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Autore: Kore Flavia    10/05/2018    3 recensioni
[Zutara][Missing Moment tra lo spettacolo teatrale e la battaglia finale][Katara fa del suo meglio per occuparsi di tutti][Warning: si parla di morte e perdita]
Dal testo:
All’arrivo della cometa di Sozin mancavano solo una manciata di giorni e il sonno pareva esserli stato strappato di dosso con violenza. E quelle poche ore di assopimento che con fatica riuscivano a racimolare come mendicanti, parevano essere colmi di incubi. [...]
Katara scrollò la testa pensando a quanto l’attrice di quello stupido spettacolo teatrale non si fosse poi così allontanata della realtà. Era davvero una sciocca che si aggrappava con unghia e denti al questa parola. “Non perdere la speranza” diceva a tutti, ma lentamente sentiva di essere la prima ad aver bisogno d’aver qualcuno a ricordarglielo.[...]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katara, Sokka, Suki, Toph, Zuko
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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INCUBI



“Ieri ho sognato il mio funerale.” La informò laconico.

All’arrivo della cometa di Sozin mancavano solo una manciata di giorni e il sonno pareva esserli stato strappato di dosso con violenza. E quelle poche ore di assopimento che con fatica riuscivano a racimolare come mendicanti, parevano essere colmi di incubi. Katara si era data il compito di ascoltare i sogni e le paure di ogni membro del gruppo. In fin dei conti, si era detta, era qualcosa che aveva sempre fatto e che, sicuro come la luna, non avrebbe smesso di fare ora. Sokka era venuto una volta nel pieno della notte in camera sua. L’aveva scrollata leggermente con le mani ancora tremanti e le aveva chiesto di rimanere a dormire là, per accertarsi di non averla persa. Katara aveva sbuffato, ma acconsentito.
“Ma Suki?”
“Non volevo svegliarla.” Poi aveva aggiunto, come se ce ne fosse bisogno “Per favore?”
Ed eccoli avvoltolati tra le lenzuola leggere della nazione del fuoco come quando da piccoli si nascondevano tra le pellicce del polo sud a seguito della morte della madre. Al tempo era Katara ad andare nella stanza –se così si potevano chiamare quelle presenti negli igloo- di Sokka e ad infilarsi nelle coperte con lui. Lui spesso neanche se ne accorgeva. Al tempo aveva un sonno pesantissimo, ora non più. Da quando aveva deciso di rivestire il ruolo del leader della così detta “Gaang” aveva lasciato cadere persino quest’ultimo brandello d’innocenza. Il fratello le aveva promesso che l’avrebbe protetta da tutto e da tutti e che no, non l’avrebbe mai abbandonata. Si era dovuto ricredere alla fine ed ammettere che quella gracile sorellina poteva difendersi da sola e che, ansi, non era raro che fosse lui a dover esser salvato da lei. Ora era lei a promettergli, carezzandogli la testa come era solita fare la madre ogni volta che uno dei due piangeva che no, non l’avrebbe mai abbandonato. Avevano dormito entrambi meglio quella notte.

“E non c’era nessuno. Solo mia sorella. Rideva. Cioè voi ceravate, ma era come se non ci foste. Sokka, Aang, Toph e persino Suki neanche guardavano la tomba. Se ne infischiavano.” Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, penserioso. “Mio padre non c’era. Figurati se veniva al funerale di un fallimento.”

Katara boccheggiò. Accadeva spesso che Aang la cercasse per parlarle: “ho paura”, diceva, “ho paura di non riuscire ad uccidere Sozin” continuava. Katara allora inghiottiva la rabbia ed il rancore e cercava di confortarlo. Non una volta, però, aveva ammesso la possibilità di risparmiare quel mostro. Aang allora incominciava la sua tiritera sul perdono, sull’importanza di esso e su come Katara dovesse imparare a comprendere e lasciar andare. Il tutto spesso terminava con una discussione, un Aang con le lacrime agli occhi e una Katara più arrabbiata e pentita di prima.
“Scusa” andava a dirgli, una volta passata la collera.
“Ti perdono.” L’assenza di malizia con lui le lo diceva era ciò che più la faceva andare ai matti. Incominciare nuovamente una discussione si sarebbe rivelato sciocco e, probabilmente, Aang neanche si sarebbe reso conto d’aver detto qualcosa di troppo –o di non abbastanza-. L’abbracciava, allora, perché nessuno di loro aveva bisogno di altro.

“Nel sogno io ancora ero in cerca del mio onore. Di Aang, insomma. Ero morto nell’impresa o, meglio, dopo aver fallito nell’impresa.” Si strofinò il volto. “Persino Mai non si era presentata.” Fece una pausa. Si strinse nelle spalle.

