So che ne saresti capace.” Diretta come sempre.
La maga aveva sussultato: tutto si sarebbe aspettata, meno che quello. “Dubhe, cosa stai dicendo?”, aveva protestato. Le tornò alla mente quando, tanti anni prima, la ragazza che allora era temeva che non si sarebbe mai liberata dalla Bestia e l'aveva supplicata di trovare il modo di ucciderla.
L'altra aveva sorriso, e quel sorriso ricordò a Theana quando lei era soltanto l'assistente di Folwar che non aveva mai messo piede fuori da Laodamea, e Dubhe sorrideva in quell'identica maniera quando doveva spiegarle qualcosa per la loro missione – un qualcosa che, dopo, sarebbe risultato ovvio, e lei si sarebbe data dell'idiota per aver fatto la domanda, ripromettendosi di pensarci meglio prima di parlare. Fino alla volta successiva, cioè.
“Ci conosciamo troppo bene per mentire, noi due. So che non puoi approvare la mia scelta, ma ti chiedo di capirne le ragioni. Lo sai anche tu come sta andando la guerra. Anche con la cura al morbo, ci vorrà del tempo perché ci riprendiamo. Intanto gli elfi sono dappertutto e noi perdiamo terreno. Le mie spie non bastano.”
Altre parole rimasero non dette: serve la migliore, e la migliore sono io.
Theana sapeva e capiva. Quello che le sembrava inconcepibile era che Dubhe avesse deciso di intraprendere la strada che le era costata tanto dolore, che l'aveva resa schiava della Gilda, che l'aveva spedita ai confini del mondo conosciuto pur di trovare una cura. La maga ricordava la sua disperazione, la sua paura; e ora la regina si dichiarava disposta a rivivere tutto ciò.
Qualcosa dovette trasparire dal suo sguardo, perché Dubhe sorrise tristemente: “Learco è morto. Neor è morto....”
“Hai Kalth, hai Amina. Hai me”, aggiunse Theana, dopo un attimo di esitazione. Sentiva nelle viscere che quella conversazione aveva i toni di un addio, e forse fu proprio questo a farla parlare. Aveva taciuto per lunghi anni, pensando che fosse ingiusto sconvolgere la felicità assieme a Learco che Dubhe aveva faticosamente guadagnato. Ora però Learco era morto, e quella guerra le aveva avvicinate più di quanto non fossero da anni. E ora, nel momento più difficile che avessero mai affrontato, non era riuscita a stare zitta.
L'altra aveva sorriso e le aveva accarezzato la guancia. Era acuta, Dubhe: “Voi due siete l'ultima cosa che mi è rimasta, e non potrei sopportare di perdervi.”
Nei suoi occhi si era accesa una luce febbrile.
“Ne vale la pena? Dubhe... tu ricordi com'era? Ti consumerà, ti distruggerà.”
La regina aveva deglutito, chiudendo gli occhi, e Theana aveva immaginato che stesse ripensando a tutte le stragi che aveva compiuto mentre era posseduta dalla Bestia, agli orrori che lei aveva solo sentito raccontare ma che Dubhe aveva dovuto vivere, spettatrice impotente, di prima persona. Di nuovo, aveva intrapreso la via di più difficile, una via da cui non c'era ritorno.
“Lo so. Ho scelto la mia strada molto tempo fa, quando sarei dovuta morire portandomi dietro la Gilda. Quel giorno hai fatto un miracolo, e da allora ho vissuto in un tempo preso a prestito. Ora è giunto il momento di restituirlo, e lo farò portandomi all'inferno quei bastardi.”
Non c'era stato molto da dire, dopo. Dubhe si era alzata e le aveva sfiorato le labbra con un bacio. Cos'era? Una promessa? Una scusa? Forse soltanto il rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere e non era stato. In un altro luogo, in un altro tempo.
Theana l'aveva guardata imboccare la porta, con le lacrime che le scorrevano lungo le guance. Qualunque altra cosa fosse, quel bacio era un addio. Fedele alla parola data, aveva fatto consegnare una fiala alla regina. Dubhe aveva ragione: si conoscevano troppo bene, loro due, per mentire.


