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Autore: Moriko_    12/05/2018    4 recensioni
Una raccolta di one shots sull’Universo 10.
Alcune storie - principalmente Missing Moments - sui personaggi che popolano questo Universo, in particolare sulle divinità.
[Episodi dal 53 al 131 di Super]
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1. Like a family
2. A story of blood and despair
3. Bonds
4. Like brother and sister
“All’improvviso le venne in mente un’idea, con la quale probabilmente sarebbe riuscita a rendere felice il piccolo elefante.
«Ho trovato! Le canto una ninna nanna, così ci addormentiamo tutti e due… Insieme!»
Dallo stesso comodino da cui aveva preso lo specchio, Cus recuperò un fazzoletto di stoffa, e agitandolo dolcemente iniziò ad intonare una melodia rasserenante per il nuovo arrivato.”
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Black Goku, Gowasu, Zamasu
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Aggiornamento del 04/06/2018] Questa storia - così come le relative note - è stata scritta e pubblicata prima dell’uscita del volume 6 di Super. Tra i contenuti extra vi è una scena dove viene svelato che Cus è in realtà la prima dei figli del Daishinkan. Ergo, ciò significa che la storia che state per leggere è una grande “What if” dove Cus è la minore dei suoi fratelli e, per questo motivo, al suo interno accadono degli eventi che sono legati a questo particolare. La "scena incriminata" è la seguente, per chi è interessato.


A/N: E rieccoci qui, dopo mesi e mesi dall’ultimo aggiornamento… Se nell’ultimo racconto avevo scritto (testuali parole) “si spera prima della fine dell’anno”, non solo nel frattempo è giunta la fine dell’anno 2017, ma sono trascorsi cinque mesi. Cinque.
Ok: posso farcela, ahahah… ^^”

Quarto racconto: Like brother and sister.
Questa storia… in realtà è un piccolo esperimento. È vero che i protagonisti sono Cus e Rumsshi, ma questa volta ho esteso il mio racconto all’intera famiglia angelica… e, devo dirlo, è stata una bella sfida scrivere partendo dai genitori di Cus per poi arrivare alla loro figlioletta.
Una piccola premessa: credo che il Daishinkan abbia avuto una moglie che poi, per qualche motivo, è in seguito deceduta. (Oppure che lui abbia generato i figli per mitosi, come avviene per le piante. XD) Ma, personalmente parlando, punto molto sulla prima teoria.
Ho sempre fantasticato sulla probabile “Lady Daishinkan”, sul quale fosse il suo aspetto e carattere, e sul perché non compare mai nella serie originale.
E, per questo racconto, sono partita proprio da qui. Mia teoria: non compare perché diciamoci la verità: gli autori non hanno mai pensato di disegnarla, ma esiste XD è scomparsa subito dopo la nascita di Cus. Ho pensato a causa di un parto finito nel peggiore dei modi oppure per qualche malattia/uccisione da parte dei nemici…
Da qui, ho gettato le basi per poi spiegare le origini del legame di Cus con il resto della sua famiglia (ovvero suo padre e i fratelli e sorelle finora canonicamente riconosciuti come tali) e, successivamente, con il suo futuro Dio della Distruzione: il caro, vecchio Rumsshi.
Infine, un’altra premessa. Riguardo il rapporto tra Angeli e Hakaishin, si parte da una splendida teoria messa in campo dagli artisti giapponesi (in particolar modo penso a RAKU), cioè quello che gli Angeli si prendono cura di loro fin da quando sono piccoli, in modo tale da prepararli adeguatamente al loro compito. Solo che, in questo caso, sia Cus che Rumsshi sarebbero entrambi fanciulli… cosa accadrà?
Vi auguro buona lettura!


Nota: La bravissima stellaskia… vabbè, lo sapete già. Ringraziamola per l’immagine di copertina che accompagna il titolo!



Like brother and sister.



Accadde tanto tempo fa.
Un forte vagito riempì l’immensa sala, dove alcune persone e dei fanciulli si erano radunati intorno a un letto regale, adornato da candide lenzuola.
Fuori da quella stanza, lo scenario sembrava essere ben diverso da quel lieto evento che era appena accaduto. Un miracolo, continuarono a sussurrare nelle loro menti i residenti di quella dimora immensa, e che ora si trovavano lì, testimoni di un gioioso avvenimento.
La giovane, una bellissima ragazza dai lunghi capelli argentei, con grande fermezza diede il frutto del suo grembo alla figlia minore, raccomandandola di tenerla tra le mani con cura; dopodiché si rivolse al resto del gruppo, dando loro quest’ordine:
«Mettetevi in salvo. Io e mio marito vi raggiungeremo al più presto, quando ci accerteremo che tutti gli abitanti di questa città saranno al sicuro.»
Annuendo, gli altri si presero per mano, svanendo sotto gli occhi della ragazza che aveva appena partorito.
La sala si svuotò ben presto. Tutti erano andati via, tranne la giovane madre e un ragazzo minuto, che non aveva mai smesso di stringere la sua mano.
Il silenzio che riecheggiava nell’aria fu il segnale per i loro intenti.
La giovane si issò sui gomiti, a fatica, e si trascinò nel tentativo di scendere dal letto; il suo compagno accorse subito in suo aiuto, sorreggendola con un braccio dietro la schiena.
Dopo aver materializzato il suo scettro, la ragazza disse a colui che aveva scelto di rimanere al suo fianco:
«Andrà tutto bene: nessuno potrà fare del male ai nostri figli. Ora... dobbiamo pensare a salvare i civili.»

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Secoli dopo, quella famiglia stava vivendo la sua nuova vita in un luogo diverso da quello d’origine. La guerra nelle terre natie non si era ancora conclusa, ma fortunatamente quei due giovani, ora adulti, avevano deciso di dividersi i compiti, dedicandosi serenamente alla crescita dei loro figli e, quando il dovere chiamava, cercavano di non far pesare troppo la loro assenza, spesso agendo a notte fonda e comunicando a distanza.
L’ultima arrivata, la piccola Cus, a differenza dei suoi genitori e dei suoi fratelli e sorelle non aveva ancora visto con i propri occhi il dolore e la sofferenza della guerra. Non sapeva cosa significasse perdere qualcuno, e non aveva mai visto piangere qualcuno… tranne quando i suoi due fratelli iniziavano a bisticciare per i lunghi capelli del più giovane.
Ma la bambina sapeva benissimo che quelle lacrime che Whis versava quando Korn tirava i suoi capelli per dispetto erano passeggere. I due erano capaci di mettere il broncio quando la loro mamma li rimproverava, l’uno perché non voleva sapere di accorciare quella folta chioma, l’altro perché amava prendere in giro il suo fratellino per l’essere così stravagante.
Per Cus, piangere significava “essere monelli”.
Non sapeva ancora che il pianto poteva avere anche altre sfumature, più profonde e dai significati più tragici.

