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Autore: Hitsuki    12/05/2018    1 recensioni
Tanto tutto ti porterà alla croce in giardino, dove la canzone di Lacie è la preghiera. L'origine abbraccia la fine nello stesso luogo, in tempi diversi. Oz non voleva ricordare di non essere Jack. 
[ jack, lacie, oswald + oz ]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Glen Baskerville, Jack Vessalius, Lacie Baskerville, Oswald Baskerville, Oz Vessalius
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ascolta, poi dimentica

*

 
Conosci una ragazza in mezzo ad una pioggia di sangue; lì la vedi. La senti, come acqua sulla pelle. Ogni rumore fa parte di una composizione che lei sarebbe capace di distruggere. Ogni rumore è per te insopportabile: non riesci a capirne il suono. Ma è davanti a tuoi occhi: la vedi, dunque la senti. Senti Lacie con forza, come il gelo ai tuoi piedi. Eppure adesso tutto è tiepido. Tutto è vivo, come il sangue.
 
Oz continuava a far oscillare il bicchiere che teneva in mano. Si era alzato nel bel mezzo della notte per bere un po' d'acqua, ma rimaneva immobile, senza bere. La testa gli girava, come se fosse contenuta nel bicchiere; i pensieri si dissolvevano all'istante. Sentiva solo il mal di testa, il bicchiere in mano ed il silenzio che aveva assalito la casa. Improvvisamente udì della musica, ma la testa gli faceva così male che ogni singolo suono era un rumore. Finalmente si decise a bere l'acqua, mandandola giù tutta in un colpo; si pulì la bocca senza accorgersi di aver fatto cadere qualche goccia sul pavimento. La musica era cessata. Quale musica? Ricordava solo un rumore doloroso. E in un attimo anche quel pensiero si sciolse nell'acqua. E il bicchiere cadde a terra, riducendosi ad un grumo frantumato.
   Oz cercò con gli occhi la fonte del rumore, ma era come se il bicchiere non esistesse – lo vedeva, ma non lo ricollegava al rumore. Sembrava che, di fronte a quel rumore, Oz fosse stato sostituito da un altro Oz; un istante in cui Oz si imprimeva nel tempo, fermo. 
 
Tutti si mettono in mezzo fra te e Lacie. Una città è un ostacolo. Il tuo amico ti volta le spalle. Lacie e Glen vedono il mondo con gli stessi occhi: filtrano la vita attraverso macchie dorate. È crudele il modo in cui Glen tratta Lacie. Glen vuole ricordarla, ma tu non vuoi vederla scomparire. Lacie davanti a te è qualcosa di necessario. Se Lacie non può vivere, non puoi vivere neppure tu. Non possono vivere neppure gli altri.
 
Oz si toccò il petto alla ricerca di qualcosa. Tentò di scavare di più in quei ricordi, senza sentirli suoi. Anche se li viveva, la sua carne non apparteneva a lui; si sentiva senza identità, aveva paura di perdersi. Tanto tutto ti porterà alla croce in giardino, dove la canzone di Lacie è la preghiera. L'origine abbraccia la fine nello stesso luogo, in tempi diversi. Oz non voleva ricordare di non essere Jack. 
   Chiuse la finestra e la nascose con la tenda. Il bicchiere d'acqua non era servito; neppure la boccata d'aria. Stava per coricarsi a letto ma realizzò di non aver chiuso la porta. Sfiorò la maniglia e poi esitò nel vedere l'ampio corridoio immerso nel buio.
   Da piccolo amava perlustrare il palazzo; lo faceva sentire indipendente, così come quando si infiltrava in cucina. Non aveva bisogno di nessuno per potersi arrampicare sugli alberi, anche se piangeva quando cadeva. Nella sua fantasia di bambino, il palazzo mutava in forme e dimensioni, a seconda del suo umore; gli angoli che usava per nascondersi gli sembravano immensi. Si divertiva a scivolare lungo lo scorrimano delle scale, tastava i libri della biblioteca sperando in un passaggio segreto. Una volta fece per uscire dalla sua camera per correre nei corridoi, ma improvvisamente gli venne un nodo alla gola che esplose in un pianto; un ricordo che aveva dimenticato da tempo, ma che ora riaffiorava, nel vedere il corridoio inanimato.
 
