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Autore: mononokehime    17/05/2018    0 recensioni
Talvolta ciò che ci rimane più impresso della realtà sono i dettagli che la compongono.
Questo è particolarmente vero per Carter Mason, accanita osservatrice del mondo che la circonda; proprio questa sua ossessione per i particolari la legherà indissolubilmente ad uno sconosciuto sulla metro, che farà di tutto per ritrovare.
DAL TESTO:
In quel momento la metro frenò bruscamente e Carter, non più appoggiata ad un sostegno, perse l'equilibrio sbilanciandosi all'indietro contro il corpo di una persona che la afferrò per il fianco sinistro, colta alla sprovvista.
Ancora frastornata, nel tentativo di recuperare l'equilibrio la ragazza abbassò lo sguardo sulla mano che la stringeva. Era una mano grande, giovane e maschile, le dita affusolate ma non per questo sottili.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Axl Rose o Robert Plant?»
«Che domanda è? Robert Plant, ovvio. I Led Zeppelin sono delle leggende, ma si poteva fare benissimo a meno dei Guns’n’Roses»
«Sei troppo insensibile. Non hai mai ascoltato November Rain
«Ho smesso di piangermi addosso con quella canzone all’inizio del liceo. Anni ‘60 o ‘70?»
«I mitici Settanta, ci mancherebbe. L’epoca d’oro dei Pink Floyd, vuoi mettere?»
«D’accordo, ma senza l’era dei Beatles gli anni ‘70 sarebbero scialbi come i Quaranta»
«Ho capito che lavori al Beatles Coffee Shop, ma puoi almeno fingere di non essere di parte?»
Carter roteò gli occhi a quel commento, ma non riuscì ad impedirsi di ridacchiare. Lo sguardo di Harry si accese di quel lampo furbo che lo contraddistingueva, e che se possibile lo rendeva ancora più affascinante.
Avevano abbandonato l’ultimo paio di fette di pizza nei cartoni di fronte a sé, impegnati com’erano in quel botta e risposta dove nessuno dei due, entrambi accaniti com’erano, sembrava voler retrocedere di un passo dalle proprie posizioni.
E si divertivano da matti, a modo loro.
«Non sono di parte… okay, forse un pochino» replicò Carter, sogghignando alla smorfia che il ragazzo le rivolse. «Però devi ammettere che è dagli anni ‘60 che è nato tutto. Dopotutto i Pink Floyd si sono formati nel 1964, giusto?»
«1965… touché» ammise Harry, alzando le mani in segno di resa. «Devi sempre riuscire a spuntarla, eh?»
Lei alzò le spalle con nonchalance, l’ombra di un sorriso che aleggiava ancora sulle sue labbra. Si sentiva insolitamente a proprio agio, in quel piccolo appartamento di Kilburn al settimo piano, mentre fuori dall’ampia vetrata alla sua destra Londra brillava e sfolgorava di lucine arancioni e gialle nella notte ancora giovane.
Stava chiacchierando di musica con un ragazzo che conosceva da appena un mese, un ragazzo che peraltro era bello da togliere il fiato, e riusciva a parlare tranquillamente senza neppure balbettare; non riusciva a spiegarsi come fosse possibile, ma si sentiva così bene che avrebbe voluto restare lì per sempre.
Sulla guancia di Harry comparve la solita fossetta impertinente mentre la osservava; ogni tanto Carter si perdeva tra i propri pensieri, e lui non mancava mai l’occasione di studiare la sua espressione assorta. Aveva un che di accattivante, e lo incuriosiva più di quanto fosse lecito.
«A cosa pensi?» non riuscì a trattenersi dal chiederle diversi secondi dopo, reprimendo una risata quando la vide riscuotersi ed avvampare per essere stata colta di nuovo in flagrante.
«A niente di particolare, in realtà» rispose imbarazzata la ragazza, raddrizzando la schiena. «La pizza era molto buona»
Harry sbatté le palpebre, emettendo uno sbuffo divertito mentre si alzava in piedi.
«La pizza…» ripeté a mezza voce, scoprendo i denti in un sorrisetto e scuotendo la testa. «Sei a posto? Vuoi qualcos’altro?»
Carter fece un cenno di diniego, lanciando un’occhiata dispiaciuta alla fetta solitaria rimasta nel proprio cartone. Ce n’era una anche in quello di Harry.
«Non preoccuparti per quelle, le metto in frigo e le mangerò domani» la rassicurò lui, facendole un occhiolino. «Non butto via niente»
Riusciva ad essere affascinante anche così, mentre trasferiva due fette di pizza ormai fredde su un piatto e le copriva con della pellicola trasparente sul piano di lavoro della cucina. I lunghi capelli castani ricadevano sulla sua schiena, accompagnando i suoi movimenti, ed il maglione color panna gli avvolgeva alla perfezione il busto appoggiandosi morbidamente sui fianchi magri.