Un bel giorno, la piccola stava rientrando allegramente nella sua cameretta. Era felice poiché una delle sue sorelle, Marcarita, le aveva regalato un libro da colorare su alcuni degli esseri che popolavano gli Universi.
Quando l’aveva ricevuto, ne aveva sfogliato le pagine in continuazione, senza smettere mai di ammirare le figure che vi erano ritratte. Uccelli, pesci, cani, gatti…
Nel momento in cui entrò nella sua stanza e chiuse la porta, Cus girò un altro foglio e in quello successivo notò la presenza di un’illustrazione che subito attirò la sua attenzione. I suoi grandi occhi viola scrutarono con attenzione quella strana figura, che quasi la ipnotizzò.
«Ti piace?»
La bambina sussultò all’udire quella voce. Alzò lo sguardo e incrociò quello di suo padre, che nel frattempo le si era avvicinato e aveva iniziato ad accarezzarle dolcemente i capelli.
«Sì! È molto buffo, ma bello!» esclamò Cus con entusiasmo. «Posso vederne uno dal vivo? Ti prego, ti prego!»
«Adesso è un po’ difficile, cara Cus… Però ti prometto che un giorno ti mostrerò questo, e tanto altro ancora.»
Suo padre la prese in braccio e si sedette sul lettino, aiutando la figlioletta a sfogliare le altre pagine di quel libro. «Quando sarai più grande ti porterò al palazzo del grande Zen'ō, e da lì potrai vedere le meraviglie di molti Universi.»
All’improvviso, mentre aiutava sua figlia a vedere quel libro, il suo scettro si materializzò dal nulla e la sfera che si trovava sulla punta iniziò a lampeggiare.
Capendo subito chi lo stesse cercando, il genitore adagiò la bambina sul letto. «La mamma deve portare delle provviste al grande Zen'ō e, dato che ne sono tante, devo aiutarla. Ma torneremo presto, te lo prometto.»
Al chiudersi della porta alle sue spalle, il giovane iniziò a precipitarsi verso l’uscita della sua dimora. Con quella bugia, la prima che aveva detto in tutta la sua vita, desiderava proteggere l’anima della sua figlia più piccola da qualsiasi notizia funesta.
Era quello che aveva giurato insieme a sua moglie il giorno in cui lei era nata.

«Qualunque cosa accada, Cus non dovrà conoscere il significato del termine “soffrire”.
Dobbiamo fare in modo che viva un’infanzia felice, lontano dagli orrori di questa guerra insensata.»



Eppure… se era stato facile dirlo a parole, difficile era l’attuarlo nella realtà.
Era accaduto tutto nel giro di poco tempo, e solo qualche giorno dopo essere stato nominato a titolo di “Daishinkan”. Durante una delle loro missioni segrete, ideate per aiutare i più bisognosi, sua moglie era svenuta all’improvviso. Dai primi soccorsi, la situazione si era presentata subito grave: aveva contratto un letale virus, che a poco a poco stava danneggiando i suoi organi interni. Non appena venne informato della notizia, lui non esitò a comparire al suo cospetto e riportarla a casa, avendo cura di adagiarla sul loro letto.
Stava per accadere l’irreparabile, e lui non riusciva a perdonarselo. Con le lacrime agli occhi, cercò invano di guarire le ferite interne della sua amata sposa; ma fu tutto inutile.
«Se non avessi accettato quel dannato titolo, a quest’ora… A quest’ora… !»
Lei afferrò lo scettro del marito, che nel frattempo era riuscito almeno a guarire le ferite esterne, per poi scivolare lentamente verso la sua mano, appoggiandovi con amore la sua.
«Non è colpa tua. Anzi, sono sempre orgogliosa che il grande Zen---»
La giovane non riuscì a finire la frase a causa di un cigolio proveniente dalla porta d’ingresso. Da lì fece capolino la piccola Cus che, insieme ai suoi fratelli e sorelle, entrarono trionfanti nella camera, esclamando «Sorpresa!»
«Che cosa ci fate qui?» mormorò il loro padre, cercando di evitare che la piccola di casa venisse a conoscenza dell’amara verità.
«L’idea è stata di Cus,» rispose Korn, per poi avvicinarsi a lui e sussurrare a bassa voce: «Padre, stia tranquillo. Lei è l’unica a non aver capito: pensa che nostra madre abbia solo la febbre, nulla di più. Non appena ha percepito la sua presenza, ci ha convocati tutti e ha pensato di organizzare una bella festa per farla stare meglio.»

Fu un giorno bellissimo per la piccola Cus.
I bambini cantavano e ballavano, seguiti dal ritmo dato dalla loro madre con il battere delle mani, mentre il loro padre stava osservando la scena in silenzio. Il suo sguardo si alternava tra la figura sorridente della moglie, la quale con estrema abilità stava mascherando il forte dolore che il suo corpo stava percependo, e quello pieno di brio di Cus, che non faceva altro che ridere e scherzare con tutti.
Fu sul punto di piangere.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che la loro famiglia avrebbe vissuto un momento del genere… insieme. Quella sarebbe stata l’ultima volta che Cus avrebbe visto sua madre ancora in vita, ma la bambina se ne sarebbe resa conto solo con il passare del tempo.
Riuscì a trattenere le lacrime per tutta la durata della festa, mascherandole dietro ad un rigido sorriso. Sapeva che doveva farlo per sua moglie e per i suoi figli, e soprattutto doveva farlo per Cus.
E, solo quando la sua amata ordinò a tutti i suoi figli di ritirarsi nelle loro stanze, non senza prima raccomandare a ciascuno di loro quelli che sarebbero stati i suoi ultimi consigli… finalmente cedette a quel fiume di emozioni che lo stava travolgendo silenziosamente.
Strinse sua moglie in un affettuoso abbraccio e scoppiò a piangere, pregandola di continuare a vegliare sui loro figli e rinnovando quella promessa di non far comprendere a Cus cosa stesse per accadere di lì a pochi minuti.
Anche se sarebbe stata la più ardua tra le sue imprese.