Notte. Un raggio di luce entrava da un'apertura, disegnando la superficie di un tavolo e della bottiglietta che v'era poggiata sopra. Non si trattava dell'immagine rassicurante che la descrizione potrebbe suggerire. Se era dipinta da un artista, di certo questi si cimentava in lugubri soggetti: la luce era gelida, spettrale, e il vetro del contenitore aveva un'aria sinistra, come se contenesse qualcosa di dannatamente attraente e allo stesso tempo letale. Sul tavolo era poggiato altresì un braccio, immobile, ma nella composizione questo non era importante. Lei non era importante, non lo era da molto tempo, ormai. Se il raggio si fosse spostato avrebbe illuminato il suo corpo, questo corpo inutile che si trascinava dietro, che non serviva... non serviva a maledettamente niente! La mano si serrò, interrompendo la perfezione del dipinto. Il raggio della luna passava sulla sua pelle, sulle vene in rilievo, ricordandole solo la sua inutilità.
Scostò la mano dalla luce, incapace di continuare a guardarla. Sarei dovuta morire molto tempo fa, pensò Dubhe, così era giusto, e ogni giorno in più è la proroga di una condanna che non ho meritato, ma mi è stata inflitta. Io sono da sola, qui, da sola come lo ero una vita intera fa, quando ero me stessa per davvero. Non ho saputo fare altro che perdermi. Se solo... Ma no, che cosa, che dico?! Io non prego, non sono capace di pregare. Non c'è nessuno da pregare, solo la mia disperazione, ormai, l'unica cosa che mi sia rimasta. Ero disperata tanti, tanti anni fa, quando ero viva, quando non dovevo pensare a nessuno, non volevo pensare a nessuno... ma ero libera. E sono disperata oggi, quando ormai non c'è più nulla da fare. Sono stata in catene troppo tempo... che me ne faccio della libertà?
Afferrò la boccetta e bevve, trangugiando quel liquido disgustoso mentre un rivolo le scendeva dall'angolo della bocca, seguendo le rughe che marchiavano la sua inutilità.
Accettò il suo destino, Dubhe, e, nel farlo, sorrise.


