Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: killerqueen95    08/05/2018    1 recensioni
Avevo completamente la testa per aria, stavo già pregustando gli spaghetti e la comodità del mio divano sgangherato quando un uomo, molto più alto di me, si parò davanti a me all’improvviso. Ancora cerco di capire da dove cavolo sia spuntato fuori, forse grazie ad un trucco di magia, perché un secondo prima lui non era la. Cercai anche di fermarmi in tempo, ma fu del tutto inutile, gli andai addosso e gli versai la bevanda bollente sulla camicia.
Ma lasciamo perdere un secondo la vicenda, io ho una domanda! Chi diavolo è l’idiota che con quel freddo si lascia il cappotto aperto rimanendo in camicia?
Ve lo dico io chi è …
-Elettra!-
Alzai lo sguardo confusa per aver riconosciuto la voce dell’uomo e dannatamente imbarazza sospirai un –Signor Hiddleston … -
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Era ora e io ero maledettamente in ritardo, ma quel tipo di ritardo quasi irreparabile, questo perché la notte prima avevo passato ore, e ripeto ore, ha guardare American’s next Drag Queen con il mio coinquilino Matthew. Ci eravamo piazzati entrambi sul nostro divano nuovo, per modo di dire, con un recipiente pieno di popcorn e una damigiana di vodka. Dovevamo guardarne solo un episodio, ma cazzo, era così fantastico che ne vedemmo dieci tutti di fila.
Risultato? Be, in realtà ci sono stati molti risultati. Il primo, la mattina dopo ero molto in ritardo e avevo un impegno davvero molto importante. Secondo, la testa mi esplodeva e l’unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stato tornare a dormire per tutto il giorno nel mio letto caldo. Terzo, avevo gli occhi pesti e rossi, sembravo sul serio una tossica. Quarto, dopo il decimo episodio eravamo così sbronzi che ci mettemmo a twercare in balcone come due puttane sul ciglio della strada che, per favore, Rihanna spostati proprio. Quinto, avevamo rotto un vaso, il vaso che la madre di Matthew aveva dato in eredità al suo splendido figlio, era della nonna defunta.
La mattina, quando la sveglia aveva suonato, l’avevo abilmente pestata sul comodino con forza, maledicendola in italiano e poi in greco. Perché questa moltitudine di lingue? È molto semplice sono italo greca, sono cresciuta in Italia, ma ora abito a Londra. Può sembrare un enorme groviglio, ma in realtà la situazione non è poi così incasinata, studiavo in un’università di Londra lingue e giornalismo.
Quindi eccomi qui: Elettra, Perla, Cassandra Leone. Lunghetto vero? Grazie al cielo ci è dato di poter usare un solo nome e non tre, dunque mi chiamano tutti Elettra, o El oppure Ele, ma io preferisco di gran lunga il mio nome per intero. Elettra.
I miei sono sempre stati degli appassionati della mitologia greca, forse è per questo che noi figli abbiamo tutti nomi legati alla mitologia. In famiglia siamo sette: io, i miei genitori, mio fratello maggiore Ade, mia sorella maggiore Calliope e i miei due fratelli maggiori gemelli Ares e Tristano. Non starò qui ad elencarvi i secondi e terzi nomi dei miei fratelli perché altrimenti buonanotte a tutti, ma questo è per rendervi l’idea della follia che albergava nella mia famiglia.
Io sono la più giovane, avevo 22 anni ed ero una testa matta che ancora cercava il suo posto nel mondo.  Ade ne aveva 30, Calliope 27 e i gemelli 25 anche se Ares ci tiene sempre a precisare che lui è cinque minuti più grande di Tristano. Più grande eh, non più vecchio.