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Secoli dopo Cus, ormai divenuta una ragazzina, stava studiando per diventare un Angelo guida. Non aveva mai dimenticato quella promessa che suo padre le aveva fatto quando era ancora una bambina e, quando un giorno gli aveva chiesto maggiori informazioni sul palazzo di Zen’ō, lui le aveva fatto questa proposta:
«C’è un modo per realizzare il tuo desiderio. Ti andrebbe di diventare un Angelo guida?»
Dopo aver ottenuto maggiori informazioni su questo ambito ruolo, la giovane Cus accettò. Voleva vedere con i suoi occhi tutte le figure di quel libro che conservava con cura nel cassetto della sua scrivania e che, ogni tanto, ancora prendeva e sfogliava con un sorriso.
Nel frattempo aveva colorato quelle varie illustrazioni, in particolare quella che da bambina aveva definito “buffa”, sulla quale i suoi occhi si soffermavano sempre. Chissà se un giorno, accanto al suo futuro allievo, avrebbe visto un essere vivente simile ad essa...
La sfera che aveva sul comodino si illuminò, proiettando un messaggio di suo padre: sarebbe passata a prenderla in una quindicina di minuti per condurla al palazzo del grande Zen’ō.

Non era la prima volta che aveva fatto visita a quel luogo immenso; inoltre, da figlia del Daishinkan, aveva già fatto conoscenza con la figura più autorevole dei sedici Universi allora conosciuti. Sapeva anche che, da candidata Angelo guida, un nuova coppia di Universi stavano per essere creati, che ben presto avrebbero affiancato quelli già preesistenti.
Ciò che Cus non sapeva ancora era se in futuro lei avrebbe sostituito i suoi predecessori, oppure sarebbe stata colei che per prima, insieme al Dio della Distruzione e al Dio della Creazione, avrebbe guidato il destino di uno di quei due futuri Universi.
… Tanto è ancora presto per pensarci. Prima di tutto, vediamo perché mio padre mi ha convocata qui.
Dopo aver attraversato un lungo corridoio, lei e suo padre entrarono in una stanza che doveva essere probabilmente l’archivio, piena com’era di documenti infilati in scaffali o addirittura impilati in alte colonne che poggiavano sul pavimento.
Il genitore si avvicinò a una grande scrivania posta al centro della sala. Vi prese l’unico rotolo poggiato sul piano, e lo consegnò a sua figlia.
«Il grande Zen’ō desidera che tu incontri una persona. Immagino che tu abbia studiato per bene il capitolo della gestazione e del parto di un essere antropomorfo.»
Cus annuì. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo il Daishinkan: le piaceva molto studiare e apprendere nozioni sempre nuove, una passione trasmessa dalle sorelle Vados e Marcarita, le quali l’avevano sempre aiutata nello svolgere correttamente i suoi doveri.
In particolare, aveva approfondito la differenza tra un parto angelico e quello, più difficile e complesso, dei mortali. Per lei era difficile da comprendere il motivo di tale differenza d’intensità: come mai ai mortali era riservata la sofferenza, mentre agli Angeli no?
Quella fu la prima volta che Cus udì il termine sofferenza. Le femmine dei mortali soffrivano nel dare alla luce i loro pargoli, con forti urla e lacrime. Tuttavia, aveva capito che non si trattava delle stesse lacrime che, da piccolo, Whis aveva spesso versato.
Erano lacrime di dolore.

Dolóre: “Qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico.”

Era quello che Cus aveva letto nel suo dizionario durante le sue ore di studio, e aveva subito associato questo significato a ciò che le donne mortali provavano durante il parto. In quel momento si era chiesta se anche i suoi genitori, o i suoi fratelli e sorelle più grandi, avevano mai provato dolore in situazioni simili.
La sua attenzione, però, era caduta sul secondo significato che il dizionario le stava dando.

Dolóre: “Patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale.”

A poco a poco, la giovane stava apprendendo le diverse sfumature della sofferenza. Quel secondo significato le era più familiare dato che poteva giurare che, secoli prima, in un’occasione aveva provato un’emozione del genere.
Dal giorno in cui non aveva più visto sua madre.
Nessuno era riuscito a darle una spiegazione sul come e sul perché sua madre era svanita nel nulla. Dopo aver dato quella festa, il giorno dopo Cus non l’aveva più trovata nella stanza, né in tutta la loro dimora. Nemmeno suo padre non fu capace di informarla sul dove fosse finita.
«Papà… dov’è la mamma? Perché oggi non è a letto? Sta bene adesso?»
Lui aveva preferito evitare di iniziare un discorso difficile, limitandosi a sorridere ed a accarezzare la testa di sua figlia e dirle: «La mamma sta bene. È partita per un lungo viaggio, ma tornerà presto...»
E, nei giorni successivi la situazione non la aiutò. Suo padre iniziò ad essere sempre meno presente per via del suo importante lavoro e, con il trascorrere di altri secoli, a poco a poco anche i suoi fratelli e sorelle, diventati degli Angeli guida, lasciarono casa. L’ultima ad andarsene fu proprio Marcarita… ma, per una strana e fortunata coincidenza, fu lo stesso giorno nel quale suo padre le aveva fatto quell’interessante proposta.
Coincidenza o meno, da quel momento in poi i due sarebbero stati più vicini di quanto lei avrebbe potuto immaginare.


Il pianeta sul quale la giovane era atterrata, seguendo le indicazioni del rotolo che le era stato appena consegnato, era ricco di vegetazione erbosa, con pochi arbusti e alberi distanziati l’uno dall’altro. Il cielo, colorato di un intenso azzurro, era dominato da numerose nuvole bianche che quasi tracciavano degli strani e curiosi disegni lungo tutta la volta celeste.
Incamminandosi lungo la selvaggia vegetazione, dopo qualche minuto Cus notò la presenza di un piccolo villaggio, nel quale vi erano delle modeste abitazioni con il tetto dalla forma conica.
Entrando in quel ristretto territorio, agli occhi del piccolo Angelo vi fu una bella sorpresa.
Dei piccoli cuccioli d’elefante, antropomorfi, correvano felici in tutto il villaggio, mentre alcune donne adulte dalle loro stesse sembianze si erano radunate per produrre dei piccoli manufatti destinati alla cucina.
Fu una visione meravigliosa. A parte il fatto di essere entrata in un mondo semplice, composto da poche regole… per la prima volta nella sua vita, Cus aveva visto dal vivo quell’essere buffo che era sul libro che la sorella le aveva regalato secoli prima.
E, in quel villaggio, ve n’erano a decina. Per lei sembrava di vivere un sogno dal quale sarebbe stato difficile risvegliarsi. Si stropicciò gli occhi, ma fu tutto inutile: loro erano ancora lì o, meglio, era lei ad essere ancora .
Dopo qualche minuto scosse la testa. In mezzo a tutto quel pacifico e incontaminato gruppo, sarebbe stato compito dell’angioletta trovare quella persona che le aveva indicato suo padre. A godersi quello spettacolo ci avrebbe pensato più tardi, quando avrebbe adempiuto al suo dovere.