L'odore era insopportabile. Il tanfo metallico del sangue impestava l'aria e non spirava un filo di vento che potesse disperderlo. I cavalli si erano rifiutati di avanzare, costringendoli a percorrere l'ultimo tratto a piedi. Theana non poteva biasimarli.
La vista era qualcosa di ancora peggiore. Era come se qualcuno avesse versato secchiate di vernice rossa sull'accampamento. Il sangue ricopriva ogni superficie, impregnava il terreno e lo trasformava in una fanghiglia appiccicaticcia. A pensare su cosa stava camminando, Theana dovette fermarsi e svuotare lo stomaco. La sua unica consolazione fu di non essere la sola.
Ovunque c'erano cadaveri di elfi, le membra scomposte e lacerate da una furia tremenda, disumana. Perfino i presenti che avevano maggiori motivi per odiare quella razza sembravano a disagio. Gli unici a gradire davvero lo spettacolo erano i corvi e gli altri saprofagi, che osservavano la processione con occhio bieco e ogni tanto gracchiavano infastiditi, ansiosi che finalmente si togliessero di torno in modo da poter banchettare.
Vincendo il ribrezzo, si chinò su uno dei corpi: sembrava essere stato strappato a metà, il torace aperto che lasciava biancheggiare le costole. Ma non era stato questo ad attirare la sua attenzione.
“Che fine ha fatto la testa?”, domandò. Quel cadavere – e tutti gli altri – erano stati infatti brutalmente decapitati. Se ne sarebbe accorta prima, se non fosse stata per quel lezzo ammorbante che le impediva di concentrarsi.
“Supremo Officiante... è meglio che veniate a vedere”, fu la risposta.
Theana si fece largo in quella fanghiglia sanguinosa fino ad oltrepassare le tende che le occultavano lo sguardo... e quindi, nonostante l'aria consigliasse di fare altrimenti, rimase a bocca aperta.
Al centro dello spiazzo si ergeva un macabro trofeo: una pila di teste mozzate alta il doppio di un uomo, accatastate con cura. In cima ad essa vi era, eretto, il corpo di quello che – stando alle descrizioni che aveva ricevuto – doveva essere Kryss, il re degli elfi. Non aveva un aspetto molto regale, ora: per farlo stare in piedi era stato impalato sulla sua stessa lancia e, a giudicare dall'espressione, era avvenuto mentre era ancora in vita. Probabilmente era stato orgoglioso del suo corpo: difficile che lo fosse stato nei suoi ultimi istanti, dato braccia e gambe sembravano slogate e torte nella loro sede, il profilo asimmetrico che rivelava le ossa rotte sotto la pelle. La sua fine doveva essere stata lenta e dolorosa, ma la maga non riuscì a provare pietà per lui: quell'essere spregevole aveva condotto il suo popolo contro il Mondo Emerso e le sue mani erano sporche del sangue di tutti gli innocenti che erano periti per la guerra e il morbo.
Theana aggirò cautamente quel reliquiario per trovarsi davanti ad un'altra sorpresa: dalla piramide di crani la testa mozzata di San, riconoscibile per il colore dei capelli – nonostante fossero impiastricciati di sangue – la fissava ad occhi sbarrati. La sua era un'espressione di assoluto terrore, lo sguardo di un uomo che si trova davanti la morte e non è assolutamente preparato ad affrontarla. Probabilmente, nel momento di morire, aveva avuto la bocca spalancata in un grido di pura angoscia. Probabilmente, perché mancava la mandibola.
Theana si avvicinò e sfiorò quel macabro trofeo: la sua altezza e posizione non era affatto casuale, lo sentiva. Era stato preparato per lei. Gli altri non avevano idea di cosa fosse, non è così?, pensò davanti a quel volto terrorizzato. Tu sì. Tu l'hai già vista una volta in azione, sapevi che non si sarebbe fermata davanti a niente e a nessuno, e che non avrebbe avuto pietà. Ci sono cose più grandi degli dei, sicuramente di più di un dio elfico dimenticato da tutti.
Un tonfo improvviso la fece sussultare, poi si rilassò: era soltanto un teschio in posizione instabile che rotolava giù dalla pila. Per quanto lo scenario fosse terrificante, per la prima volta da molti mesi non c'era niente di cui avere paura: solo i vivi potevano fare del male, e tutti gli elfi presenti erano morti. Il nemico era stato rimosso nella maniera più violenta e definitiva possibile. Le restava una domanda: come aveva fatto a sapere che il re si trovava lì? Per settimane avevano cercato di scoprirne la localizzazione, senza risultati. Disponeva forse di informazioni che non aveva voluto comunicare?
“No, Supremo Officiante”, rispose uno degli assistenti. Era una delle spie di Dubhe, le sembrava si chiamasse Baol. Con sorpresa, Theana si rese conto di aver parlato ad alta voce. “Tutti gli accampamenti elfici che conosciamo sono in queste condizioni.”
“Ma è...” La maga si fermò. Impossibile era una parola che perdeva significato, davanti alla Bestia. L'aveva vista obliterare la Casa e sterminare i trecento peggiori assassini del Mondo Emerso, spostandosi come un lampo nei suoi sotterranei. In una sola notte, doveva aver coperto tutto il fronte. Li ammazzerò tutti, aveva promesso Dubhe. Li ripagherò di quanto hanno fatto annegandoli nel loro sangue. Ma, fino a quel momento, Theana non l'aveva creduto possibile. In un certo senso, alla fine la Bestia si era rivelata la prescelta di Thenaar, ma non come avrebbe creduto la Gilda. Un sorriso le increspò le labbra, nonostante la situazione: lei, la sacerdotessa, aveva peccato di scarsa fede.
“Cosa volete che facciamo con loro, signora?”, chiese un officiante. Un tempo, Theana avrebbe provato pietà per i propri nemici, avrebbe chiesto che il reliquiario fosse smantellato, forse perfino si sarebbe offerta di riconsegnare i corpi alle famiglie. La guerra, però, aveva pian piano eroso le sue energie. C'era una nazione intera da ricostruire, un'impresa immensa. Troppo grande perché potesse importargliene anche di dare degna sepoltura ai corpi.
“Lasciateli là”, ordinò. Quella terra si era nutrita per tutta la guerra del sangue degli innocenti, avrebbe assorbito anche quello dei colpevoli. I cadaveri si sarebbero decomposi, avrebbero fertilizzato il terreno e un giorno quel luogo sarebbe rinato, nutrito da coloro che vi erano morti. Fino a quel momento... gli elfi avevano dato prova di essere creature violente, piene di odio per gli altri popoli. Non avrebbe fatto loro male un ricordo.
Sospirando, si voltò e si incamminò fuori dall'accampamento, senza riuscire a togliersi di dosso il bacio di Dubhe. La guerra è finita, il Mondo Emerso è salvo... e allora perché io sto così male?
Non aveva bisogno di guardare molto in profondità dentro di sé per trovare la risposta: siamo salvi, ma lei se n'è andata. Per sempre.
 

