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Autore: daviclan    03/05/2018    1 recensioni
Avete presente quelle giornate da dimenticare, quelle in cui sembra che nulla, ma proprio nulla, vada nel verso giusto?
Bene per me fu proprio una di quelle, che dire storta sarebbe un eufemismo. Era il giorno del matrimonio della mia migliore amica e io dovevo trovare il modo di dirle che l'amavo prima che pronunciasse quel fatidico “sì”.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Una notte mi ritrovai nei pressi di un’anonima piazzetta tondeggiante. Le stelle scintillavano come biglie d’argento sparse su un drappo di raso scuro. Un cappotto d’aria gelida faceva ingobbire le spalle, inutile tenere le mani nelle tasche dei jeans. Avrei dovuto portarmi dietro qualche indumento più pesante, piuttosto che rimanere in T-shirt. Una quiete di morte attanagliava ogni cosa. Era una di quelle notti in cui non si percepiva anima viva e il silenzio pungeva acuto i timpani, rotto soltanto dal ritmo del mio respiro e dalle suole gommate che crepitavano sul duro asfalto. Il chiarore vivido dei lampioni che costeggiavano la strada si spiaccicava sui prospetti sterili e pallidi delle vecchie case, ormai uniche anime del misero borgo in cui abitavo. Alzai la testa e percepii distintamente il ronzio dell’elettricità all’interno del lungo tubo di bronzo, mentre attorno alla luce si agitavano in cerchio delle falene. In lontananza alcuni tetti cominciarono a delinearsi man mano che il pallore del giorno avanzava. Mi fermai e riempii d’aria i polmoni fino a quasi farli scoppiare. Fu a quel punto che gridai con tutto il fiato che avevo racimolato.
Il rumore assordante dei pensieri che affollavano la testa non mi dava pace. Probabilmente quel giorno avevo fatto la più grande cazzata della mia vita.
Seguì un altro urlo e poi un altro ancora. Gridai talmente forte che un Angelo scese giù dinanzi a me. Una visione mistica?
No, si trattava di Angelo Rossi, piombato direttamente dal quarto piano del palazzo in cui abitava. Per chi non lo sapesse, Angelo Rossi era un omone pelato e grosso come un armadio a quattro ante, con due punti neri che si intravedevano attraverso i fondi di bottiglia che chiamava occhiali. Era un tizio che frequentava la stessa palestra in cui mi allenavo di solito e andava in escandescenza a ogni minima difficoltà. Come quella volta che, stanco del continuo tintinnio, sradicò con una sola mano il campanello che si trovava attaccato al bancone della reception e lo lanciò con forza attraverso i macchinari della palestra, facendolo frantumare contro una parete. Tutti in città conoscevano il tipo di persona che era e tutti cercavano di evitare qualsiasi problema con lui. Per cui non era proprio un tenero criceto da punzecchiare.
Angelo sfuriò dal portone urlando e brandendo una scopa che roteava sul testone. Sguardo infuocato e una gran sete di vendetta. Sembrava un berserker esaltato, sbucato fuori da una qualche canzone vichinga con l’ascia tra le mani. Aveva addirittura la bava che colava lungo la barba biondo scuro. Mentre correva tirò giù tutti i santi del rosario in perfetto ordine alfabetico.
Chi è nato nell’era hiper-tecnologica magari non lo sa, ma prima dell’avvento di Facebook e delle serate passate a trastullarsi con calici di vino per sentirsi adulti, gli adolescenti oltre che a giocare a pallone nelle piazze si divertivano a suonare i citofoni per poi scappare via. Era una cosa stupida e infantile, lo ammetto, ma ci divertivamo un sacco. Io e miei inseparabili amici, Mario e Giorgia, da piccoli avevamo portato quegli innocenti scherzi a un livello superiore e ora, a trent’anni suonati, avevamo deciso di ricominciare. Per quale motivo?
Giorgia stava per sposarsi e quindi, un po’ per gioco e un po’ per scaricare la tensione, negli ultimi giorni era diventata una tappa quasi obbligatoria prima di concludere le nostre serate trascorse tra un locale e l’altro. Non riuscivamo a smettere, era più forte di noi. C’era qualcosa d’insalubre e tuttavia divertente nell’osservare quei suoi celebri scatti d’ira.
In un’altra occasione l’uomo, forse, non avrebbe badato alla demenza di una ragazzata, ma era la quinta notte consecutiva che ci recavamo in quella zona del paese a gridare nel cuore della notte. Non era mai uscito di casa prima d’ora, di solito si limitava a bestemmiare da dietro la finestra. Questo non lo avevo calcolato, era uscito fuori in tutti i sensi, lo si leggeva sul suo volto nero e colmo di rabbia.
Per dover di cronaca, devo dire che sono sempre stato considerato un tipo abbastanza allenato, ma la differenza fisica tra noi due era abissale: se fosse riuscito ad agguantarmi, mi avrebbe distrutto. Per cui feci l’unica cosa intelligente di tutta la giornata e cominciai a galoppare alzando le gambe più che potevo.
M’inseguì per il quartiere con i piedi scalzi, avvolto da una vestaglia bordeaux che lasciva intravedere bianchi lembi di pelle tatuata. Fu questione di un attimo prima che il vicinato sprofondasse in uno stato di disordine anarchico. Ai primi latrati striduli e penetranti di un chihuahua che qualcuno teneva in camera da letto, seguirono quelli di tutti gli altri cani della zona. Sommati agli schiamazzi del bestione pelato… be’ vi lascio immaginare. Poi un intervento divino, o semplice fortuna, giunse in mio soccorso. Una scheggia di vetro o più probabilmente un chiodo rallentò Angelo, che dolorante si fermò di scatto.
 ‹‹ Ti uccido! ›› sbraitò mentre salterellava su un piede ‹‹ Ti uccido! ››. La sua rabbia aumentava a dismisura come l’aura di un Super Saiyan, ogni fibra del suo corpo emanava una vera e propria furia omicida che reclamava vendetta.
 ‹‹ Se scendo vi ammazzo io! ›› vociò in risposta un uomo dall’alto di una finestra. Occhi infuocati come l’inferno e la faccia di uno che era appena stato tirato giù dal letto da un bombardamento aereo, teneva un pugno proteso verso il cielo.
Angelo riprese a inseguirmi, il piede sanguinante non gli impedì di recuperare tutto il vantaggio che avevo guadagnato. In quattro balzi era già alle mie calcagna e cercava di prendere bene la mira. Scagliò il bastone come avrebbe fatto un aitante guerriero spartano con un giavellotto, ma complice anche l’assenza degli occhiali, la direzione non fu propriamente perfetta. La scopa roteò in aria colpendo una berlina grigio metallizzata con un rumore sordo. L’allarme dell’auto fece svegliare il resto del quartiere, ammesso che ci fosse stato ancora qualcuno che riuscisse a dormire con tutto quel baccano.