Ma torniamo pure a me, dopo aver inveito contro la sveglia in due lingue diverse, mi alzai piano con la testa che pulsava da morire e con una grande voglia di prendermi a calci per la mia stupidità. Avevo ancora addosso il boa piumato che mi aveva messo al collo Matt, la bocca impastata e lo gola secca di chi si è preso una sbornia coi fiocchi, il trucco della sera prima mi si era incrostato intorno agli occhi e puzzavo dannatamente di vodka. Il mondo intorno a me girava da morire, come ero potuta essere così stupida da sbronzarmi in quella maniera? Mentre pensieri del genere mi affollavano la mente mi ributtai contro il cuscino per poi riaddormentarmi come un sasso.
Il secondo risveglio fu allo stesso modo traumatico, nessuna sveglia, ma solo la suoneria del mio cellulare. Qualcuno mi stava chiamando, questo l’avevo capito, il punto è che non afferravo perché qualcuno mi stesse chiamando di mattina presto. Presi comunque il cellulare e alla cieca riuscì ad aprire la chiamata.
-Pronto?- sbadigliai contro la cornetta, senza nemmeno aprire gli occhi o muovermi dalla posizione in cui ero.
-Ma dove cazzo sei?- io ero nel mio caldo letto, ma qualcosa in me mi diceva che non era quella la risposta che Michelle, la mia collega universitaria, si aspettava in quel momento.
Rimasi qualche istante in silenzio, indecisa su cosa rispondere, perché la domanda che io mi stavo ponendo era “dove cazzo dovrei essere?”. La risposta mi colpì come una valanga che colpisce un sciatore, porca puttana, sicuramente non dovevo trovarmi a letto, non in quel momento.
Mi alzai di scatto, la stanza riprese immediatamente a girare veloce come una trottola. Zeus, aiutami tu , dissi a bassa voce sperando che Michelle non mi sentisse, ma ahi, quella ragazza aveva un udito eccellente.
-No, non c’è Zeus che ti salverà- sbottò al telefono, urlandomi dritta nell’orecchio destro –Muovi il culo, abbiamo l’intervista tra 45 minuti! Vorrei strozzarti in questi momenti Elettra.- detto questo chiuse la chiamata sbuffando.
E come darle torto,  sarei dovuta essere con lei da almeno un’ora e il tempo per il mio arrivo stava per scadere, dannazione a me.
Doccia?  Non c’era il tempo. Mi lavai in fretta i denti e feci un bidet improvvisato in equilibrio sulla tazza con una bottiglia di plastica. Cazzo, avevo programmato di truccarmi e di farmi figa, invece non c’era tempo nemmeno per respirare. Così mi passai un filo di mascara e velocemente mi diedi un tocco di rossetto rosso e poi volai nuovamente in camera.
Come dovevamo vestirci? All’università ci avevano dato un codice preciso. Ah giusto, pantaloni neri, decolté e camicia bianca. Avevo stirato tutto la sera prima, aprii l’armadio con  un gesto veloce e tirai fuori i miei bei vestiti da lavoro, ma non avevo idea di quello che sarebbe potuto accadere di li a poco.
Matt entrò nella mia stanza, l’aria ancora sfatta dalla sbronza e la sua enorme parrucca bionda sulla testa, in una mano aveva una tazza di caffè.
-Sei in ritardo, vero?- mi chiese, porgendomi il caffè. Era tradizione, dopo una sbronza epocale, Matt, mi portava sempre il caffè a letto. Annuii alla sua domanda e, mentre brandivo la gruccia con i pantaloni manco stessi portando la torcia olimpica, inciampai, si esatto. Inciampai con la tazza di caffè tra le mani. Il liquido scuro finì sopra i miei pantaloni eleganti da lavoro stirati.
Entrambi rimanemmo fermi, sembravamo due statue, manco fosse appena passata Medusa con la sua chioma di serpenti. Non sapevo bene se ridere o piangere mentre tenevo in mano i pantaloni ormai fradici e macchiati.
-Ti prego- cominciò Matt, con un tono supplicante e spaventato –Dimmi che hai dei pantaloni di riserva- finì col dire.
Scossi la testa. No che non li avevo, io non andavo mai in giro elegante, le uniche volte che avevo indossato quei pantaloni era stato per le interviste e capitavano una volta ogni due mesi.
