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Autore: Lady Stark    07/05/2018    1 recensioni
Le dita tozze, muscolose avrebbero potuto stritolare la testolina di Gamora senza alcuna difficoltà ma in quel momento c’era una certa gentilezza nelle sue movenze.
«Come ti chiami, bambina?»
Lei aveva alzato lo sguardo puntandolo in quello gelido del titano.
«Gamora...»
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Spettri dal passato

Gamora sedeva in silenzio nella navicella, gambe incrociate sotto il corpo scattante e schiena appoggiata alla sedia imbottita del comandante. La navicella procedeva lentamente facendosi largo tra detriti più o meno grandi che galleggiavano senza peso nell’universo. Il pilota automatico si atteneva alla rotta impostata con una precisione che mai mano umana avrebbe potuto eguagliare. Flash blu, gialli o rosa apparivano intermittenti sullo schermo quando un oggetto esterno si avvicinava eccessivamente alla fusoliera della navicella, spingendo quest’ultima a modificare la sua traiettoria.

Gamora sbadigliò e appoggiò la testa sul palmo della mano aperta, ammirando i colori caleidoscopici delle nebulose che dipingevano le profondità oscure dell’universo. Il più delle volte il beccheggiare regolare del veicolo le aveva conciliato il sonno, spingendola ad addormentarsi anche quando i pensieri le affollavano la mente. Tuttavia quella notte neanche quell’ondeggiare continuo sembrava in grado di placare i suoi fantasmi personali.

Per quanto potesse sembrare stupido o infantile, Gamora non osava chiudere gli occhi per paura di rivivere lo spaventoso momento della sua infanzia in cui aveva perso la sua famiglia. Se solo si azzardava a socchiudere le palpebre vedeva il sangue della sua razza macchiare i pavimenti della piazza, le mura dei palazzi, i bordi della fontana centrale. Le due vasche erano state distrutte dalla violenza del confronto; il terreno e il fondo della fontana erano punteggiati dalle scaglie iridescenti dei pesci che prima l’avevano impreziosita.

Gamora aveva giocato spessissimo attorno a quello splendido monumento, ne conosceva ogni dettaglio e vederla ridotta a quel modo le aveva distrutto il cuore. Era come se, assieme a lei, qualcosa dentro di lei si fosse irrimediabilmente spezzato. Tuttavia, pur avvertendo quella sensazione straziante, la bambina non aveva versato una sola lacrima. Era forse per questo che Thanos, titanico nella sua armatura, le si era inginocchiato di fronte scambiando la sua impassibilità per indifferenza. L’uomo aveva alzato una mano tendendola per annullare la distanza che li separava; le dita tozze, muscolose avrebbero potuto stritolare la testolina di Gamora senza alcuna difficoltà ma in quel momento c’era una certa gentilezza nelle sue movenze.

«Come ti chiami, bambina?»

Lei aveva alzato lo sguardo puntandolo in quello gelido del titano.

«Gamora...»
 

Una lieve pressione, una voce in lontananza.

«Gamora, stai dormendo?»

La donna reagì con la velocità di un cobra balzando giù dalla poltrona del comandante per proteggersi dalla minaccia incombente. Con un colpo mirato allo stomaco costrinse il suo avversario contro la parete della navicella, premendo forte il gomito contro la sua gola. Peter Quill tossì, alzò le braccia in segno di resa e abbassò il mento nel tentativo di limitare la pressione esercitata dalla donna.

«Gamora, dannazione..»

Soltanto dopo un paio di secondi la ragazza si rese finalmente conto del proprio errore e, con un sobbalzo, si allontanò quasi rischiando d’inciampare nella sedia alle sue spalle.

Quill si massaggiò la gola con una smorfia di dolore a marcargli il viso assonnato.

«Che cosa ho fatto per meritarmi un’accoglienza del genere?»

«Che diamine vuoi?» abbaiò lei a mezza voce, evitando la sua domanda come una pallottola potenzialmente mortale.

L’ultima cosa che desiderava fare in quel momento era condividere con il ragazzo i suoi segreti. Quill si aggiustò la maglietta sul petto scrollando le spalle con finto disinteresse.

«Mi chiedevo dove fossi, dato che non eri nella tua branda. Nel frattempo, mi è anche venuta voglia di patatine».

Gamora contrasse la bocca in un’espressione schifata. Quill corrugò le sopracciglia e si indicò il viso prima di chiederle:

«Sicura che vada tutto bene? Sei pallida».

«Non c’è niente che non va» mentì, incrociando le braccia sul petto prima di lasciarsi cadere sulla poltrona di comando per tornare a contemplare l’universo che fluiva liquido attorno alla navicella. Quill rimase in silenzio, esaminando l’espressione contratta, malinconica della compagna di viaggio.

«D’accordo. Rimanderò le patatine a domattina».

«Ti prego, evita di farmi partecipe delle tue stravaganti abitudini alimentari»

Quill farfugliò qualcosa di sconnesso e svanì nell’ombra; l’unico suono ad accompagnarlo fu quello dei piedi nudi sulle lastre di metallo. Gamora appoggiò la nuca contro il poggiatesta e prese un respiro profondo, trattenendolo nella cassa toracica fino a sentir male vicino al cuore.

Sarebbe stato così terribile morire? Porre fine a quell’esistenza di rimorso, orrore e sangue?

Proprio mentre quei pensieri le sfilavano dinnanzi, una carezza di velluto le abbracciò le orecchie accompagnata da una melodia inconfondibile. Le mani della donna corsero a toccare l’oggetto estraneo che le cingeva la testa e nel farlo, incontrò le dita affusolate di Quill.

I’m not in love dei 10CC le scivolò nel corpo placando i suoi demoni interiori.

Intenerita, sorrise.

Questa volta non rifiutò la presenza del ragazzo ma, al contrario, intrecciò le proprie dita a quelle di lui in un muto ringraziamento che valeva più di mille parole.

   
 
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