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Autore: Tony Stark    12/05/2018    2 recensioni
Con la giusta musica puoi dimenticare tutto o ricordare tutto; Austria, Austria ricordava
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mein Gott

 
Austria si stava rilassando, leggendo un libro, ‘Le voci del mondo’ recitava scritto sulla copertina, con poco sopra il nome dell’autore ‘Robert Schneider’. Il salotto scaldato dal tepore del fuoco che bruciava nel camino, le lingue di fuoco che divoravano i ceppi posti all’interno e illuminavano con una leggera luce arancia i contorni delle cesellature nel camino, facendo brillare la pietra dura bianca come una gemma, e illuminando la sala con un morbido chiaroscuro che pareva essere stato dipinto da un pittore italiano rinascimentale.
Gli occhi violetti di Austria si muovevano con calma fra le righe stampate, mentre si perdeva in quella storia che aveva il gusto di una favola gotica, narrata per suoni. Immaginava ciò che leggeva, perdendosi fra le parole leggiadre a tal punto da dimenticare il tea, scuro, un tea nero dalla morbida fragranza ma dal sapore deciso che riempiva un’elegante tazzina di porcellana dai bordi ondulati come i drappeggi di un abito e l’orlo decorato d’oro.
Cambiò pagina, le dita guantate di bianco che parevano accarezzare l’angolo della pagina mentre la voltavano.


E poi lo sentì, il suo pianoforte. Qualcuno, che non era lui e che non aveva il suo permesso, che ammetteva non avrebbe mai dato, aveva avuto l’audacia di suonarlo.
Chiuse il libro, posandolo sul tavolino di fianco alla tazzina, il suo sguardo che indugiava un po’ sul tea ora freddo.
E poi si avviò verso la sala della musica, il passo deciso, ma lento e aristocratico.
Ma mentre ascoltava quelle note, veloci, affrettate ma che raccontavano una storia di rabbia e solitudine, rallentò ancora, ascoltando la melodia.
Chiedendosi chi potesse suonare con tanta maestria il suo pianoforte, producendo un suono che l’austriaco trovava meraviglioso, non di certo paragonabile ai compositori classici, ma molto vicino per emozioni suscitate.
Si avvicino con discrezione all’ingresso, sbirciando appena dall’uscio. Rimanendo sorpreso da chi vide.
Prussia.
L’albino non lo aveva sentito, gli occhi color sangue chiusi mentre le sue dita correvano fra i tasti con una delicatezza e una maestria che nessuno si sarebbe mai aspettato dall’ex-soldato.
Lo sgabello del pianoforte dietro di lui, inutilizzato, mentre l’albino in divisa rimaneva in piedi come un soldato in riga, ma con le spalle rilassate. Con la velocità praticata di un esperto pianista suonava. Cambiando il registro del piano con un solo movimento, pressando, se pur con rapidità, gentilmente il pedale di sinistra.
Austria lo guardava meravigliato, mentre d’improvviso alla memoria gli sovvenivano ricordi che aveva dimenticato.
Prussia che gli spiegava, con calma e un tono delicato che credeva non fosse mai stato capace di produrre, come suonare il piano, quali tasti premere, come muoversi fra i vari registri, quale pressione fare su quali pedali e come per ottenere il suono che voleva.
Quegli occhi color sangue che lo osservavano con gentilezza, una gentilezza che dopo non gli avrebbe più riservato.
Ricordava di Prussia seduto al suo fianco, suonando una parte della canzone che aveva composto, mentre lui suonava l’altra. La sensazione di averlo così vicino, sia fisicamente che emotivamente. Mentre si perdevano nella musica, diventando uno. Due cuori che battevano come uno, due anime che vibravano alla stessa frequenza.


Guardando Prussia suonare, Austria si chiese come avesse potuto dimenticare.


E poi l’albino iniziò a cantare, il tono duro che Austria si era aspettato però non fu quello che lasciò le sue labbra. Era si forte nel suo accento, ma il tono era morbido come quello che Austria solo ora ricordava.

 
Jemand verlangt nach mir,
Nach mir; da wird verlangt.
Ach, überlasse es ruhig mir.
Aha, nur mir! Nur mir!
Vom Osten, bis zum Westen,
Glaub mir, werde ich rennen.
Wenn du magst, tätschle ich dich, noch tja,
wenn du nur noch,
Kämpfen kannst:
Musst du es dann auch tun!

 
Cantava il prussiano troppo perso nella sua musica per sentire i passi dell’austriaco.
Che rimase in silenzio ascoltando, una mano guantata posata sul petto, l’altra stesa.
Quando la canzone finì, solo allora Austria rese il prussiano partecipe della sua presenza.
«Osterreich! Che, che diavolo ci fai li?!» ed eccolo che quel tono morbido era scomparso dalla voce del prussiano.
«Sono qui perché, non so se lo hai scordato, questa è casa mia Preußen»
«Sì, beh, Roddie forse dovresti chiudere meglio la porta»
«Che ci fai qui, Gilbert?» chiese, fingendo solo per un istante di non aver udito quella musica, di non aver visto Gilbert suonare con una maestria che superava persino la sua.
«Oh, niente. Stavo venendo a controllare se la mia nemesi stava bene» rispose il prussiano.
«Oh? Davvero? Ti ho sentito suonare, Gilbert»
Il prussiano lo guardò, quegli occhi color sangue che si ghiacciavano.
«Quanto hai sentito Osterreich?» la sua voce era gelida, Austria si sentì quasi in pericolo.
«Perché ti importa?»
«Quanto hai sentito, Roderich?!»; Austria fece un passo indietro a quel tono.
«Tutto, ti ho ascoltato dall’inizio» rispose, non sentendosi particolarmente coraggioso da sfidare l’ ex-nazione. Prussia ringhiò e Austria pensò che stesse per ucciderlo, chiedendosi perché.
Ma poi quei ricordi gli sovvennero alla mente.
«Ricordo Gilbert »disse«Ora ricordo tutto»
Lo sguardo del prussiano si addolcì così come la sua voce.
«Da...Davvero?» chiese, incredulo… speranzoso.
Austria annuì e allora Prussia lo strinse fra le sue braccia, in un abbraccio che era allo stesso tempo delicato come lo sguardo fragile nei suoi occhi, ma forte come se non volesse più lasciarlo andare. «Roderich, oh Gott, Roderich, non sai quanto ho aspettato di sentirtelo dire» mormorò il prussiano contro il suo colletto blu scuro.
L’austriaco non ne fu disturbato come pensava. Strinse a sua volta, seppur esitando, il prussiano. Accarezzandogli la schiena con movimenti circolari e lenti, per tranquillizzarlo, mentre lo sentiva iniziare a singhiozzare.
Austria era confuso, come potevano quei ricordi significare tanto.
«Ich liebe dich, Osterreich.» singhiozzò piano il prussiano, la sua voce che pronunciava quelle parole con la stessa morbidezza del battito d’ala di una farfalla.
E Austria ricordava. Ricordava baci scambiati al lume di candela, ricordava sorrisi nascosti, ricordava la gioia che provava nel vedere Gilbert sano e salvo dopo una battaglia, ricordava il suo perdersi negli occhi di sangue del suo albino.
Ricordava ora.
Nascose il viso anche lui, le lacrime silenziose che lasciavano i suoi occhi raccogliendosi sulla montatura sottile.
«Ich liebe dich auch, Gilbert» soffiò. Quasi non credendo che quelle fossero le sue parole.
Ma ora ricordava, ora ricordava e aveva secoli da recuperare col suo amato prussiano.
   
 
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