I momenti che seguirono furono di puro panico, non potevo credere di aver fatto un danno del genere e in più si faceva sempre più tardi. Frugammo nel mio armadio, ma nulla, avevo solo jeans strappati, o con toppe, o ricami improponibili che non andavano decisamente bene per un’intervista. Alla fine trovammo una  gonna, la più sobria che possedevo, e questa la dice lunga, era una minigonna che mi arrivava poco più su della metà delle cosce, lucida, ai lati era aperta in due spacchi che arrivavano fin su e che erano tenuti da dei lacci.
Non c’era tempo, dovevo uscire e quella era l’unica soluzione che avevamo trovato. Sembravo una prostituta, ma non potevo fare altrimenti. Uscii di corsa dopo che Matt mi ebbe scoccato un bacio sulla guancia, era fottutamente tardi.
Grazie al cielo avevamo la fermata della metro molto vicino al nostro appartamento, altrimenti non sarei mai arrivata, più o meno, in tempo.
Ma la mie sventure non erano finite, a metà del viaggio in metro mi resi conto che nella furia di vestirmi avevo fatto saltare due bottoni della camicetta, a quel punto ero davvero mezzo nuda e sembravo in tutto e per tutto una squillo.
Michelle cominciò a tempestarmi di messaggi, “dove sei?”, “Ti uccido.”, “Ma stai arrivando?”. Oh Zeus!
Arrivai, per un pelo. Avevo i capelli in condizioni pessime e dire che a suo tempo avevo programmato di farmi uno chignon elegante, l’avevo finita con il lasciarli sciolti senza nemmeno averli pettinati. I piedi mi dolevano da impazzire per la corsa sui tacchi, continuavo a tenermi la camicetta da porno star, quando arrivai da Michelle avevo il fiatone.
La mia amica tirò un sospiro di sollievo, ma quando mi squadrò da capo a piedi mi fulminò con lo sguardo con aria torva e truce.
-Ma come cazzo ti sei vestita?- mi ringhiò contro.
Ridacchiai imbarazzata –Ci sono stati degli incidenti di stile, il caffè è finito sui pantaloni eleganti e la camicetta ha perso due bottoni.- cercai di scusarmi.
-Sembri una battona-mi disse secca lei.
Stavo per rispondere quando ci venne incontro la Signora Pratt, la nostra professoressa di giornalismo, colei che curava i nostri tirocini in cui potevamo fare interviste a persone famose e non famose. La Signora Pratt era una donna alta, con qualche chilo di troppo, indossava sempre abiti floreali sui toni del rosso che l facevano sembrare più grossa, ma era donna veramente magnifica e gentile.
-Ah, signorina Leone, finalmente è arriva … ma cosa si è messa addosso?- domandò sgranando gli occhi, la sua faccia divento simile all’urlo di Munch e io non volevo fare altro se non fuggire.
-Vede, signora Pratt, ho avuto qualche problemino stamattina e mi …- venni interrotta, di nuovo.
Il divo era arrivato, ci fecero accomodare nella stanza in cui si sarebbe svolta l’intervista, improvvisamente mi sentii del tutto fuori luogo abbigliata a quella maniera. Mi ripetei mentalmente che io e Matt avremmo smesso di fare festini in durante la settimana, ma era almeno la milionesima volta che me lo promettevo e puntualmente capitava di nuovo.
E proprio mentre mi rimproveravo mentalmente che lui arrivò, bello si, in realtà pensavo che dal vivo non sarebbe stato così bello, eppure era da togliere il fiato, o da togliersi le mutande e lanciargliele addosso. Okay, forse questa sarebbe stata una cosa molto imbarazzante e poco consona, me ne rendo conto.