 ‹‹ Allora? ›› si udì ‹‹ Domani devo andare a lavoro ››.
 ‹‹ Ora chiamo la polizia! ›› fu l’eco in lontananza. In sottofondo i cani abbaiavano ancora, rimproveri e imprecazioni scendevano come pioggia scrosciante.
Arrivati a questo punto “forse” vi starete chiedendo perché quella notte scatenai quell’inferno in terra. Non fraintendete, episodio a parte, ci tengo a precisare che sono un bravo ragazzo… giuro!
Avete presente quelle giornate da dimenticare, quelle in cui sembra che nulla, ma proprio nulla, vada nel verso giusto?
Bene per me era stata proprio una giornata di quelle, che dire storta sarebbe un eufemismo.
Vi ho già detto che Giorgia stava per convolare a nozze, quello che però non vi ho riferito è che lei per me non era solo un’amica, ma la mia anima gemella. Un tempo eravamo fidanzati e negli anni abbiamo condiviso praticamente tutto assieme, perfino la nostra prima volta, non so se mi capite. Ma come al solito rovino sempre tutto. Dopo che ci siamo lasciati non ho mai trovato il coraggio di dirle che l’amavo, di certo non l’avevo adesso che eravamo tornati in sintonia. Però dovevo dirglielo prima che pronunciasse il fatidico “sì”. Lo so, può risultare l’idea più strana e più folle che un uomo potesse pensare, ma avrei fatto qualsiasi cosa. Ero disperato. Non volevo perderla per sempre.
Come stavo dicendo, quella mattina io e Mario ci recammo da Giorgia, deciso a dichiararle i veri sentimenti che provavo per lei prima che fosse stato troppo tardi. Erano venuti praticamente tutti i suoi parenti per il grande evento e in casa c’era un gran trambusto di gente che correva da una stanza all’altra senza sosta.
 ‹‹ Ragazzo mi raccomando, non fare cazzate! ›› udimmo alle nostre spalle la voce scorbutica e graffiante di Renato, un uomo di mezza età, grasso e con un casco di ricci ribelli color cenere. In genere era uno tipo abbastanza burbero e con un brutto carattere, ma quel giorno aveva un sorriso che andava da guancia a guancia e veniva verso di noi tamponandosi la fronte con un fazzoletto. ‹‹ Se provi a rovinare il matrimonio di mia figlia ti ammazzo ››.
 ‹‹ No signore ›› replicai con un attimo di esitazione ‹‹ Non è mia intenzione ››.
 ‹‹ Non mi sei mai piaciuto, fin da ragazzino, e sinceramente non capisco perché Giorgia abbia deciso di perdonarti. Ricordati che questo è un giorno importante per lei, soprattutto per la nostra famiglia. Mi rilassa il pensiero che non sposerà un piantagrane come voi due ››.
Lo conoscevo abbastanza, in realtà aveva a cuore più la dote e il prestigio che avrebbe ottenuto con il buon partito che il benessere della figlia. Non desiderava altro da tutta una vita, fare quel salto di qualità.
 ‹‹ Per cui se provate, mi rivolgo a entrambi ›› puntò l’indice verso noi ‹‹ Se provate a fare qualche cazzata vi sparo con la mia pistola d’ordinanza ›› disse palpeggiandosi il fianco sotto la giacca blu scuro. Io e Mario credemmo a quelle parole, Renato era il tipo di poliziotto che si sarebbe portato dietro la pistola anche in bagno, per cui non avrebbe avuto alcuna remore a entrare armato in chiesa. L’uomo ci fissò con squadrò minaccioso. Poi si diresse verso la porta a guardare fuori, mani in tasca e fischiettando. Non lo avevo mai sentito fischiare, credevo non ne fosse nemmeno capace.
Salimmo al piano di sopra. Giorgia era nella sua stanza, in piedi davanti allo specchio, raggiante da mozzare il fiato. Non potevo fare a meno di guardarla. L’abito da sposa che indossava, rigorosamente bianco, era perfetto nella sua semplicità. Il corsetto le sagomava il busto slanciato e longilineo, mentre la scollatura ornata da perle metteva in evidenza i seni piccoli e alti. Accanto a lei c’era Violetta che le stava acconciando i capelli castani dietro la testa, per permetterle d’indossare il velo. Osservai quel radioso viso a forma di cuore riflesso nello specchio, appariva felice, ma un luccichio nello sguardo rivelava invece un’aria incerta, quasi spaventata.
 ‹‹ Ormai ci siamo ›› diceva l’amica ‹‹ D’ora in avanti la tua vita sarà perfetta. Vivrai in una casa perfetta, con uno sposo perfetto e avrete anche dei bambini perfetti ››.
Violetta nell’insieme era una ragazza relativamente attraente e sapeva come sfruttare al meglio le arti femminili per far colpo dove i limiti del corpo lo impedivano, come mettere in risalto i capelli nero corvino e gli occhi color ghiaccio per distogliere l’attenzione dai rotolini sui fianchi. Assomigliava tanto a uno di quei personaggi usciti da Sex and the City o Gossip Girl, snob e con la puzza sotto il naso. Tutto, a parer dei suoi gusti, doveva essere perfetto, altrimenti non aveva importanza. Figlia di un ricco proprietario terriero, conduceva una vita negli agi in una casetta perfetta, guidando una macchina perfetta, il cellulare doveva essere sempre alla moda, come i vestiti d’altronde. Perfino il cagnolino da celebrità americana che spesso portava con sé era perfetto. Oddio sto incominciando a parlare come lei!
Di certo non era una giovane donna timida come le altre, né riservata, stai sicuro che se avesse saputo un segreto cinque minuti dopo lo avrebbe saputo l’intera città. Ma sapeva essere anche un buona amica… la maggior parte delle volte almeno.
 ‹‹ Stasera me la sbatto ›› borbottò Mario sotto voce.
 ‹‹ Lo dici tutte le volte che la vedi ›› replicai quasi d’istinto ‹‹ Anzi lo dici ogni volta che vedi una ragazza, ma non ci riesci mai ››.
Mario si diresse diritto verso la damigella d’onore, con fare da macho.
 ‹‹ Ehi tesoro, che ne dici se facciamo un tour della casa e troviamo un posticino tranquillo? ›› dichiarò togliendosi gli enormi occhiali da sole a specchio che gli coprivano gran parte del viso, che anche per i miei gusti stonavano un po’ con l’abito gessato che indossava.