Jack era il figlio rinnegato che incontrò la famiglia di rinnegati. I Baskerville erano distaccati, eppure gli sembravano accoglienti. Animavano i corridoi solenni, discutevano di cose che lui non conosceva, si rifugiavano in giardino. Erano sempre all'ombra, sotto le fronde degli alberi; più vicini a uno stato astratto piuttosto che solido.
   «Oswald, ci sei?».
   «Sì, perché?».
   Jack scoppiò a ridere, sdraiandosi sull'erba. I piedi toccavano il tronco dell'albero, mentre la testa era rivolta verso il sole, lontana dall'ombra delle foglie. Dal lato opposto del tronco, Oswald poggiava la schiena sulla corteccia, le braccia incrociate sul petto; era raro vederlo così rilassato, anche se la rigidezza lo accompagnava sempre. 
   «È da un quarto d'ora che te ne stai in silenzio senza rispondere alla mia domanda» disse Jack, giocando con un foglia che gli era caduta fra i capelli.
   «Quale domanda?»
   «Mi chiedevo com'è vivere da Baskerville. Com'è essere così vicini ad Abyss…»
   Oswald prese aria nel petto ma al posto di rispondere lanciò un sospiro. Poi di nuovo si bloccò proprio quando stava per parlare. «… Non saprei cosa dirti. Sono un Baskerville, quindi per me è normale». 
   «È vero che vedete delle chiazze dorate?».
   «Sì. La luce è sempre attorno alle cose. Il potere di Abyss è sempre presente, ma va usato con cautela. È un grande peso, ma è come se qualcuno mi guidasse».
   Jack smise di giocare con la foglia, allungando la mano verso l'alto. Il sole picchiava sul suo palmo, e fra le sue dita colava l'oro dei raggi. «È una cosa proprio particolare».
   «A me sembri più particolare tu». Oswald si alzò lentamente. «La tua calma mi fa impressione». Si passò una mano sul mantello sporco d'erba.
   Jack rise. «La pensi ancora così?». Di malavoglia, anche lui si alzò. «Sto cominciando a pensare che tu abbia ragione».
   Un breve silenzio cessò nel momento in cui comparse una macchia scura in lontananza. A mano a mano che la figura si avvicinava, il nero dei suoi vestiti andava a definirsi in pieghe e merletti in movimento. Neri come i vestiti erano i capelli sciolti.
   Oswald osservò la sorella corrergli incontro; Lacie gli cinse le braccia al collo in un breve abbraccio, poi gli prese le mani fra le sue. Jack si sentiva estraniato da quella scena, ma al contempo troppo coinvolto. Più guardava Lacie, più diventava nitida, fino ad accecarlo. Le mani unite erano il perno di quella scena; i due fratelli creavano un quadro che Jack ammirava, attaccato all'ombra dell'albero. Oswald e Lacie parlavano di qualcosa che non gli interessava. Poi Lacie si accorse di Jack – i suoi occhi rossi erano il filtro della verità. Subito lei alterò il suo sguardo disinteressato e mostrò un grande sorriso – gli occhi rimasero freddi. 
   Istintivamente, Jack abbassò lo sguardo. Si accorse di qualcosa ai piedi di Lacie e trattenne un sorriso; Oswald guardò a terra per tentare di capirne il motivo. L'ampia gonna di Lacie non bastava a coprirle i piedi nudi, che spuntavano quel tanto abbastanza dall'orlo. «Sei corsa fino a qui senza scarpe?» esclamò Oswald. 
   Lacie scoppiò a ridere. «Non avevo voglia di metterle».
   «E se fossi stato a palazzo, saresti corsa per i corridoi a cercarmi scalza?»
   Lacie alzò le spalle. «Perché no?». Le mani dei due fratelli si slegarono. «Sapevo che eravate qui».
   Rimasero un attimo in silenzio. All'improvviso Jack commentò: «Questo posto è bellissimo. È così calmo e tiepido».
   «È come un ritaglio di paradiso» proclamò Lacie.
   Glen annuì. «Mi fa dimenticare di essere un Baskerville». Sorrise.
   Lacie si mise a pensare ad alta voce. «Però non è poi tanto tiepido, ultimamente. Fa sempre caldo».
   «È per quello che cerco sempre di stare sotto agli alberi» rispose Oswald. «Inoltre da sotto l'albero posso vedere meglio attorno a me».
   Jack aveva cominciato a camminare vicino al letto del fiume. Ad imitazione di Lacie, si era tolto le scarpe e stava guardando i fili d'erba. «Cosa stai facendo?» gli chiesero Lacie e Oswald, all'unisono. 
   Jack non rispose. Poggiò le ginocchia a terra, richiamato dal rumore dell'acqua. Per un attimo rimase lì mentre i due fratelli continuavano ad osservarlo; poi si alzò e si allontanò dal fiume. Raggiunto l'albero, Jack prese la rincorsa; poteva solo vedere davanti a sé, ma non gli era difficile immaginare l'espressione di disappunto di Oswald. Si riavvicinò al letto del fiume e fece un balzo; proprio in quel momento si voltò verso l'albero. In quel secondo, catturò l'espressione di Lacie; un'espressione sconosciuta, che non riusciva a definire nella spensieratezza dei lineamenti. Arrivò il contatto con l'acqua, come se ogni cosa prima di quell'impatto non fosse mai esistita. 
   I due fratelli si avvicinarono al letto del fiume. Lacie si accovacciò e mise le mani sulle ginocchia. «Allora, com'è?» 
   Jack si tastò i vestiti fradici. «Che male!». Esclamò di riflesso.
   «Gli argini sono larghi, ma non è un fiume molto profondo, lo sai». Rispose Oswald. Poi si rivolse a Lacie: «Jack è fatto così».
   Lacie annuì. «Comunque, perché ti sei buttato nel fiume?» chiese incuriosita a Jack.
   «Non so, avevo voglia di farmi una nuotata…»
   I due fratelli si immobilizzarono, poi scoppiarono a ridere. Jack poteva vederli appena fra le gocce che gli impastavano i capelli. Quello era il suono della felicità. Jack si limitò a sorridere. 
 
