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Autore: Uptrand    16/05/2018    14 recensioni
La bambina tremava di paura, era un'orfana di una decina d'anni e davanti a lei vi era l'assassino dei suoi genitori e rapitore. Per quattro anni era stato trattata come schiava, facendo qualsiasi lavoro le venisse ordinato.
Questa storia mi è stata ispirata dal Jim Moriarty di Victoria Buchanan. Questo la rende una storia un po' particolare.
Vi consiglio di leggerla solo se avete già avuto modo di conoscere Alexya e Taiga.
Alexya e Taiga sono miei personaggi originali usati nella trama principale nelle mie storie di Mass Effect. Mi rendo conto che questa storia non centra niente con tale fandom, anche se virtualmente è sempre ambientata in questo universo. Proprio per questo ho comunque inserito il riferimento a tale videogico.
Genere: Azione, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note autore: Questa storia mi è stata ispirata dal Jim Moriarty di Victoria Buchanan. 
Vi consiglio di leggerla solo se avete già avuto modo di conoscere Alexya e Taiga. 



La bambina tremava di paura, era un'orfana di una decina d'anni e davanti a lei vi era l'assassino dei suoi genitori e rapitore. Per quattro anni era stata trattata come schiava, facendo qualsiasi lavoro le venisse ordinata. 
Era in una situazione di pura follia, ma lei aveva troppa paura di quell'uomo di cui non aveva mai visto il volto. Vestiva interamente di nero, anche il viso era coperto da una maschera. Solo il bianco dei denti e degli occhi era visibili, dandogli un aspetto surreale. Le aveva ucciso i genitori davanti gli occhi, per imprimergli un terrore di cui non si sarebbe mai liberata. Era quello il suo modo di fare, imprimere un terrore indescrivibile nelle sue vittime perché non si ribellassero.
Da quel momento era finita della tratta di esseri umani, lei era rimasta a lavorare come schiava in quel bordello gestito “dall'uomo in nero”. Aveva visto altri bambini come lei, alcuni rimanevano ma molti di più sparivano. Tutti erano però presi da quell'individuo che non sembrava temere niente, quando una persona gli interessava semplicemente se la prendeva.  
Nonostante i progressi compiuti in ogni campo: l'entrata dell'umanità in una comunità galattica e la scomparsa della guerra dalla Terra, tranne alcune zone marginali, vi erano problemi della società che ancora non erano stati sconfitti come la povertà. 
Le baraccopoli esistevano ancora, lì era nata e vissuta fino a quella notte in cui tutto le fu portato via. Quattro anni in cui fu privata della sua dignità.
Forti braccia la presero e la buttarono in un sacco, urlò terrorizzata. Quella era la punizione peggiore. Da dentro si sentì sollevare e venire appesa. Subito dopo arrivarono le botte, date con dei bastoni. Urlò fino a quando non perse conoscenza. 
La botta improvvisa la fece rinvenire, confusa e dolorante rimase immobile in attesa di altre. Non arrivarono. Lentamente cominciò a strisciare fuori dal sacco, questo si era semplicemente staccato dal gancio. Riuscendo appena a zoppicare mosse i primi passi, piena di lividi e sangue che le macchiava i vestiti uscì dalla porta. Era notte.
Non sapeva cosa stava facendo, era come se il suo corpo fosse comandando da qualcuno. Ma sentiva la mente leggera e libera, l'unico misero sollievo in quell'universo di dolore. 
Dove stava andando? Non lo sapeva.
Come era finita davanti a quella porta? Nemmeno.
« Aiuto. » mormorò appena. Cosa stava facendo? Doveva tornare indietro da quell'uomo. Se avessero scoperto che si era allontanata, sarebbe stato ulteriormente punita. 
Doveva andar via, ma il suo corpo rifiutava. 
La porta si aprì, intravide una figura femminile e svenne. Era come se il suo corpo avesse deciso di spegnersi, il suo ultimo pensiero fu che doveva tornare indietro. 

