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Autore: Monkey_D_Alyce    11/05/2018    0 recensioni
Sherlock Holmes: consulente investigativo, sposato col lavoro, amico dell'unica (forse) persona che riuscisse a sopportarlo senza scannarlo a suon di pugni per ogni sua deduzione assolutamente precisa e... padre.
Bisogna dire, però, che quest'ultimo "fatto" non era stato programmato.
A dire il vero, lui non sapeva nemmeno di avere una figlia!
Quella ragazza gli aveva semplicemente scaricato un fagotto, avvolto da una coperta, tra le braccia e se ne era andata, dicendo solamente: "Voglio che ti assuma le tue responsabilità!".
Come se salvare le persone da assassini e ceffi della peggior specie fosse una passeggiata... anche se si stava pur sempre parlando di Sherlock Holmes.
Essere padre sarebbe stata la stessa cosa?
LA STORIA E' VISIBILE ANCHE SU WATTPAD
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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6. Di mondi fantastici e promesse sussurrate
 

 
Mille e più goccioline s’inseguivano allegre lungo il vetro della finestra della classe con il cielo bigio e piangente a fargli da sfondo mentre una voce lontana e petulante consentiva alla piccola Callie di viaggiare con la mente in posti incontaminati e magici assieme ai suoi genitori.
Sospirò per l’ennesima volta dalla noia, lo sguardo trasognato e perso nei propri pensieri… fino a quando una mano inanellata non sbatté prepotentemente sul piccolo banco, facendola sobbalzare dallo spavento.
 
“Signorina Holmes”- la richiamò all’attenzione quell’arpia di maestra dal volto consumato dalla vecchiaia o dalle, forse, troppe sottrazioni matematiche- “E’ così interessante il tempo, oggi?”.
La bambina abbassò lo sguardo lievemente imbarazzata mentre i suoi compagni se la ridevano sotto i baffi, aumentando a dismisura la vergogna.
Cosa ci poteva fare se non le piaceva affatto la matematica? Certo, se la cavava egregiamente, ma sapeva benissimo che non era la materia che le interessava: lei voleva viaggiare per il mondo, studiare le lingue delle varie culture e conoscerle, scrivere! Non fare della matematica!
“Ma… Signora Greymoore! Guardi lassù, quel piccola luce in mezzo a tutte quelle nuvole nere! Forse è un portale verso un'altra dimensione!” esclamò alzando di scatto la testa per spiegarle la sua teoria, facendo alzare un sopracciglio dallo scetticismo alla maestra senza fantasia.
“E sentiamo… cosa ci sarebbe in questa altra dimensione?” le domandò quella mimando le virgolette per le ultime due parole, mentre tutti gli altri attendevano la risposta in un silenzio carico d’aspettativa.
“Quello che vuole! Draghi… angeli, dei… o un mondo parallelo! Forse c’è una me che combatte contro il crimine!” ipotizzò lei guardando estasiata quel piccolo spiraglio di luce che stava lentamente svanendo, facendo ripiombare Londra sotto il nero del maltempo.
Tutti cominciarono a ridere di gusto e a prenderla in giro, affermando in modo convinto che non poteva esistere nulla di simile se non nelle troppe fiabe che leggeva, mentre l’anziana donna sospirava affranta per poi ritornare verso la propria cattedra e mettere a posto i libri di matematica, uscendo dalla classe quando la campanella annunciò la ricreazione.
 
