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Autore: Anonimadelirante    07/05/2018    2 recensioni
“Se Stiles glielo chiedesse (ma Stiles è cambiato e lui non c’era e forse è anche colpa sua, se adesso di tanto in tanto ha un sorriso che non gli raggiunge lo sguardo), Derek risponderebbe che ha ancora un attico a New York e non gli ci vuole niente ad andarsene. Che vuole soltanto assicurarsi che Peter non sgozzi qualcuno nel sonno e che nessuno di loro si uccida cercando di fare il bucato. Che è una soluzione temporanea.
[...] La mano di Stiles si stringe al suo polso: «Vieni» lo incita e Derek è distratto dal suo cuore che batte fortissimo, dai cuori di tutti che battono all’unisono, dai sorrisi rilassati che incontra al posto delle smorfie di ansia e dolore e disperazione che si aspettava.
Le dita di Stiles non lo lasciano andare fino a quando la porta non è chiusa alle sue spalle.”

[Pre-slash Sterek | reunion!pack | what if pre/post-season finale | la nuova casa del branco | la famiglia Hale e i suoi segreti]
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Derek Hale, Il branco, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N/A: #COWT8, per tirare fuori Helena dalle lande ulteriori, prompt torta di mele, 500 parole minimo — scritta prima della visione della 6B, sì, ma a posteriori può essere considerata pure una sorta di finale alternativo post-finale..? Btw, doveva essere una storiella h/c su Derek e fluffangst a palate per quanto riguarda le torte di mele e l’Hale’s pack, ma boh. Continuo a non aver capito bene cosa ne sia uscito. Pure dopo averla editata e averne cambiato due paragrafi su tre (lo dico perché sull’internet vaga la versione originale non corretta, con un titolo diverso, perché il termine editare mi è alieno e modifico tredici volte tutto ciò che mi passa sotto mano e perché conservano dei paragrafi incriminati per quando scriverò della Casa del Branco POV’s Stiles – perché accadrà, non facciamo finta di non saperlo, ce n’è una certezza dolorosa dall’anno del Signore 2016. Cioè. Dai. Sono così scontata). Se qualcuno ha colto il riferimento a Dead Inside ho ufficialmente un Lettore Fedele (nessuno? Davvero? Strano XD)

 

 

 

 


Family secret


 