 ‹‹ No, no, no, no, no e no ›› replicò quella agitando le mani in avanti, assunse un’espressione di sdegno nel vedere gli occhi da pesce lesso che la fissavano, inoltre la nuca rasata e quella specie di cresta afflosciata che Mario portava non aiutavano ‹‹ Che ci fai qui? Un essere ripugnante come te non dovrebbe trovarsi in mezzo a gente perfetta in una giornata perfetta. Giorgia ti avevo detto di non farlo venire, perché lo hai invitato, vuoi che rovini tutto? ››.
 ‹‹ Violetta per piacere, puoi portarmi il bouquet? ›› le chiese garbatamente Giorgia ‹‹ Deve essere giù in soggiorno ››.
 ‹‹ Perfetto! ›› strepitò la ragazza con voce ferma e acuta, aggiustando le pieghe del lungo vestito di seta color pesca mentre usciva dalla stanza.
 ‹‹ Ciccia, ci ribecchiamo dopo? ›› grugnì Mario, la ragazza si limitò solo ad alzare il dito medio.
 ‹‹ Mi hai colpita, devo ammettere che ti si sei contenuto parecchio ›› ridacchiò Giorgia.
 ‹‹ Lo avevo promesso! ››.
 ‹‹ Aspetta che inizi a bere e poi ne riparliamo ›› intervenni appoggiandomi alla porta.
Nonostante le apparenze da tamarro, Mario era un ragazzo sensibile e soprattutto un amico fedele. Se non fosse stato per quella faccia da schiaffi io e Giorgia non avremmo mai fatto pace e di sicuro quel giorno non sarei stato là a parlarle.
 ‹‹ Mamma mia quanto sei bona oggi, una botta te la darei! ››.
 ‹‹ In un’altra vita quasi certamente sarebbe successo ›› rispose Giorgia abbracciandolo, in fondo sapeva bene che voleva essere solo un complimento.
 ‹‹ Sono felice per te, davvero ›› le sussurrò nell’orecchio Mario, prima di baciarla sulla guancia. Poi lanciò un’occhiata nella mia direzione ‹‹ Vado a farmi uno spritz, che cazzo, stamattina ho bevuto solo due Ceres ›› mi strizzò l’occhio in segno di buona fortuna ‹‹ Oh, ma dov’è quella bonazza di tua sorella? ›› blaterò uscendo dalla stanza.
 ‹‹ Lascia in pace mia sorella, sai che ha da poco fatto diciotto anni, papà ti ammazza se ti avvicini a lei! ›› strillò Giorgia, ma Mario era già andato via.
 ‹‹ Dici che porta sfiga incontrarti prima di arrivare in chiesa? ››
 ‹‹ Quello vale solo per lo sposo ›› ridacchiò lei.
 ‹‹ E così ci siamo? ›› mi avvicinai lentamente, con le mani in tasca ‹‹ Il grande giorno ››.
 ‹‹ Già ››.
La luce che entrava da una finestra dietro di lei le delineò con chiarezza le forme aggraziate. C’era silenzio nella stanza. Eravamo avvolti da un’atmosfera ovattata, tranquilla, come se vivessimo in una favola. Giorgia mi guardava. Il suo visetto illuminato da un sorriso forzato le fece brillare i languidi occhioni verdi.
 ‹‹ Senza te e Mario non avrei mai potuto superare questi ultimi giorni. Grazie ›› stava letteralmente tremando, allora mi accostai a lei.
 ‹‹ Dovresti ringraziare anche Angelo Rossi ›› Giorgia sbottò in una dolce risata e in un istante sembrava già più serena.
 ‹‹ Roberto, ho paura ›› la sua espressione si fece più seria.
 ‹‹ Di andare all’altare? ››.
 ‹‹ Anche ›› borbottò in un unico monosillabo ‹‹ Ho paura di non riuscire a essere più così spensierata come quando eravamo bambini o in questi ultimi mesi da quando siamo tornati amici ››.
 ‹‹ Ne abbiamo passate tante insieme ›› la mia mente fu invasa da tanti bei ricordi e sono sicuro che quegli stessi ricordi stavano scorrendo nella testa di Giorgia.
 ‹‹ Già ›› fece con un ghigno allegro ‹‹ Da quanto ci conosciamo? ››.
 ‹‹ Non ricordo, dalle medie forse? ›› in realtà lo sapevo benissimo. Non avrei mai scordato la prima volta in cui ci siamo conosciuti, quando si presentò davanti al banco dov’ero seduto con un pennarello viola “È il mio colore preferito, ci starebbe bene nel tuo disegno” mi disse con una vocina gioiosa.
 ‹‹ Vent’anni ›› sospirò ‹‹ Roberto e se stessi facendo la cosa sbagliata? ››.
 ‹‹ Non farla! ›› quella frase sfuggì dalla bocca, Giorgia mi fulminò con un’occhiataccia per poi cambiare posizione, portandosi le braccia incrociate al petto ‹‹ Ciò che intendevo ›› cercai di ricomporre l’entusiasmo ‹‹ È che è normale sentirsi così in situazioni che ci mettono a disagio. Sei la ragazza più forte che conosco e sono sicuro che quando arriverà il momento giusto, questa sensazione sarà solo un ricordo ››.
Cosa? Ma che ca… che idiota, ho detto davvero così?
Mi feci sopraffare dalla paura e non riuscii a dire nient’altro che una frase fatta, una di quelle smielate che si possono trovare solo in una scatola di cioccolatini da quattro soldi.
 ‹‹ Sono troppo agitata, ti prego fai quella cosa ›› mi disse ansiosa.
Le presi la testa fra le mani per un paio di secondi, le sue guance morbide e vellutate era calde al tocco, poi le bacia la fronte. Lei si aggrappò forte a me. La sentivo così fragile tra le braccia stringersi sempre di più, profumava di rose e fragole. I nostri cuori tamburellavano veloci da petto a petto. “Diglielo, cazzo, diglielo” mi ripetevo nella mente.
 ‹‹ Giorgia io… ›› in quel momento tornò Violetta con il bouquet di rose bianche in mano.
 ‹‹ Giorgia, andiamo? ››.
Visto in una panoramica dall’alto, il monastero appariva come una grigia e maestosa costruzione medievale adagiata su una collinetta in mezzo ai boschi, edificato in solida muratura e con un campanile a punta. Ogni cosa era immersa nella quiete della natura, con le fronde degli alberi accarezzate dal vento. In fondo alla radura si potevano scorgere le case ammucchiate della cittadina in cui vivevamo. Erano così piccole, così lontane. Una location matrimoniale da cartolina, sfruttata dalle persone a cui piaceva mettersi in mostra.
Tuttavia alla moltitudine di persone invitate all’evento interessava di più guardare gli schermi dei cellulari e far sapere al mondo dove si trovano, piuttosto che ammirare il paesaggio incantevole.
C’era la crema della società. Come tanti pavoni con risolini fittizi e acconciature improbabili, sfoggiavano abiti costosi e appariscenti, cercando di mettersi in mostra e farsi ammirare dai loro stessi simili.
