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Autore: Crilu_98    13/05/2018    3 recensioni
Siete appassionati di ship impossibili? Quelle che non si realizzeranno neanche all'ultimo capitolo del vostro libro preferito? L'unico motivo per cui guardate una certa serie tv? Bene, allora questa raccolta, un po' pessimista e piena di improbabili coincidenze, fa proprio per voi.
E' tra le storie originali perché il fandom in questione è la Storia e i personaggi... Beh, chiunque diverrà vittima della mia fantasia, suppongo.
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"Ci sono abissi che l'amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali" H. de Balzac
Genere: Angst, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest | Contesto: Storico
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LA SCONFITTA E' ORFANA
 
Arsinoe barcollò per la stretta rude dei legionari, ma riuscì a non cadere: sarebbe stato troppo umiliante crollare ai piedi di chi l'aveva ridotta in catene. E poi che di fronte a lei, in cima a quella tribuna d'onore, ci fosse sua sorella con indosso una veste regale e gioielli scintillanti… Beh quella era la beffa estrema!
Cleopatra ricambiò il suo sguardo con un sorriso ironico, poi i soldati strattonarono le catene che la tenevano legata, costringendola ad inginocchiarsi. Arsinoe, però, non abbassò la testa mentre l'uomo più potente del mondo si piegava verso di lei, studiandola con occhi di ghiaccio; era quasi il tramonto, ma il corteo festante che attraversava tutta Roma non accennava a fermarsi. Era tutto un risuonare di canti, grida, risate per le strade di quella città caotica e disordinata, non certo superba come la sua Alessandria. La ragazza era stata costretta a sfilare con altri nemici vinti per tutto il giorno ed ora aveva il corpo indolenzito dalle percosse e dalle catene che le ferivano i polsi e le caviglie, mentre la mente era stanca. Avrebbe solo voluto consegnarsi ad un dolce oblio, magari grazie all'aiuto di quei veleni che conosceva così bene; se i Romani non l'avessero raggiunta prima, era così che si sarebbe data la morte. Invece aveva dovuto subire il dileggio e l'odio degli invasori, umiliarsi davanti all'arrogante Cleopatra, che a differenza sua aveva vinto tutto, ed ora… Ora fissava inespressiva il volto severo di Caio Giulio Cesare.
"Arsinoe, principessa d'Egitto!" tuonò l'uomo, mentre la folla si zittiva, come per magia. Le voci sul carisma del grande condottiero non erano esagerate.
"Hai cospirato contro tua sorella, Cleopatra, legittima regina d'Egitto, insieme a tuo fratello Tolomeo. Avete devastato il vostro stesso paese nel tentativo di sconfiggere l'esercito del popolo romano, accorso per ripristinare la pace. Tuo fratello è morto per i suoi crimini..."
Arsinoe socchiuse gli occhi e strinse le labbra; Cleopatra era impassibile. Cesare godette di come il popolo di Roma smaniasse per udire il seguito del suo discorso, poi riprese a parlare con tono più benevolo:
"Ma oggi è un giorno di festa! La guerra civile è finita, la pace è tornata a regnare finalmente su Roma: non vorrei irritare gli dei, mandando a morte una ragazzina. Sono certo che avrai tempo per meditare sui tuoi errori, dettati dalla giovane età, dall'ambizione e dall'inesperienza. Perciò la tua vita è salva! Non avrai mai nulla da temere da Roma!"
La folla esplose in un boato di acclamazioni, lodando la famosa clemenza di Cesare; il condottiero, invece, le sorrise e mormorò:
"Domani mattina partirai per la città di Efeso e lì vivrai finché avrai respiro. Che gli dei abbiano pietà di te, crudele Arsinoe."
Le catene cigolarono mentre Arsinoe veniva trascinata via dai legionari. Trattenne a stento le lacrime, mordendosi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare:
"Non di fronte a loro. Non di fronte a lei."
Forse era stata Cleopatra ad intercedere affinché non fosse giustiziata, ma Arsinoe non lo considerava un atto di misericordia:
"Prigioniera dei Romani a vita. Privata della libertà per sempre… Un fuscello nelle mani di Cesare, che potrebbe spezzarmi in ogni momento."
Non si fidava della parola di quell'uomo, ma del resto non si fidava di nessuno, neanche dei suoi stessi fratelli: era difficile imparare ad apprezzare la fedeltà e l'onestà in un palazzo in cui erano quotidianamente orchestrati intrighi familiari e complotti sanguinosi.
Osservò con orrore l'ingresso buio delle carceri romane, ma non si perse d'animo: quella notte era la sua ultima possibilità di fuga. Doveva trovare una via d'uscita, perché sapeva che una volta arrivata ad Efeso la sua vita non le sarebbe più appartenuta.
 