Dentro, Peter sta ridendo. Il primo pensiero che colpisce Derek è che ci debba essere dello strozzalupo nel bicchiere o qualcosa del genere: devono averlo drogato, non c’è altra spiegazione.
Stiles ha mandato a vuoto un totale di centodieci chiamate (di cui almeno settanta fra le due e le cinque del mattino e, davvero, quel ragazzino dovrebbe anche dormire di tanto in tanto) e alla fine Derek si è convinto che ci fosse davvero un problema. Qualcosa di serio. Qualcosa di diverso dallo spettacolo che si trova davanti, d’accordo, ma anche questo è piuttosto allarmante: Peter che ride. La ridarella di Peter. Oh, Dio. Dev’essere tornata quella strega odiosa con cui suo zio flirtava ai tempi del liceo.
Sono settimane che Scott gli manda messaggi idioti (“Derek, quando torni?” Mai, “Derek, c’è una sorpresa”, “Derek, fai un salto a BH” No, “Derek, è importante”). Non ha mai risposto. Così come non ha mai risposto a Peter e a Malia e ai loro irritantissimi audio – sono palesemente padre e figlia, come hanno fatto non capirlo subito? Lydia gli ha inviato otto mail neppure troppo velatamente minatorie che ha prontamente cestinato; tredici selfie in compagnia di un certo Theo hanno fatto in tempo ad arrivargli, prima che riuscisse a capire come bloccare il contatto Liam su whatsapp e Isaac, Jackson, Cora ed Ethan hanno cercato di contattarlo su skype in almeno tre occasioni diverse: cosa non è chiaro, a quel branco di adolescenti idioti, nella frase Non voglio saperne niente? Persino Mason gli ha scritto, per l’amor del cielo – perché diamine il migliore amico umano del Beta di Scott ha il suo numero?
Alla fine, quando il vice-sceriffo Parrish gli ha lasciato un messaggio in segreteria telefonica, Derek ha fatto dietro front, ha mollato l’attico a New York dove stava faticosamente tentando di rimettere insieme i pezzi di quello che rimane della sua vita ed è tornato a Beacon Hills. Il piano era di evitare l’Apocalisse o qualunque cosa si stesse per abbattere su di loro, impedire ai bambini troppo cresciuti che schiamazzano per la città di farsi uccidere e poi andarsene e – questa volta davvero – non tornare mai più (sempre a patto di riuscire a sopravvivere, ovviamente). 
Ma quanto pare, l’Apocalisse non c’entra.
(Probabilmente. A meno che la ridarella di Peter non sia una versione moderna ed inquietante delle Piaghe dell’Antico Egitto – a ben pensarci, potrebbe essere.)
La seconda cosa che lo colpisce non è proprio pensiero. Lo colpisce appena sotto la cintura, un dolore basso e stridente che non si assopisce mai del tutto: l’aria profuma di torta. E non può essere, davvero, non può crederci, ma è la torta di mele di sua madre. Se fosse un po’ più concentrato – davvero Derek? Dopo tutti questi anni fai ancora errori da principianti come distrarti? – su ciò che gli accade intorno, se solo non stesse cercando di ricordarsi come si respira, piantato immobile davanti alla finestra della casa di Scott, mentre dentro Peter (suo zio, Peter) ride e Stiles ride con lui (sono a Beacon Hills, non c’è limite alla follia, ed eppure questo risulta assurdo lo stesso) e tutto il resto del branco chiacchiera animatamente di qualcosa che potrebbe sentire, se solo non avessero tutti fra le mani o in grembo o in bocca la stessa torta che cucinava sua madre di domenica mattina, probabilmente non verrebbe colto di sorpresa da Melissa.
Melissa, che si chiude alle spalle la porta di casa con uno sguardo stupito, per un istante solo, e dopo si scioglie in un sorriso dolcissimo: «Derek!» mormora, soffice. «Hai ricevuto i nostri messaggi.»
Sì. Sono stati un po’ insistenti – Derek soffoca a stento il sollievo: credeva che fossero in pericolo, credeva che fossero…
«Ehm» si schiarisce la voce. «Già.»
…morti.
Non ha neanche il tempo di ricordarsi che dovrebbe sembrare scocciato, perché, insomma, lui era stato chiaro e loro lo hanno chiamato per qualcosa che con tutta l’evidenza del mondo non è urgente, ma Melissa lo abbraccia e improvvisamente gli si incastra il respiro in gola: «Bentornato, Derek.»
Dev’essere per colpa della torta, ovviamente (non perché Melissa è minuta e sottile, contro di lui, ed eppure lo stringe fra le braccia in una morsa affettuosa, come se gli fosse mancato), ma gli si blocca un nodo nello stomaco che gli rende impossibile replicare (non sono tornato, non resterò, volevo solo assicurarmi che steste tutti bene).
«Nipote.»
La voce di suo zio ha il potere di farlo irrigidire nell’abbraccio. Si stacca, lentamente, per fissarlo: «Peter» lo saluta, mascella stretta, artigli pronti ad essere sguainati e una mano che spinge leggermente indietro Melissa perché, insomma, è Peter e l’ultima volta che l’ha visto ha cercato di ammazzare Scott. Peter ha un sorriso divertito, in volto, e la bocca sporca di briciole. Ma che caz- 
«Derek?!» questo è Stiles. Stiles che fa capolino da dietro Peter e gli sorride, entusiasta: «Sapevo che saresti venuto! Jackson!» urla, voltandosi verso l’interno della casa, «Mi devi dieci dollari e un barattolo di burro d’arachidi!» poi scosta Peter con una spintarella che se non fosse che si tratta pur sempre di Stiles e Peter Derek classificherebbe come affettuosa ed esce anche lui di casa.
«Maledizione!» si sente Jackson sbottare dal salotto, nell’istante in cui Peter: «Melissa, tesoro» esordisce ammiccante, «Non dovresti uscire tutta da sola, sai, è pieno di malintenzionati, qui in giro.»
Melissa alza gli occhi al cielo, divertita: «Con malintenzionati intendi te stesso?» s’interessa, mentre Stiles fa una smorfia schifata: «Mio padre ha una pistola, Peter» gli ricorda.
«Non sparerebbe mai al suo consuocero, Stiles!» esclama suo zio con aria teatralmente colpita e, ah, sì, è vero, Stiles e Malia stanno insieme.
«Io e Stiles non stiamo insieme. E comunque non vedo come questo potrebbe impedire a John di spararti.» Malia è cambiata, dall’ultima volta che l’ha vista. Continua a vestirsi come se fosse caduta nell’armadio e ne fosse uscita con qualcosa di totalmente casuale appeso addosso, ma ha uno sguardo diverso, un poco meno tagliente, e un sorrido che racconta dolori e gioie a cui lui non ha preso parte. 
«Maledizione» Jackson, sulla soglia, arriccia il naso. «Che palle» gli lancia uno sguardo affilato e fa una smorfia scocciata davvero poco credibile. «Allora non era una balla. Ti devo sul serio dieci dollari, coglione numero due.»
Stiles annuisce, vittorioso. Derek ci mette un attimo a connettere: Stiles e Jackson stanno parlando civilmente – o giù di lì, comunque – Peter non è al manicomio, Malia sembra una normale californiana e Melissa… Melissa gli accarezza una spalla: «Vai dentro» soffia, con uno sguardo materno che gli scalda le viscere «Ti aspettavamo» e poi attraversa il cortile di casa per ritirare il bucato. Come se tutto questo fosse normale.
Solo un’altra tranquilla serata a Beacon Hills.
La cittadina più noiosa della California, per un istante la voce di Laura brilla nella sua testa, dolorosa e dolcissima come un una carezza che affonda un pugnale. Come no.
La mano di Stiles si stringe al suo polso: «Vieni» lo incita e Derek è distratto dal suo cuore che batte fortissimo, dai cuori di tutti che battono all’unisono, dai sorrisi rilassati che incontra al posto delle smorfie di ansia e dolore e disperazione che si aspettava.