Se un uccello avesse desiderato seguire la scia dei morti, quel giorno, avrebbe scoperto seguivano un itinerario preciso che conduceva al Saar. Se fosse arrivato al momento giusto, poi, avrebbe visto una sagoma che di umano aveva ben poco gettarsi in acqua e attraversare il grande fiume a nuoto. Un'impresa impossibile, ma, come Theana aveva detto, era una parola che significava ben poco per quello che Dubhe era diventata. I grandi predatori del corso d'acqua la lasciarono in pace; forse percepivano in lei qualcosa di affine.
Non le ci volle molto a ripercorrere l'itinerario che, una vita intera prima, aveva coperto in compagnia di Lonerin; questa volta, però, non c'era nessuna Gilda ad inseguirla, e nessuno osò ostacolare il suo cammino.
Si stabilì lungo la costa, facendo la spola da una città elfica ad un'altra. Aveva preceduto la notizia della sconfitta e poté quindi ammirarne i risultati, con gruppi di elfi che si erano opposti in segreto al regno di Kryss che rovesciavano i vacillanti governi, mentre ciò che restava delle truppe lealiste – persi i portali – tentava di raggiungere il Mondo Emerso via terra, per recuperare i caduti e tentare una nuova sortita. Non fu un'idea brillante e non andarono molto lontano. Probabilmente le Terre Ignote sarebbero state sufficienti a decimarli, se la Bestia non si fosse occupata personalmente di loro. Tanto per assicurarsi che non fosse interpretato come un caso, si fece punto di lasciare i resti degli sconfitti appesi agli alberi nei pressi delle città. Molti si fecero beffe della minaccia che si abitava i boschi; nessuno tornò per raccontarlo.
Se non fosse stato per la sua presenza, forse, gli elfi avrebbero compreso la sconfitta e sarebbero tornati al loro abituale stile di vita, covando dentro di sé i germi dell'odio per le genti che li avevano scacciati che un giorno avrebbero probabilmente portato ad un'impresa analoga a quella del defunto re. La Bestia cambiò tutto. Molti asserivano che doveva trattarsi di un guardiano dell'Erak Maar, sorto a difendere quella terra e a punire i trasgressori. Quando si iniziò a vociferare di omicidi all'interno delle città, il panico esplose. Non meno di un centinaio di elfi nottambuli persero la vita per il semplice fatto di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e sarebbero probabilmente stati di più se una delibera congiunta dei governi delle quattro città non avesse messo un bando alla proprietà di armi lunghe e all'uso sconsiderato della magia. Non furono pochi a biasimare Kryss, che, con la sua tracotanza, aveva portato una simile calamità sulle loro terre. Così, il nome di colui che voleva essere il benefattore degli elfi divenne maledetto.
Il cambiamento più grande però si registrò nella popolazione. Da quando si erano stabiliti nelle Terre Ignote, gli elfi non erano mai stati veramente minacciati. La paura per l'assassina silenziosa che decimava tutti coloro che osavano uscire dalla protezione delle mura si diffuse come un veleno. Era assai difficile covare propositi di conquista quando chi usciva dalle porte della città lo faceva a suo rischio e pericolo. Quando i venti invernali soffiavano dal mare alla costa e si insinuavano gelidi tra le abitazioni, quando la notte raggiungeva la sua ora più buia, le madri stringevano a sé i figli e raccontavano le storie dello spettro invincibile e inarrestabile, apparso per ricordare loro che il Mondo Emerso non sarebbe più stato la loro terra. Parecchi sostenevano che potesse volare o che fosse capace di essere in più posti contemporaneamente. Nell'ondata di panico, i campi erano stati abbandonati e la carestia si abbatté sulla popolazione. Quando apparvero le prime navi provenienti da oltre il Saar, cariche di generi di prima necessità e di mercanti disposti a correre il rischio pur di sfruttare un'occasione favorevole, del popolo arrogante e guerrafondaio era rimasto ben poco. Agli abitanti del Mondo Emerso apparvero genti pavide e