La cella era in penombra e da quando il sole era definitivamente calato sopra l'orizzonte Arsinoe riusciva a distinguere a fatica solo i contorni della porta e della piccola finestrella sopra di lei. Non l'avevano incatenata, ma l'intera prigione pullulava di guardie: lei non era stata l'unica prigioniera portata in giro per la città per la gloria di Cesare. Un altro degli sconfitti stava creando non poche difficoltà nel corridoio, la ragazza sentiva i legionari imprecare e delle grida rauche in una lingua che non conosceva. All'improvviso la porta della stanza si aprì e i soldati scaraventarono all'interno un uomo schiumante di rabbia. Sembrava più una bestia che un essere umano, soprattutto per il modo feroce con cui si scagliava contro i legionari, tanto che ci vollero tre uomini per placcarlo e serrargli i polsi ed il collo con delle robuste catene.
Quando i romani se ne andarono, senza averla degnata di una sola occhiata, Arsinoe si avvicinò cautamente al suo nuovo compagno: non aveva mai visto un barbaro del Nord, con quella pelle tanto chiara da sembrare malata. Era a torso nudo e nessuno gli aveva permesso di ripulirsi del sangue che gli impregnava i pantaloni di pelle dall'ultima battaglia, che doveva essere avvenuta diverso tempo prima; la barba era lunga, folta e bionda come i capelli sudati che gli ricadevano sul viso dai tratti marcati.
Quando voltò bruscamente il volto verso di lei, la ragazza venne inchiodata dov'era dalle sue iridi di ghiaccio: la passione disperata e l'ira che vi leggeva l'affascinavano.
Di colpo capì chi fosse il barbaro: la sua fama era giunta fino in Egitto, insieme con il trionfo di Cesare.
"Tu sei Vercingetorige…" mormorò, incespicando su quel nome che le sembrava impronunciabile.
L'uomo la scrutò senza rispondere, respirando malamente per le percosse subite durante la parata: se le dicerie avevano detto il vero, quel barbaro era nelle mani di Cesare da ben sei anni!
Le ferite ed i lividi recenti che spiccavano sul corpo smagrito ne erano la prova.
Le labbra carnose dell'uomo si arricciarono, scoprendo dei denti grigi e spezzati, piegò il capo di lato e la luce della luna disegnò ombre inquietanti sul volto scavato dagli stenti della prigionia. D'istinto Arsinoe si tirò indietro, fino ad appoggiare la schiena contro il freddo muro di pietra della cella.
L'uomo alzò il mento con aria di sfida e la squadrò a lungo con sguardo sornione. Arsinoe si accorse solo in quel momento delle due ombre scure alle sue spalle: uno dei legionari l'afferrò per le spalle, spingendola a terra e chiudendole la bocca con una mano.
"Lasciala pure gridare, Livio" ghignò quello che le stava facendo risalire il vestito lungo le cosce. "A chi vuoi che importi di una puttana straniera?"
L'uomo si chinò su di lei e la ragazza poté sentirne l'alito che puzzava di vino mentre le strattonava l'abito all'altezza dei seni.
"Dicono che tuo fratello ti fottesse dall'età di sette anni… Voglio scoprire se è vero!"
Arsinoe scalciò con rabbia, più per l'orgoglio ferito che per l'oscenità di quell'accusa: era vero, lei e Tolomeo avevano giaciuto insieme, ma non era stata una turpe vergogna da nascondere, come la raccontavano i Romani.
La sua stirpe discendeva dagli dei, suo padre e Celopatra glielo ripetevano sempre quand'era bambina… Ecco perché nella sua famiglia i matrimoni tra consanguinei erano così frequenti: come potevano gli dei mischiarsi ai comuni mortali, seppure nobilitati dal potere e dalle ricchezze?
Arsinoe scalciò e si divincolò ancora, cercando di mordere la mano che le serrava la bocca, disposta ad urlare finché aveva fiato in corpo; anche lei era consapevole, però, che le parole del legionario erano vere. In tutta la città non c'era una sola persona a cui importasse della sua sorte o che volesse venirle in aiuto.
Ad un tratto il legionario che era sopra di lei emise un verso strozzato e cadde all'indietro; come in un sogno, Arsinoe vide sopra di lui l'imponente figura di Vercingetorige, intento a strozzarlo con le stesse catene che gli chiudevano i polsi.
Livio la lasciò cadere a terra per correre in aiuto del compagno, ma la ragazza non riuscì ad emettere un suono; poi, mentre osservava il gallo che atterrava e soffocava senza difficoltà anche il secondo legionario, la prudenza la spinse a tacere, per non attirare attenzioni indesiderate almeno fino alla mattina dopo.