La riccioluta prese la sua merendina e un foglio di carta e penna per disegnare il suo mondo fantastico per poi sentire lo sguardo di qualcuno puntato sulla sua minuta figura.
Alzò gli occhi e si trovò difronte alla bambina più bella della classe che la guardava con altezzosità assieme alle sue seguaci che ridacchiavano malevole.
Callie deglutì a vuoto un paio di volte, abbassando lo sguardo innervosita: perché non riusciva a essere distaccata come il padre? O coraggioso come il suo soldato?
Ogni volta che qualcuno le diceva qualcosa di male le veniva il magone difficile da cacciare indietro, per poi piangere quando era sola.
A volte sognava di essere come il suo fidato Bumblebee: di metallo.
“Che cosa vuoi, Dana?” domandò riportando lo sguardo su di lei mentre quella sbuffava divertita.
“Tu sei proprio strana” dichiarò senza tanti giri di parole, lasciandola basita. Perché dire una cosa simile?
“Non capisco…”
“Massì, guardati! Sei sempre nel tuo mondo impossibile e poi quella massa di capelli! Sembra un labirinto! Vero, ragazze? E poi i tuoi genitori! Siete tutti strani!” sbottò quella con cattiveria mentre le altre annuivano convinte, lasciandola ancora più perplessa, mentre un’ondata di rabbia le invadeva la mente come un toro che si vede davanti un mantello rosso sangue.
“Che cos’hanno i miei genitori? Sono persone normalissime, mi vogliono bene!” li difese a spada tratta alzandosi di scatto, protendendosi verso quella bambina impertinente che nel frattempo aveva indietreggiato nemmeno avesse davanti la Morte Nera.
“Oh, non lo metto in dubbio! Ma perché tu non hai una madre? Sei stata adottata, per caso? È morta?” chiese quella con fare ovvio, facendola innervosire ancora di più.
Nessuno poteva mettere in dubbio la sua provenienza, tantomeno che fosse la figlia del Grande Sherlock Holmes. Adottata un corno!
“Non credo te ne importi, Dana! Lascia stare i miei genitori, chiaro?!?” gridò infuriata spaventando un poco le altre bambine.
Ma quella scorbutica di Dana, con i suoi biondissimi capelli da principessa, sembrava non voler demordere.
“Non è normale avere una famiglia con due papà! Tu sei figlia di nessuno! È per questo che tu sei così diversa!” cantilenò posando le sue manine sui fianchi e sporgendosi un poco in avanti.
Peccato che non avesse tenuto conto che Callie, quando parlavano male dei suoi genitori, s’infuriasse come un piccolo leone.
Scavalcò il tavolo senza troppe difficoltà e si gettò addosso a quella smorfiosa tirandole i capelli con quanta forza poté, facendola gridare dal dolore mentre le altre bambine avevano cominciato a urlare terrorizzate e i maschi incitavano la riccioluta battendo i piedini per terra.
A volte i bambini sanno essere davvero crudeli, anche se puri d’animo.
 
“Sei solo una stupida viziata!” le gridò contro la piccola Holmes tirandole due schiaffi in faccia provocando il piagnisteo dell’altra.
Non fece in tempo a rifilargliene un altro che l’inserviente la tirò via di peso per un polso, portandola fuori dalla classe con forza, mentre gli insegnanti aiutavano la piccola principessa.
 
§§§
 
Callie era seduta sul piccolo sofà del salotto con le manine in mezzo alle gambe a fissare i suoi genitori stare in totale silenzio davanti a lei, mentre John, il più delle volte, si asciugava le mani sudate sui pantaloni e poi si alzava e camminava per un po’ nella stanza tornando successivamente a sedersi. Sembrava caduto in un loop.
Sherlock, dal canto suo, la guardava dritto negli occhi, studiandola a fondo.
La bambina non si pentiva di nulla di ciò che aveva fatto: per lei era stata legittima difesa, anche se avrebbe realmente capito più tardi quel significato, ma al momento le andava più che bene usarlo per difendere la sua famiglia.
 
“Senti, Callie… perché hai picchiato quella bambina?” domandò Watson con tono nervoso, richiamando la sua attenzione.
“Mi ha dato della strana, così come ha offeso voi” rispose per nulla toccata.
Callie sapeva benissimo che la sua famiglia era particolare, ma non le importava minimamente: quello che contava è che le volessero bene, così come lei voleva un bene dell’anima a loro due.
C’era solo una cosa che ancora non capiva e che quella bambina saccente e stupida aveva riportato alla luce nella sua mente dopo quasi un anno che non ci pensava…
 