Era una visione, una maledetta visione.
«Ti va del vino?»
La ragazza deglutì a vuoto, maledicendosi per essersi di nuovo smarrita ad osservarlo avidamente. Per fortuna Harry era di spalle.
«Non saprei… non lo bevo mai» ammise, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. «In realtà non amo l’alcol in generale»
«Il vino non è alcol» sentenziò lui, l’espressione studiatamente filosofica. «È un’opera d’arte»
Quell’uscita da gradasso la fece ridere, e Harry si unì subito a lei mentre posava sul tavolo due ampi calici.
«A dire il vero non so nulla di vini, ma mi piacciono così tanto che devo almeno fingere di essere un esperto per non sembrare un banale alcolizzato» le confidò poi con aria complice, come se le stesse rivelando un segreto internazionale. Carter gli lanciò un’occhiata vagamente obliqua che non tentava nemmeno di nascondere il proprio divertimento.
«Sei incredibile» riuscì solo a replicare, scuotendo la testa. Il ragazzo ridacchiò mentre stappava una bottiglia, versando poi il liquido color rubino nei due calici e prendendo di nuovo posto al tavolo; la ragazza ne afferrò delicatamente uno per lo stelo sottile, avvicinandolo al naso in modo da poter annusare la fragranza del vino.
Era intenso, inebriante e ricco di sfumature che non era in grado di decifrare, proprio come Harry.
«È buono» si sorprese ad ammettere, dopo che ne ebbe preso un piccolo sorso. «Non credevo potesse piacermi davvero»
«Niente male, eh?» replicò lui compiaciuto, facendo oscillare il proprio calice ed osservando il vino ondeggiare elegantemente al suo interno. «È il mio preferito»
«Niente male davvero» mormorò Carter, lo sguardo ancora una volta perso nel vuoto. Tenendo in mano il bicchiere si alzò in piedi, muovendo qualche passo fino alla parete ricoperta di vinili ed osservandone le copertine. Le studiava una ad una con la sua solita attenzione per i dettagli nonostante ne conoscesse già parecchie a memoria, la testa piegata di lato ed un leggero cipiglio concentrato a corrugarle la fronte.
Harry non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura minuta, torturandosi il labbro inferiore tra il pollice e l’indice. Gli ricordava una vecchia canzone di Prince e non sapeva nemmeno il perché.
Prese un generoso sorso di vino e si alzò di scatto, lasciando il bicchiere sul tavolo mentre si dirigeva verso l’impianto stereo alle spalle di Carter. Lei si girò, avvicinandosi curiosa e scorrendo con lo sguardo i titoli dei numerosi CD che riempivano gli scaffali insieme ai libri.
Le dita affusolate di Harry si fermarono su un album e lo tirarono fuori senza esitazione; Carter aggrottò le sopracciglia, sbirciandone la copertina.
«Prince, eh?» constatò, annuendo con approvazione. «Non ho mai ascoltato Sign ‘o’ the times, ma in fin dei conti quel genio ha scritto talmente tanti album che è impossibile conoscerli tutti»
Il ragazzo sorrise sotto i baffi mentre inseriva il CD nello stereo ed avviava la sesta traccia. Il calice di lei era ormai vuoto, e mentre i semplici accordi di un pianoforte riempivano l’aria del piccolo appartamento Harry tornò al tavolo per recuperare la bottiglia.
Pochi istanti dopo entrambi i bicchieri erano di nuovo pieni; Carter sorseggiava il vino muovendo appena la testa al ritmo della musica. Si era quasi dimenticata quanto fossero irrimediabilmente contagiosi gli anni ‘80.
«Prince è come il vino» affermò decisa, dopo un paio di minuti di silenzio. «All’inizio credi che una roba del genere non ti potrebbe mai piacere, ma poi gli dai una possibilità e inizia a darti alla testa praticamente subito»
Harry le rivolse un’occhiata divertita, constatando che il suo sguardo era in effetti un po’ più vacuo di prima. Era evidente che non era abituata a bere, ed anche se non era ancora brilla nel vero senso del termine quel paio di bicchieri stavano già cominciando a farsi sentire.
«Direi che è la descrizione di Prince più originale ed azzeccata che abbia mai sentito» replicò, la fossetta sinistra sempre ben visibile sulla guancia. «Me la dovrò scrivere da qualche parte»
Carter riportò gli occhi su di lui mentre le riempiva ancora il bicchiere, soffermandosi sulle nocche della mano che reggeva la bottiglia. Era possibile trovare affascinanti delle nocche?