Michelle si stampò, immediatamente, uno dei suoi bei sorrisi, gli diede il buongiorno, gli strinse la mano con classe e poi lui si volse verso di me.  E a quel punto cosa potevo fare se non fare un passo verso di lui, sporgermi leggermente e porgergli la mani? Era una cosa semplice, non richiedeva grande impegno, eppure riuscii lo stesso a fare una delle mie figure imbarazzanti, siccome non lo ero già abbastanza per il mio abbigliamento.
Feci un passo avanti, quello si, ma misi male il tacco a spillo delle mie scarpe, persi l’equilibrio in avanti, verso di lui, e gli caddi addosso. Si, proprio addosso, di testa contro il suo stomaco.
Imbarazzante.
Lui fu molto pronto, molto gentile da parte sua, mi afferrò prima che scivolassi lungo tutto il suo corpo per poi cadere, ma la capocciata gliela diedi comunque sulla bocca dello stomaco.
-Che salame- sussurrai a me stessa, mentre lui cercava di tirarmi su e io cercavo di piantare bene i tacchi a terra.
-Come scusi?- mi chiese lui.
Oddio, non solo gli ero caduta addosso, ma adesso pensava anche che gli avessi dato del salame, ero una completa idiota.
-No!- esclamai mettendomi dritta, alzando le mani verso di lui e guardandomi intorno mentre tutti ci fissavano sconvolti e sbigottiti. –Non era per lei il salame, in realtà non è un vero salame, non volevo dargli un salame … cioè, non volevo dargli del salame, insomma il salame era per me- ero un fiume in piena, una vera catastrofe, qualcuno avrebbe dovuto tapparmi la bocca. In ogni caso afferrai la sua mano di scatto e inizia a scuoterla per presentarmi –Sono Elettra Leone. Leone è il mio cognome, sono italiana, in realtà per metà, mio padre è italiano e mia madre è greca, è per questo che mi chiamo Elettra, i miei sono fissati con la mitologia greca. Infatti i miei fratelli e mia sorella hanno tutti nomi mitologici, pensi, mio fratello maggiore si chiama Ade, è un po’ macabra come cosa … - oddio, qualcuno mi fermi, per l’amore del cielo, mi ritrovai a pensare. –Mia sorella Calliope, e poi ho due fratelli, più grandi di me e sono gemelli, Ares e Tristano. Io comunque ho altri due nomi, Perla e Cassandra …. Ma tutto questo non interessa a lei- dissi alla fine. Volevo morire, sul serio, avrei voluto che Michelle prendesse la mia testa e iniziasse a sbatterla contro il muro, forse lei l’avrebbe voluto fare. Tutti mi fissavano, Michelle sembrava volesse uccidermi, la signora Pratt era sconvolta, il divo aveva la bocca mezzo aperta con un’aria stupita ma allo stesso tempo divertita, il suo agente sembrava sul punto di scoppiare a ridere.
-Ci sediamo?- chiesi, indicando la sedia alle spalle del divo.
Tutti sembrarono riscuotersi, l’agente e la signora Pratt uscirono dalla stanza e si misero davanti alla porta a vetro per osservarci. Penso che tutti si stessero chiedendo quali altri danni avrei combinato nel corso dell’intervista.
Io e Michelle ci sedemmo sulle sedie alle nostre spalle, la mia gonna era imbarazzante e vidi il divo, seduto davanti a noi, arrossire leggermente mentre io cercavo di tirarla verso il basso.
-Vuoi che cominci io?- chiesi a bassa voce, rivolta alla mia amica. Michelle solleva un sopracciglio e a denti stretti disse –Non pensi di aver già parlato abbastanza?-.
Ammutolii, aveva perfettamente ragione, non potevo darle torto, dovevo essere apparsa come una squilibrata.
-Bene, signor Hiddleston ..- cominciò gentile Michelle.
Si esatto, Tom Hiddleston. Ancora non riuscivo a capacitarmi di come la nostra docente fosse riuscita ad accalappiarsi un’intervista del genere per il nostro giornale universitario. Insomma tutti sanno quanto sia a modo Tom Hiddleston, non è un attore che se la tira o fa la diva, è sempre molto educato … una persona normalissima con tantissimi soldi. Poi si sa che lui farebbe di tutto per la sua nazione,ma ancora mi sembrava assurdo che fosse riuscita ad ottenere un’intervista così importante.