“Non mi sembra che noi due ti abbiamo insegnato a picchiare le persone solo per un’offesa! Siamo in un mondo civile, Callie! Si discute, ma non si passa alle mani!” la rimproverò John duramente, lasciando sconvolta la bambina.
Lei li aveva solamente difesi! Perché l’attaccava a quel modo?
“Non lo trovo affatto giusto! Quella stronza se l’è meritato!” sbottò con linguaggio colorito, facendo sbiancare John dalla sorpresa che si riprese subito.
“Modera i termini, ragazzina! Non accetto simili parole da te, chiaro?!? Tu non dovevi picchiarla, fine della questione! Che se lo sia meritato o meno! Sherlock, dille qualcosa anche tu!” sbraitò irato cercando dal trattenersi dallo sbattere i pugni contro la parete.
“Come? Oh, sì, certo… hai ragione!” esclamò il riccioluto alzandosi di scatto dalla poltrona su cui era comodamente seduto andando in cucina a trafficare con Dio solo sapeva cosa.
John allargò lievemente le braccia e scosse la testa un paio di volte, non credendo assolutamente a quella scena che si era venuta a creare: era indeciso se ridere dalla rabbia o semplicemente mandare al diavolo tutto e tutti e andarsene a fare un giro per calmare i nervi.
Voleva un mondo di bene alla piccola, ma non sopportava l’idea che a otto anni picchiasse le persone per un’offesa!
Dove sarebbe arrivata con quel comportamento? Avrebbe ammazzato qualcuno per la stupidità e la crudeltà altrui?
Per non parlare di suo padre! Di sicuro non aveva ascoltato una singola parola di quello che avevano detto!
 
“Tu non stavi ascoltando!” lo rimbrottò seguendolo nel cucinino guadagnandosi un’occhiata talmente eloquente che lo fece sbuffare dal nervoso.
Si portò le mani alle tempie e chiuse fortemente gli occhi come a voler scacciare via i problemi, ma la voce tremula della bambina lo riportò alla realtà, così come guadagnò l’attenzione del consulente investigativo.
 
“Dov’è la mamma?” domandò con lo sguardo puntato costantemente sul pavimento, mentre due lacrimoni spuntavano agli angoli degli occhi, pronti a dare inizio a una potente crisi di pianto.
I due uomini si guardarono a vicenda per alcuni attimi, per poi avvicinarsi e sedersi accanto alla pargola, tenendo lei nel mezzo.
Un’altra cosa che la bambina non capiva era perché John e Sherlock non stessero insieme, provocando in lei una grande tristezza.
A volte, raramente, le era capitato di pensare che John la considerasse una figlia più per obbligo che per amor suo ma, d’altro canto, non poteva essere così bravo a mentire.
 
“Ascoltami bene, Callie… noi non sappiamo minimamente dove sia la mamma, ma tu sappi che le ti vuole bene, a modo suo…” spiegò Sherlock con enorme difficoltà, trattenendo due o tre insulti nei confronti di quella donna che l’aveva abbandonata.
Da una parte era contento che lui non avesse compiuto lo stesso gesto e, di questo, doveva ringraziare John e Mrs. Hudson.
“Se mi voleva bene veramente non mi avrebbe mai abbandonata! I-Io ho picchiato… quella… perché vi voglio bene e nessuno deve toccare la mia famiglia… nemmeno a parole” soffiò alzandosi dal divano e cominciando a piangere a dirotto, stringendo convulsamente i pugni, mentre violenti singhiozzi le scuotevano il corpicino nemmeno fosse in preda a un qualche brutto incantesimo di tortura.
Sherlock fissò stralunato la sua schiena non capendo bene perché tutti quei sentimenti contrastanti di rabbia e tristezza, sentendosi un poco in colpa per il fatto di non essere un padre empatico come John.
Il medico, dal canto suo, sospirò pesantemente e s’inginocchiò vicino a lei, facendola voltare e abbracciandola di slancio, accarezzando la sua testolina riccioluta mentre sfogava la sua disperazione.
Holmes osservò la scena e ne studiò i particolari, soffermandosi sul volto semi nascosto dell’ex soldato: sembrava stesse combattendo l’ennesima guerra.
Chissà a cosa pensava.
Non lo avrebbe mai capito, ma fu più che certo che quello era uno dei tantissimi aspetti che gli piaceva di John, anche se non glielo avrebbe mai confessato per paura di perderlo.
Solo ora si rendeva conto di quante cose dovesse ancora imparare.
 
Si alzò di scatto e raggiunse le sue due persone più importanti abbassandosi a dare un vaporoso bacio sulla nuca di Callie, toccando inavvertitamente la mano dell’altro uomo, ma non la ritrasse, beandosi del suo calore.
“Sei una bravissima guerriera” le mormorò all’orecchio con estrema sincerità, per poi allontanarsi e proseguire nel suo caso.
 
Nessuno vi farà mai del male finché avrò fiato in corpo. Fosse l’ultima cosa che faccio” pensò infine rimettendosi al lavoro mentre, dall’altra parte, John pensava la stessa, medesima cosa.
  
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