Per arrivare all’altare bisognava percorrere un’immensa navata poco illuminata da altissime finestre sulla volta a botte. Infine eccolo là, il bellimbusto da centounomila follower su Instagram, se ne stava ritto in piedi con un elegante smoking nero. Renato pregustava già le cene al tavolo delle persone importanti, come le definiva lui. Le damigelle, vestite color perla, non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso e si scioglievano a ogni suo sorriso. In quegli sguardi pettegoli si leggeva tutta l’invidia che provavano nei confronti della sposa.
Come dargli torto. Stefano era un bel ragazzo col viso da fotomodello, alto e dal fisico atletico, con una folta chioma bionda. Farei prima a descrivere ciò che non era. Avvocato di grande successo laureato in una delle migliori università al mondo. Quando non posava per gli spot sulle riviste, era in giro attraverso il mondo impegnato in arrampicate sulle montagne o a surfare negli oceani. Grande conoscitore di vini e dalla cultura smisurata, oltre all’inglese, parlava fluentemente tedesco, francese, spagnolo, russo e nonostante ciò stava imparando pure il cinese. Sapeva accostare la sua formazione intellettuale con i piaceri della vita notturna, trasformandosi in un acclamato DJ che si esibiva alle feste più in. Aspettate, la lista non finisce qui. Tra tutti gli impegni che aveva, trovava anche il tempo per essere il presidente di una squadra di calcio i cui trofei si sommavano a quelli personali vinti negli anni. Insomma il purosangue su cui tutti avrebbero voluto puntare e a confronto, con la mia laurea in economia, sembravo un povero pezzente.
Il quartetto d’archi intonò la marcia nuziale e le mie speranze stavano per essere infrante. Mai avrei potuto dimenticare quella grazia straordinariamente femminile e morbida di Giorgia che camminava verso l’altare. Renato sorrideva felice sfregandosi le mani, mentre Stefano non pensava ad altro che mettersi ben in posa in favore di obiettivo.
 ‹‹ Formano una coppia così incantevole ›› bisbigliò qualcuno.
 ‹‹ Sì, sono entrambi bellissimi. Come se fossero fatti per stare insieme ›› ridacchiò qualcun altro.
Un “Oh cielo!” echeggiò tra le pareti affrescate da santi e martiri. Anche se suonò come il muggito di un toro honduregno in calore, vi assicuro che era la voce di una donna. Poi si udì un tonfo.
 ‹‹ Signorina Priscilla, signorina Priscilla ›› alcune voci attirarono l’attenzione dei più. La signorina Priscilla, la nostra vecchia e grassa insegnante delle medie, era svenuta. Non era nuova a scene del genere, sveniva quasi quotidianamente, come quella volta che vinse cinquecento euro al gratta e vinci. Fu impiegato un esercito di vigili urbani e soccorritori per rianimarla, tanto che la storia finì su tutti i giornali.
Sembrava un’enorme krapfen rosa rovesciatosi giù dallo scaffale del fornaio. Mi girai e vidi un uomo esile, stempiato e dalla capoccia lucida che cercava di sollevare gli enormi salsicciotti che erano i polpacci della donna. Il cappellino, anch’esso rosa, continuava a rotolare impettito sulla pavimentazione marmorea della chiesa.
 ‹‹ Ho seguito un corso per il primo soccorso, so quello che faccio ›› cercava di giustificarsi con tono affaticato, i muscoli del viso in tensione come se stesse compiendo uno sforzo immane. Le lenti degli occhiali dalla montatura squadrata, spessa e giallo evidenziatore, si erano appannate. Con un ampio gesto del braccio incitava qualcuno ad aiutarlo a tenere su i prosciutti della vecchia. Nessuno riusciva a comprendere quella stramba manovra di soccorso.
 ‹‹ Prendi dell’acqua e bagnale la fronte ›› ordinò don Luca a uno dei chierichetti. Il ragazzino dai capelli a caschetto castano miele e sguardo vispo, scattato sugli attenti, fece una conca con le mani e corse a immergerle in un’acquasantiera di marmo.
 ‹‹ Accidenti a te Gino, che stai facendo? ›› sbottò il parroco alzando gli occhi verso il crocifisso di bronzo affisso sulla colonna di fronte al giovane ‹‹ Non dobbiamo fare un esorcismo. Vai a prendere una bottiglia, benedetto figliolo ›› lo riprese, indicando con un cenno del capo la porta aperta sul fianco destro dell’altare. Facemmo una piccola pausa. Mario continuava a spingermi verso Giorgia, ma non ebbi il coraggio per parlarle e mi allontanai.
In fine, complice anche l’insistenza di Renato e dello sposo spazientito, si decise che la cerimonia doveva andare avanti. Il prete era ormai giunto alla parte finale del discorso e con voce severa pronunciò la fatidica frase. In quel momento avevo il cuore spezzato, gli occhi che bruciavano per le lacrime e Mario era sparito.
 ‹‹ Se qualcuno ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre ››
L’eco delle parole rimase nell’aria per un interminabile secondo. Un silenzio mistico calò nel tempio del Signore. Un vecchio tossì. In quello stesso istante Mario fece un ingresso trionfale a cavallo di un asino e con lui c’era anche Violetta.
Poco prima che un asino scorrazzasse per le navate di una chiesa, era accaduto qualcosa d’inspiegabile e incredibile allo stesso tempo: i due si erano messi d’accordo per rovinare le nozze.
Mentre la signorina Priscilla era ancora spiaggiata per terra, in molti decisero di prendere un po’ d’aria e fumarsi una sigaretta. Intanto Mario pensò che non poteva perdere l’occasione di fare il provolone con tutte le ragazze single.
 ‹‹ Signorina, che belle pere che c’hai ›› disse fissando prepotentemente il generoso décolleté di una delle damigelle ‹‹ Ti piacerebbe una bella frullata? Facciamo un “mic scieic” ›› domandò con fare impertinente e gesti poco raffinati. La bella ragazza fece una smorfia disgustata e si girò a parlare con l’amica che le stava accanto. Dopo aver importunato tutte le damigelle, rimase in silenzio a osservare Giorgia. Appariva così fragile e spaesata.
 ‹‹ Smetti di fare quello che stai facendo ›› tuonò la voce acida di Violetta apparsa come un fantasma ‹‹ Inutile che fai quella faccia, ormai conosco bene quello sguardo e so che stai macchinando qualcosa. Perciò smettila subito, prima di rovinare questo giorno perfetto ››.
 ‹‹ Tu parli sempre di perfezione, ma non ti accorgi di ciò che vogliono veramente le persone. Non vedi che Giorgia e Roberto sono fatti per stare assieme? ››.