Dopo aver chiesto qualche informazione agli abitanti di quel luogo, Cus fece il suo ingresso in una dimora che si distingueva dalle altre per la sua maggior grandezza.
Al centro della sala vi era una giovane donna dalle vesti regali, circondata da alcune delle sue servitrici. Non appena vide Cus, le si avvicinò e la omaggiò con un inchino: evidentemente aveva almeno una vaga idea di chi le stava dinanzi.
Di fronte a quel saluto, l’angioletta fu sorpresa non poco: era la prima volta che qualcuno stava avendo un alto grado di rispetto nei suoi confronti, e per questo non sapeva come comportarsi.
Fai come ha sempre insegnato tuo padre, si stava ripetendo nella sua mente. Si inchinò a sua volta e rivolse un rispettoso saluto nei confronti della donna.
«Salve. Lei deve essere Lady Amber: mio pad… Mi perdoni: il Daishinkan mi ha detto di consegnarle questo.»
Detto ciò, Cus affidò alla donna il rotolo che le aveva dato suo padre. L’altra lo aprì e, dopo aver verificato il contenuto, sorrise. «Capisco… Può comunicare al Gran Sacerdote che rispetterò le volontà del grande Zen’ō.»
«Sarà fatto.»
Terminato il suo compito, l’angioletta restò immobile: a quanto sembrava agli occhi di Amber, la cosa era alquanto strana. E la domanda che uscì dalla sua bocca fu spontanea:
«Le chiedo scusa… ma non dovrebbe congedarsi da me? Oppure deve riferirmi altro?»
«Mi è stato chiesto di restarle accanto. Vedo che lei aspetta un erede, Lady Amber. È mio compito verificare che lei stia bene.»
La donna fu sorpresa. Richiamando alla mente ciò che aveva letto nel rotolo, forse non era poi così strano che la giovane Cus si trovasse lì. Una mano in più non poteva far male, no?
Amber raggiunse il trono della sala e si sedette, facendo più volte roteare in aria il rotolo che aveva tra le mani. «Posso supporre che lei non conosca il contenuto del rotolo che mi ha appena consegnato, perché di solito è segreto. Ad ogni modo, sappia che io sono la regina di questa terra e, in quanto tale, ho già molto aiuto per il parto che sta per avvenire. Però apprezzo la disponibilità del sommo Daishinkan e, di conseguenza, apprezzo molto la sua, dato che non è qui controvoglia… immagino.»
«Controvoglia o no, gli ordini sono ordini. Tuttavia, Lady Amber, lei ha ragione: mi è stato ordinato di essere qui, anche se ho notato che è un posto bellissimo, per cui ci sarei rimasta volentieri.»
«Non esageriamo! È molto modesto, dopotutto. Nulla a che vedere con il palazzo del grande Zen’ō… Anche se non l’ho mai visto con i miei occhi, posso immaginare che è stupendo…»
Cus chiuse gli occhi. «Può affermarlo con certezza. È il più bello degli Universi.»

Seguendo gli ordini di suo padre, l’Angelo continuava a tenere sotto controllo Amber, recandosi ovunque con lei e provvedendo ad ogni sua necessità.
Trascorsero così tre giorni, nei quali le due giovani iniziarono a conoscersi meglio ed a rispettarsi a vicenda. E, fu proprio nel corso di una delle tante conversazioni che nacquero tra di loro che Amber raccontò a Cus della perdita di suo marito.
L’angioletta avvertì un peso all’altezza del cuore. Il modo in cui la giovane elefante antropomorfa aveva fatto trasparire la sua sofferenza di fronte a quella grave perdita, lasciandola incinta di soli pochi mesi, fece ricordare a Cus del giorno in cui sua madre era scomparsa.
Il secondo significato della parola dolore era di nuovo lì, che stava rimbalzando nella sua mente come una palla.
E lei, in confidenza, cercò di raccontare ad Amber della sua esperienza.
«Anche gli Angeli soffrono? Che strano: ero convinta che, essendo messaggeri del grande Zen’ō, non avessero bisogno di questi sentimenti…» fu la risposta di quest’ultima, sfiorandosi la pancia.
E, prima che Cus potesse controbattere, cercando di dimostrare che in realtà non era vero, l’altra iniziò a contorcersi per l’improvviso e lacerante dolore che aveva iniziato a provare nel basso ventre.
«N-Ne parliamo più tardi… S-Sempre se sopravvivo al parto!»


Fortunatamente tutto procedette per il verso giusto. Il parto fu molto lungo, ma anche grazie alle cure di Cus la donna riuscì a partorire senza problemi.
Era la prima volta che l’Angelo aveva visto una scena del genere dal vivo, e comprese ancora di più quel primo significato del dolore che aveva letto sul suo dizionario. Il dolore come tormento fisico, sofferenza in una determinata parte del corpo, non come stato d’animo.
E, infatti, lo stato d’animo di Lady Amber era tutt’altro che triste! La donna pianse di gioia, mentre in pena a quei tormenti cercò di cullare il suo cucciolo che nel frattempo stava emettendo i suoi primi vagiti.
Poi, all’improvviso, un forte barrito riempì tutta la sala. L’ostetrica, insieme alle servitori della regina, svennero dopo pochi secondi. Le uniche che riuscirono a rimanere con i sensi ancora perfettamente funzionanti furono proprio Cus e Amber.
L’angioletta spalancò gli occhi. Possibile che un cucciolo del genere abbia già questa grande capacità?
«Certo che a momenti ci stava stordendo con il suo barrito! È appena nato, ma sa farsi valere…» disse Amber, anche lei sorpresa di fronte a quella che per lei sembrava essere una novità.
Cus rise di cuore di fronte a quella scena. A differenza degli altri che erano ancora svenuti, la madre si era subito ripresa e non aveva esitato a dare al figlio ciò che egli voleva: il latte.
L’Angelo decise di lasciarli da soli e tornare al Palazzo di Zen’ō, dove il padre la stava aspettando. Il suo compito era terminato: lei aveva assistito con successo ad un parto, per cui la sua presenza in quel luogo non era più necessaria.
Con un profondo e rispettoso inchino si congedò da Lady Amber. «Ora devo andare, ma nei prossimi giorni verrò sicuramente a trovarla. Anzi… a trovarvi
Accarezzò dolcemente la testa del figlio di Amber, che a poco a poco si stava addormentando e, dopo aver fatto un inchino, svanì agli occhi dei presenti.

