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Autore: FireFistAce    04/05/2018    1 recensioni
E se gli veniva chiesto quand'era stata l'ultima volta che era riuscito a dormire sul serio, Marco non avrebbe saputo rispondere, perché ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva il corpo di Thatch riverso a terra, la pozza di sangue che si allargava sotto di lui ad una velocità spaventosa, il suo viso pallido ed il suo corpo freddo.
[Storia partecipante alla 26 Prompts Challenge indetta dal gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart"]
{Prompt 1/26: Sonno}
Genere: Angst, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Thatch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sonno

són·no/ sostantivo maschile

Definizione:

1.
Fenomeno periodico di sospensione più o meno completa della coscienza e della volontà, indispensabile per il ripristino dell'efficienza fisica o psichica.


.

 
Sweet Dreams, My Love




Era passato un mese dalla morte di Thatch, ma a Marco sembrava passato nemmeno un giorno.

Non voleva accettarlo, gli sembrava impossibile farlo, perché avrebbe voluto dire andare avanti e non rientrava nelle sue attuali volontà.
Lo aveva fatto così tante volte, in passato, che adesso voleva essere un po' più egoista e crogiolarsi nel dolore, perché Thatch non era stato soltanto il suo migliore amico, non era stato solo suo fratello, era stato di più.

Era stato quel di più che non sentiva da molti, troppi anni ormai e non era pronto a lasciar andare il suo amato.

Ed il suo cuore si stringeva dolorosamente ogni volta che andava a letto ed era solo, che si svegliava senza l'espressione pacifica dell'altro, senza uno scherzo o anche solo un bacio.

Ed il nodo nella sua gola si faceva un po' più grande quando entrava in cucina e al posto del comandante c'era Jason, il vice-comandante, a dare ordini e tirar avanti tutto.

E se gli veniva chiesto quand'era stata l'ultima volta che era riuscito a dormire sul serio, Marco non avrebbe saputo rispondere, perché ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva il corpo di Thatch riverso a terra, la pozza di sangue che si allargava sotto di lui ad una velocità spaventosa, il suo viso pallido ed il suo corpo freddo.

No, Marco non riusciva a dormire ed ogni giorno metteva sempre più alla prova i propri poteri che, solitamente, gli evitavano di sentirsi esausto, ma che dopo una settimana di sonno precluso iniziavano a raggiungere il limite.

E le palpebre sembravano più pesanti del solito mentre lo sguardo azzurro scorreva sui documenti che doveva compilare, e la penna tra le proprie dita sembrava pronta a scivolare via dalla sua presa indebolita dal sonno.

E quando si voltò verso il letto, così da poter controllare l'orologio che pendeva al muro sopra di esso, dovette sbattere le palpebre più volte per ripulire la vista dalla stanchezza che lo attanagliava, perché per un istante avrebbe giurato di aver visto una familiare silhouette seduta proprio sul bordo dello stesso letto.

Ma non era possibile. Thatch era morto.

Ed invece era possibile, perché seduto sulle morbide coltri color del mare, il castano aveva lo sguardo smeraldo fisso sul biondo, ed aveva imparato che quando la notte calava alcune persone erano in grado di intravederlo con la coda dell'occhio, ovvero senza guardarlo direttamente, diversamente da chi invece riusciva a vedere i fantasmi anche di giorno.

Perché lui questo era, un morto tenuto ancorato al mondo dei vivi tramite il suo desiderio di rimanere vicino al suo amato, di vederlo guarire da quel dolore che la sua morte aveva causato, perché lui quella notte l'aveva visto chinarsi e l'aveva sentito parlare, pregare perché le infermiere facessero l'impossibile.

Aveva visto i suoi occhi azzurri riempirsi di consapevolezza e terrore, di pura distruzione, ed il cuoco aveva capito che non poteva abbandonarlo, e così eccolo lì, ad osservare come il Comandante in Prima si stesse lasciando lentamente andare in attesa del giusto stimolo per risalire dal pozzo di dolore dnel quale stava affondando, ed il cuoco sbuffò dal naso quando lo vide sospirare e tornare a quei maledetti documenti su cui si era buttato con tutto sé stesso.

Ed allora si alzò dal letto, le coperte nemmeno sgualcite dalla sua precedente traslucida presenza, e si avvicinò al biondo allungando una mano per passargliela tra i capelli scarmigliati, causandogli un brivido di freddo.

Un'altra cosa che aveva imparato in quel mese: toccare gli altri causava loro freddo, probabilmente perché lui era un fantasma e non era in grado di produrre e passare calore, ma in fondo non è che avesse poi così tanti amici fantasmi a cui poter chiedere conferma.

Ad ogni modo, quel brivido sembrò risvegliare Marco che si guardò intorno confuso per qualche istante prima che la mano del compagno calasse a coprirgli gli occhi, causandogli ancora del freddo ma istigandolo anche al sonno, ulteriore abilità utile che aveva scoperto nei giorni passati.

E rimase fermo, con la mano sugli occhi dell'altro, finché il biondo non crollò con la testa sulla pila di documenti che stava compilando, ed il cuoco scomparve momentaneamente nella propria stanza per recuperare una delle proprie camice dall'armadio, perché aveva scoperto per caso di poter toccare gli oggetti, diversamente dagli umani, e invece di utilizzare questa abilità per mettere in atto qualche scherzo aveva deciso di tenersela per situazioni utili.

Coprì dunque il compagno con il proprio capo d'abbigliamento, poi sfilò l'elegante penna da sotto le sue dita ora rilassate e raccolse un foglio bianco e inutilizzato, un sorriso leggero sulle labbra mentre gli posava un bacio etereo sulla fronte.

 
.
 
Quando la mattina successiva Marco si svegliò, si stupì di essere riuscito a dormire per più di mezz'ora di fila senza essere disturbato dagli incubi, e quando si alzò dalla posizione china che aveva assunto sulla propria scrivania si stupì anche di sentire del tessuto scivolare via dalle proprie spalle, ma quando si voltò per raccogliere quella che aveva scambiato per coperta s'immobilizzò di fronte alla bianca camicia da cuoco che adesso giaceva a terra.

Non riusciva a capire come potesse essere finita nella sua stanza e né tantomeno sulle sue spalle, ma quando la alzò dal pavimento e vide un foglietto scivolare via dalla manica sinistra, inclinò la testa ancora più confuso, per solo poi portarsi una mano alle labbra dopo averlo raccolto e letto, lo sguardo che sembrò quasi farsi acquoso.

Non pianse, perché aveva versato già abbastanza lacrime, ma un singhiozzo asciutto sfuggì dalle labbra dischiuse mentre le dita si stringevano al bordo di quel foglio dall'aspetto innocente, aggrappandosi ad esso come se ne andasse della propria stessa vita.

Ed erano solo quattro parole scritte con calligrafia incerta, una calligrafia che ormai conosceva a memoria, ma erano quattro parole dall'impatto quasi devastante.

Sogni d'oro, amore mio.
  
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