 ‹‹ Se Roberto la amava realmente ci avrebbe pensato bene prima di baciare un’altra e spezzarle il cuore ››.
 ‹‹ Violé, stiamo parlando di un bacio accaduto due anni fa ›› sbottò il ragazzo ‹‹ E tu pensi che se Giorgia non lo amasse lo avrebbe perdonato? ›› la ragazza rimase in silenzio ‹‹ Lei lo vuole ancora, ma è troppo orgogliosa e testarda per ammetterlo. La conosco da più tempo di te, fidati ›› fece una breve pausa per riprende fiato ‹‹ Finché lui non le chiede scusa in ginocchio non lo accetterà. Per questo ha detto “sì” a mister fico, per mettere Roberto alla prova, ma quello non si farà mai avanti se non è spronato. L’unica cosa che rimpiango è non sono riuscito a farli riavvicinare prima che si fidanzasse ›› sbuffò ‹‹ Adesso dobbiamo impedire questo matrimonio prima che distrugga le loro vite ››.
Violetta ripensò come le era sembrata distratta la sua amica negli ultimi mesi, non assomigliava a una sposa eccitata per le nozze, come se non le interessassero minimamente. Io invece era onnipresente nelle loro discussioni, al posto di scegliere il colore dei vestiti o la torta si domandava con chi o con chi non fossi, le ragazze con cui parlavo, cosa ne pensassi di questo matrimonio.
Si chiese se Mario non avesse davvero ragione, se così fosse, lo stupido se n’era accorto prima di lei e non riusciva a capacitarsene. Si riteneva la migliore amica di Giorgia, ma il pensiero delle sfarzose celebrazioni le aveva annebbiato la mente, tanto da non accorgersi dell’amaro disagio.
 ‹‹ In effetti gli indizi c’erano, quei due si attirano come calamite, accidenti sono stata una perfetta idiota ›› bisbigliò tra sé e sé.
 ‹‹ Cosa? ›› fece Mario, fissandola perplesso mentre parlava da sola.
 ‹‹ Se c’è qualcuno che deve addossarsi delle colpe sono io ›› rispose lei ‹‹ Io li fatti incontrare e poi li ho spinti a fare il grande passo, mi sembravano perfetti insieme. Quindi se c’è qualcuno che ha delle colpe qui sono io ››.
 ‹‹ Hai ragione è colpa tua ›› affermò Mario puntandole il dito contro. Lei lo guardò male, lui distolse lo sguardo al cielo facendo il finto tonto.
 ‹‹ Non vorrei dirlo ›› riprese Violetta lanciando un’occhiata verso l’antico monastero, silenzioso e severo ‹‹ Ma questo Stefano mi è sempre stato sulle palle, è troppo perfetto anche per me. Hai ragione dobbiamo impedire il matrimonio! ››.
 ‹‹ Brava ragazza! ›› sbraitò Mario cercando di abbracciarla.
 ‹‹ Non prendiamoci certe confidenze ›› Violetta sgusciò via da quella morsa che considerava ripugnante, ma un sorrisetto si dipinse sul suo volto ‹‹ Cosa hai in mente? ››.
 ‹‹ Qui fuori c’è un amico che può darci una mano.
I due si diressero a passo lesto verso il carretto folkloristico giallo e rosso a cui era stato legato l’asinello.
 ‹‹ Guardalo il pezzente, con tutti i soldi che ha il carretto prende ›› sproloquiò con ironia ‹‹ Pezzente! ››.
 ‹‹ Allora ricapitoliamo ›› continuava a bisbigliare Violetta zappettando sull’erba con i suoi vertiginosi tacchi a spillo.
 ‹‹ Tu vai là e fai vedere le tette al tipo mentre io rubo il ciuco, lo distrai no? Poi entriamo in chiesa ››.
 ‹‹ Questo piano non mi sembra perfetto, non mi sembra perfetto affatto. Perché gli devo far vedere le tette? ››.
 ‹‹ Io gli farei vedere il pisello, ma a quello mica gli piace. Il piano difetta così ››.
 ‹‹ Ma non c’è un altro modo? ››.
Mario scoppiò in una risata.
 ‹‹ Smettila! ›› gli rise dietro la ragazza, un lieve rossore le colorò le guance.
 ‹‹ In guerra tutti dobbiamo fare dei sacrifici, oggi tocca a te e magari domani, chissà, tocca a me ››.
 ‹‹ Io odio la guerra, non è perfetta ›› borbottò la moretta.
 ‹‹ La guerra è una brutta bestia ›› disse il tamarro grattandosi le palle.
Ormai erano a pochi passi dal carretto. Mario, facendo un giro più largo, si posizionò dietro l’asino e iniziò a sciogliere pian piano le redini. Violetta rallentò il passo.
 ‹‹ Mi scusi ›› disse mentre si guardò attorno controllando che non ci fosse qualcun a osservare ‹‹ Può dirmi a che serve? ››.
 ‹‹ Per le foto e per un giro con gli sposi dopo la cerimonia, come vuole la tradizione di famiglia del signorino ›› rispose l’anziano gentiluomo dall’aspetto tarchiato, le orecchie a cavolfiore e un nasone a patata. Indossava un soprabito scuro, lunghi stivali di cuoio sopra un paio di pantaloni di velluto blu e una coppola sopra la testa. Stava per tornare indietro e Mario non aveva ancora finito di slegare le corde, per cui Violetta doveva inventarsi qualcosa alla svelta.
‹‹ Mi perdoni se la importuno ancora sa dirmi che tipo di uccellino è questo? ›› si accostò al vecchio cercando di mettere in mostra le sue forme, poi tirò fuori il cellulare dalla borsetta bianca che entrava perfettamente nel palmo di una mano.
Quello si avvicinò con curiosità verso lo schermo dello smarth phone, intanto Mario saltò sull’animale e si diresse verso la chiesa, ma prima prese Violetta al volo facendola salire in groppa. Il vecchio cercò invano di fermarli.
 ‹‹ Ancora non riesco a crederci che l’ho fatto davvero! ›› disse Violetta con un sorriso smisurato, si stava divertendo più di quanto volesse ammettere ‹‹ Le ragazze perfette non fanno queste cose ››.
 ‹‹ Grande Vioolettaaa, sei una di noi. Una di noi! ›› rideva Mario, mentre la ragazza si aggrappò stretta a lui per non cadere ‹‹ Oh, ma lo sai che c’hai delle tette morbide? ››. Violetta lo colpì forte sulla nuca con la mano aperta.
Ovunque andasse l’asino portò scompiglio dietro di sé. La gente si alzò impaurita, alcuni ridevano divertiti.
 ‹‹ Robbé, mi devi un enorme favore ›› sbraitò Mario sganasciandosi dalle risate.
Così approfittai della confusione per avvicinarmi a Giorgia e parlarle.