-Diamoci pure del tu, d’altronde non dovremmo avere così tanta differenza di età. Quanti anni avete?- ci chiese alla fine, con quella sua parlata lenta, armoniosa, delicata e da perfetto britannico.
-Ehm, io sono Michelle e ho 26 anni, sono al mio ultimo anno di specialistica- disse Michelle, sorridente e perfettamente fiera dei suoi risultati.
Io ero un po’ indecisa, avevo il permesso di parlare? Non avevo sproloquiato abbastanza sulla mia vita privata? Aveva davvero il coraggio di chiedermi l’età dopo che l’avevo preso in ostaggio parlandogli di tutta la mia famiglia? Fossi stata in lui, almeno un minimo, avrei temuto di farmi aprir bocca.
-E tu, Elettra?- mi incalzò, con un bel sorriso che, devo ammettere, mi fece girare un po’ la testa per l’emozione.
-Io ho 22 anni, sono al secondo anno di lingue e giornalismo- avrei voluto aggiungere qualcos’altro, ma dovetti mordermi forte le labbra per rimanere zitta, ci mancava soltanto che continuassi a delirare.
-Molto giovane- commentò, perdendo un po’ del sorriso che mi aveva rivolto.
E dopo le presentazioni partimmo con la nostra intervista, Michelle era davvero brava, ma lei ormai aveva anni di esperienza e io ero molto grata di essere stata affiancata ad una come lei, forse lei non era molto felice di essere stata affiancata a me.
Tom Hiddleston, o come ci supplicò di chiamarlo, Tom, era un uomo molto elegante, fine e distinto, ma con un bel senso dell’umorismo. Faceva certi e sorrisi da togliere il fiato e ogni tanto, mentre scrutavo le sue espressioni in maniera attenta, potevo vedere l’ombra del suo Loki che faceva capolino e, ogni volta che accadeva, mi emozionavo da morire.
Io sono una patita della Marvel, i miei fratelli sono cresciuti con  fumetti e mi hanno passato la passione. Quando ancora non ero in grado di leggere, Ares e Tristano mi mettevano tra loro due e lentamente leggevano i fumetti a voce alta per me, aiutandomi a seguire con le figure.
In prima elementare mi ero travestita da Spiderman per Halloween, tutte le bambine sceglievano abiti da principessa o da vampiro, io come al solito ero destinata ad essere la pecora nera. Forse era per quello che non avevo tanti amici.
Quindi, da grande patita della Marvel, non mi potei trattenere dal chiedergli qualcosa sull’uscita ormai vicina di Avengers Infinity War. Michelle gli aveva appena chiesto qualcosa su Kong the skull Island quando mi infilai io.
-Da buona patita della Marvel non posso non chiederti qualcosa riguardo ad Avengers- dissi io, facendo un sorrisino furbo. –Cosa ci dobbiamo aspettare dal grande Loki?- .
Michelle un po’ confusa iniziò a spulciare tra le domande che avevamo preparato una settimana prima, sapevo che non c’era come domanda, ma non ero proprio riuscita a trattenermi.
Tom ridacchiò e si accarezzò la barba rossiccia con la mano destra, mi rivolse un occhiata d’intesa e poi rispose. –Loki sarà coraggioso- ammise, infine.
Rimasi un po’delusa, volevo più dettagli. Erano mesi che aspettavo quel film e non vedevo l’ora di vederlo! Lo guardai leggermente in cagnesco, avrei voluto più informazioni.
Michelle aprì la bocca per continuare l’intervista, ma Tom continuava a tenere gli occhi incollati su di me, forse per via del mio abbigliamento irriverente. –Tu cosa ti aspetti da Loki, o in generale da questo film?- mi chiese.
