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Autore: Lady_Night    08/05/2018    0 recensioni
Camila Cabello, un ex-tributo degli Hunger Games del distretto 12, dopo 7 anni riesce a sfuggire dalla prigionia a cui l'avevano costretta.
Lauren Jauregui, un soldato del distretto 4 a cui hanno assegnato una missione alquanto particolare, si ritroverà immischiata in qualcosa per cui non esiste addestramento.
Loro ancora non lo sanno, ma le loro vite stanno per essere stravolte.
Dal capitolo 3:
"Le mie ginocchia cedono e cado a terra, il sedativo inibisce poco a poco i miei sensi, l'ultima cosa che riesco a distinguere sono un paio di scarpe da ginnastica bianche che si avvicinano al mio corpo, poi chiudo gli occhi, ed è con ancora le guance bagnate dalle lacrime e il corpo rannicchiato su se stesso che cado in un incoscienza tormentata da corpi dilaniati ed un paio di occhi verdi che mi scrutano nell'oscurità."
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Morte. Tutto ciò che mi circonda è morto, secco, spento. Una landa desolata si stende tutto intorno a me, sul terreno sono riversi dei corpi, alcuni sono sfigurati, troppo putrefatti per poter dare un volto a quella maschera devastata di carne e ossa, altri invece sembrano quasi addormentati. Non una macchia di sangue o di polvere imbratta i loro vestiti, ma so riconoscere un morto quando lo vedo e il loro corpo è troppo rigido e fermo, la pelle troppo bianca. Mi avvio per quel deserto disseminato di cadaveri, persone che conosco, parenti morti da tempo, amici che non ci sono più, persone conosciute di vista, con cui ho scambiato solo poche parole. Sono tutte riverse a terra, rivolte verso di me, mentre mi guardano con quei loro occhi vuoti e spenti. Mi chino su uno di quei corpi. Ha qualcosa di diverso dagli altri, afferro un braccio e lo giro e ciò che vedo mi inorridisce. Al centro del suo petto si estende un buco del diametro di circa 7 cm., ma lo sterno si alza e si abbassa in modo regolare. Indietreggio, se fino a quel momento avevo ostentato una freddezza quasi glaciale alla vista di tutti questi cadaveri, adesso il mio animo era invaso dalla paura e dal disgusto, le sue iride seguono ogni mio movimento. Occhi marrone scuro, belli, se non fosse stato per la rete di capillari sanguigni che occupavano tutta la sclera. I capelli biondo ramato sono scompigliati e impregnati di sudore e sabbia.

Sabbia...

All'improvviso il suo viso mi ricompare nella mente, con i lineamenti dolci, la bocca sorridente e le labbra fini, i capelli sempre in ordine e la posa perennemente rilassata, come se ovunque andasse fosse a casa sua.

-Martin...-

La mia voce è un sussurro impercettibile mentre pronuncio quel nome, quelle 6 lettere che per molto tempo non ho osato menzionare, per paura di ricordare tutto ciò che avevo vissuto in quell'arena. Sabbia, mare, foreste verdi e rigogliose. 24 ragazzi abbandonati su un'isola deserta, senza acqua nè cibo, solo noi e la consapevolezza di dover uccidere 23 ragazzi per poter tornare a casa. Nei miei ricordi si fa vivida l'immagine del sole cocente mentre ci disidratavamo e morivamo di fame. Mi ricordo Martin mentre viene colpito da un lancia al centro del petto. 12 anni, avevo 12 anni e sapevo come tagliare la gola ad una persona, dove affondare il coltello per uccidere più velocemente un uomo. A quell'età non dovresti imparare certe cose, dovresti preoccuparti di andare a scuola, di andare a casa delle amiche, di giocare e divertirti.

Chiudo gli occhi e scaccio quelle immagini dalla mia mente, quando li riapro non mi trovo più nella landa desolata di prima, ma sono in una stanza, è piccola, ordinata e senza finestre. Comincio a guardarmi attorno, in cerca di qualcosa che mi faccia capire dove sono, cosa sia questo posto. Il respiro è bloccato, il cuore batte troppo velocemente. Ogni secondo che passa, ogni volta che sento il mio sterno sollevarsi, il mio sangue scorrere, il mio cervello che elabora pensieri, mi rendo sempre più conto di ciò che è successo, di ciò che ho vissuto, visto, sentito. I ricordi si affollano prepotenti nella mia mente. Urlo, cercando di sopraffare tutti quei rumori, il cozzare delle lame contro le ossa dei miei nemici, il sibilo di una freccia mentre viene scagliata, un corpo che cade a terra, il volto pallido e gli occhi spalancati su un mondo troppo orrido per degli occhi così ingenui, ma che per sua fortuna adesso non potrà più vedere.

Mi rendo a malapena conto che qualcuno mi scuote per le spalle.

“Mila! Mila, guardami! Non è reale!”

No, questo deve essere reale, il dolore che provo, gli odori e la sensazione del sangue fresco ancora sulle mie mani è troppo reale, troppo.