 ‹‹ Non devi sposarti ››.
 ‹‹ Cosa? ›› urlò Giorgia, sperando di aver capito male nella caos che si era creato.
 ‹‹ Giorgia non devi sposarti, perché… io ti amo ››.
 ‹‹ Con tutto il tempo che hai avuto me lo dici proprio ora? ›› sembrava furibonda, gli occhi le si erano riempiti di lacrime e distolse lo sguardo da me.
 ‹‹ Giorgia, so che ci sono stati alti e bassi tra noi, ma abbiamo sempre trovato il modo per superarli ›› alle mie spalle stava succedendo il finimondo. L’asino scorrazzava per la chiesa, le signore ululavano sgomente, mentre decine di uomini in giacca e cravatta cercavano di catturare la bestia non invitata. Il povero don Luca ripeté il segno della croce per dieci volte almeno, ma a me non importava. ‹‹ Insieme ci completiamo, perché tu sai tutto di me, come io so tutto di te: le tue passioni, i tuoi sogni e le tue paure. Come i piccioni ad esempio, so che li detesti ››.
 ‹‹ Sembrano piccoli topi con le ali e quegli occhietti vitrei mi mettono i brividi ›› una specie scossa le rabbrividì la schiena.
 ‹‹ Ma so anche ciò che ami, come il viola, è il tuo colore preferito ››.
 ‹‹ Mi da una sensazione di calma ››.
 ‹‹ E sicurezza ›› finii io la frase ‹‹ Inoltre ti sta meravigliosamente bene. Non lo hai mai detto a nessuno, ma so che adori le croste della pizza ed è per questo che te le ho sempre lasciate ›› lei sogghignò compiaciuta ‹‹ Come so anche che hai sempre desiderato vivere in uno di quei posti tropicali con alte palme da cocco e spiagge dorate dove fare lunghe passeggiare al tramonto ››.
 ‹‹ Come fai? ››
 ‹‹ A saperlo? ›› feci io ‹‹ Me lo dicesti anni fa, quando avevamo quindici anni. Perché prima di essere la mia fidanzata, sei stata la mia migliore amica e ci siamo detti sempre tutto. È questo ciò rende inseparabili ››.
 ‹‹ Smettila di confondermi ›› strepitò con un singulto, gli occhi sommersi da lacrime ‹‹ Ti stai comportando da egoista, ti prego smettila. Con quale diritto vieni qui a rovinarmi matrimonio? ››.
 ‹‹ Io ›› non riuscivo più a far uscire le parole dalla bocca.
 ‹‹ È troppo tardi ormai. Cosa pensavi, che fossimo tornati insieme felici e contenti? ›› i suoi linimenti delicati si adombrarono all’improvviso e la risposta che lessi in quell’occhiata furiosa mi raggelò.
 ‹‹ Lo sapevo che ne avreste combinata una delle vostre! ›› l’urlo di Renato mi ridestò da quell’incubo a occhi aperti. Una volta bloccato da una delle sue prese da poliziotto, mi trascinò verso l’uscita.
Nel frattempo anche l’asino fu catturato e portato fuori, mentre Mario e Violetta si erano dati alla fuga. Corsero via attraverso gli alberi. Il terreno era in discesa e scivolarono lungo un lieve pendio tra la boscaglia.
 ‹‹ Non è perfetto, non è per niente perfetto ›› mugugnò Violetta mentre toglieva le foglie dai neri capelli tutti scompigliati, avevano le mani e i vestiti sporchi di fango. Mario non smetteva di ridere.
 ‹‹ Non c’è nulla da ridere! ›› ansimava la ragazza con i lucciconi agli occhi.
Mario le si avvicino a gattoni sedendosi accanto a lei. Un raggio di sole le illuminò gli splendidi occhi azzurri, mentre lacrime di mascara le rigavano il volto. Mario prese un fazzoletto dalla tasca e le asciugò le guance pulendole con cura dalla terra che si era appiccicata.
 ‹‹ Ormai ti ho capito. Tu cerchi la bellezza nella perfezione, quando dovresti cercarla nell’imperfezione ››.
 ‹‹ Che vuoi dire? ›› domandò lei sbuffando.
 ‹‹ Sei tutta presa da questa tua fissa di essere tutta perfettina, con i vestiti perfetti, gli amici perfetti e bla bla bla. Ma fatti una domanda… sei felice? ››.
 ‹‹ Certo che sono felice, che domande sono? ›› fece lei come se fosse stata punta da una vespa, le uscì fuori una vocina stridula e sgradevole. Si sentì messa con le spalle al muro e si voleva difendere.
 ‹‹ Togliendo i soldi, gli abiti, gli amici scrocconi e tutti le cose inutili sei davvero felice? ››.
 ‹‹ Quando sono con Giorgia mi sento libera di essere me stessa ›› rispose ‹‹ La vera me ››.
 ‹‹ Allora perché non fai cadere questa maschera di finzione? ›› domandò ancora una volta quello ‹‹ Non mi dire che oggi non ti sei divertita, nonostante tutto ››.
La giovane si lasciò andare a una risatina divertita, poggiando poi la testa su una spalla del ragazzo.
 ‹‹ Anche io ti ho capito, sai? ›› borbottò allegramente ‹‹ Oggi è la seconda volta che elargisci parole sagge. Dovresti usare quest’ultimo consiglio con te stesso e smetterla di fare il burino quando possiedi invece uno splendido animo saggio e colto. Piaceresti di più alle ragazze, sai? ››. In fondo non le dispiacevano poi così tanto tutte le attenzioni, anche se a modo suo, che Mario le aveva dato in questi ultimi anni. Tuttavia non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
Rimasero qualche secondo in silenzio.
 ‹‹ Allora me la dai? ›› la buttò lì Mario.
Un sorriso si dipinse sulle labbra di Violetta. I due erano ormai spalla contro spalla, testa contro testa. Poi lei lo baciò. Le venne quasi spontaneo.
 ‹‹ Oh mio Dio, questo è così terribilmente sbagliato ›› sussurrò Violetta staccandosi dal ragazzo con gli occhi sbarrati, come se avesse appena fatto un errore madornale ‹‹ Non può succedere una cosa simile, è così sbagliato, non è perfetto ››. Mario le tappò la bocca con una mano per non permetterle più di parlare. Violetta lo afferrò per la nuca sbaciucchiandolo con passione.
Vidi sbucare la coppietta dalla boscaglia, si dirigevano verso me mano nella mano. I vestiti sporchi, i capelli arruffati e le braccia piene di escoriazioni, ma un sorriso smagliante illuminava i loro visi.
 ‹‹ Almeno voi vi siete divertiti ›› dissi io con il massiccio portale di legno chiuso alla spalle.
 ‹‹ Le hai parlato? ›› domandò Mario.