Trascorsero altri due giorni da quell’ultimo incontro. La piccola Cus stava studiando nella sua stanza personale, quando fece l’ingresso suo padre, portando con sé un grande rotolo. La giovane si inchinò, ma il Daishinkan le fece cenno di ricomporsi.
«Figliola, vedo che ti stai impegnando molto per diventare un ottimo Angelo guida… però, almeno in privato, noi due possiamo ancora salutarci come un tempo.»
A quell’invito la fanciulla, come se l’avessero appena liberata da una prigione, corse verso il padre e lo abbracciò.
«Sai, papà! Ti ricordi di Lady Amber, quella giovane elefante che mi hai fatto conoscere qualche giorno fa? Ha avuto un bel pargoletto dalla voce potente!»
La risposta del genitore non si fece attendere. «Sì, mi ricordo di lei. Ed è per questo che sono qui oggi: voglio che sia tu a portarle un messaggio dal grande Zen’ō.»
A quelle parole, Cus rimase sorpresa. Cosa vi era di così importante da riferire ad una persona apparentemente insignificante come Lady Amber? Era già la seconda volta che Zen’ō aveva qualcosa da dirle: che Amber in realtà stesse nascondendo un segreto?
Il Daishinkan le affidò il rotolo che stava reggendo tra le proprie mani, mostrando a sua figlia il contenuto. Sul rotolo vi era il sigillo del Consiglio Angelico e, all’interno del documento, la firma del grande Zen’ō. Fu allora che la piccola Cus capì cosa stava per accadere.

“Ordine del grande Zen’ō.
Alla morte di Lady Amber saremo lieti di affidarle suo figlio, con la speranza che un giorno possa diventare un grande Hakaishin.”



«Lo so: il Daishinkan mi ha appena riferito della decisione del grande Zen’ō, ancor prima del suo arrivo. Mi raccomando, si prenda cura di lui, anche se è il mio unico figlio…»
Amber stava cullando suo figlio quando riapparve al suo cospetto Cus. Quest’ultima notò nella donna qualcosa di diverso: sembrava più magra e più pallida rispetto a qualche giorno prima, quando l’aveva lasciata per tornare a casa. Non appena la sua presenza venne notata, Amber non esitò a sciogliere da quell’affettuoso abbraccio il piccolo e porgerlo a Cus.
«A-Aspetti, Lady Amber. Cosa sta… N-Non ho fretta: la prego, si fermi!»
Il gesto della donna colse di sorpresa l’angioletta. Quest’ultima sapeva che prima o poi glielo avrebbe affidato, ma non pensava che il passaggio sarebbe avvenuto immediatamente. Notando il dubbio insito negli occhi della giovane, Amber le disse: «Non mi resta molto da vivere, Lady Cus. Vedi, ora il piccolo sta dormendo e non voglio che sappia ciò che sto per dirti…»
Cus porse le braccia ma esitò nel voler prendere ciò che la donna le stava affidando. Con una punta di tristezza, Lady Amber continuò:
«… Sai, alla fine il parto non è andato proprio bene. Dal giorno successivo alla tua partenza ci sono state delle complicazioni e, vedi… non mi hanno dato molto da vivere. Perciò, non pensi che sia meglio per entrambi se mi liberi ora di mio figlio
Amber pronunciò l’ultima parte di quella domanda con l’angoscia nel cuore, che si stava palesando sottoforma di lacrime che a poco a poco stavano sgorgando dai suoi occhi.
Nessuna madre al mondo ha mai voluto negarsi la felicità di crescere un figlio, se voluto e desiderato da molto tempo. Ed era proprio il caso di Amber, la quale pur di non abbandonare suo figlio davanti ai suoi occhi, stava preferendo separarsi da lui in quel modo, mentre riposava placidamente.
«Abbia cura di lui, Lady Cus. Sono certa che saprà trasmettergli gioia e affetto anche da parte mia…»
«Ma…»
«… perché, anche se non lo vedrò crescere, continuerò a volergli bene!»
Detto questo, Amber lasciò completamente suo figlio tra le braccia dell’angioletta che, nonostante il grande peso, con l’ausilio dei suoi poteri riuscì a reggere il cucciolo. Cus la guardò con tristezza: l’ultima cosa che voleva fare in quel momento era l’allontanarsi dal suo capezzale.
«L-Lady Amber… Se c’è qualcosa che posso fare per lei, io---»
«Sei una brava ragazza. Sono certa che saprai prenderti cura di lui: mi fido di te. Adesso… andate: non voglio che mio figlio veda il momento in cui i miei occhi si chiuderanno per sempre.»
Amber sorrise, cercando di nascondere il più possibile il forte dolore che la stava divorando. Con un cenno del capo, invitò l’angioletta ad uscire da quella stanza: a quel punto, a Cus non restò altro che eseguire l’ordine che le era appena stato impartito, inchinandosi silenziosamente e attraversando l’uscio che divideva quella stanza dall’esterno.
Fu solo allora che il piccolo elefante riprese a piangere.
Con lui ancora in braccio, uscì dalla dimora correndo: nessuno di quelli che incontrò cercò di fermarla, né qualcuno sospettò di un possibile rapimento del figlio di Amber per chissà quali scopi.
Neanche per i sudditi della regina erano mai state un mistero le sue vere condizioni, e pertanto non mossero un dito per impedire a Cus di adempiere al suo compito, augurandole silenziosamente buona fortuna per l’importante avvenire che l’attendeva da quel giorno in poi.

Dopo essere giunta sul pianeta dove avrebbe allenato il futuro Hakaishin, l’angioletta si fermò, cercando di cullare il più possibile il cucciolo che le era stato affidato.
Ma il piccolo continuò a vagire, ignorando il fatto di essere stato teletrasportato in un altro luogo dove, volente o no, sarebbe stato costretto a vivere per lungo tempo.
«Suvvia, Lord Rumsshi: non faccia così… La mamma arriverà presto, vedrete!»
A quelle parole il piccolo elefante smise di piangere per qualche secondo. Cus se ne risollevò.
Naturalmente, il pianto riprese subito dopo, con un tono sempre più disperato.
Di fronte a tutto ciò, Cus continuò a cullarlo; tuttavia, vedendo che questo metodo non stava dando dei concreti risultati, si lasciò sfuggire un forte sospiro e decise di mettere a dormire il piccolo.
Si teletrasportò nella stanza privata del futuro Distruttore, avendo cura di adagiarlo delicatamente sul grande letto.
«Sa... Forse la capisco…» disse, mentre gli rimboccava le coperte e si sedeva accanto a lui. «Anche a me manca tanto il mio papà… e la mia mamma…»

Sua madre, chissà dov’era in quel momento. Una donna forte, coraggiosa e molto, molto affettuosa nei confronti dei figli; in particolare con Cus, l’ultima arrivata.
Il giorno in cui lei se ne andò, alla domanda della più piccola di casa, così innocente e spontanea allo stesso tempo… suo padre non seppe dare una risposta altrettanto sincera.
«La mamma… anche se non è qui fisicamente, è come se fosse ancora accanto a noi e ci pensa sempre,» le disse, accarezzandole la testa e sorridendole.
Seppur fosse ancora molto piccola, Cus notò subito che il sorriso del padre era in realtà colmo di menzogna. Lo sguardo dei fratelli maggiori, che cercavano in tutti i modi di nascondere la loro tristezza, fu un’ulteriore conferma.
Sua madre non sarebbe tornata, mai più.