Le dita di Stiles non lo lasciano andare fino a quando la porta non è chiusa alle sue spalle.

 

 

*

 

«Abbiamo deciso di comprare una casa» gli spiega Stiles.
A quanto pare Peter ha monopolizzato il suo loft e non ha nessuna intenzione di restituirglielo e da quando Isaac è tornato da Parigi il letto in più a casa McCall è occupato da lui. Derek sente che avrebbe dovuto fare più resistenza quando Stiles ha scosso le spalle e gli ha offerto il proprio divano per un paio di notti – c’è qualcosa di sbagliato, nel tono che ha usato, tranquillissimo, lo sguardo rivolto da un’altra parte, il sorriso morbido che gli ha lanciato, privo di ripensamenti. Sente che avrebbe dovuto ringhiare No, Dio, no, preferirei dormire su una panchina e che Stiles avrebbe dovuto insistere di più; ma la verità è che lo Stiles che ricorda non gli avrebbe mai proposto una cosa del genere, anni fa, quando ancora ogni loro dialogo si trasformava in una sequela di insulti isterici e minacce, o almeno avrebbe vibrato d’ansia e aspettativa. Così come la verità è Derek ha accettato prima ancora di darsi il tempo di pensare ad una scusa convincente per declinare l’invito. Dev’essere la torta alle mele. Non può che essere la torta alle mele. Ne è distratto.
L’odore della jeep di Stiles è talmente familiare da fargli prudere il naso: «Guido io» gli ha detto quando sono usciti nell’aria fresca di quella notte primaverile.
«Scordatelo» ha replicato Stiles, prevedibilmente. «È la mia macchina.»
«Hai bevuto» si è lamentato lui, pur senza dar segno di voler imporre la propria decisione in qualche modo – un tempo, lo avrebbe sbattuto contro la carrozzeria con le zanne sguainate e gli avrebbe strappato via le chiavi. Un tempo, Stiles non gli avrebbe sorriso in quel modo, le guance rosse e le ciglia lunghissime, e non gli avrebbe sfiorato il braccio con quella disinvoltura.
«Sciocchezze» ha gesticolato con una mano, mentre con l’altra infilava le chiavi nella toppa della portiera, e per un istante è tornato ad essere lo Stiles dai lineamenti infantili e i capelli cortissimi che ha incontrato anni fa. «Neanche mezza birra. E poi mio padre fa lo sceriffo. Servirà ben a qualcosa. Quante possibilità ci sono che mi fermi per farmi il palloncino?»
Derek ha alzato gli occhi al soffitto dell’abitacolo, ma si stava già sedendo al posto del passeggero.
«Sai, per il branco e tutti quanti» continua adesso Stiles e per un istante riconosce lo Stiles che non ha salutato quando è rimasto in Messico nelle nocche sbiancate strette al volante e nella punta aspra d’ansia nel suo odore, ma è solo un secondo, un battito saltato, il tempo di abbassare le ciglia ed è già un ricordo sfumato. Stiles non stacca gli occhi dalla strada, ma sorride e non dà segno di essere minimamente preoccupato dalla sua risposta, quando chiede: «Allora, sei dei nostri?»
«Ovviamente no» replica Derek prima ancora di decidere come rispondere. «Non posso credere che sia per questa stronzata che mi avete chiamato.»
 

