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Autore: Ksyl    14/05/2018    9 recensioni
FF che apre un varco temporale AU tra il litigio di Always e il finale di Always per come lo abbiamo sempre conosciuto. Cioè come se non fosse avvenuto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Seconda parte - Castle

Si fermò. Posò i bicchieri colmi fino all'orlo, che aveva appena finito di preparare, dedicandovisi con grande cura, sulla balaustra di legno e si concesse un piccolo momento di pausa. Avvertiva l'urgente bisogno di fare ordine, concedersi qualche respiro profondo, ossigenarsi il cervello, trovare quel posto dentro di sé, che sapeva esistere, dove dimorava la pace assoluta. Fece vagare lo sguardo, cercandola. Era lei l'unica fonte di pace assoluta. E insieme di immensa vertigine.

La scovò seduta ben dritta sulla sabbia, il profilo perfetto stagliato contro l'orizzonte, i capelli un po' arruffati sciolti sulla schiena e un cappello di paglia dal taglio maschile a proteggerla dal sole dei tropici. Era tutto esattamente per come se l'era immaginato nei suoi sogni più ardenti. Quelli che mai avrebbe osato sperare potessero avverarsi in questo esatto modo sconvolgente.
Nonostante volesse mostrarsi imperturbabile e del tutto padrone della situazione, la verità era che spesso si sentiva intimamente tremare. Come adesso. Come quando ce l'aveva tra le braccia. Quando si lasciava andare contro di lui fiduciosa e appagata, in quelle lunghe notti vellutate accompagnate dai profumi afrodisiaci che li avvolgevano discreti.

Che lui potesse renderla felice, per come lei mostrava di esserlo, apertamente, senza turbamenti e soprattutto senza nasconderglielo, era qualcosa di straordinario che doveva ancora integrare nel suo sistema neuronale impazzito, anche se era dell'idea che dovesse farlo, e in fretta, perché avrebbe significato vincere quella strisciante sensazione di inadeguatezza, normalmente a lui estranea e perciò tanto più sconcertante, che ogni tanto lo prendeva a tradimento e gli mozzava il respiro. Sì, proprio lui. L'uomo convinto che i miracoli accadessero, che la magia esistesse e che le cose bastasse desiderarle. In questo caso era stato necessario aggiungere al desiderio puro e semplice un particolare ardore devozionale, ne era consapevole, ma la sostanza non era cambiata.

Eppure. Eppure passava il tempo, quei minimi ritagli di cui poteva disporre perché occasionalmente lontano da lei per motivi che non dipendevano dalla sua volontà, domandosi più o meno sensatamente quale fosse stata la chiave di volta, che cosa avesse operato in lei una trasformazione così stupefacente. Era stato merito suo? Che cosa aveva fatto? Quando? Qual era l'evento che aveva fatto raggiungere la massa critica, generando quel risultato straordinario? Come poteva trattarsi della stessa donna che l'aveva tenuto lontano con testardaggine, che era fuggita, che aveva rifiutato qualsiasi forma di vicinanza e che gli aveva fatto capire senza mezzi termini che la sua vita era qualcosa che non lo riguardava?
Non era pura speculazione filosofica. Aveva bisogno di saperlo per poter intervenire tempestivamente, se le cose fossero iniziate a deragliare, se si fosse risvegliato troppo presto dal suo bel sogno o se lei avesse capito di aver commesso un errore fin dall'inizio.

Doveva calmarsi. Decomprimere il diaframma, far fluire l'aria. Com'era quel detto? Non era arrivato a quel punto, solo per arrivare a quel punto. Aveva sempre tenacemente bramato - qualche volta anche contro il più ovvio buonsenso, soprattutto contro i pronostici -, quello che ora era inaspettatamente suo.
Ed era stato sempre più che sicuro che, una volta ottenutolo, avrebbe vissuto con soddisfazione e pienezza la sua personale versione del paradiso in terra. Che stava vivendo, infatti. Che cosa avrebbe potuto volere di più? Il problema era proprio lì. Era felice, più di quanto avesse mai pensato di essere e lui non era uno che si limitasse nelle fantasie o nel sentirsi benvoluto dalla sorte, nell'aspettarsi il meglio di tutto. Non voleva niente di più. Voleva semplicemente, disperatamente continuare ad avere quello che aveva già tra le mani. D'improvviso, con suo sommo stupore, aveva paura di perdere tutto. I suoi sorrisi quando riemergeva dal sonno profondo nel quale si abbandonava senza un pensiero – lui era naturalmente già sveglio. Sorrisi che lo lasciavano senza fiato e senza parole, perché erano una reazione istintiva alla sua presenza, quando era ancora immersa nelle brume del dormiveglia.

