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Autore: Laura Taibi    09/05/2018    0 recensioni
"Ce l'avrebbero fatta, si disse, sarebbero riusciti a uscire da quell'incubo e avrebbero ripreso in mano le loro vite. E dopo?
Questa domanda assillava Jasper da quando lei gli aveva detto di voler tornare a casa. In quel luogo loro due erano... beh, loro due. Ma lontano da quel luogo?
Una parte di lui voleva tornare a casa, ma ce n'era un'altra, piccola e nascosta, che desiderava ardentemente restare lì con lei, per sempre."
Edito per la NullaDie edizioni e disponibile in cartaceo su amazon e (su ordinazione) nelle maggiori librerie.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jasper socchiuse gli occhi, infastidito. Le tende non erano state tirate bene e un ostinato fascio di luce gli colpiva il viso.

Era disteso sul letto, indossava ancora gli abiti della sera prima e non ricordava granché. Di sicuro era tutta colpa di Chad, il suo migliore amico, e di quelle stupide bottiglie che trafugava dal negozio di liquori del padre.

Si voltò su di un lato e stava quasi per riaddormentarsi quando la porta della stanza si aprì.

«Non posso crederci, sei ancora a letto?» esclamò la donna mentre si avvicinava alle tende spalancandole. Jasper si tirò le coperte fino al mento, ma furono prontamente tirate via.

«Credo esista una legge contro questo tipo di torture, sai zia?»

Natalie Stone sorrise scostandosi una ciocca di fluenti capelli castani dal viso. Era una donna forte. Non si era sposata, per scelta diceva lei, ma Jasper aveva la mezza idea che incutesse troppo timore agli uomini, con il suo metro e ottanta, le spalle larghe e le unghie lunghe laccate di rosso.

Nonostante fossero le sette e mezzo del mattino — e quando Jasper se ne rese conto la guardò di sbieco — era già vestita di tu o punto, con il solito tailleur blu notte, il suo preferito, scarpe con tacco a spillo abbinate, una camicetta bianca e pochi, raffinati, gioielli.

«Sbrigati se vuoi un passaggio, o farò tardi a lavoro» disse lei.

«Zia, è sabato oggi!» rispose Jasper, esasperato. «Ops» la zia sorrise e lui capì che sapeva benissimo che giorno fosse «beh, già che sei sveglio, potresti sempre rimettere a posto la camera, guarda qui, sembra che sia passato un uragano!»
In effetti la stanza non era nelle migliori condizioni. La maggior parte dei vestiti era sparsa a terra o sulla sedia della scrivania, lattine di cola smezzate e diversi pacchetti di patatine giacevano abbandonati su ogni ripiano disponibile, tra libri di liceo e cd musicali. La TV era piena d'impronte e il joystick della play se ne stava pericolosamente in bilico sopra la console.

«Beh, allora ci vediamo per cena, dormiglione?» chiese lei.

«Penso che mangerò una pizza con Chad giù in centro» rispose il ragazzo, mettendosi a sedere sul letto e strofinandosi gli occhi.

«Ok, ma non fare tardi!»

«Tranquilla.»

La zia si avvicinò e gli diede un bacio, inebriandolo con il suo profumo che sapeva di fiori, poi gli scompigliò i capelli e lasciò la stanza. Dopo qualche minuto un rumore avvertì Jasper che la zia Natalie era uscita richiudendosi la porta di casa alle spalle.

Si guardò intorno indeciso sul da farsi. Avrebbe potuto rimettersi a dormire, ma sapeva che quando si svegliava difficilmente riusciva a riprendere sonno — particolare che la zia conosceva benissimo, maledetta lei — così si mise in piedi e si trascinò lungo il corridoio fino al bagno, per sciacquarsi il viso. La sua immagine nello specchio lo lasciò basito per un attimo. Era incredibile come il tempo lo rendesse sempre più simile a suo padre, con la barbetta appena accennata sul mento e sulla mandibola, i capelli castani e gli occhi di un azzurro scuro e profondo, come il mare.