Il sosia che qualcuno ha sostituito con Stiles ride: «Ci mancavi, Derek» soffia e chiaramente non è lui perché quando i loro sguardi si incrociano non perde neanche un battito.

 

 

*

 

 

Ci mette esattamente una settimana e tre giorni a decidersi ad andare da Peter. Tentenna un po’ per il rancore bruciante che gli pungola sotto pelle ogni volta che pensa a suo zio, un po’ perché si sente un idiota ad andarlo a cercare nel proprio loft, quando per colpa dei suoi capricci da ragazzino dorme sul divano di Stiles da giorni – un po’ perché, a quanto pare, la sua presenza è richiesta da metà Beacon Hill. E sempre per motivazioni visceralmente stupide.

 

(«Fammi capire» gli partirà un embolo, prima o poi. Isaac lo ha invitato a prendere un caffè, in nome dei bei vecchi tempi, qualunque cosa significhi, ma la verità è che il suo piano è starsene serenamente appoggiato al tavolino senza ordinare nulla, apparentemente, a fissarlo con aria divertita e vagamente affettuosa che mette Derek sul chi va là sempre di più ogni istante che passa. Si sforza di non ringhiare. Lo guarda alzarsi e salutare la barista con un cenno, come se fosse normale occupare un tavolino per poi passare il tempo a fare il muto. «Sei tornato da Parigi perché..?»
«Te lo detto» risponde Isaac impaziente. Ha promesso a Kira che si alleneranno a fare non ha capito bene cosa e in tutta sincerità neanche gli importa. Dopo colazione. Che a quanto pare per lui è finita, anche se nessuno dei due ha mangiato nulla. «La casa. Andiamo a vivere tutti insieme, Derek. Come un vero branco. Credevo avresti approvato» e poi schizza via prima che Derek possa ribattere che loro non sono più un branco da molto tempo, ormai – che non lo sono mai stati davvero. Ma forse la verità non è che il ragazzo ha fretta, quanto piuttosto che non vuole sentire lo sguardo di Isaac bruciare sulla pelle e dirgli, in un silenzio gravido di risentimento, che in realtà è colpa sua se non lo sono più.
Lo guarda saltellare per il marciapiede senza voltarsi indietro e aspetta che svolti l’angolo, prima di deglutire il groppo che gli si è bloccato in gola.
A quanto pare, non è davvero importante che approvi, ora.
Non è quello che volevi? Che smettessero di fare affidamento su di te come se avessi tutte le risposte?)


Quando si decide ad affrontarlo ha domande di vario genere che spingono per uscire dalle sue fauci spalancate. A partire da chi sia il notaio che ha pensato potesse essere valido un contratto che prevedeva un pagamento in merendine scadute per un loft in centro – oppure cosa abbia fatto Peter al suddetto notaio, quanti membri della sua famiglia abbia minacciato; come diavolo ha fatto a falsificare in maniera così impeccabile la sua firma – sul serio, se non fosse più che certo di non aver venduto nulla, tanto meno a quello psicolabile di suo zio, giurerebbe di aver scritto di suo pugno quel Derek Hale che lo occhieggia beffardo sul fondo del documento che Peter gli ha allegramente sventolato sotto il naso la sera in cui è tornato a Beacon Hills tratto in inganno da un gruppo di ragazzini malfidati ed una torta di mele che non ha assaggiato e che, eppure, gli è rimasta sullo stomaco.
La torta di mele. Giusto. È questo il punto, chi se ne frega del loft, delle follie di suo zio, della totale noncuranza che ha il resto del branco nell’ignorare il fatto che Peter non possa essere davvero così ricco per permettersi la quantità di auto che ha trovato in garage.
La torta.