Una settimana, non riusciva a crederci. Mai era stato lontana tanto da quell'uomo, era terrorizzata da cosa le avrebbe fatto al suo ritorno. Perché doveva tornare, di questo era sicura. Se fosse stato lui a trovarla, era certa che ci sarebbe riuscito, la sua punizione sarebbe stata ancora peggiore.
Non l'avrebbe uccisa, ma le avrebbe inferto dolore oltre ogni sua immaginazione e per giorni.
Non riusciva però ad andarsene da quella chiesa in cui l'avevano accolta.
Aveva scoperto di aver bussato a una mensa dei poveri, questa era gestita dal reverendo Isai Golden. Un uomo di colore sulla sessantina, poeta dilettante. Quella figura femminile che aveva visto, era una delle volontarie che aiutavano il religioso. 
Aveva avuto modo di vederla altre volte. Si chiamava Taiga. Una figura minuta ma tenace e piena di energie. 
L'avevano portata all'ospedale, dopo le cure e non sapendo a chi affidarla era rimasta ospite nella sacrestia della chiesa. Questa era all'interno di una scuola militare, dove il prete svolgeva i suoi doveri. Dividendosi tra di essa e la mensa dei poveri. 
Taiga veniva a trovarla spesso, a volte ad accompagnarla vi era anche un'altra persona. 
Sembrava una regina tanto era bella, il suo portamento era regale. 
Lei la guardò appena e rivolta all'amica, quasi che lei non ci fosse « Non vale la pena aiutarla. »
« Alexya, come puoi dire qualcosa di così crudele? » le urlò arrabbiata contro. 
« Finirà lo stesso morta da qualche parte tra breve. Chi non ha la forza di aiutare se stesso, non merita aiuto. » 
« È un bambina! Cosa cazzo pretendi che faccia? »
« Che reagisca. » 
« Vattene! »
Lei ubbidì ma non le sembrò arrabbiata, dopo Taiga le parlò « Scusala, Alexya non è cattiva ma ha un modo di pensare diverso dal nostro. Anche lei ha sofferto molto. »
« Sofferto? »
« Si, ma adesso è felice. Dovresti vederla quando si allena con la sua spada, c'è da rimanere estasiati. Basta darle qualcosa che sia una lama e sa fare cose incredibili, come riuscire a pulire un pesce intero di qualsiasi stazza in meno di dieci secondi. » disse con tono allegro per alleggerire l'atmosfera. Lei sorrise, non lo faceva da tanto, apprezzando quel gesto. 
« Ti posso chiedere come ti chiami? »
« Giorgia. »