Katara abbassò lo sguardo, aspettando che terminasse. Non era raro che Toph venisse a chiederle conforto. Ogni tanto ammetteva persino che alla sua famiglia lei voleva bene e che, un pochino, anche le mancavano i suoi genitori. “Un pochino”, diceva, “non troppo”. Allora Katara le diceva che era normale e che, finito tutto questo, sua madre l’avrebbe guardata e che, invece di vedere il suo “dolce e fragilissimo fiore di loto”, avrebbe visto l’incredibile dominatrice che era. Ne sarebbe rimasta estasiata, come chiunque altro essere umano con un cervello –aveva accuratamente evitato di dire “con degli occhi”, rimproverandosi d’averci anche solo pensato-. Toph sentiva l’esitazione e, intelligente com’era, ne intuiva il motivo, però a lei queste cose facevano ridere non arrabbiare. Katara l’ammirava per questo, però se lo teneva per sé che sennò quella ragazzina si sarebbe montata la testa più di quanto già non facesse da sola. Allora Toph, incoraggiata dalla notte o dal sonno, l’abbracciava e zampettava pesantemente via. Non prima, però, d’essersi assicurata che “non lo dirai a nessuno, eh, ho una reputazione da difendere”. Katara la lasciava andare con una debole risata, che comunque risultava troppo forte per la notte e pareva insultarne il silenzio.

“Tu pure c’eri.” Lo disse con pesantezza. “Però mi odiavi e quindi festeggiavi. Era come se non ci fossimo mai riappacificati.” Si passò la mano sulla cicatrice che sotto la luce della sola luna pareva del carbone bollente. Lo sguardo puntato davanti a sé, attento ad evitarla. Chiuse gli occhi.

Katara trattenne il respiro. Persino Suki era venuta a sfogarsi con lei, ogni tanto. Quasi casualmente cominciavano a parlare di sciocchezze –di programmi, di quanto tonto fosse Sokka- e non troppo casualmente finivano per parlare della cometa e di tutte le certezze che gli stava portando via. Suki aveva paura per le altre guerriere Kyoshi.
“Se dovessi morire non avrebbero più nessuno a capo.” Diceva, ma in realtà voleva dire  “se Sozin vince per loro –per tutti noi- sarà la fine.” Katara lo sapeva, ma rimaneva in silenzio. Non serviva a nulla a rivelare qualcosa che entrambi, silenziosamente, sapevano. Si limitava quindi a dire:
“Andrà tutto bene. Aang vincerà.” Poi aggiungeva, come se ne sentisse il bisogno, “ne sono certa.”