La sua imprevista cedevolezza. Una sorta di resa, in un certo senso. L'assoluta certezza, che le invidiava, di essere esattamente nel posto in cui voleva essere. Lì con lui. La determinazione feroce – così tipica di lei, solo che non aveva mai pensato di vederla agire a suo favore - con cui si godeva ogni minuto della loro nuova vita, mentre lui doveva apparirle grosso e sciocco, quando lo sorprendeva a contemplare inebetito il suo magnifico corpo, o la loro magnifica nuova vita.
Doveva smettere di vivere circondato da un attonito stupore decisamente poco virile, e convincersi che quello là fuori non era un miraggio. Era una donna in carne e ossa che presto si sarebbe chiesta dove fosse finito e perché la lasciasse sola, soprattutto dopo averle promesso che sarebbero stati sempre insieme. E lo avevano fatto. Le ore scorrevano così veloci da scomparire in un miscuglio di notti silenziose, giornate assolate, risate, sguardi gioiosi, gesti lenti e pigri. Armonia, in sintesi. Avevano tutto il tempo del mondo e non sembrava bastare mai. Si erano abbronzati. Erano felici, rilassati. Avevano nuotato in acque che definire cristalline sarebbe quasi sembrato offensivo. Non doveva preoccuparsi. Sarebbe andato tutto bene.

Raccolse i bicchieri con slancio e la raggiunse sulla battigia a passo veloce. L'oceano aveva assunto tonalità traslucide sotto i raggi del sole che si apprestava a tramontare. La sabbia era calda e piacevole sotto i piedi, era la parte del giorno che preferiva. Anche se era difficile scegliere in tutto quello splendore naturale molto più amichevole e accogliente dell'inverno piovoso che si erano lasciati alle spalle.
Girò la testa nel sentirlo sopraggiungere e lo guardò festosa, rivolgendogli un sorriso talmente colmo di contentezza nel vederlo da indurlo, quasi, a gettare le bevande, inginocchiarsi e lasciar fare al destino. Si trattenne appena in tempo e le consegnò il suo calice senza dar corda alla follia che si era impadronita di lui. L'avrebbe spaventata. E poi sull'isola non vendevano diamanti. O forse... Smettila, si rimproverò, sedendosi.
"Lo sai, vero, che qui intorno siamo soli? Non ti vede nessuno", le domandò interessandosi senza farsi notare al nodo lento che chiudeva la parte superiore dello striminzito bikini che indossava.
"Tu saresti un fantasma, quindi?", rispose sardonica.
"So che è una tua fantasia erotica, Beckett, e a quanto pare solo una delle tante. Ma io ti ho già visto. Mi chiedevo solo...". Con un gesto fulmineo slegò i lacci colorati, che scivolarono impotenti lungo la schiena, ridendo alle sue proteste, mentre cercava di coprirsi e insieme allontanare le sue mani.
"Quanti anni hai? Quindici?!", lo riprese severa, senza risultare credibile probabilmente nemmeno a se stessa.
Se lo aggiustò come era prima del suo irruente agguato, tornando a fissare l'orizzonte, abbracciandosi le ginocchia.

Castle fece scivolare lentamente la mano sulla pelle dorata, accarezzandole un fianco e poi il ventre, facendole solletico. Le baciò la nuca, la pelle era salata. Mosse piano le labbra. Nessuno dei due parlò, anche se era sicuro di averla sentita trattenere il fiato.
"Sai, Castle", riprese lei dopo qualche istante, con voce ferma. "Non pensavo facessi sul serio, quando hai parlato di tropici". Si voltò a guardarlo da sopra la spalla.
"Se hai a cuore la nostra relazione, Beckett, ricorda sempre che io non scherzo mai quando ci sei in ballo tu in bikini – o senza, lo preferisco – e un'isola tropicale".
"Sei sempre stato fissato con l'idea di vedermi in costume, ammettilo, fin da quando mi hai invitato a trascorrere il week end del Memorial Day negli Hamptons, qualche anno fa, all'inizio della nostra... come vogliamo chiamarla? Collaborazione? Tentativo di convincermi a uscire con te?".
Fece scorrere lo sguardo sul suo corpo con ostentata ammirazione, ignorando le sue illazioni offensive. "Ne avevo motivo, non credi? Peccato che tu abbia preferito andarci con quel tizio noioso".