 

(«Quindi cosa? Non state più insieme?»
«No. Sì. Non ne ho idea, non ne abbiamo parlato» Malia si sta infilando gli stivaletti e non sembra interessata all’argomento. 
«È il tuo ragazzo, forse ne dovreste parlare.»
«Non lo è. Lo è. Non lo so, non ne parliamo e va bene così» replica lei.
Oh, ‘fanculo, a lui che importa? Non dovrebbe far finta di interessarsi alla vita sentimentale di sua cugina. È tutto così sbagliato.
Ma poi: «Andiamo al cinema, io e Lydia. Vieni anche tu?» gli chiede, schioccando le labbra. E Derek è davvero tentato di rispondere di no, ma Scott lo ha accompagnato davanti alla casa dei Tate dicendo: «Sei la sua famiglia, Derek. Voglio dire, è la figlia di Peter. Non vuoi conoscerla un po’ meglio?»
Tutto ciò che vorrebbe Derek è non sentirsi in dovere di fare qualcosa solo perché glielo ha proposto Scott con un’aria dolcissima e paterna, da Alpha, sbagliata, stridente per l’età che ha e per il rapporto che credeva avessero – ovvero nessun tipo di rapporto, possibilmente – e allo stesso tempo sottrarre Malia dalle grinfie di suo zio, ma ha l’impressione che per questo sia già troppo tardi, dal modo che ha di gestire le sue interazioni sociali. 
«D’accordo» sbuffa e sa già che se ne pentirà.
Se ne pente, perché a quanto pare vanno al cinema per vedere Call me by your name e lui è troppo cresciuto per dover correre in bagno a nascondere la commozione.)

 

«Tu hai fatto cosa?» sbotta.
Peter lo guarda dal basso del divano di pelle nera su cui punta sfacciatamente le scarpe lucide – il suo divano e no, davvero, se continua così darà fuoco al terzultimo parente in vita che gli è rimasto. C’è una traccia di divertimento bastardissimo, nella piega delle sue labbra, mentre risponde, calmo come un lupo travestito d’agnello: «Ho passato loro la ricetta» ripete per, tipo, la terza volta. La tentazione di sibilare un’altra volta COSA, così, senza neppure imporre al proprio tono un’impronta interrogativa, solo per il gusto di dare di matto con strilli e brandelli di pelle di licantropo strappata è così forte che per un’istante Derek sente gli artigli bruciargli sotto pelle. Poi, Peter sorride un po’ di più: «Cosa c’è che ti urta, nipote?»
Cosa c’è che lo urta, chiede lui. Cosa c’è che lo urta.
Non è chiaro? vorrebbe urlare e allo stesso tempo per un istante rivede nei suoi occhi la risata di quando erano ragazzi e lui si arrabbiava così tanto ogni volta che Peter si fregiava del titolo di zio come se questo bastasse a renderlo una persona matura, nonostante avessero si e no tre anni di differenza.
Si volta di scatto e di preme i palmi sul volto, respirando pianissimo per riprendere il controllo e non spaccargli in testa il tavolino che lui ha comprato cedendo alle insistenze di Erica. Sembra una vita fa. È una vita fa.
Non è chiaro?

 

(«Fai davvero schifo a Call of Duty!» gli scoppia a ridere in faccia Liam. Derek si passa lentamente una mano sul viso. È così stanco di notare tutto ciò che c’è di profondamente disturbante nell’atteggiamento che ha il branco di Scott nei suoi confronti che non prova neanche l’impulso di sfoderare le zanne davanti alle stupidaggini di quel Beta insolente. Si sente improvvisamente più vecchio di dieci anni anche solo per aver pensato una cosa del genere.
Quel Theo di cui nessuno vuole parlargli – eccetto Stiles, che ha solo smorfie e sguardi sospettosi, quando entrano in argomento, e puzza di rabbia ed ansia in una maniera che Derek sinceramente odia, e Malia che ringhia insulti a mezza bocca tutte le volte che si trovano nella stessa stanza, o, in realtà, nel raggio di cento metri l’una dall’altro – si caccia un ultimo pugno di popcorn in bocca, prima di: «È una stronzata» dirgli. Si pulisce i palmi sulla maglietta, gli toglie il joystick di mano con la nonchalance di uno che non sa di essere a tanto così dall’essere sbranato – ma la verità è che lo sa benissimo e Derek ha l’impressione che non faccia altro che saggiare la sua pazienza ogni volta che si incontrano: «Non puoi farti battere da questo idiota» e si fa posto fra loro due, sul divano della signora Dunbar.
Passa l’intero pomeriggio a guardarli insultarsi.)