Vercingetorige crollò in ginocchio sul pavimento foderato di paglia sporca, come se la forza sovraumana con cui aveva ucciso i due uomini fosse improvvisamente venuta meno.
Fu perciò Arsinoe ad avvicinarsi ai cadaveri e a trascinarli nell'angolo più buio della cella, lontano dalle fiaccole che illuminavano il corridoio, dove era meno probabile che fossero scoperti prima della sua partenza per Efeso: era scampata ad una condanna a morte solo poche ore prima e non ci teneva a rimanere invischiata in quella storia.
Si accovacciò davanti al barbaro, abbastanza lontano da sfuggire alla sua presa se si fosse rivoltato contro di lei, ma abbastanza vicino per guardarlo negli occhi.
Non aveva mai visto nessuno con gli occhi così chiari.
"Perché l'hai fatto?"
Vercingetorige mugugnò qualcosa nella sua lingua.
"Non comprendo ciò che dici. Puoi parlare in latino?"
L'uomo mostrò nuovamente i denti in una smorfia di scherno:
"Certo che posso parlare in latino. Ma non voglio farlo."
Arsinoe alzò le mani:
"Non vuoi parlare la lingua degli invasori, credimi, ti comprendo molto bene. Ma rispondi almeno alla mia domanda… Te ne prego!"
Vercingetorige sospirò:
"Non credere che l'abbia fatto per te, bambina. Li ho uccisi per tutte le donne del mio popolo che hanno violato e massacrato!"
Arsinoe sorrise a quella risposta: immaginava di essere molto diversa da quelle donne e non solo per l'aspetto fisico o perché era nata dall'altra parte del mondo. Aveva solo quindici anni, ma come sua sorella aveva affinato fin da piccolissima tutte le capacità che servivano per sopravvivere alla corte di Alessandria.
Aveva visto la sua prima esecuzione a tre anni, quando avevano tentato di uccidere suo padre.
Aveva conosciuto la paura a otto, quando sua sorella Berenice aveva tentato di conquistare il potere ed ucciderli tutti.
Aveva ucciso, spiato ed ordito più intrighi di quanti il nobile Vercingetorige, il barbaro che aveva quasi sconfitto Cesare, potesse mai immaginare.
"Non sono una bambina…"
"Di certo lo sembri. Una bambina di cenere, con quella pelle bruciata e i capelli di corvo!"
Arsinoe spalancò la bocca, tremendamente offesa: la sua pelle era sempre stata tenuta al riparo dalla luce del sole e cosparsa di oli e creme, di certo non era scura come quella dei pezzenti su cui aveva regnato!
"Barbaro!"
Sputò quella parola, che i Romani utilizzavano tanto spesso contro di lei, come se fosse il peggiore degli insulti. Con sua grande sorpresa, Vercingetorige sembrò divertito:
"Esattamente come te."
Passò qualche istante di silenzio, poi fu nuovamente lui a parlare:
"Ti ho vista, oggi, mentre ti costringevano ad inchinarti a Cesare. Chi sei?"
E Arsinoe glielo disse. Gli rivelò ogni cosa, raccontandogli tutta la sua storia; gli parlò di Alessandria, del deserto, di tutti gli animali e le piante che Vercingetorige non aveva mai visto.
Lui le narrò della sua terra fredda e selvaggia, della lunga guerra che aveva combattuto, della neve.
Parlarono per tutta la notte in una lingua che odiavano e che non padroneggiavano, aiutandosi con i gesti ed i versi per farsi capire.
Quando vide il cielo rischiararsi oltre la finestra della cella Arsinoe volse lo sguardo verso i due legionari morti ed abbandonati come bambole rotte in fondo alla stanza.
"Ti uccideranno per questo…" mormorò.
"Per essere una strega egiziana non sei molto intelligente, bambina."
"Che vuoi dire?"
Vercingetorige si accarezzò la lunga barba:
"Io sono già morto. Da sei, lunghi anni. Sconfitto, deriso, umiliato e trascinato da una cella all'altra… Non poteva durare per sempre. Vedi, per me non c'è nessuna nave diretta ad Efeso, o in qualunque altro posto: Cesare ha già vinto la guerra civile, mi ha già mostrato al popolo come un orso ammaestrato per celebrare il suo trionfo… Non gli servo più a nulla. Oggi, o domani al massimo, un soldato entrerà da quella porta e mi taglierà la gola. Morirò da solo in una cella maleodorante e sarà la fine dell'ultimo nemico di Roma."
Arsinoe meditò su quelle parole qualche istante, poi si strinse nelle spalle:
"Comunque sia, voglio ringraziarti."
E con quelle parole, lasciò cadere a terra i lembi del suo vestito.
 
