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Autore: Robin03    11/05/2018    1 recensioni
La Llorona è forse la leggenda più conosciuta del Messico. Una storia affascinante che mi ha colpito per la sua drammaticità, così ho provato a immaginare come sarebbe raccontata dalla Llorona stessa.
"Non cercherò di farvi provare pietà per me, non la merito, l'unico sentimento che le persone, io prima tra tutti, provano per me è il disgusto. Questo, e la paura."
Genere: Horror, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tanti anni fa, un tempo che per me sembra come il più remoto, il mio nome era Izel. Ma ora il mondo mi conosce come la Llorona, “la donna che piange”. Non cercherò di farvi provare pietà per me,non la merito, l'unico sentimento che le persone, io prima tra tutti, provano per me è il disgusto. Questo,e la paura.



La mia storia inizia e finisce sulle rive del lago di Texcoco. Stavo lavando le mie vesti,quando a un tratto lo udì. Un canto meraviglioso, come non lo avevo mai sentito prima. Non capivo le parole,ma una voce così soave doveva per forza star dicendo le frasi più dolci mai pensate. Era accompagnato da un lieve pizzicore di corde, leggero e deciso. Credevo fosse Xochipilli, il dio dell'amore. Forse le leggende che raccontavano le anziane erano vere,ed era venuto a prendermi come moglie. Me, la figlia di un agricoltore,destinata ad essere schiava...era semplicemente folle! Quando lo vidi, non potei che essere più sicura fosse il dio. Non era soltanto l'uomo più bello avessi mai visto. Prima dall'ora non credevo nemmeno potesse esistere una simile bellezza. Sentii i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi dello stesso colore delle libellule, su di me per un tempo infinito. Erano in molti al villaggio a dire che ero bella,alcuni osavano dire “la più bella donna mai esistita”,e già alcuni mi avevano chiesto in moglie. Ma non mi ero mai sentita veramente così fin quando lui non mi guardò. E sorrise. Quella notte, al suono di grilli e illuminati dalla grande luna, non ci scambiammo nemmeno una parola.
Era da incoscienti, avrebbero potuto bruciarmi per quello che stavo facendo, non sarei mai più potuta diventare una sacerdotessa e nemmeno ricevere l'onore di essere sacrificata agli dei, ma non mi importava. Molti di voi penseranno che siamo stati guidati entrambi dalla pura lussuria.
A volte vorrei fosse stato così semplice. I momenti passati con Ramiro durarono ben oltre una notte,passammo anni assieme. La cosa che più mi riempie il cuore di tristezza è sapere che lui mi amò per un po' di tempo. Mi amò veramente. Imparai un po' della sua lingua, scoprii che veniva dalla Spagna, mi raccontò tutta la sua vita, mi dedicò le più dolci canzoni che avessi mai ascoltato. In poco tempo ero madre di due figli. Juan e Maria.
Identici, con gli stessi occhi di libellula del padre e i miei capelli neri e ricci. Quando nacquero, sia io che Ramiro piangemmo per la gioia. Credo sia inutile cercare di mettere su carta ciò che prova una donna quando diventa madre. È semplicemente un qualcosa che si deve provare per capirlo. Le uniche riduttive parole che mi vengono i mente sono che sono loro la tua unica ragione di vita.
Io oramai non avevo più casa, vi fu quella che passò alla storia come la conquista del Messico, e io ero una traditrice agli occhi della patria per amare uno spagnolo. Immagino fosse lo stesso per lui. Ramiro e altri spagnoli se ne andavano e tornavano, e ogni volta mi lasciava con la promessa di sposarci. Mi aveva spiegato quanto importante fosse per lui che la madre dei suoi figli fosse la sua sposa. Disse che ciò serviva a rendere puri i nostri bambini.
Io lo attendevo felice insieme a Juan e Maria, e il solo stare con loro e il vederli crescere mi faceva quasi dimenticare dell'assenza di Ramiro. Ma a ogni viaggio sentivo che mancava qualcosa. Come se a poco a poco si togliessero dei pezzi da un mosaico,rovinandolo per sempre.
Oramai i suoi occhi non mi guardavano più. Le sue mani mi scansavano. Non nominava più neanche lontanamente la sua promessa di matrimonio. Quando parlavo, era come se a parlare fosse stato un soffio del vento.
Ma non per loro. Per Juan e Maria, c'era sempre. Come li abbracciava, come li baciava sulle loro testoline, come li sollevava in aria dichiarando di star combattendo per loro. E loro, come lo amavano. Sembravano avere atteso quei giorni col lui per tutta la loro breve vita.