 

«Era una ricetta segreta, Peter. Se solo tu cercassi la parola segreto sul dizionario, forse--» si sente come se fosse precipitato nella tana del Bianconiglio e improvvisamente tutti si comportassero come in un mondo attraverso lo specchio – in maniera stupida e irragionevole e, soprattutto, sbagliata.

 

(Ha pensato di parlarne con Cora.
Per un istante fugace, un secondo solo, meno ancora del picco di rabbia che si è acceso nell’odore di Stiles quando una sera hanno finito chissà come per discutere della definizione di pericolo e di urgente anziché guardare Una nuova speranza: «Se avessi risposto ad una sola delle mie chiamate» gli ha sibilato contro. Derek ha ingoiato la rispostaccia che gli stava già salendo alle labbra e si è detto che in fondo se lo meritava: è sparito nel nulla per mesi, Stiles si ha trattenuto dal fargli una ramanzina molto più a lungo di quanto si aspettasse. Eppure, Stiles non ha aggiunto altro. Ha scosso la testa, invece: «Sta’ zitto» ha tagliato corto e il suo odore è tornato un rollio basso di sapone e tranquillità, qualcosa di totalmente estraneo ed eppure lontanamente familiare che gli aveva tolto la voglia di pensare. «Che poi ci perdiamo la parte più bella.»
Stiles non è mai stato così imprevedibile e Derek davvero vorrebbe sapere cosa è successo, per lasciarlo così privo di voglia di litigare. Se c’entri Theo o se sia colpa di qualcosa che è successo prima o dopo – se sia colpa sua.
Ha preso in considerazione l’idea di dirlo a Cora e subito dopo l’ha lasciata andare, come con le lucciole che catturava da ragazzo, con Paige che rideva, appena dietro alle sue spalle. Si è detto potrei parlarne con Cora, lei capirebbe, è una Hale, capirebbe, ma poi l’ha guardata: ha scrutato da lontano il profilo del seno che non ricordava avesse e la sua pancia piatta scoperta dalla maglietta, le mani che affondavano nel prato del parco come quand’era una bambina, le spalle tremanti per via di una risata muta, la testa appoggiata sulla spalla destra di Jackson e una gamba gettata in grembo ad Ethan e l’aveva trovata così dolorosamente simile a Laura, ed eppure più morbida, senza ombre nello sguardo, con un taglio di capelli completamente diverso e gli occhi truccati come quelli di una gatta – immagina che il periodo dark che Laura ha attraversato in terza superiore abbia avuto uno scatto generazionale e sia approdato su Cora in versione indie, con tanto di cappelli a tesa larga e stivaletti color lillà. Era così piccola, si è detto allora, è cresciuta così tanto, senza dover trovare per forza un modo di collegare logicamente questa pensiero al modo in cui gli si è arricciato lo stomaco all’idea di raccontarle della torta di mele che loro madre impastava.)


«Ora smamma» ghigna Peter dopo i lunghi istanti di silenzio che sono seguiti alla giustificazione che gli ha fornito per aver reso praticamente pubblica – perché, non prendiamoci in giro, è questo che ha fatto: l’ha messa in mano al branco più eterogeneo e disorganizzato e stupidamente fiducioso nel prossimo del mondo – la ricetta segreta degli Hale. «A meno che tu non abbia cambiato idea dall’ultima volta che te l’ho proposto e fossi intenzionato a prendere parte ad un ménage a trois. Sto aspettando una signorina davvero- uh, appetitosa. Non credo che le dispiacerebbe questo cambio di programma.»
«Ew» Derek raccatta la giacca che ha abbandonato sul bracciolo del divano e decide che è un buon momento per battere in ritirata; chissà se nel frigo c’è del gelato o dovrà combattere con Stiles e la sua mania di comprare solo cibo sano – «Non c’entra che sei un licantropo, Derek, non puoi passare la vita ad avvelenarti con queste schifezze!» – e suo padre – «Se non posso mangiarle io non vedo perché mio figlio debba fare delle preferenze per te, Derek» – e non potrà leccarsi le ferite in santa pace. Potrebbe andare da Scott, ma l’idea che sia avanzata un po’ di torta, anche se è impossibile ed è stupido anche solo averci pensato, lo lascia senza respiro.