Artemision di Efeso, cinque anni dopo
 
Arsinoe li sentì arrivare, mentre una brezza leggera le scompigliava i capelli. Li sentì sguainare le spade alle sue spalle, eppure non si mosse: rimase ad osservare i bambini che rincorrevano una palla lungo il grande prato che si dispiegava tra il tempio di Artemide e la scogliera a picco sul mare.
"Vi manda mia sorella."
Un sussurro che era una certezza, non una domanda.
Cinque anni erano passati e Cesare era morto, ma Cleopatra era ancora potente, soprattutto da quando si era legata ad uno degli uomini più fedeli del generale, Marco Antonio. Dovevano essere i suoi gli uomini che stavano per pugnalarla a morte.
Arsinoe raddrizzò il busto e la testa e si riassettò i capelli e le vesti:
"La mia stirpe è quella degli dei e sarà numerosa come la sabbia del deserto."
Il suo sguardo si fermò su un ragazzino alto, dai capelli scuri e dai vividissimi occhi azzurri.
"O come i fiocchi di neve."
 
 
Cosa c'è di vero:
Arsinoe fu catturata nel 47 a.C. dopo che il suo fratello/amante Tolomeo aveva perso la guerra, mentre Vercingetorige si arrese e fu fatto prigioniero nel 52 a.C.; entrambi furono portati a Roma per il trionfo di Cesare del 46 a.C.
Arsinoe fu davvero esiliata ad Efeso, dove cinque anni più tardi fu raggiunta dai sicari di Marco Antonio, mentre Vercingetorige venne mandato a morte subito dopo il trionfo di Cesare.
 
Cosa c'è di falso:
Mentre è probabile che Vercingetorige fosse rinchiuso nel carcere Mamertino, le informazioni su Arsinoe sono scarsissime. E' quasi impossibile che i due si siano incontrati, se non durante la sfilata per le vie di Roma, ed è poco verosimile che fossero a conoscenza l'uno delle identità dell'altra.
 
 
Angolo Autrice:
Questa storia ha inizio circa otto anni fa. Stavo per iniziare la quinta elementare ed ero già una grande appassionata di storia e sfogliando le pagine del nuovo libro di testo mi imbatto in un'immagine e in una didascalia. La prima raffigurava una giovane donna in catene, circondata dai legionari; la seconda recitava "Vercingetorige, capo dei ribelli in Gallia, ed Arsinoe, sorella di Cleopatra, sfilano per le vie di Roma dopo la vittoria di Cesare."
Due nomi messi per caso nella stessa frase, quando in realtà erano lontani anni luce. Eppure hanno stuzzicato a lungo la mia fantasia e finalmente sono riuscita a mettere per iscritto l'abbozzo di storia che mi ha tenuto compagnia per tutti questi anni.
Le one-shot che faranno parte di questa raccolta (aggiornata solo ed esclusivamente quando l'ispirazione si farà viva :/) saranno tutte ship improbabili e i titoli delle citazioni.
La frase completa in questo caso è "la vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana": una citazione di Tacito, poi ripresa da Keats e Kennedy, che allude sia alle lotte dei protagonisti sia al figlio nato dalla loro relazione.
Prima che mi tiriate verdura marcia contro, sappiate che questo esperimento è più che altro una valvola di sfogo della mia fantasia e del mio amore per le passioni impossibili e per la Storia.
Insomma, l'ho scritta per divertimento, ma mi farebbe comunque piacere sapere cosa ne pensare :)
Alla prossima
 
   Crilu
 

 
   
 
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