Hai rinnegato i Baskerville, coloro che hanno rinnegato Lacie. Hai gettato nel fango il loro nome. Però i Baskerville non si rialzano. Rimangono a terra, si nascondono negli antri. Il nome dei Baskerville è ormai pallido. Non arriva nessuna rivelazione. Ci sei solo tu.
 
Lacie era figlia di Abyss; apparteneva all'abisso in cui era stata gettata. Così come l'abisso le apparteneva. «Un giorno, la rivedrò di nuovo» sussurrò Jack, rivolto a nessuno. Rimaneva immobile nel letto. Le lenzuola erano tirate da un lato tanto da toccare il pavimento; Jack non apriva gli occhi quasi mai.
   Li aveva aperti solo quella volta. Quando di fronte al letto, scoprì lo specchio; scoprì un altro mondo. Pensava che specchiandosi, avrebbe ricevuto una risposta; invece nello specchio non vide neppure lui stesso. La finestra era serrata e filtrava solo qualche filo di luce. Talvolta, oltre ai raggi del sole, si infiltravano anche i rumori e gli odori dell'esterno; ma a Jack rimanevano sempre estranei, e non li percepiva. Il mondo reale si era congiunto al mondo dello specchio e lui, nel suo letto, rimaneva sospeso a metà. Era uno scarto senza nessuno, abbandonato da un altro scarto. Ogni cosa ritorna ad Abyss, anche gli scarti: eppure Abyss, riflesso negli occhi di Lacie, lo respingeva. Jack apparteneva alla trasparenza, che aveva sperimentato nel fiume e nel letto e nell'infanzia, prima dell'incontro con Lacie. Senza rumore e senza odore, senza luce.
   L'ombra assaliva l'angolo del giardino in cui gli alberi si infittivano. Aveva percorso il giardino per raggiungere i Baskerville, alla ricerca di qualcosa. Camminava a piedi nudi graffiandosi più volte; i capelli gli coprivano gli occhi rivolti a terra. Quando gli alberi si fecero più radi e la luce più intensa, allora Jack vide Glen colpito dal sole per la prima volta. La sua ombra si stagliava dietro di lui. Glen era la prima persona in carne ed ossa che vedeva da mesi. «Non ti aiuterò». Jack pensava di trovare supporto da parte di Glen; pensava che oltre alla carne e alle ossa, Glen avesse un cuore. Avevano composto Lacie, da qualche parte. Jack mise una mano in tasca e toccò l'orologio da taschino. Le lancette scandivano la sua condanna. La condanna in cui avrebbe trascinato tutti, Glen per primo. Glen che si allontanava da lui. Lacie che lo abbandonava. Jack ritornava da solo. Era sempre stato solo.
 