 

«No, Derek, non ho intenzione di mangiamela. Levati dai piedi!»

 

*

 

Stiles sa che Derek ci ha messo molti più soldi di tutti loro messi insieme, ché era lui l’addetto ai conti – per quanto Lydia sia indiscutibilmente più qualificata ed affidabile, ma lei gli ha scaricato la patata bollente con qualcosa di molto simile a Idea tua, responsabilità tua, e non è come se gli sia effettivamente dispiaciuto, perché è stata un’idea sua, a ben vedere, ed ogni volta che ci pensa, ce l’hanno fatta davvero, gli si gonfia il cuore – e quindi li ha contati, tutti i loro maledetti risparmi e non esiste al mondo che potessero essere sufficienti per una casa del genere, col portico e il giardino e tutto il resto, quando a malapena sarebbero bastati per un trilocale in periferia. Quindi: lo sa.
Derek sa che lo sa, ma sa anche che non ha aperto bocca, una volta tanto, non ha detto niente agli altri, perché Jackson non ha fatto irruzione in camera sua sbraitando cazzate come Non ho intenzione di essere in debito con nessuno, tanto meno come uno stronzo come te! e Scott non l’ha braccato a colazione, non l’ha bloccato prima che salisse le scale per farsi una doccia dopo la corsa mattutina, non gli stretto una spalla, versato una tazza di caffè, non ha abbassato il viso e mormorato Te li restituirò, Derek, non eri costretto. Grazie
Non esiste universo in cui Scott non gli prometterebbe di risarcirlo, se lo sapesse.
Quindi. Stiles lo sa – perché è un idiota logorroico, ma non è così stupido e fino a prova contraria sa contare – ma non ha detto nulla a nessuno. Per qualche ragione. L’ha solo guardato con un sorriso stupito nello sguardo, un attimo solo, prima di voltarsi verso Liam e passargli una mano sulle spalle. Derek ne è in qualche modo grato, perché non saprebbe cosa rispondere a Peter, se questo gli dicesse Credevo non ti importasse.
Stiles lo sa, ma non ha detto nulla. Stiles, che ride e parla a macchinetta come sempre, ma di tanto in tanto ha uno sguardo distante.
Stiles, che da quando è tornato capita che lo colga di sorpresa ed è così strano. «Fra poco è pronta la cena» dice, avvicinandosi piano al dondolo su cui si è seduto, ignorando il casino che è esploso in cucina – sembra tranquillo, fiducioso, anche se l’unica cosa di cui può essere ragionevolmente fiducioso è che non forino la bombola del gas (perché i fornelli sono elettrici, non per altro).
Derek annuisce senza voltarsi: «Ho ordinato le pizze» gli svela, con un sorriso appena accennato. «Spero non facciano esplodere la cucina prima delle nove.»
Stiles ride, incredulo: «Oggi ho fatto la spesa» ribatte, a sua volta con una nota di confidenza nella voce. «Ho preso le uova» guarda il lago infuocato dal tramonto e sorride: «Domani è domenica.»
Derek mentirebbe se negasse il calore che sente in fondo allo stomaco.
Se Stiles glielo chiedesse (ma Stiles è cambiato e lui non c’era e forse è anche colpa sua, se adesso di tanto in tanto ha un sorriso che non gli raggiunge lo sguardo), Derek risponderebbe che ha ancora un attico a New York e non gli ci vuole niente ad andarsene. Che vuole soltanto assicurarsi che Peter non sgozzi qualcuno nel sonno e che nessuno di loro si uccida cercando di fare il bucato. Che è una soluzione temporanea.
Ma Stiles rimane in silenzio a godersi l’aria tiepida di fine estate, una presenza calda, accanto a lui, che lo sfiora appena, le punte delle scarpe da ginnastica consumate che strisciano contro il legno del portico, per dare una spinta lieve al dondolo e lui può ammettere, almeno con sé stesso, che è per via della torta di mele ogni domenica.

 

 

*

 

«Era una ricetta segreta, Peter» ringhia. Si sente ferito, tradito, perché se è vero che non ha più nulla da spartire, con Peter, almeno il dolore e la mancanza pungente e continua – quelli dovrebbe ancora comprenderli.
Peter scuote la testa: «È una ricetta di famiglia» gli risponde.

Derek ci mette un po’, per capire cosa intenda.

  
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