timorose, ben disposte a pagare per adeguate forniture commerciali e, qualcuno chiese, per un esorcismo che potesse ricacciare la Bestia là dove era venuta. Anche se un simile incanto fosse esistito, i mercanti si guardarono bene dal fornirlo: a loro gli elfi andavano benissimo così com'erano. Ben presto furono stabilite le prime ambascerie e le prime figure dalle orecchie a punta raggiunsero il Mondo Emerso sotto bandiera bianca, portando prodotti e artigianato tipico delle loro terre. I contatti fra le varie razze, come c'era da aspettarsi, inizialmente furono diffidenti e scoppiarono diversi tafferugli fra le diverse parti. Tutto sommato, però, l'oro era uguale per tutti, e questo appianò le divergenze. Fu concesso un piccolo presidio sulla sponda del Saar, nella Terra dell'Acqua, che facesse da ponte per le merci dirette da e al Mondo Emerso. Tutto questo tenendosi ben alla larga dalle Terre Ignote e dalla creatura che le abitava.
Nel frattempo, nel Mondo Emerso, era iniziata la ricostruzione. Adhara era giunta con le prime navi e, trovando la guerra conclusa, si era gettata anima e corpo nell'aiutare Theana. Era talmente dedita alla causa che alcuni ipotizzavano che avrebbe un giorno preso le vesti sacre. La ragazza lasciava correre: avrebbe avuto tutto il tempo per pensarci, ora che c'era la pace; intanto, cosa poteva risollevare la reputazione del clero, accusato di inettitudine durante il morbo, di una Sheireen che lavorava al suo fianco?
Amhal venne dato per disperso per alcuni mesi, finché non rispuntò fuori in un ospedale da campo nella Terra del Vento. Si era presentato lì mesi prima, con la testa completamente vuota e frammenti di cristallo rosso stretti in pugno. Fu Adhara ad accudirlo e ad aiutarlo a ritrovare la memoria, come un tempo lui aveva aiutato lei. I testi dicevano che un Marvash non potesse essere curato, ma un mezzo Marvash? Forse sì. Non c'erano precedenti su cui basarsi. Sopravvivendo entrambi, Amhal e Adhara sembravano aver infranto quel ciclo millenario e questo ebbe un gran peso nel processo, quando si presentarono reduci della guerra a chiedere la sua testa – assieme al riconoscimento da parte di Theana dei frammenti di cristallo come facenti parte di un manufatto deputato a controllare la volontà. Amhal non seppe mai perché fosse stato risparmiato quella notte, lui che più di tanti altri avrebbe meritato una fine violenta. Solo una volta Adhara e Amina – nella speranza di scoprire qualcosa sulla nonna – riuscirono a cavargli fuori qualcosa, e fu: “Ho visto negli occhi la mia morte.” Theana ipotizzò che lo shock fosse stato tale da infrangere il controllo del medaglione ma, dato che solo parlarne aveva riportato indietro il ragazzo di diverse settimane, proibì che si indagasse ulteriormente. Il passato era passato, dopotutto.


Prigioniera in un corpo non suo, Dubhe attendeva. Non sarebbe stata la prima volta che gli elfi ricorrevano all'inganno per realizzare i propri scopi. Un tempo si sarebbe domandata come mai la Bestia risparmiasse le città elfiche, o perché non attaccasse anche quegli elfi che giungevano con intenti pacifici, ma la sua mente era ormai lontana da simili pensieri. Le sue giornate si consumavano in un eterno presente. Prima o poi, la maledizione l'avrebbe consumata e si sarebbe potuta riunire ai suoi cari, a Sarnek, a Learco, a Neor, a Lonerin, a Ido... e con il tempo sarebbero arrivati anche Theana, Amina e Kalth. Sarebbero stati di nuovo insieme. Nel frattempo, avrebbe vegliato, assicurando loro la vita che meritavano. Ci avrebbe pensato la Bestia a farlo.


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Angolo autore: quanto tempo! Finalmente torno con un racconto sul Mondo Emerso, scritto in un momento di noia dopo aver riletto tutta la saga. Decisamente non la mia opera migliore, ma ho pensato che qualcuno avrebbe potuto comunque apprezzarla.

 

 

 

 

 

 

 
   
 
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