Edward Stone, suo padre, era sempre via per lavoro. La zia Natalie diceva che era cambiato tutto dalla morte della mamma, ma Jasper era troppo piccolo quando successe, per cui ricordava del padre solo la versione distante e chiuso in se stesso, troppo immerso nel lavoro per badare al suo unico figlio. Jasper aveva solo undici anni quando Edward Stone l'aveva lasciato nelle mani della sorella ed era partito e, a parte l'assegno mensile, qualche sporadica visita una o due volte l'anno e qualche chiamata altrettanto rara, non si era più fatto vivo.

Erano passati quasi sei anni, e sulla soglia dell'età adulta il risentimento che Jasper covava nei suoi confronti era più forte che mai.

Si finì di lavare e tornò in camera per vestirsi, giusto in tempo per rispondere al cellulare che aveva appena iniziato a squillare.

«Pronto?»

«Ehi amico, sono Chad, ti ho svegliato?»

«No, ci ha già pensato mia zia.»

«Bene, allora che ne dici di vederci a Walpole Park, al solito posto?»

«Perfetto, mi vesto e arrivo. A dopo.»

Chad Felipe Barker, il suo migliore amico da quando avevano dodici anni, era un tipo brillante ma un po' strano.

Sua madre, di origini brasiliane, aveva sposato un omaccione inglese, proprietario di un negozio di liquori a Ealing, e avevano deciso di mettere su, più che una famiglia, una vera e propria squadra di calcio mista. Infatti Chad era il terzo di nove figli, quattro femmine e cinque maschi, di cui Jasper non ricordava mai i nomi.

Forse per farsi notare in mezzo a quella baraonda che era la sua famiglia, Chad era sempre stato un genio a scuola. Non aveva problemi a prendere i voti massimi in tutte le materie — e Jasper si chiedeva come ciò fosse possibile non avendogli mai visto aprire un libro scolastico — e grazie all'aria un po' esotica, i capelli neri mossi e la pelle ambrata, nonché la parlantina sempre pronta, riusciva tranquillamente a far colpo sulle ragazze.

Nonostante i meriti, non era un secchione, anzi, amava fare stupidaggini e scherzi e non prendeva nulla sul serio e forse era proprio per questo che loro due erano così amici. La gente intorno a Jasper, una volta saputa la sua "triste" storia familiare, tendeva a compatirlo e questo per lui era insopportabile, mentre Chad, il primo giorno di scuola, dopo aver sentito la sua storia, rispose: «Che fortuna! Una stanza tutta per te, niente fratelli, sorelle o genitori che rompano! T'invidio!»

Beh, forse non era stato proprio delicato, forse qualcun altro avrebbe preso quelle parole come un'offesa, ma per Jasper non fu così, anzi, pensò che quel modo di vederla rendesse tutto più sopportabile e lo faceva sentire normale. Così i due divennero inseparabili.

Alle dieci, quando Jasper arrivò a Walpole Park, l'aria di fine maggio era calda e piacevole. Trovò lì l'amico, seduto su una panchina vicino al laghetto, intento ad ascoltare musica con gli occhi chiusi battendo i piedi e le mani a tempo.

«Ehi, mattiniero come sempre, eh? Non l'avrei detto viste le condizioni in cui ci siamo salutati ieri sera!» esclamò Jasper, strappandogli le cuffie dalle orecchie e facendolo sobbalzare.

«Amico, lo sai che in casa mia non si riesce a stare tranquilli» rispose Chad «Tu invece? Non mi aspettavo di trovarti sveglio!»

«Mia zia ha pensato bene di darmi il buon giorno...»

«Ah» sospirò Chad con occhi sognanti «Da tua zia mi farei svegliare tutti i giorni!»

«Chad, sei schifoso, davvero!» disse Jasper mettendosi seduto accanto a lui e dandogli una gomitata «Allora, che programmi abbiamo per oggi?»

Chad si alzò in piedi e gli si mise di fronte. Jasper lo guardò interrogativo, quel viso eccitato voleva significare che aveva qualcosa in mente, e che quel qualcosa non sarebbe piaciuto alla zia.

«Tre parole» disse l'amico «io, tu, spiaggia!»