A quel punto penso di essermi illuminata, insomma non ti capita tutti i giorni che uno dei tuoi idoli ti chieda cosa ti aspetti dal film che sta per lanciare, un brivido di eccitazione mi percorse la schiena e sorrisi.
-Uno spettacolo emozionante, un qualcosa che mi tenga incollata allo schermo per tutta la durata del film, lacrime, risate, malinconia e …- mi interruppi, Michelle mi aveva dato un colpetto al braccio, stavo di nuovo perdendo la lucidità. Sorrisi imbarazzata e mi sistemai la camicetta che stava di nuovo lasciando il petto nudo.
-Dicevamo- si introdusse Michelle, spulciando nel foglio che teneva tra le mani, era nervosa, le cose non stavano andando come lei aveva programmato.
Tom si sporse di qualche millimetro verso di me, potevo quasi vedere le pagliuzze nei suoi occhi limpidi. Il cuore accelerò un po’. –E da Loki, cosa ti aspetti?- un momento, non dovevo essere io quella che faceva le domande.
Presi un bel respiro profondo, Michelle si buttò con la schiena contro la spalliera della sedia, non potevo credere che mi avesse appena fatto una domanda del genere. –Ho paura che possa morire- ammisi, alla fine.
Era vero, io avevo una trinità per i supereroi dei film. Ironman, Thor e Loki, non avrei potuto sopportare la morte di nessuno di loro tre.
Tom sorrise, ma non disse nulla. Cosa diavolo voleva dire quel sorriso? Avrei voluto chiederglielo, ma il tempo stava finendo e Michelle riprese con le domanda che avevamo precedentemente programmato.
Fu un’intervista interessante, non avevamo mai intervistato un attore di quel calibro, fu molto emozionante e gratificante. Quando il tempo giunse al termine Tom ci ringraziò e ci strinse la mano, questa volta riuscii a rimanere dritta sulle mie gambe e a non cadere addosso all’uomo come un salame che utilizza i tacchi per la prima volta nella sua vita.
Prima di andare via gli chiesi una foto, fu molto carino e acconsentì regalandomi l’ennesimo bel sorriso da togliere il fiato.
-Mi scuso ancora per la testata allo stomaco e per averti raccontato la storia della mia vita- dissi, facendo un sorriso imbarazzato e tenendomi stretto al petto il cellulare con la foto appena scattata.
-Non c’è problema, è stato divertente, forse tranne la testata.- rispose lui, ridacchiando e poi se ne andò.
Inutile dire che mi beccai un strigliata da parte della signora Pratt e Michelle, come dar loro torto, ma ero soddisfatta. Era stata una bella esperienza e avevo potuto chiedere qualcosa riguardo al film. Tornai a casa con un bel sorriso stampato sulle labbra e l’animo vispo.
In casa c’era il caos, sembrava fosse esplosa una bomba, sul pavimento c’era ancora il bottiglione finito di vodka e la ciotola dei popcorn. Sdraiato sul divano c’era Matthew, il mio coinquilino, il mio migliore amico, placidamente addormentato con la parrucca bionda a penzoloni. Lo guardai con aria dolce, beato lui che aveva potuto dormire di più.  Mi scalzai le scarpe e mi sdraiai accanto a lui e mi addormentai.
Il terzo risveglio di quella giornata fu traumatico, forse anche peggio dei primi due. Due sveglie iniziarono a suonare all’improvviso, mi svegliai di colpo rischiando un infarto, mettendomi subito a sedere mi resi conto che entrambi i nostri cellulari suonavano.
-Gli Unni ci attaccano?- gridò Matt, mettendosi a sedere di scatto e perdendo completamente la parrucca dalla testa.
Gli diedi un colpetto al braccio ridacchiando di gusto –Datti una calmata, Mulan, sono solo le sveglie. Devi andare a lavoro- dissi.
Matt si passò una mano sul viso e sospirò, sapevo che era devastato e che fosse stato per lui avrebbe continuato a dormire, ma era ora di lavorare almeno per lui. Io quella sera ero libera.
