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Autore: meiousetsuna    05/05/2018    14 recensioni
Storia vincitrice del contest di S.Elric__ “Sono stato tutta la mattina per aggiungere una virgola, e il pomeriggio l'ho tolta”
Sansa è sempra stata una fragile principessa, come si conviene ad una vera Lady.
Ma la sua delicatezza l'ha portata ad un passo dalla morte, dalla violenza, dall'essere una mera merce di scambio da cedere in matrimonio.
Ma Sansa è una Stark, e forse se ne ricorderà in tempo...
un bacio di neve,
Setsuna
[Ambientazione: quarta stagione]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vincitrice del contest di S.Elric__ “Sono stato tutta la mattina per aggiungere una virgola, e il pomeriggio l'ho tolta”, su EFP
Prompt e citazione utilizzate: Ritorno alla vita/5) E poi, pensò, tutti uccidono tutti gli altri in un modo o nell’altro.
Eventuali note: Ambientazione: 4x8; Sansa ha indossato l’abito nero per partire con Petyr
Nota principale: alla fine


perch-devo-viver

So quello che gli uomini vogliono da me, adesso lo so bene.
Sono nata essendo una damigella delle fiabe, con il fuoco nei capelli e l’acqua negli occhi, e un canto delicato sulle labbra simili a petali di rose dell’inverno.
Il mio era un regno ideale, fatto per custodire una bambina come me, che voleva solo cose belle; dolci profumati di limone ― un innocente vizio, un raggio di quel Sole biondo del Sud che desideravo tanto ― sete impalpabili e sogni da custodire con cura nello scrigno imbottito di velluto che mio padre aveva intagliato per me, per liberarli appena fossi cresciuta abbastanza da saperli realizzare.
Non c’era un feroce lupo sul mio cofanetto, come quello che Arya aveva preteso con gran strepito.
Non una rosa tinta d’azzurro, simbolo di eccezione, come quello di Lyanna da fanciulla, conservato con l’attenzione che non avevano avuto per la sua felicità.
Non era ricavato dal legno di un albero del sacrario dei Sette, come quello di mia madre, custode della famiglia e perfetta sposa.
C’era una fioritura sottile e minuta, così lieve che il legno pareva potersi dissolvere in polvere per magia, se fossi stata poco avveduta. Così simile al giardino di filo e merletto che sbocciava tra le mie dita, la riproduzione eterea e falsa della natura vivente.
Ma non era realtà; la osservavo in uno specchio argentato che mi mostrava il riflesso della verità.
Nella mia torre ero protetta e custodita, illusa che sarebbe durato una vita intera? Che cura* dovevo avere del mondo?
La mia esistenza sarebbe sempre dipesa dalla benevolenza di qualcun altro che avrebbe fugato i miei affanni, assicurata la mia salvezza, posseduto il mio spirito?
Anche la mia carne, è stato sempre chiaro. Un rossore di vergine mi tingeva le guance guardando il giovane Leone dorato che bramavo sposare, ma è stata la stilla di sangue sulle mie labbra spaccate a mutare il senso di quel colore sul mio viso.
Il Cavaliere di Fiori mi avrebbe resa una moglie felice? Non ho mai ascoltato le maldicenze sussurrate alle sue spalle da voci bugiarde e invidiose, ma anche quella gioia sarebbe appassita com’è il destino del suo nome?
Forse finora non avevo capito chi sono, ne avevo paura.
Non volevo il peso del ghiaccio sulle mie spalle delicate, l’eredità del brutale e puro Nord, terra priva di orpelli, dura come il lungo inverno.
Immaginavo di danzare in un eterno sogno, che si sarebbe materializzato intorno a me secondo i miei desideri, e figure dei miei arazzi che avessero ricevuto un’anima.
Ma sporche zampe di ragni hanno camminato sulle mie tele, scambiandole con le loro, rendendomi una farfalla prigioniera. Che armi sono le mie belle ali — o grazia e dolcezza, cortesia e sorrisi?
Spuntate e deboli, ridicole e facili da lacerare dalla crudeltà dei folli, dalle voglie dei mostri o dalle sottili lusinghe dei serpenti che sibilano parole viola di veleno e nere di tradimento, per spalancare le fauci e masticarmi godendo del mio dolore.
Ma non è ancora tutto perduto. Tornerò a vivere veramente, come forse ho fatto solo fino all’età dei giochi. Spezzerò in mille frantumi lo specchio fasullo, strapperò via i ricami immobili che mi chiamano perché mi unisca a loro. Hanno piccole voci che gridano fortissimo: ‘arrenditi, diventa la figurina più splendida del nostro disegno!’ Immobile, spenta, perfetta.
Già assente, così da non poter morire.
Se chiudo gli occhi vedo più chiaramente. Ci sono mani protese per ghermirmi, e fuggendole posso solo correre verso un bosco fitto di pericoli, che mi lascerà ferita e dolente, ma non spezzata.
Il mio cammino è solo all’inizio, ma sarò più forte di me stessa.
Lascerò dietro di me il mio castello di neve, così fragile da crollare sotto il capriccio di un bambino, e conquisterò una fortezza. Forse non sarò più una lady nel modo che mi hanno insegnato, ma non posso rimpiangerlo o annegherò nelle mie lacrime salate, invece di attraversare un mare.
Nel gioco del trono si vince o si muore, mi è stato detto.
Guardo le mie bianche mani, fatte per accarezzare, blandire, e far nascere fiori di cotone.
Forse non mi riconoscerò neppure io quando le unghie saranno sporche di pelle e sangue dei miei nemici, ma non ho scelta, vero?
Dovrei continuare a vivere come l’ombra di quello che potrei diventare, o riuscirci ammantandomi di oscurità? Non c’è un solo modo di ricevere una sentenza. Le mani posso lavarle e sorridere con falso amore. Pensandoci, tutti uccidono tutti gli altri in un modo o nell’altro.


*Ovviamente in senso di “interesse”
The Lady Of Shalott, di Lord Tennynson. Ho scelto di paragonare Sansa alla sfortunata Lady, ma (per ora!) non fino alla morte...

  
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