Questo mi faceva sentire...qualcosa. Un sentimento così ambiguo, così sporco, da farmi stare alzata la notte con le mani sulla faccia, a farmi urlare come un indemoniata a quei poveri angeli senza ragione...non credo esista una parola per descriverlo. Fu come se tutte le mie certezze si frantumassero in un istante,lasciandomi in bilico su in precipizio di follia. Tutto quello che sapevo per certo era che volevo che quell'amore tra padre e figli finisse.
E poi, venne quella sera. Era autunno, c'era una grande luna piena. Mentre preparavo da mangiare, tagliando carote e cipolle, sentivo le risate dei miei bambini unite a quelle profonde di Ramiro. “Finitela, finitela” pensai perennemente a ogni colpo di coltello. Poi, per la prima volta da mesi, Ramiro mi parlò, dopo avermi preso in disparte. Ma oramai la sua voce melodiosa era scomparsa, sostituita per sempre da un tono duro come la pietra, imperativo. I suoi occhi non mi incrociavano. Poche parole, che mi arrivarono addosso come frecce. -Presto sposerò una delle donne più nobili e belle di Spagna. Domani mattina, all'alba, porterò Juan e Maria con me, e non ci rivedrai mai più. Arrivato a Madrid cercherò di farli legittimare e battezzare e dirò che li ho avuti da una prostituta del luogo. Credevo solo fosse giusto che tu lo sapessi. Hai un'ultima notte per dirgli addio.-
Io mi limitai ad annuire. Non so perché non provai nemmeno a reagire. Se è per questo, non so il perché di molte azioni di quella sera. Un tempo, ripensando a quella sera, cercavo di trovare delle scusanti, dicendo che mi sentivo come posseduta, come se guardassi le mie azioni in terza persona... ma in realtà ero lucidissima. La mia testa era leggera, e ciò che facevo mi sembrava la cosa più naturale e logica del mondo.
Presi un lungo vestito bianco. Ramiro aveva detto che era così che le donne andavano all'altare, vestite di bianco. Juan e Maria stavano già dormendo, ma li svegliai. All'inizio protestarono, ma si calmarono subito dopo la mia promessa di portarli in un bel posto. Faceva freddo, così tenevo Maria stretta tra le mie braccia per riscaldarla. Aveva un così buon odore, di primule. “Mamma, siamo arrivati?” chiedevano in continuazione, ma raramente rispondevo,se non con brevi cenni con la testa.
E poi, ecco lì il lago di Texcoco. Non so perché, ma iniziai a cantare la stessa melodia che Ramiro mi intonò anni prima. “Canti molto bene, mamma” mi disse Juan sorridendo. “Sono sicura che tu sei capace di meglio” gli dissi. Dopotutto era il figlio di Ramiro. “ È questo il posto speciale?” chiese poi e io annuii.
Misi Maria e Juan vicino alla riva, e iniziai a giocare coi loro capelli. Sapevo che avevano paura, lo vedevo da come si stringevano le mani tra di loro. Chissà cosa gli aveva raccontato il padre su di me, pur di rendergli dolce il viaggio. Può darsi che parlammo per qualche minuto, o qualche ora, ma tutto ciò che accadde nel mezzo mi è completamente rimasto oscuro, come ovattato. Ho solo qualche vago ricordo di uno dei due chiedermi riguardo alla partenza del giorno dopo. Come ho già detto, ciò che feci mi parve come una cosa naturale e logica. Come se fossi stata assetata e avessi bevuto dell'acqua, non c'è bisogno che spieghi le motivazioni. È semplicemente naturale. Presi la testa di Juan in mano, afferrandola bene con le dita.
Tutto l'amore che lui gli dava...spettava a me! E loro, come potevano preferire quel bugiardo a me, che li avevo cresciuti sin dal primo giorno, e abbandonarmi? Li odiavo, quei parassiti, che si prendevano senza alcun merito tutto ciò per cui avevo lottato, per cui avevo sacrificato tutto. E quell'infame,che se ne andava solo per aver trovato altra compagnia. E per un fatale istante,capii cosa fare per rovinare la vita di Ramiro e vendicarmi.