 ‹‹ Non del tutto ›› risposi.
 ‹‹ Dobbiamo impedire questo matrimonio ›› replicò Violetta.
 ‹‹ Da quando fa parte della banda? ›› chiesi rivolgendomi al mio amico.
 ‹‹ È ancora in prova ›› dichiarò lui infilandosi i grossi occhiali da sole a specchio, con un gesto degno di Horatio Caine ‹‹ Mettiamoci al lavoro! ››. Per un attimo mi parve addirittura di sentire la sigla di CSI:Miami.
Udimmo poi la voce di una donna che fece capolino quasi dal nulla.
 ‹‹ Vi posso aiutare io! ››.
Era Anna, la madre di Giorgia. Una signora molto giovane e piacente, un po’ rotondetta, con dei lunghi capelli castani che le incorniciavano un volto simpatico e che suscitava fiducia. Aveva gli stessi occhi della figlia e indossava un elegante abito da cerimonia color panna.
 ‹‹ Non voglio che mia figlia faccia un grave errore, ho sempre avuto un debole per te… e anche lei ›› mi strizzò l’occhio, facendo cenno di seguirla ‹‹ C’è un altro modo per entrare, vieni prima che sia tardi ››.
Gli invitati si erano riaccomodati sulle scomode panche in mogano e don Luca aveva appena ripreso il discorso là dove lo aveva interrotto.
 ‹‹ Quindi se c’è qualcuno che ›› si trattenne in un lungo silenzio scrutando bene tutti quanti.
 ‹‹ Sì che c’è ›› intervenne la madre di Giorgia, don Luca alzò gli occhi al cielo, non desiderava altro che la giornata potesse finire il più velocemente possibile.
 ‹‹ Anna che stai facendo? ›› sbraitò Renato, era furioso in volto.
 ‹‹ Renato, al di là di quanto vorrai ammettere, c’è solo una cosa che tu ami di più: la tua famiglia, le tue figlie. Quindi per il bene della nostra bambina lascia parlare Roberto ››. Dopodiché mi spinse per un fianco, facendomi quasi cadere in avanti.
 ‹‹ Di nuovo lui? ›› sentenziò aspramente Stefano ‹‹ Portate via questo stronzo dalla mia vista ›› don Luca lo fulminò con uno sguardo furente.
 ‹‹ Sta’ zitto e lascia parlare il ragazzo o ti prendo a calci ›› lo ammonì Renato puntandogli l’indice contro.
Avvertivo la pesante sensazione degli occhi di tutti a dosso me. Percepii il pavimento tremare sotto i piedi, credevo fosse un terremoto, ma mi accorsi che erano le gambe a tremarmi. Mi ritrova col fiato mozzato da una terribile fitta allo stomaco e aveva solo voglia di fuggire.
Istinto di fuga, propriamente detto sopravvivenza. Tutti lo possediamo. È quella sensazione che ti mette in allerta di fronte i pericoli o nel caso dell’uomo moderno di fronte alle novità che potrebbero sconvolgere la vita in negativo o in positivo. In fondo non era difficile ed era ciò che avevo sempre fatto, come quando mi fu proposto un lavoro lontano dal posto in cui ero cresciuto e che non ho mai accettato. Mentre tutti si lanciavano a testa bassa verso le opportunità per migliorare le loro prospettive di vita, io ho sempre preferito mantenere lo status quo. Per questo mi ero imposto tacitamente di non avere sogni e prospettive, cosicché non sarei potuto rimanere deluso. Ma in quel momento realizzai che un sogno dopo tutto lo avevo anch’io, lo avevo sempre avuto. Quel qualcosa che desideriamo ogni costo, per cui siamo pronti ad affrontare mari e monti, che non ci fa pensare a nient’altro. Quel sogno per me si chiamava Giorgia e per la prima volta in vita mia m’imposi e mi rifiutai cedere all’istinto di fuggire. Piantai i piedi ben saldi, guardai l’affresco del Cristo Pantocratore che mi fissava con occhi solenni e iniziai a parlare.
 ‹‹ Una volta qualcuno mi disse che “l’amore è quella cosa che non puoi decidere, che si manifesta e basta”. ›› il rumorio in sottofondo creato dalla gente che mormorava di colpo si affievolì, trasformandosi in un silenzio sacrale ‹‹ Chi di voi non ha mai fatto un gesto eclatante per amore? ›› mi sentivo un uomo che stava andando al patibolo ‹‹ In questo momento ci sarebbero mille parole, mille frasi che potrei dire, ma me ne viene in mente soltanto una: mi dispiace Giorgia. Non di essermi innamorato di te, ma mi dispiace di aver fatto il più grave degli errori... perderti ››.
 ‹‹ Portate fuori questo buffone ›› s’intromise Stefano, il suo mascellone perfettamente simmetrico apparve alquanto indignato ‹‹ Sei solo uno sfigato, nullatenente e senza futuro. Almeno un lavoro ce l’hai? ››.
 ‹‹ Zitto lascia parlare il ragazzo ›› urlò una donna.
 ‹‹ Hai ragione, forse è tardi ›› ripresi ‹‹ Ma se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che gli errori servono per non commetterne altri. È vero, forse non riuscirei mai a darti un futuro ricco e avventuroso, almeno non più di quanto Stefano potrà fare, però saresti stata il centro del mio universo… quello sì. Con me non saresti mai stata solo l’ennesimo trofeo da esibire ››.
 ‹‹ Adesso basta! ›› con un cenno della testa Stefano ordinò a due amici di intervenire.
 ‹‹ Giorgia io ti amo, guarda in fondo al tuo cuore e chiediti se non è lo stesso anche per te ›› scalciai mentre mi strascinavano fuori a forza.
 ‹‹ Stefano qual è il mio colore preferito? ›› sussurrò appena la sposa, con la voce rotta dall’angoscia.
 ‹‹ Il verde, il rosa? ›› sembrava confuso ‹‹ Non ti ci mettere anche tu, non dirmi che lo stavi ascoltando davvero? ›› si rivolse poi verso il prete ‹‹ Avanti prosegui e finiamola qui! ›› ordinò arrogantemente ‹‹ Abbiamo una festa a cui partecipare e siamo in ritardo, domani mi devo alzare presto per un servizio fotografico ››.
Don Luca esitò parecchio tempo prima di riprendere la cerimonia, tenendo lo sposo sulle spine, voleva fargliela pagare per quella sfacciataggine all’interno della casa del Signore.
Tuttavia ciò che accadde da lì a pochi istanti ha dell’assurdo. Una squadra speciale della polizia con giubbotti anti-proiettili e armata fino ai denti piombò dal tetto rompendo le finestre. Decine di uomini si calarono con delle corde.
 ‹‹ Squadra alfa siamo dentro. Ripeto, siamo dentro ›› urlò uno degli agenti in assetto da combattimento.