Non seppe come interpretare il generale mutamento di espressione e il silenzio prolungato che seguì. Forse non aveva capito a chi si stesse riferendo.
"Demming. Te lo sei dimenticato? Lo capisco, era così insignificante...".
"No, Castle, non ho problemi di memoria. Ricordo perfettamente Tom. Il fatto è che non sono mai andata da nessuna parte con lui quel fine settimana".
La notizia lo sconcertò al punto che smise di accarezzarla e non era una cosa che accadesse spesso, cioè trovare qualcosa che lo inducesse a smettere di toccarla. Ma non era così che ricordava la successione di eventi che, onestamente, era sempre stata molto chiara nella sua mente. "Ma... ti aveva invitata ad andare con lui e mi sembrava che tu avessi accettato il suo invito". La scena era così vivida che era come se la stesse vivendo in quel momento.
"È vero, ma alla fine non ci sono andata". Questo scombussolava le cose. Di parecchio, se doveva esprimere un'opinione a riguardo.

"Davvero? Perché? Vi ho sentiti parlare...". Forse confessare di aver origliato non era una mossa saggia. Insistette nel proseguire. "Anzi, tu stessa me lo hai confermato. Hai ammesso di avermi mentito sul fatto di dover lavorare perché non volevi che le cose tra noi diventassero imbarazzanti". Ricordava tutto, parola per parola. Ebbe in cambio lo stesso esasperante silenzio, come se stesse pazientemente aspettando che ci arrivasse da solo. Gli stava sfuggendo qualcosa?
"Mi piaceva molto, ma... Non poteva funzionare, non era quello che volevo e gliel'ho detto, prima di andarmene via con lui. Ho pensato che fosse più corretto così".
Lei lo aveva lasciato già allora? Lui era sempre stato convinto che la rottura fosse avvenuta durante l'estate, chissà per quale motivo – sicuramente valido – mentre lui era negli Hamptons con Gina. Cancellò quell'immagine dalla mente. Era stata una pessima idea, una di quelle che si portano avanti solo per non ammettere di aver sbagliato, fin dall'inizio.
"Non è importante, Castle, è successo tanto tempo fa". No, non era d'accordo. Era molto più che importante. Ripensò alla faccenda, rivivendo uno per uno i fatti per come si erano svolti. O per come aveva creduto che fossero andati.
"Quando me ne sono andato con... quando me ne sono andato dal distretto, avevate già rotto?". Era fondamentale per lui saperlo. Lì. Su quella spiaggia, davanti a quel tramonto infuocato.

Lei distolse lo sguardo, un po' pensierosa, forse incerta. Poi tornò a voltarsi verso di lui e annuì, senza aggiungere niente, senza dire qualcosa che alleggerisse quell'enorme guazzabuglio che, adesso ne era certo, aveva combinato. Come poteva essere stato tanto stupido? Non accorgersene? Era stato così accecato dalla gelosia, da quelle spine che gli si conficcavano nella carne quando li vedeva insieme, lei e Tom, senza nemmeno capire il motivo per giunta - banalmente tanto ovvio con il senno di poi - da non aver colto i segnali.
Gli indirizzò un sorriso un po' tirato. "Avevo pensato che... sarebbe stato carino passare qualche giornata insieme a te, sull'oceano. Amichevolmente", sottolineò con enfasi. Sì, sapeva di aver tentato di convincerla con la sua buona fede, ma naturalmente entrambi sapevano che non sarebbe andata così.
"Tu volevi accettare il mio invito". Non era più una domanda. Era l'amara, ineluttabile constatazione di quanto non avesse capito niente. Mai. "E io...".
Si lasciò cadere sulla sulla schiena, di slancio. Non poteva essere vero. Non poteva non esserci arrivato, non averlo intuito. Non averlo letto nei suoi occhi. O forse non aveva voluto farlo, perché si era sentito ferito. Ed era stato meschino, vendicativo.