-Cazzo, dobbiamo smetterla di bere la sera prima di lavorare- borbottò –Se penso che adesso devo mettermi a truccarmi, mi viene voglia di piangere- .
-Dai, vai in doccia, vado a comprarti gli spaghetti di soia dal cinese qui sotto- vidi il sorriso del mio amico farsi ampio, mi scoccò un bacio dolce sulla guancia e corse verso il bagno.
Anche quella era una nostra tradizione, quando andare a lavorare diventava difficile uno di noi andava a prendere gli spaghetti di soia dal cinese, era un po’ la nostra cura dalla stanchezza della vita.
Decisi almeno di cambiarmi, non mi andava di scendere al ristorante in quelle condizioni, anche perché non ci bazzicavano persone molto raccomandabili. In camera afferrai un maglione e un paio di jeans a palazzo strappati sul ginocchio, mi guardai per un secondo riflessa allo specchio. Ero così sfatta, gli occhi scuri macchiati intorno dal mascara, le labbra pallide e i capelli neri scompigliati. Afferrai un elastico e mi feci una coda alta, orribile comunque, ma forse meno sciatta. Ma d’altronde di cosa mi preoccupavo, chi mi avrebbe vista in quelle condizioni?
Lanciai un urlo a Matt per avvertirlo che uscivo e poi mi chiusi la porta alle spalle. Una volta fuori dal palazzo fui immediatamente investita dal freddo di Londra, mi strinsi all’interno del mio maglione sformato, attraversai la strada di corsa rischiando di farmi investire più di una volta e poi mi fermai davanti al piccolo ristorante take away.
-Hey, miss mitologia greca!- mi salutò Sang, il giovane che lavorava come cassiere. Okay, lo ammetto, anche a lui avevo raccontato della storia del mio nome, ma almeno lui me l’avevo chiesto. –Il solito? Due porzioni di spaghetti alla soia?- ci conosceva, eravamo un libro aperto per lui.
Annuì. –Aggiungi anche due bicchieri di quella bibita allo zenzero e limone- stavolta fu lui ad annuire prima di scappare dietro  nelle cucine.
Iniziai a dondolarmi piano, da un piede all’altro, faceva un freddo cane, avrei dovuto dire a Matt di mettersi un cappotto prima di uscire. Non mi sarei mai abituata al freddo del cavolo di Londra, si insinuava sotto i vestiti come un serpente viscido.
Dopo qualche minuto era tutto pronto, salutai Sang e me ne andai con una bustina in una mano e il bicchiere con la mia bibita nell’altra. La bevanda scottava da morire, ma era piacevole considerato il freddo glaciale che mi avvolgeva in una morsa orribile.
Avevo completamente la testa per aria, stavo già pregustando gli spaghetti e la comodità del mio divano sgangherato quando un uomo, molto più alto di me, si parò davanti a me all’improvviso. Ancora cerco di capire da dove cavolo sia spuntato fuori, forse grazie ad un trucco di magia, perché un secondo prima lui non era la. Cercai anche di fermarmi in tempo, ma fu del tutto inutile, gli andai addosso e gli versai la bevanda bollente sulla camicia.
Ma lasciamo perdere un secondo la vicenda, io ho una domanda! Chi diavolo è l’idiota che con quel freddo si lascia il cappotto aperto rimanendo in camicia?
Ve lo dico io chi è …
-Elettra!-
Alzai lo sguardo confusa per aver riconosciuto la voce dell’uomo e dannatamente imbarazza sospirai un –Signor Hiddleston … -
 
 
Io mi rendo conto di avere altre due ff in corso, ma una è quasi conclusa e avevo questa idea in mente che non potevo ignorare!
Capitolo breve,giusto una leggera introduzione a quella che sarà la storia. Spero che vi abbia fatto sorridere almeno un po’ e che vi abbia interessato. In tal caso, fatemi sapere cosa ne pensate. _cherryred_
   
 
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