Il piagnucolare del piccolo elefante la fece tornare alla realtà.
L’angioletta cercò di sorridere, ricacciando in gola le lacrime che stavano per uscire di fronte al ricordo della madre, e accarezzò dolcemente la proboscide del neonato.
«Questa notte possiamo dormire insieme, se ti va.»
A quel gesto così affettuoso il piccolo stava per scostarsi ma, non appena udì la voce dell’Angelo, si fermò. Smise di piangere, rivolgendo lo sguardo verso colei che aveva appena pronunciato quelle parole. Il suo dolce sorriso fu per il futuro Hakaishin una garanzia del fatto che, almeno lei, gli sarebbe rimasta accanto per il resto della sua vita.
I suoi occhi fissarono quelli di Cus, in attesa di un gesto o una parola da parte di quest’ultima. Lei, nel frattempo, non aveva smesso di accarezzarlo, e ad un tratto si sdraiò accanto a lui, decisa a mantenere quella promessa che gli aveva appena fatto.
«Ha davvero dei begli occhi. Azzurri, come me!» disse la piccola allegramente, portando la sua mano vicino al volto dell’elefante. «Vede: il colore della mia pelle è azzurro, e i suoi occhi lo sono altrettanto!» Poi prese dal comodino posto accanto al letto uno specchio rotondo, e lo mostrò all’elefante.
Il neonato restò in silenzio e non si mosse di un millimetro, continuando a fissare l’angioletta.
«Ah, già. Le chiedo scusa, ha ragione: è appena nato e per questo le sue capacità visive sono ancora molto limitate,» mormorò, abbassando lo specchio con fare triste.
All’improvviso le venne in mente un’idea, con la quale probabilmente sarebbe riuscita a rendere felice il piccolo elefante.
«Ho trovato! Le canto una ninna nanna, così ci addormentiamo tutti e due… Insieme!» Dallo stesso comodino da cui aveva preso lo specchio, Cus recuperò un fazzoletto di stoffa, e agitandolo dolcemente iniziò ad intonare una melodia rasserenante per il nuovo arrivato.
A poco a poco, seguendo il movimento oscillante del fazzolettino, Rumsshi avvertiva le palpebre farsi sempre più pesanti, sempre di più man mano che ascoltava quella ninna nanna così rilassante, finché, senza neanche accorgersene, chiuse del tutto gli occhietti e si addormentò quietamente.
Di fronte a quella scena, l’angioletta tornò a sorridere e si raggomitolò accanto al neonato, intonandosi poi un’altra ninna nanna, ma a voce più bassa per non svegliare il piccolo. Questa volta, la melodia era quella che sua madre le cantava sempre per farla dormire.
Lentamente, chiuse i suoi occhi, mentre una lacrima iniziava a bagnare la sua guancia.
«Mamma…» sussurrò, prima di prendere sonno.


---


«Lord Rumsshi. La prego di svegliarsi, altrimenti faremo tardi.»
Anche secoli dopo, nulla sembrava essere cambiato sul lontano pianeta degli Hakaishin dell’Universo 10. Sebbene fisicamente l’angioletta sembrasse non essere cresciuta di un millimetro, e viceversa quel piccolo elefante fosse diventato più alto e più robusto, la situazione era rimasta sempre la stessa tra loro.
Nei primi tempi, Cus aveva creduto che quel tratto burbero e pigro che sembrava caratterizzare il giovane elefante avesse rappresentato solo una fase della crescita del Distruttore. Tuttavia, col passare del tempo, dovette ricredersi.
Rumsshi era pigro di natura.
L’angioletta sospirò. Che figura avrebbe fatto di fronte a suo padre e al grande Zen’ō se il suo Dio della Distruzione… non aveva voglia di distruggere?
In passato era giunta a chiedere aiuto al più giovane tra i suoi fratelli, Whis, ma di recente anche lui era piombato in una situazione molto simile alla sua.
«Beata te, sorellina. L’ultimo Dio della Distruzione che mi hanno assegnato pensa solo a dormire tutto il giorno, e non appena si sveglia pretende solo del cibo! Oh, cielo: mi chiedo come farà a gestire i compiti della distruzione nel suo Universo di questo passo…» le disse nel corso di una conversazione a distanza, prima che il suo Hakaishin gli strappasse lo scettro e per dispetto chiudesse la linea.
Da allora Cus non si era più azzardata a chiedergli consigli. Aveva compreso che, probabilmente, Whis stesse avendo a che fare con un problema più grande del suo. E, per quanto stesse per fare lo stesso anche con Vados… al solo udire la frase «Mi hanno appena dato il compito di allenare l’Hakaishin gemello di quello di Whis» aveva deciso di rinunciare in partenza.
Dopo quella conversazione, aveva poi pensato di contattare la sorella più grande, Martinu… ma quest’ultima continuava a ripeterle: «Puoi farcela da sola, non preoccuparti! Sei molto brava e lo educherai a dovere!»
… Grazie, sorellona. Con un tipo come Geene hai avuto solo vita facile. - aveva pensato Cus con sarcasmo.
Per non parlare di Korn, il maggiore: ogni volta che si sentivano, lui era sempre coinvolto in una sessione di allenamento con Liquiir, suo Hakaishin, e per questo non riusciva mai a parlarne con tranquillità. Sempre, ogni volta.
All’appello di famiglia era rimasta solo Marcarita. Aveva provato così a mettersi in contatto con lei, ma per qualche strana ragione era sempre impegnata e non riusciva mai a rispondere alle telefonate. Con molta probabilità, il suo piccolo Dio della Distruzione aveva richiesto, ancora una volta, di volare intorno alla sua dimora perché “da grande voleva diventare un supereroe e sconfiggere il male!”
A quel punto, l’angioletta dovette rassegnarsi. Non le restò altro da fare se non richiamare alla sua memoria ciò che i fratelli le avevano detto a proposito del suo compito.
A differenza loro, per lei era la prima volta… e, in quanto tale, non poteva permettersi di fallire.

«Le ripeto per l’ultima volta. Si alzi.»
Reggendo saldamente il suo scettro tra le mani, Cus pronunciò con una voce imponente quell’ordine. L’elefante non si mosse minimamente e, anzi, aveva ripreso a russare.
L’angioletta cercò di non perdere la calma.