Si era distesa anche lei, quietamente. Le appoggiò una mano sulla guancia per farla voltare verso di sé e guardarla negli occhi. Doveva fare qualcosa, anche adesso, anche se inutile, doveva riparare il danno, doveva chiedere perdono, doveva dirle che non aveva mai voluto andare via con la sua ex moglie, che starle lontano era stato un inferno, ma lo aveva fatto solo perché pensava fosse meglio così per tutti. E invece aveva sbagliato alla grande.
"Non riesco a credere di essere stato tanto idiota. Non una, ma due volte. Per due volte hai fatto un passo verso di me e io non l'ho visto, non ti sono venuto incontro. Ti ho sbattuto la porta in faccia, invece. Mi dispiace, Kate, immensamente".
"Diciamo che in quel caso si è trattato di una ex moglie sbattuta in faccia, ma il senso è più o meno quello", rispose con tono leggero, senza alcuna inflessione giudicante, astiosa. Accusò il colpo. Forse lei era davvero andata oltre. Lui no. Lui non poteva perdonarselo.

Fu lei a colmare il silenzio attonito nel quale era sprofondato. "Abbiamo già deciso che non serve a niente chiedersi chi abbia avuto più colpe. È tutto a posto, no? Guarda dove siamo". Gli indicò il panorama, ma lui non volle guardarsi attorno.
Non era del tutto d'accordo. "Kate...". Il suo nome venne fuori come un'implorazione.
"Riconosco questo tono, Castle. E non è un tono da tropici", scherzò, ma lui, per una volta, non agguantò la scappatoia che era sempre stato pronto a offrirle. Lei non disse niente, non insistette, ma gli passò una mano tra i capelli. Un tocco fresco, gentile.
"Mi dispiace, Kate. Sono stato uno stupido". Ci teneva a dire quello che si teneva dentro da tempo, che non lo faceva dormire, che lo pungolava nei momenti più felici.
Avvicinò il viso al suo. "Castle, eravamo entrambi d'accordo che fare questi discorsi non serve a niente".
"No, Kate. Tu l'hai deciso, e dopo esserti assunta ogni responsabilità, sollevando me da qualsiasi torto. Non è giusto. Ho anche io le mie colpe ed è giusto ammetterle, a questo punto. La prima, quella più vergognosa, è di non esserci stato, quando avevi bisogno di me. Ti ho lasciata da sola, dopo averti promesso che sarei sempre stato pronto a guardarti le spalle. Starti vicino, supportarti, capirti, tenerti per mano. Proteggerti, e amarti. Sempre", concluse, con fare ispirato e solenne. Perché ci credeva ed era un po' emozionato nel fare quella specie di proclama che sentiva vero come mai niente di prima di allora nella vita.

"Non sapevo che in un'unica parola fossero implicite così tante promesse", rispose lei dolcemente, facendogli l'occhiolino. Apprezzava che fosse tanto disponibile nei suoi confronti, così aperta, conciliante, morbida quasi, quando di solito i loro confronti erano sempre stati impetuosi, pronti a degenerare al primo passo falso. Era una nuova Beckett quella che aveva davanti. Si sporse a baciarlo sulle labbra. Prendeva anche spesso l'iniziativa, ma adesso era troppo turbato per raccogliere il suo invito. "Sto scherzando", aggiunse, quasi temesse di venire fraintesa. Gli spiacque che si preoccupasse tanto di non farlo agitare. Probabilmente si stava chiedendo che cosa diamine stesse succedendo. "Ho sempre saputo che cosa significasse. Vale anche per me. Ma devi smettere di arrovellarti, Castle. Guardami", proseguì determinata, così gli pareva, a tentare di nuovo di convincerlo che doveva piantarla di sentirsi in colpa. Invece lui si sentiva proprio così e avrebbe solo voluto disperatamente che lei gli permettesse di dire quello che sentiva, una volta per tutte. Doveva liberarsi.