“E penso che sia questo che mi abbia fatto più male. Non aver la tua fiducia.” Zuko concluse, schiudendo gli occhi. Si voltò a guardarla. Il giallo che fissava il blu. Le iridi avevano perso il loro colore brillante, lavato via dal dolore e dall’ansia. La cometa di Sozin stava rubando loro anche questo e, forse, si sarebbe presa anche tutto il resto.
Persino la speranza.
Katara scrollò la testa pensando a quanto l’attrice di quello stupido spettacolo teatrale non si fosse poi così allontanata della realtà. Era davvero una sciocca che si aggrappava con unghia e denti al questa parola. “Non perdere la speranza” diceva a tutti, ma lentamente sentiva di essere la prima ad aver bisogno d’aver qualcuno a ricordarglielo.
Un attimo.
Una mano poggiata su quella del ragazzo. La strinse e per la prima volta si rese conto che, pur essendo un dominatore del fuoco, Zuko aveva le dita gelide. Le mani di chi non ha avuto mai nessuno a stringergliele. O forse di chi rifiutava l’unica mano che gli fosse stata offerta per orgoglio, per rabbia, per onore. Si era quindi raffreddata con il passare del tempo, con il passare degli anni. Katara, invece, ce le aveva calde -e doveva ammetterlo, anche un poco sudaticce- grazie a tutte le persone che gliel’avevano strette nel momento del bisogno. Ogni tanto si dimenticava che lei non era mai stata sola. Zuko, invece, era rimasto solo a lungo, per troppo tempo si era sentito immeritevole di qualsiasi affetto, di qualsiasi amore.
Provò a dire qualcosa –qualsiasi cosa-: “Per fortuna era solo un sogno.”
Un sorriso stentato dall’altra parte. Un movimento della testa ed eccolo che distoglieva nuovamente lo sguardo. Probabilmente si aspettava altro, si aspettava di meglio. In fin dei conti si trattava di lei, di Katara, quella che si prende cura di tutte, la ragazza che ha sempre le parole per confortare le persone, la persona che ha sempre la forza di sostenere gli altri.
“Già.”
Ma Katara forse non poteva sostenere gli altri e se stessa allo stesso tempo. Katara forse non era abbastanza forte.
“Sai.” Disse. Fece una pausa, per ricevere la sua attenzione. “Anche io ho fatto un incubo l’altra notte. Non era così diverso” Le dita erano ancora intrecciate. “Ho sognato di essere l’unica a sopravvivere la battaglia finale. Vi vedevo morire uno alla volta davanti ai miei occhi senza che potessi fare nulla. Ero paralizzata dalla paura.” Zuko sgranò gli occhi. Strinse più forte la sua mano. “Prima era Aang, capivamo quindi che avevamo già perso eppure continuavamo a combattere, poi Suki, Toph, Sokka e poi te. E sai come morivi? Per proteggermi da un colpo perché io, come una sciocca, non riuscivo a muovermi. Morivi per colpa mia Zuko. A quel punto mi sono svegliata.” Una carezza sul braccio. “Ti colpivano qui.” Indicò il torace. “Troppo vicino al cuore perché io potessi salvarti.” Prese un profondo respiro. La certezza di star piangendo non la colse di sorpresa e neanche se ne vergognò. Continuò a parlare.
“Sono felice di essermi svegliata per scoprire che nulla era vero e sai perché? Perché non posso immaginare una vita senza di voi. Senza di te.” Un braccio intorno alle spalle e una leggera pressione sulla schiena. Poté respirare l’odore ancora impregnato dal terrore degli abiti del ragazzo. Le mani ancora giunte assieme.
Zuko rispose: “Per fortuna era solo un sogno.”
Katara sorrise debolmente contro il torace del ragazzo, là dove nel sogno era stato colpito. Doveva ammettere che il loro era un abbraccio timido e imbarazzato, ma era pure tutto ciò di cui aveva bisogno.
“Già.” Sussurrò alla stoffa. Immaginò le labbra del ragazzo piegarsi in un insolito sorriso. Il sorriso chi non si è ancora abituato a farlo. Un po’ più alto da un lato e un po’ più basso dall’altro, impacciato come la maggior parte dei suoi gesti. Un sorriso che non si afferma, ma chiede conferma al mondo. Un sorriso di cui Katara non poteva più fare a meno. 
“Sai,” disse, per ricevere l’attenzione del ragazzo che si scostò per fissarla negli occhi, preoccupato. “hai le mani sudaticce.” Gli sorrise, tra le lacrime che oramai si era asciugate sulle guance. Zuko divenne di tutti i colori, poi le lasciò la mano bruscamente asciugandosi la propria sugli abiti. Il gesto imbarazzato le strappò una risata. “Non ho mai detto che mi dispiacesse.”
“Ah. Ecco io-“
Però venne interrotto e a farlo fu un bacio, nulla più.
 
 
(Bonus. Un fulmine lo colpì e a Katara si gelò il sangue nelle vene –avrebbe potuto farlo, si disse, sarebbe potuta morire così, con il sangue ghiacciato-. Azula Gli aveva colpito il torace là dove qualche notte prima lei aveva sorriso. A Katara sembrò di vivere un incubo, ma questa volta il suo corpo rispose e riuscì a muovere i muscoli per combattere.)


 
Note d'autrice: Approdo su un nuovo fandom quando questo è morto perché il tempismo non è mai stato il mio forte e perché una mia amica si è guardata la serie da poco e, ovviamente e giustamente (scherzo certamente), shippa Zutara e mi ha fatto venir voglia di scrivere su di loro.
A questo giro non ho headcanon da dichiarare che rendino la storia più chiara perché mi sembra tutto abbastanza esplicitato nel testo. 
NO BETA perché sono scema, quindi se ci sono errori nel testo siete liberi e invitati a segnalarmeli.
Spero di non essere andata OOC, nel caso così fosse oltre che sentirmi umiliata provvederò a modificare le caratteristiche della storia aggiungendoci il warning OOC. Vi ringrazio in anticipo se me lo segnalate. 
E' la prima volta che scrivo in questo fandom e, quindi, su questi due personaggi quindi non so davvero come possa essere uscita fuori questa storia. Anche se, c'è da dire, propendo per un "disastro di storia, ma perché diavolo perdi ore del tuo tempo a scrivere 'ste cose brutte?" 
Alla prossima, probabilmente di ritorno sul fandom di Voltron. 
Kore Flavia

 
   
 
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