Glen era accasciato a terra. Il sangue fuggiva dal suo corpo per fluire nelle crepe del pavimento. Il mondo era progettato da intricati rivoli di sangue. La lama di Jack era benedetta da quella tragedia, da quel sacrificio. 
   Jack aveva una visione chiara in cui si stagliava lui stesso, dopo secoli, finalmente assieme a Lacie. Per la prima volta Jack vedeva se stesso nitidamente, nella luce di Lacie. Bastava solo rinascere, nel ciclo che poi avrebbe distrutto.
   Servi e cittadini e Baskerville non smettevano di gridare. Tutte le stanze puzzavano di sangue, in un tappeto di morti. Jack percorreva il corridoio con la nausea, la spada stretta nella mano. Faticava a non calpestare i cadaveri, ma le grida gli arrivavano ovattate. Se non gridava Lacie, allora era come se non gridasse nessuno. Ora che ci pensava, Lacie non aveva mai gridato. Glen aveva gridato solo una volta, davanti a lui, dicendogli di smetterla. Aveva dovuto tagliargli la testa per finirla una volta per tutte. Una volta ucciso Glen, sarebbe morto tutto ciò che viveva attorno a lui; i Baskerville, Abyss, Lacie. E Jack avrebbe ricostruito tutto daccapo, ma non con le sue mani.
 
Oz spalancò gli occhi. Di ciò che aveva sognato rimanevano solo delle mani insanguinate, dei corridoi cupi, poi la luce. Tentò di ricordare, ma è difficile ricordare i sogni. Forse era meglio non ricordare. Senza rendersene conto, era rimasto senza alcun ricordo del sogno, se non una melodia che continuava a martellargli la testa. Non sapeva descriverla; più che un suono, sembrava qualcosa di concreto. Era come se dentro di lui vivesse quella lunga, struggente melodia.
   Oz scosse la testa, poi si alzò in fretta, tanto da far scivolare le lenzuola per terra. Quando poggiò i piedi per terra, il pavimento era gelido; finalmente Oz si destò del tutto. Più lucido, si stiracchiò e si avvicinò alla finestra. La melodia continuava ad intonarsi dentro di lui. Oz spalancò la finestra e la tenda si mosse attorno a lui come un sipario. Tutto il mondo spazzò via la melodia che assaliva Oz. Come se Oz avesse dimenticato per la prima volta.
 
*
 
tengo molto alla dinamica e alla storia di jack, lacie e oswald e non posso credere di non aver mai scritto qualcosa su di loro. allora ho deciso di rimediare, concentrandomi su jack per poter delineare il rapporto che lui, lacie e oswald hanno; un lavoro difficile, di cui però sono contenta. inizialmente dovevo dare più spazio ad oz, ma ho optato per renderlo uno spettatore, piuttosto che un protagonista effettivo della ff. PER QUANTO AMI PH DA ANNI SENZA CEDIMENTI anche la memoria ha un limite e spero di non aver fatto macelli con il canon. diciamo che, dove ho descritto scene riprese dal manga, mi sono data all'introspezione per togliermi di dosso il problema. inoltre è appurato che i baskerville debbano per forza stare all'ombra, dato che si vestono di nero anche con quaranta gradi. 
ho impiegato mesi a trovare la voglia di scrivere e completare questa ff, ma era da tempo che non ero soddisfatta di ciò che scrivevo. è una bella sensazione. ed era da tempo che non scrivevo né pubblicavo qualcosa. ora che pubblico qualcosa, posso ritornare a dire: grazie per avere letto!
 
  
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