"Ho invitato Gina a trascorrere l'estate da me perché ero geloso", la precedette. "Non ero pronto a vederti con un altro. Non ero pronto, allora, a decifrare onestamente quello che provavo, vedendoti con un altro. E ti ho piantato in asso, qualche mese fa, venendo via dal tuo appartamento e non rispondendo alle tue chiamate perché avevo paura di perderti. E così me ne sono andato prima io, ti ho voltato le spalle. Per non soffrire, per non uscirne devastato, per non vederti morta, per non perderti per sempre, che è quello che ho rischiato che succedesse. Ti ho lasciato io prima che lo facessi tu. E ti ho persa".
Aspirò l'aria a grandi boccate. Lei rimase in silenzio. "Entrambe le volte mi sono sentito rifiutato da te. So di non reagire benissimo quando mi sento... respinto", ammise, vergognandosi. "Credo di averti voluto punire, molto banalmente, e solo perché... non mi amavi. Non sono fiero di me per averlo fatto. Ma è giusto ammettere che è andata così".
Chiuse gli occhi perché temeva di leggere in quelli di lei che qualcosa era cambiato tra loro, dopo quella confessione. Non avrebbe potuto sopportarlo. Ma non sarebbe potuto essere più sincero di così. Era arrivato in fondo alla propria anima, per decifrare i propri moti interiori e offrirglieli in dono, con tutta la vulnerabilità che questo implicava e qualsiasi conseguenza avesse comportato. Compreso farla allontanare.

Gli si fece più vicino, sempre sdraiata supina e appoggiò la testa vicino alla sua. Entrambi fissavano il cielo senza nuvole sopra di loro, forse senza vederlo davvero. Lui di certo non era in grado di apprezzare le bellezze della natura, nonostante il posto paradisiaco in cui si trovavano proprio grazie alle sue insistenze. Era scosso, turbato.
"Credo che non corriamo più il rischio che tu ti senta rifiutato, giusto?", sussurrò. Intrecciò le dita tra le sue. "O non amato", aggiunse, così a bassa voce da fargli credere di esserselo immaginato. Rotolò sulla schiena, lui l'accolse contro di sé mettendole un braccio sulle spalle. Amava il modo in cui si modellava perfettamente intorno al suo corpo. Lo faceva sempre, ed era qualcosa di prezioso. Incuneava la testa nella curva del suo collo, infilava una gamba tra le sue, appoggiava un braccio sul suo petto, come se fossero un unico corpo, come se non esistesse alcuna separazione fisica. I loro respiri si sincronizzavano per effetto della vicinanza, spesso si assopivano così, semplicemente chiudendo gli occhi, lasciando che il mondo andasse avanti senza di loro, ubriachi della loro stessa beatitudine, che si produceva misteriosamente in quantità sempre più elevate e che li avvolgeva come seta leggera, e indistruttibile.

"Ho paura", le sussurrò all'orecchio, confessandosi fino in fondo e allarmandola. La sentì irrigidirsi istantaneamente.
"Di che cosa?".
"Di non accorgermene, la prossima volta che mi verrà da comportarmi da idiota, e quindi di perderti definitivamente. In questo caso... ci sono andato molto vicino. Ero convinto che non ti saresti mai fatta trovare e io sarei stato costretto a cercarti chissà dove, in giro per il mondo. Perché lo avrei fatto, Kate. E lo farò sempre, a qualsiasi costo".
Lei si schiarì la voce, ma lui non aveva ancora finito. Non aveva avuto idea di aver così tante cose da dire, ma adesso era un fiume in piena impossibile da contenere. "Non ti lascerò mai più affrontare la solitudine, perché non sarai mai più sola, finché ci sarò io. Non ti volterò mai più le spalle. E se gli altri lo faranno, io sarò dalla tua parte. Sempre. Non sbatterò più porte. E se preferirai non avermi vicino, o non mi vorrai più, starò seduto fuori dalla porta ad aspettare per sempre, nel caso cambiassi idea e avessi bisogno di me".
Ricevette in cambio una risata cristallina, spontanea. "Castle, devi gestire meglio queste tue tendenze ossessive da potenziale stalker". Sorrise anche lui. Lo aveva detto sapendo di suscitare quella reazione.
"Lo farei con discrezione, senza farmi accorgere. Potrei perfino camuffarmi, se servisse allo scopo. Ma non ti lascerò mai più sola". Era un punto fondamentale, non si sarebbe stancato di ripeterglielo finché non se ne fosse convinta. Immaginarla, come era stata, senza amici, senza aiuto, senza conforto, senza di lui era più di quanto gli fosse possibile sopportare fisicamente. "Non ci sarà mai un momento in cui non sarò al tuo fianco, fintanto che lo vorrai".
Concluse e attese trepidante un cenno, una risposta, qualcosa che gli confermasse che non si era spinto troppo in là. Lei tacque per qualche istante.