Stupida, era stata una stupida. Sapeva che l'avrebbe ritrovata, non era scappata così lontana perché lui non la potesse ritrovare. Mentre era sola, lui era riuscito a introdursi nella sacrestia. Non era bastato il posto o la solida porta a fermarlo. L'aveva tramortita con un pugno, per evitare problemi. 
Sentiva il proprio corpo trasportato sotto braccio. Poi fu gettata in quella che le sembrò un auto.  
Non fu una corsa lunga, la buttò a terra e fu su di lei. Le sue grosse mani le strinsero il collo. Era sera, ma la poca luce le permise lo stesso di capire dove si trovava. Era il quartiere dove era nata, dove quell'uomo l'aveva trovata e regnava con malvagità sovrana. 
« Come hai osato scappare? Io sono “l'uomo nero”, non sai che posso arrivare ovunque ci sia una bambina. Voi mi appartenete, tu e gli altri. Crepa bastardella, non si sfugge “all'uomo nero”.»
La gola le bruciava, era certa che tra pochi istanti sarebbe morta. Infine la vide, era seduta sul muro che delimitava uno dei lati di quella infima stradina. Era Alexya, la fissava duramente e senza pietà. Sembrava una divinità pronta ad emettere un giudizio. 
« Aiuto. » mormorò. 
« Chi cavolo chiami mocciosa di merda? Non c'è nessuno per te, tutti hanno paura “dell'uomo nero.” »
Lui non sembrava essersi accorto della sua presenza, lei però non si muoveva. Intanto le mani dell'uomo stringevano sempre di più, così vicine alla sua bocca. 
« Bastarda! » gridò con forza lui, quando le morse il pollice così forte da farlo sanguinare. Aveva dato un colpo secco con i denti, con tutta la forza di cui era capace. 
Non vi fu suono o spostamento d'aria apparente, il calcio arrivò totalmente imprevisto e con una potenza devastante. 
L'uomo fu sbalzato di lato, ad un metro buono di distanza. 
Alexya troneggiava davanti alla ragazza « Se puoi mordere, puoi combattere e forse hai qualche speranza. Torna indietro, di che sei semplicemente scappata ma che poi ci hai ripensato. Non una parola su quanto è accaduto. »
La vide rivolgersi all'uomo « Ti fai chiamare “uomo nero”? Che cosa ridicola. »
« Stupida mocciosa, tutti hanno paura “dell'uomo nero”. Non conosci la leggenda? Io sono colui che caccia i bambini, sono il loro predatore. » - sorrise - « Adesso ti farò male e molto, mi divertirò. »
La ragazza ne era sicura anche se la vedeva di spalle, Alexya era furiosa e non si sbagliava « Predatore? Non osare accomunarmi a te, sei più simile a un animale con la rabbia che a un predatore. » - Poi sorrise maligna e crudele - « Facciamo un gioco, da molto non uccido e credo che nessuno avrà da ridire se mi sfogo su di te. Dopotutto, credo di avere ragioni sufficienti per farlo.»
« Di che parli? » 
« Ti strapperò tutte le dite della mani, questo ti dà dieci possibilità per trovare qualcuno che ti ospiti. Se ci riesci vinci. » 
« Che razza di... » è urlo di dolore, non l'aveva neanche vista arrivare e il mignolo sinistro gli era stato strappato. Spinto dal dolore attaccò in maniera furiosa, fiducioso della forza e violenza che contraddistinguevano i suoi attacchi. 
Urlò nuovamente « Otto vite. » dichiarò Alexya, in mano l'indice destro dell'uomo. 
Corse via.
« Mi raccomando, ricorda le regole. » 
Lui correva, poteva sentirla dietro di se. Urlava per le strade di quel povero quartiere, quel luogo che aveva terrorizzato. Tutti sapevano della sua traffica di esseri umani, chi aveva figli non li lasciava mai da soli e tutti avevano troppo paura. 
« Aprite! » « Apritemi! » urlava disperato, ma alla richiesta non rispose nessuno.
Pollice sinistro...
Anulare sinistro...
Medio destro...
Mignolo destro...
4 vite...
3 vite...
2 vite...
1 vita...
« Gioco finito. » dichiarò Alexya, “l'uomo nero” era in ginocchio davanti a lei. La sua corsa era terminata in un vicolo cieco. Teneva davanti a se le mani devastate e ormai inutili. « Che ti dicevo? Sei come un animale idrofobo, scacciato da tutti e che nessuno vuole. Non sei come me, i predatori hanno un loro posto. Qualcosa da cui tornare. »
Lui era bloccato dal terrore, quella ragazza era mostruosa. Era come essere davanti a una bestia feroce, una intenta a divertirsi. 
La vide estrarre da dietro la schiena quello che parve essere un coltello da cucina. 
« Pesce. » mormorò Alexya. 
Lei sorrise. In esso lui vide l'inferno. 

Il giorno dopo la polizia mise fine a un traffico umano che per troppo tempo era proseguito, in quel quartiere senza legge. Avevano ricevuto informazioni anonime che si dimostrarono esatte. 
Tuttavia il capo di quel traffico, noto come “uomo nero”, non fu mai trovato. 

« Penso che te la caverai. » le disse Taiga, salutandola. Il reverendo, usando i suoi contatti, aveva provveduto a trovarle una sistemazione amorevole presso una famiglia. Non era un sistemazione definitiva ma era un nuovo inizio. 
« Saluteresti Alexya per me? »
« Certamente, allora avete fatto amicizia? »
« Io...» - sapeva che non avrebbe mai dovuto dire niente - « Mi ha fatto capire che non devo aver paura. » 
« Capisco, anzi no ma va bene lo stesso. Sembri stare meglio.» detto questo la vide andar via accompagnato dal reverendo.

In quel misero quartiere le cose cambiarono poco o niente, ma si diffuse una leggenda su un vicolo. Questo era senza uscita, situato tra due piccole case e evitato da tutti. Terrore di tutti i bambini. I genitori, per mettere paura ai bambini, dicevano che se facevano i cattivi gli avrebbero abbandonati nel vicolo “dell'uomo nero” o che il mostro sarebbe uscito dal suo rifugio al calar delle tenebre per prendere i bambini rimasti soli. 
Raccontavano che sul fondo di quel vicolo fosse possibile trovare uno scheletro intero perfettamente pulito. Ero quello dell'uomo nero, sconfitto da una nobile fata che avrebbe tolto le ossa al mostro perché non potesse camminare. Strappandogli la pelle e nascondendola da qualche parte, perché non potesse stare alla luce del sole. Il mostro usciva solo di notte, strisciando alla ricerca della sua pelle con cui avrebbe riunito il suo scheletro al suo corpo. 
   
 
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