“Camila... Mila, 7 anni, ricordi? 7 anni.”

7 anni... Giusto, è finita. 7 anni fa è finito quell'inferno. Eppure io continuo a subirne gli orrori, so meglio di chiunque altro che non se ne andranno mai veramente del tutto, gli incubi, le visioni, i ricordi. Mio fratello mi stringe a se, dai miei occhi cadono lacrime amare, avvolgo le braccia attorno a quel corpo così familiare, caldo e accogliente. Inspiro a pieni polmoni quell'odore così buono, sa di pino e biscotti alla cannella appena sfornati, mio fratello.

“Mi manchi Martin...”

“Anche tu mi manchi piccola pulce.”

Poi tutto ritorna ad essere solo una massa confusa e senza senso.

Spalanco gli occhi nel buio della mia camera, il cuscino è madido di sudore, il mio respiro è affannoso, l'ennesimo sogno, l'ennesimo incubo. Martin, mio fratello maggiore, morto nella mia stessa arena, trafitto da una lancia mentre io non potevo far niente, troppi Favoriti, troppe poche risorse per riuscire ad ucciderli.

Mi concentro sul soffitto della mia minuscola stanza e cerco di regolarizzare il respiro.

Un cigolio acuto mi ridesta dai miei macabri pensieri, la porta si spalanca e un uomo in camice bianco seguito da due guardie entra. Non dice nulla, mi fissa e basta. Sospiro e mi alzo, le gambe deboli riescono a malapena a reggermi, subito i due energumeni si posizionano al mio fianco e tenendomi per le braccia mi trascinano fuori. Non oppongo resistenza. Dopo anni ho imparato la lezione, insubordinazione uguale a punizione. I piedi nudi che strisciano sul pavimento, gli occhi che fissano insistentemente il pavimento, sento rimbombare soltanto i passi dei miei aguzzini, il dottore cammina con passo sicuro davanti a me, le scarpe nere e lucide si muovono ad un ritmo regolare, senza fretta. Come se quello che sta per fare non lo turbi minimamente. Sollevo la testa soltanto quando ci fermiamo. Sulla porta in acciaio che si staglia davanti a me c'è una targhetta.

Laboratorio A-23”

Un singhiozzo esce dalla mia gola. Non voglio. Non voglio tornare là dentro. Non voglio!

“Non voglio...”

Le uniche parole che riesco a pronunciare dopo mesi che non parlo. Il dottore si china verso di me.

“Cosa?”

“Non voglio.”

Questa volta la mia voce è chiara e decisa. Ma il bastardo fa solo un sorrisetto ironico, poi si rialza e spalanca la porta. Questa volta la mia voce si leva in un grido isterico.

“NO! TI PREGO! NON VOGLIO! NO!”

Mi dimeno, cerco di liberarmi. Non mi importa se sono più forti di me. Devo liberarmi. Presa da un raptus di pazzia azzanno il collo della guardia alla mia sinistra, che mi molla all'istante, poi mi giro verso l'altra e con gli occhi spalancati e la bocca ancora imbrattata di sangue riesco a ficcargli un dito negli occhi, stranamente non protetti dal solito paio di occhiali. Mi hanno considerato una figura troppo debole e mi hanno sottovalutata. Grosso errore. Mai sottovalutare una pazza.

Il tipo si porta una mano all'occhio ormai inutilizzabile. Prima che il Bastardo possa anche solo alzare una mano per prendermi io sono già corsa via. Le gambe indebolite cedono spesso sotto il mio peso, ma io continuo imperterrita a correre. Il camice azzurrino che porto addosso svolazza attorno a me come un mantello. Per un attimo il bagliore della speranza si fa largo in me, più avanzo e più sento la speranza continuare a montare nel cuore. Potrei farcela veramente, uscire da qui, scappare e rifugiarmi da...qualche parte, qualsiasi altra parte. Poter respirare e sentire il sole sulla pelle. Dio il calore del sole, quanto mi manca, e il vento che mi accarezza come una madre amorevole. Sette anni. Dopo sette anni magari potrei farcela, forse potrei finalmente riuscirci.

Ma non ci riesco. I pacificatori sbarrano il mio passaggio, mi giro e dietro di me ne stanno arrivando altri. No... no, non può essere... dovevo uscire, dovevo scappare. Come ho potuto credere di potercela fare. Dio... così ingenua sono stata. Ormai mi hanno presa, mi buttano a terra e cominciano a picchiarmi, con calci e manganelli, mi rannicchio e mi copro la testa, il corpo che viene pestato e lacerato, mentre io penso soltanto una cosa...

 

Uccidetemi.

ANGOLO AUTRICE:
Eeeeehiiiiii!
Spero che questa piccola introduzione vi abbia suscitato un po' di curiosità. Ditremi cosa ne pensate con un commento, ci vediamo al prossimo capitolo.
UN BACIO 
 

   
 
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