«Chad la spiaggia più vicina è fuori città e ci vogliono almeno due ore per raggiungerla!»

Chad sbuffò con aria sprezzante «Suvvia, che saranno mai due ore! Andiamo solo a farci una nuotata, guardare qualche ragazza in costume, un gelato... ci divertiremo!»

«Non lo so... alla zia non piacerebbe.»

«Non dirglielo.»

«Non ho il costume.»

«Li ho portati per entrambi.»

«Non so nuotare.»

«Ora stai inventando!»

Jasper fece spallucce: «Mi hai beccato, ho finito le scuse» disse sorridendo. Dopodiché i due si diressero verso la vicina fermata dell'autobus. Stavano passando davanti l'ennesima caffetteria quando successe una cosa strana. Fu come uno sfarfallio a pochi metri da Jasper, dove la strada curvava a destra: fu come se nel bel mezzo del marciapiede l'aria si squarciasse come un velo, lasciando intravedere ciò che vi era nascosto dietro.

Apparve il viso di una ragazza. Aveva più o meno la loro età, una maglietta nera, un paio di jeans slavati e folti capelli, rossi e fluenti, che ricadevano sul viso in morbide ciocche. Quando lei si accorse di lui, spalancò gli occhi e i due rimasero a fissarsi, entrambi con aria incredula. Il tempo sembrò interrompersi, i suoni affievolirsi, come se qualcuno avesse premuto stop sul telecomando del mondo.

Durò solo qualche istante, e dopo un secondo sfarfallio tutto tornò come prima.

«Jas, mi stai ascoltando?» chiese Chad scuotendolo.

«Cos... no. Hai visto?»

Chad lo guardò interrogativo «Visto cosa?» chiese. Jasper indicò davanti a loro.

«La ragazza con i capelli rossi, stava lì all'angolo!»

Chad si guardò intorno, ma a parte qualche passante attempato e un paio di piccioni, non c'era nessuno.

«Niente più alcool per te, ti sta mandando in pappa il cervello!»

Jasper lo guardò storto, anche se, in effetti, stava pensando la stessa identica cosa.

«Bah, forse hai ragione... e magari dovrei dormire di più...»

«Ora non farti una paternale da solo» disse l'amico afferrandolo per le spalle «siamo ancora giovani e pieni di energie. Il mare ci aspetta!»

Arrivarono alla fermata giusto in tempo per prendere l'autobus diretto a Richmond. Era stata una settimana insolitamente bella in confronto agli abituali climi londinesi, s'iniziava ad assaporare un'aria di estate imminente, la gente aveva lasciato a casa i cappotti pesanti e gli stivali — anche se era certo che molti di loro tenessero comunque un ombrello in borsa — e in un sabato soleggiato e spensierato come quello, Jasper ci mise poco a dimenticarsi della ragazza vista poco prima. Fu per questo che impiegò qualche secondo a riconoscerla, quando la vide salire alla fermata vicino Watermans Park.

La osservò mentre si sedeva poco davanti a loro: con quei capelli rossi e lunghi e la carnagione diafana con una spruzzata di lentiggini sul naso, sembrava il tipico stereotipo di ragazza irlandese.

Jasper si alzò di scatto. «È lei» disse a Chad. «Lei chi?»

«La ragazza dai capelli rossi!» esclamò e, senza neppure sapere il perché, si avvicinò a lei. A nulla valse la mano di Chad che tentò di afferrargli il braccio, era come se qualcosa lo attirasse verso quella ragazza, come se parlarle fosse di vitale importanza.

Le mise una mano sulla spalla e lei si voltò. Aveva degli enormi occhi verdi, quasi ipnotici, e un'espressione confusa, probabilmente perché uno sconosciuto le aveva appena posato una mano sulla spalla, ma quando Jasper tentò di parlarle successe di nuovo.

Il mondo si mise in stop un'altra volta e la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente, tanto che Jasper dove e reggersi a un sedile per non cadere. Le orecchie gli fischiavano e intorno iniziò a farsi sfocato.

«Ma... che diavolo...»

Non riuscì a finire la frase perché in quell'istante perse i sensi e tutto divenne nero.
   
 
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