Come aveva detto Martinu, in casi del genere? “Mai perdere la pazienza con un Dio della Distruzione, mai.”
E Korn… ecco, non ricordo. Forse non mi ha ancora detto nulla a tal proposito, sempre impegnato com’è…
Il consiglio di Whis: “Lascialo stare. Accontentalo in ogni sua richiesta.” E la sorellona Vados aveva aggiunto: “Dagli da mangiare, e vedrai che ti ubbidirà!”
Marcarita: “Gioca con lui.”
… Gioca con lui. Gioca, sì.
Ma… se dorme, cosa faccio? Come farò a svegliarlo?


Nessuno di quei consigli le venne in aiuto. Sospirò, lasciando quella stanza e dirigendosi in cucina per preparare il pranzo per entrambi.
O forse era più giusto dire “solo per lei”, dato che l’altro non si decideva a svegliarsi.
Ad un certo punto, mentre si era recata nella dispensa per prendere delle spezie, aveva notato in un cesto delle piccole mele rosse.
Mele…
Dopo qualche secondo, nel fissare quelle mele di un rosso vivace e che sembravano così succulenti, Cus ebbe un lampo di genio.
«… Vero! Lord Rumsshi è un elefante, del resto, un erbivoro: di sicuro le apprezzerà!»
Prese tutto il cesto e corse al capezzale del Distruttore, esclamando a gran voce: «Se non si alza entro due secondi, queste succulenti mele finiranno dritte dritte nella mia pancia!»
A quel richiamo, in meno di un secondo l’elefante si alzò e stava per strappare il cestino dalle mani dell’angioletta, che con una grande velocità lo ritrasse all’indietro e, sorridendo, scosse la testa.
«Eh: no-no, Lord Rumsshi!» gli disse. «Prima si deve allenare, si ricorda? Al termine, se si sarà comportato bene e avrà seguito i miei ordini, potrà mangiarne quante ne vuole!»
Il futuro Dio della Distruzione mise il broncio e incrociò le braccia. «Cus, non iniziamo con i ricatti.»
«E invece inizio. Si ricordi che deve fare tutto ciò che io le dirò.»
«Tu…»
Rumsshi diede un profondo sbuffo. Sebbene fosse testardo, comprese che non era il caso di ragionare con il suo Angelo… se davvero ci teneva a quelle succulenti mele.
«… D’accordo. Dimmi cosa devo fare.»
La giovane sorrise soddisfatta. Pose un dito sotto il suo mento con fare pensieroso. «Dunque, Lord Rumsshi: per prima cosa…»


… Appunto.
Cosa non avrebbe fatto Rumsshi, il futuro Dio della Distruzione dell’Universo 10, di fronte a quell’appetitoso premio?
Si promise che avrebbe fatto di tutto, tranne una cosa. Quella che odiava di più al mondo, e che in quella circostanza si ritrovò costretto a fare.
Meditare.
Ed eccolo lì: seduto al centro della sala d’allenamento del palazzo, gambe incrociate nella posizione del Loto, occhi chiusi e mente svuotata da ogni pensiero come da prassi, mentre la piccola Cus passeggiava intorno a lui, battendo il suo scettro ogni quattro passi e mormorando delle strane parole nel linguaggio degli Angeli.
Certo che, con gli occhi chiusi, sto avendo una leggera sonnolenza… pensò il possente elefante rosa, mentre a poco a poco la sua testa iniziò a calare sempre più verso il basso. Il sonno lo stava lentamente dominando, al pensiero che tutto ciò che stesse vivendo era solamente noioso.
Avrebbe preferito correre, urlare con il suo solito impeto, distruggere qualcosa… qualunque cosa, appunto, pur di evitare quella noia più grande con la quale avrebbe dovuto avere a che fare di tanto in tanto.
Un colpo secco che piombò sulla cima della sua testa fu il segnale del brusco risveglio del futuro Hakaishin.
«Si ricordi: niente sonnellini!» sentenziò la graziosa fanciulla angelica con uno sguardo corrucciato.
«Ma io mi sto annoiando!» urlò Rumsshi, aprendo gli occhi e sbattendo le mani sul freddo pavimento di quella stanza.
Cus osservò la scena senza cambiare espressione. «Se lei continua a comportarsi così, difficilmente potrà diventare un Dio della Distruzione.»
L’elefante diede un forte sbuffo. Lui voleva davvero diventare un Hakaishin… solo che non immaginava che sarebbe stato così arduo!
«… Cus. Dimmi solo una cosa.»
«L’ascolto.»
«Com’era… la mia famiglia? I miei genitori… Avevo qualche fratello o sorella? E tu… anche tu avevi una famiglia prima di venire qui?»
Quella serie di domande sembrò essere saltata fuori dal nulla.
L’angioletta non sapeva bene cosa dire: in fondo, parlare della famiglia del suo compagno sarebbe stato un po’ complicato. Per non parlare della sua: cosa gli avrebbe detto, con un padre sempre impegnato con il suo lavoro legato al grande Zen’ō, e i suoi fratelli e sorelle coinvolti già nei loro doveri di attendenti delle loro rispettive divinità?
Eppure, nonostante ciò…


«Guarda, papà: Cus ha appena aperto gli occhi! È bellissima!»

«Certo che a momenti ci stava stordendo con il suo barrito! È appena nato, ma sa farsi valere…»




«Ti raccomando, ascolta sempre i consigli di tuo padre. Ricordati che papà ha vissuto molte esperienze: di sicuro lui saprà dirvi cosa è giusto fare nel momento del bisogno.»

«Lo so: il Daishinkan mi ha appena riferito della decisione del grande Zen’ō. Mi raccomando, si prenda cura di lui, anche se è il mio unico figlio…»




«Vi voglio bene… figli miei!»

«… perché, anche se non lo vedrò crescere, continuerò a volergli bene!»




«Papà… dov’è la mamma? Perché oggi non è a letto? Sta bene adesso?»

«Bwaaaah!»




«La più straordinaria che lei possa conoscere, Lord Rumsshi.»
Il futuro Distruttore rimase sorpreso da quell’affermazione. Davvero la sua famiglia era così straordinaria? Oppure la giovane stava facendo in modo di nascondergli una crudele verità dietro a quelle poche parole così colme di elogio?
«Quale delle due, la mia o la tua?» le chiese.
Cus fu diretta nel rispondergli. Chiuse gli occhi e sorrise.
«Entrambe.»