Lanciai la testa con forza nel lago. Il suo piccolo corpo si contorceva, cercava di liberarsi invano. Anche se era la riva,era comunque profondo. Le urla di Maria ruppero il clima sorprendentemente silenzioso di poco prima. Mollai per qualche secondo la presa sulla testa di Juan e diedi uno schiaffo in faccia a Maria. Sono sicura che rimase stordita per qualche istante, ma intanto l'avevo già presa per i capelli e tirata nell'acqua, mentre Juan cercava di invano di nuotare. Doveva essere molto fredda e così al buio, se fossero andati a fondo non avrebbero mai saputo dire dove fosse la superficie. Sentivano l'aria a poco a poco mancare e al suo posto i polmoni erano invasi dall'acqua scura, ma io continuavo a premere le loro testoline. Oramai ero meno di una bestia, urlavo e ridevo contemporaneamente mentre li sentivo morire. Poi tolsi d'improvviso le mani e feci un balzo indietro. Restavano là, a galleggiare a faccia in giù. Lì rigirai col piede e vidi come la loro bella pelle olivastra era ormai diafana come la luna piena che bagnava il lago, i loro occhi erano all'infuori e avevano sangue alla bocca che scorreva veloce verso il lago.
Ancora ridendo, una risata atroce,ripensai alle parole di Ramiro. “Hai un'ultima notte per dirgli addio”. -E adesso chi è che non li rivedrà mai più, mi amor?-
Ma poi mi svegliai come da un brutto sogno. Guardai i corpi, non più come trofei. I miei figli...i miei bambini.
Prima, ci fu il silenzio assoluto. Poi, urlai. Urlai come non avevo mai urlato prima d'ora. Urlai come se fosse l'ultima cosa che mi restasse da fare. Le lacrime uscirono violentemente,quasi da farmi male. Mi passai le mani sulla faccia per vergogna e per non vedere i cadaveri. Mi passai le unghie sul viso, strappai le mie carni in preda al dolore. Mi lanciai verso i loro cadaveri. Una vana speranza albergava dentro di me, così li tirai fuori dall'acqua e li strinsi tra le mie braccia, urlando come non mai, un urlo che squarciava la notte.
“MIS HIJOS!!! MIS HIJOS!!”
Non ho idea di quante volte lo ripetei, tra le mie infinite lacrime che scendevano veloci sui visi di Juan e Maria, insieme al sangue. Come...come potevo essere stata io a farlo? I miei figli così belli...così innocenti. No,no,non erano morti...non potevano...non posso...
Come ho già detto, non sto cercando di farvi provare pietà per me. Nemmeno io la provai. Mi aggrappai a quel briciolo di umanità che ancora avevo e posai i loro corpi in acqua di nuovo. Li vidi galleggiare e allontanarsi. Tutto ciò che volevo era raggiungerli...morire nel loro stesso modo. E nemmeno questa effimera consolazione era concessa per un mostro come me. Certo, morii annegata, il mio corpo venne ritrovato l'indomani poco distante da quello di Juan. Ma la mia condanna, il mio inferno, fu che la mia anima non se ne andò mai.
Ora, i miei capelli corvini e ricci sono perennemente bagnati,mi coprono fino alla fine del mio abito bianco e ospitano talvolta grilli o lucciole. Il mio viso è ormai ridotto a una maschera fatta di ossa e sangue. I miei occhi,due luci bianche in cavità buie, che piangono disperati. Ogni giorno, ogni momento dal quella dannata notte, tutto ciò che possono fare è lasciar cadere interminabili lacrime, che però non saranno mai abbastanza.


La mia storia non avrà mai fine, non ci sarà misericordia nei miei confronti. Tutto ciò che posso fare è vagare per i boschi,le montagne e i laghi del Messico, nel mio eterno piangere, mentre faccio raggelare il sangue di chi mi vede. Vago nell'illusione che forse sia io che i miei figli abbiamo avuti lo stesso fato e che per tutti questi secoli loro mi stiano aspettando da qualche parte, per perdonarmi.
Proprio ora, come ho fatto tante altre volte, sto guardando dentro a una finestra. Due fratelli,uno nel letto e l'altra nella culla, che dormono beati. Juan e Maria sembravano quasi dormire nel lago. I due bambini nella stanza somigliano tanto a loro. Spesso mi limito ad accarezzargli la testa, a giocare coi loro capelli e a conservare le loro ciocche, bagnandoli lievemente con le mie lacrime.
Però,a volte credo proprio che la pazzia che mi colpì quella sera persista anche ora. Perché mentre li guardo dormire così innocenti, d'un tratto ridivento il mostro di quella sera... e tutto ciò che voglio fare è vederli morire, punirli perché non sono i miei bambini. Punirli per avermi usata come mostro, per avere paura di me. Ucciderli per far provare ai genitori un assaggio del dolore che ho provato. Non è la prima volta che ragiono così, so come fare. Quindi semplicemente avvicino la mia bocca alle orecchie dei bambini e accarezzando la guancia sussurro “Dove sono i miei figli?”
Tanto basta per farli morire.
   
 
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