"Lo voglio, Castle. E penso che lo vorrò, molto, molto a lungo". Si fermò come se un pensiero improvviso la stesse costringendo a riflettere meglio sulla questione. "Non è una proposta, vero? Perché suona un po' come "nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi e probabilmente nemmeno quella", si informò, un po' frastornata.
Fu il suo turno di scoppiare a ridere. Si riscosse dalla paralisi che l'aveva preso e si mosse per imprigionarla sotto di lui.
"No, non era una proposta. Anche se...". Le spostò i capelli dalla fronte, guardandola negli occhi. Non c'era alcuna traccia di timore in lei, o insicurezza. "Credo che... prima o poi... sarà più o meno lì che finiremo, o almeno... lo spero, per il futuro, e magari anche tu...".
Era l'accozzaglia di parole meno poetiche che gli fosse mai venuto in mente di pronunciare in una circostanza che, invece, avrebbe richiesto tutto il suo estro creativo, una robusta dose di romanticismo, dichiarazioni appassionate e perfino condizioni fisiche più consone. Ma era tutto quello che gli era uscito, diretto dal cuore.
"Sì, Castle, credo anche io che... potremmo finire lì". Gli batté il cuore così forte che gli rimbombò nelle orecchie. Qualcosa si sciolse dentro di lui e lo invase di piacere dilagante. "Nel frattempo, però...", aggiunse lei con tono inequivocabile.
"Nel frattempo è ora che questo inutile bikini sparisca".
"Pensavo che non ti saresti mai deciso a togliermelo".
"Ehi!", protestò. "Io ci ho provato, ma tu...".
"Sta' zitto e baciami". Imperiosa come sempre, era impossibile resisterle e lui non aveva nessuna intenzione di farlo. Per molte, molte volte ancora.

.

Allora, *vuole rimanere ai tropici con i Caskett per sempre.
Grazie per la pazienza, questo capitolo è stato come un parto, ce l'avevo in mente, ma non avevo due minuti di tempo per sedermi e scriverlo. Ma è stata in generale una storia travagliata, per rimanere in tema gestazionale.

Momento spiegone: so che il Canon vuole Beckett tendenzialmente insicura sulla relazione e Castle sempre rassicurante, ma in questa AU ho valutato i loro comportamenti da questa prospettiva: Beckett ha subito un'esperienza terrificante, quella di venir rifiutata da Castle proprio quando pensava di iniziare una storia con lui e quindi ha avuto modo, in virtù del dramma, di andare e tornare dall'inferno, molto più forte e sicura su quello che vuole e sull'apprezzare quello che di bello ha nella vita. È stata una rinascita dolorosa, a tratti, ma con un risultato importante. Castle, dal canto suo, è stato all'oscuro di tutto, e quindi per lui è stato difficile metabolizzare gli eventi nel modo corretto (non li sapeva!) e accettare i cambiamenti repentini, che in lei sono stati più ragionati. Per cui ho messo in atto un piccolo shift di consapevolezza.

Ho già detto tanto qui, su twitter, ovunque, pure per strada tra un po' e quindi sarete stufi di sentirmi ringraziarvi. Ma in questi giorni ho smesso purtroppo di fare una cosa che amavo tanto e voglio dirvi grazie di esserci e permettermi di portare avanti questa che amo forse di più di qualsiasi altra cosa al mondo (not to be dramatic, but still...).
Grazie a Valeria che si è smazzata lo script della 2x24 quando io non potevo e che risponde ai dubbi dell'ultimo minuto, incrollabile. Grazie a chiunque mi faccia compagnia in ogni modo possibile.

Per il futuro, io ho in mente un'altra storia - sempre come sapete già perché non sto mai zitta e questo commiato sta diventando più lungo di un capitolo medio -, che però vorrei fosse più sanguigna, più rabbiosa anche, perché voglio addentrarmi in sentimenti ed emozioni più estremi da gestire e da vivere. Questo significa tirar fuori anche il peggio da loro che di norma significa fare i muri che non si capiscono. Sentitevi liberi di salutarmi già adesso, senza complimenti, amici come prima :D

   
 
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