Un’altra squadra ugualmente equipaggiata sfondò il portone centrale sguinzagliando i cani. Nel frattempo un elicottero sorvolava la zona e tutt’intorno la chiesa erano appostati centinai di uomini pronti a sparare. Gli agenti delle forze speciali, con i mitra spianati, si posizionarono attorno all’altare.
 ‹‹ Alza le mani e tienile ben in vista, non fare resistenza o apriamo il fuoco ››.
Don Luca alzò le mani con gli occhi sgranati, aveva una faccia contratta e terrorizzata. Almeno è questo ciò che sono riuscito a interpretare dal racconto di Mario, ma a quanto pare, dai titoli dei giornali usciti nei giorni successivi, il parroco fu realmente arrestato per furto aggravato: aveva perso centinaia di magliai di euro, di proprietà della parrocchia, giocando d’azzardo al casinò. La verità che nessuno saprà mai, invece, sarà la modalità di arresto. Fu un fatto talmente eclatante, che i miei concittadini aggiungevano dettagli sempre più bizzarri alla storia facendola diventare una specie di leggenda. Come spesso accade con i miti metropolitani, neanche i presenti al matrimonio distingueranno più la realtà dalle bugie inventate. Così col tempo presi per vere le parole di Mario, anche se tuttora rimango alquanto scettico.
Questa era la mia storia. Tutto ciò, o quasi, che accadde quel giorno. Il vagabondare senza meta mi portò là dove abitava quel facsimile di Hulk che stava per sfondarmi il cranio in due.
Si dice che sia meglio aver amato e perduto, che non aver amato affatto. Ciò che non ti dicono, però, è che fa tanto male quando lasci andare qualcuno a cui tieni tanto.
In fondo non avevo nulla da rimpiangere, le avevo provate tutte, trovando il coraggio di superare anche le mie paure. Malgrado ciò sentivo il cuore rotto in centinaia di cocci. Forse per questo quella notte urlai a squarciagola, cercavo di essere punito dal karma per qualcosa che avevo fatto.
Rimanevo squattrinato e senza futuro, avevo perso l’amore della mia vita e stavo per essere massacrato di botte… eppure non smettevo di ridere. Ero arrivato finalmente al punto di rottura?
Più o meno. A un tratto mi accorsi di provare nuovamente quella sensazione di essere libero. Vi sembrerà strano e probabilmente era a causa dell’adrenalina che mi scorreva in corpo. Pensai che tutto sommato non era poi così male avere un sogno, perché è grazie a essi che non ci imponiamo limiti nella vita. Non serviva a nulla deprimersi, d’altronde capita che alcuni sogni non si realizzeranno mai. Tutto ciò di cui avevo bisogno era un nuovo obiettivo su cui puntare, prima però dovevo riuscire a scappare da Angelo.
Proprio nello stesso istante in cui la furia palestrata mi aveva afferrato per la maglietta, un furgone rosso, lo stesso che Mario utilizzava per i traslochi nella ditta del padre, veniva nella direzione opposta. I fari ci accecarono e il portellone posteriore si aprì. Una bianca mano nella gelida oscurità della notte mi afferrò. Dopo essere stato trascinato dentro mi ritrovai di fronte gli occhi di Giorgia più verdi e più brillanti che mai.
 ‹‹ Ciao ›› mi disse con flebile sorriso.
Ci allontanammo a tutto gas, lasciando Angelo Rossi che continuava a sbracciarsi, imprecando mezzo nudo al centro della strada.
 ‹‹ Oh, dove cazzo sei stato? È una giornata che ti cerchiamo ›› gesticolò preoccupato Mario mentre guidava il camioncino scarlatto. Nel sedile accanto a lui Violetta mi sorrideva felice.
 ‹‹ L’idea di venirti a cercare in questa zona è venuta a Giorgia ›› mi disse la ragazza con i suoi bellissimi occhi blu cobalto.
 ‹‹ Quello che è successo oggi è stato come un segno ›› riprese Giorgia con la voce più dolce che avesse mai avuto ‹‹ E anche se c’è voluto l’intervento del destino, ho capito quello che cercavi di dirmi ››.
 ‹‹ Bisogna vedere se io adesso sono disposto a perdonare te ›› le dissi con un ghigno sornione.
 ‹‹ Farò di tutto per riconquistarti ›› mi abbracciò trasferendo su di me tutto il suo calore e fu la risposta più bella che potessi ricevere. Un momento che avrei portato con me per sempre.
 ‹‹ Semplicemente perfetto! ›› sussurrò Violetta allegramente.
Ciò che accadde dopo lo potete immaginare. Anche se può sembrare strano, quell’impareggiabile di Mario apparentemente aveva messo la testa a posto. Violetta comprese che non bisogna per forza essere perfetti per essere felici e insieme a Mario formano, guarda caso, una coppia perfetta.
Io e Giorgia ci siamo trasferiti in uno di quei luoghi tropicali dove lei tanto sognava di vivere. Abitiamo in una casetta con vista sull’oceano e abbiamo aperto un piccolo locale, dove ho anche scoperto di essere un ottimo barman. Allo stesso tempo facciamo in modo di aiutare tutti coloro che sono in cerca dei loro sogni.
A fine giornata facciamo lunghe passeggiate. Provate a immaginare Summer Paradise dei Simple Plan come sottofondo, finissima sabbia dorata che accarezza i piedi, le onde del mare s’infrangono dolcemente sulla battigia e la calda atmosfera del tramonto che avvolge i nostri baci. Lo so che sembrerà smielato, ma non importa. Citando la mia amica Violetta, stavo vivendo una vita perfetta. Inoltre abbiamo recentemente scoperto che diventeremo presto in tre e non potevamo ottenere un finale migliore.
Una volta qualcuno disse che affrontare la vita senza viverla appieno, equivale a non vivere. Mai sentite parole più sagge. Per cui io adesso ti dico: segui la strada che il destino ha tracciato per te e buttati con tutto te stesso.



Se siete giunti fino a qui vuol dire che avete letto la mia storia e vi ringrazio dal profondo del cuore, non puoi essere uno scrittore se non c'è qualcuno che legge ciò che scrivi. Prima di aggiungere qualsiasi altra cosa ci terrei a ringraziare Tereca che mi ha fatto da beta e spronato a pubblicare qualcosa su EFP, se non vi piace la storia o il mio modo di scrivere sapete con prendervela! 
Scherzi a parte se avete correzioni, suggerimenti e/o osservazioni da fare scrivetelo nei commenti, io sono sempre pronto ad accettare i pareri degli altri perché senza critiche non si può migliorare.
Perdonatemi se la formattazione non risulta gradevole, ma devo ancora capire come funzionano un po' di cose. Detto ciò sbizzarritevi!

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