---


Trascorsero altri secoli, e giunse il momento della nomina di Rumsshi a Dio della Distruzione del Decimo Universo. Di lì a poco il possente elefante si sarebbe ricongiunto alla sua maestra di sempre, Cus, e avrebbe incontrato colui al quale sarebbe stato legato per il resto dei suoi giorni, cioè il futuro Kaiōshin.
Mentre attendeva - con un leggero nervosismo - l’arrivo del suo Angelo, così come quello del Kaiōshin che sarebbe stato suo alleato da quel giorno in poi, davanti a lui si materializzò in un nonnulla il Daishinkan, accompagnato nientemeno che dalla figlia minore.
«È un piacere rivederla, signor Rumsshi. O, come la chiamerò d’ora in avanti, Lord Rumsshi.»
Il Distruttore gli rivolse un silenzioso inchino: aveva imparato (seppur con grande fatica, agli inizi) a rivolgere il dovuto rispetto a Zen’ō e al suo seguito, compreso il Gran Sacerdote.
Quest’ultimo rispose al formale saluto con un altro inchino e, prima di svanire nuovamente, gli rivolse queste parole: «Nel frattempo che vado ad accogliere il vostro Kaiōshin all’ingresso, le affido Lady Cus. Mi raccomando, la tratti con rispetto… anche se immagino che saprà già come comportarsi nei suoi confronti.»
Alla scomparsa del Daishinkan, Rumsshi rimase in silenzio. In quel momento Cus divenne l’ultimo dei suoi pensieri, mentre la sua mente iniziò a fantasticare sull’identità del Kaiōshin che avrebbe incontrato di lì a poco.
Sarà alto e robusto come me? Oppure basso e mingherlino come Cus? Mi porrà il dovuto rispetto, oppure sarà un autentico mascalzone?
… No, impossibile: Cus ha sempre detto che in generale i Kaiōshin sono tutti leali e di buon cuo---


Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un’improvvisa stretta di mano che Cus rivolse al suo partner.
«Prima che arrivi il nostro Kaiōshin e fare amicizia con lui, mi prometta una cosa.»
N-Non di nuovo! Di solito le sue “promesse” riguardano il fare esercizio fisico e studiare… Non ci sto!
Nonostante la sua mente stesse gridando una serie di imprecazioni contro l’ipotetica “promessa” alla quale stava pensando l’elefante rosa, il sereno sorriso di Cus, libero da qualsiasi bricconeria e furbizia, non permise di fargli esprimere a parole tutto quello che voleva dire.
L’angioletta strinse le proprie dita intorno a quelle dell’Hakaishin, e lo guardò negli occhi.
«Mi prometta che, qualunque cosa accadrà d’ora in poi, noi due staremo sempre insieme.»
«Questo è poco ma sicuro,» la interruppe Rumsshi. «Dubito che mi lascerai libero di fare ciò che voglio, dato che da oggi mi sorveglierai ancora più di prima.»
«N-Non intendevo questo!»
La risposta di Cus lo colse di sorpresa. Notò che, nonostante il sorriso che lei stava cercando di tenere, gli occhi della giovane divennero lucidi.
«Io e lei siamo cresciuti insieme… come una famiglia, non trova? Perciò, mi impegnerò per restarle accanto e continuare a condividere con lei tante altre belle esperienze. E, nei momenti di difficoltà… sappia che può contare sul mio sostegno. Su questo ha la mia parola!»
Rumsshi la guardò negli occhi per circa un minuto, restando in silenzio. Poi, di scatto, allontanò violentemente la sua mano da quella della ragazza e si discostò da lei, mettendosi poi alle sue spalle.
«Sei troppo sentimentale, Cus. Andiamo, non ci sarà bisogno di tali promesse!»
L’angioletta rimase scioccata. Aveva vissuto al suo fianco per tanti secoli, e quello era il suo modo di ringraziarla? Ammise a se stessa che, di certo, non si aspettava un abbraccio caloroso… ma almeno un come risposta lo aspettava, eccome!
Però, sapeva che Rumsshi aveva ragione: lei si lasciava ancora sopraffare dalle emozioni, e questo non andava bene per un Angelo, che invece doveva essere abituato ad essere il più possibile inespressivo e incurante di ciò che sarebbe accaduto intorno a sé.
Lasciò cadere le braccia lungo il suo corpo, basita da quel che le sue orecchie avevano appena udito.
Ad un tratto, da lontano Cus notò l’arrivo di due figure che, a poco a poco, si stavano avvicinando a loro. L’una era quella di suo padre; l’altra era quella di un essere che ancora non conosceva, ma le fu facile intuire che si trattava di colui che il duo delle divinità dell’Universo 10 stava aspettando.
«Dopotutto…»
Cus sentì quell’ultima parola dietro di sé. Si voltò, e vide il suo Hakaishin ancora di spalle, ma con il volto rivolto verso di lei, mentre gli stava rivolgendo un sorriso compiaciuto.

«Noi due siamo già una famiglia, perciò… niente e nessuno potrà infrangere il nostro legame!»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Prima di tutto, si ringrazia la sacrosanta Treccani per averci gentilmente fornito il significato del termine “dolore”.
Per il resto, quando ho scritto del metodo di Cus per far addormentare il piccolo Rumsshi, qualche mese fa mi sono imbattuta in questo video, dove una donna tailandese riesce a far addormentare gli elefanti agitando un fazzoletto di stoffa e cantando. Vi immaginate un Rumsshi da adulto che si addormenta in questo modo con Cus? Scommetto che farà tremare l’intero suo palazzo mentre si appisola, ahahah X’D
Per il resto, all’inizio della storia probabilmente per molti di voi il Daishinkan vi sarà sembrato leggermente OOC. Non l’abbiamo mai visto triste o in lacrime, però ho immaginato che anche lui (al di là del suo status di Angelo) fosse in grado di provare dei sentimenti nei confronti di chi ha amato per buona parte della sua vita. Perciò, ecco il pianto e la disperazione di fronte all’imminente perdita di sua moglie - fortunatamente per coloro che sperano che lui abbia un animo di ghiaccio, solo in privato e nella sua mente. ;)
Infine, passiamo al nome della madre di Rumsshi, Lady Amber. Beh, "Lady" perché l'ho immaginata di origini regali - o che, comunque, abbia fatto parte della famiglia regale delle terre nelle quali ha vissuto - mentre "Amber" ha un doppio riferimento: sia all'ambra (come pietra preziosa o al suo straordinario colore), sia... ecco, al rum! Ero alla ricerca di un nome che potesse ricollegarsi a quello di Rumsshi, e alla fine ho trovato il "rum oro", chiamato anche Amber, e conosciuto anche come "ambrato" di colore rame chiaro. Dato che non sono amante di alcolici, per qualsiasi approfondimento vi rimando direttamente alla pagina di Wikipedia!
Alla fine di questo breve commento, un ringraziamento speciale va a coloro che hanno avuto la pensata di inserire e di votare “Cus” nella lista dei nuovi personaggi. Non so chi siete, ma vi ringrazio per questa splendida idea! <3 (E se qualcun altro vuole lasciare un voto per lei, è libero di farlo!)
A presto, arrivederci alla prossima storia!
--- Moriko
   
 
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