Probabilmente era l’alcol, ma non si sentiva così rilassata e spensierata da tempo. Era come se potesse dar voce ai propri pensieri in tutta libertà, senza preoccuparsi di nulla.
«Anche tu sei come il vino» mormorò sovrappensiero, guardando il suo viso con la testa piegata di lato come quando osservava i vinili appesi al muro. Harry sollevò le sopracciglia, indubbiamente colto di sorpresa, ma non lo diede a vedere perché mantenne salda la propria espressione furbamente compiaciuta mentre muoveva un passo verso di lei.
La ragazza non doveva neppure essersi resa conto di aver espresso ad alta voce quel pensiero, perché si portò di nuovo il bicchiere alle labbra ed assaporò un altro sorso ad occhi chiusi.
Quando li riaprì Harry era proprio accanto a lei; la guardava con espressione indecifrabile, e per un istante si sentì smarrita.
«Cosa…»
«Sto pensando» la anticipò meditabondo, socchiudendo le palpebre. «Mi chiedevo se la prossima volta che berrai del vino penserai a Prince oppure a me»
Carter spalancò gli occhi e diventò paonazza, realizzando solo allora della rivelazione che si era lasciata sfuggire. Non aveva idea di come uscire da quella situazione imbarazzante, quindi si limitò a vuotare il contenuto del calice per darsi un contegno.
«A Prince, ovviamente» mugugnò, sentendo le guance andare a fuoco e le mani formicolare. Si voltò di scatto, andando a posare il bicchiere sul basso tavolino di vetro di fronte al divano, quindi incrociò le braccia al petto ed incollò di nuovo lo sguardo sulle copertine quadrate dei vinili nel blando tentativo di esorcizzare la vergogna.
Dietro di sé sentiva i passi lenti e cadenzati di Harry avvicinarsi; il cuore le martellava nelle orecchie, ogni traccia di abbandono era scomparsa e d’improvviso era tesa come una corda di violino.
Quasi sobbalzò quando sentì due grandi mani posarsi delicatamente sulle sue spalle, con cautela, come a non volerla spaventare; rimase immobile, trattenendo il respiro, mentre nella sua mente annebbiata vorticavano i pensieri più sconnessi.
«Carter?»
Ed eccolo lì, il suo nome pronunciato ancora una volta da quella voce così accattivante; faceva scomparire tutto, da Prince alle luci di Londra alla parete con i vinili. Si girò lentamente, le mani di Harry che si sollevavano appena dalla flanella della camicia a quadri solo per poi posarsi di nuovo sulle sue spalle esili quando lo fronteggiò.
Non poteva resistergli, non voleva resistere all’uragano di giada del suo sguardo, alle dita lunghe che le risalivano piano la pelle scoperta del collo, ai palmi caldi che le ricoprivano la linea della mandibola mentre la attirava inesorabilmente a lui.
Era impossibile resistere a quelle labbra sottili ma piene, che quando la baciarono fecero esplodere nel suo petto ogni singola stella del cosmo. Erano caute, all’inizio; caute e morbide, sapevano di vino e di desiderio silenzioso.
Carter tremò per un istante quando Harry la strinse a sé, le mani piene di anelli sui fianchi sottili, ma il tempo di intrecciare le dita ai suoi capelli e poté liberare il sospiro che le era rimasto bloccato in gola. Si sentì mancare di fronte alla mole immensa di sensazioni che stava provando; lei, che era abituata a dissezionare la realtà un dettaglio alla volta, era completamente in subbuglio – in balìa di un oceano emotivo di proporzioni surreali.
Tuttavia era bello andare alla deriva, farsi sopraffare da qualcosa che non era neppure in grado di circoscrivere. Era quasi facile abbandonarsi a lui, alle sue mani che l’avevano ammaliata fin da quel fatidico primo istante sulla metro, al profumo della sua pelle misto a quello del vino che le riempiva i sensi e la stordiva.
Quando le loro labbra si separarono per Carter fu come essere catapultata violentemente sulla Terra dopo un lungo volo nello spazio; sbatté alcune volte le palpebre, ancora intontita, senza peraltro avere il coraggio di sollevare lo sguardo verso gli occhi di Harry.
Lui emise una mezza risatina silenziosa, scuotendo appena la testa.
«Ammetto che è da un po’ che non baciavo una ragazza, ma se ho fatto pena vorrei almeno che me lo dicessi guardandomi negli occhi»
La ragazza fremette, gli angoli della bocca che si sollevavano in un mezzo sorriso, grata in cuor suo che avesse colto il suo imbarazzo e che avesse deciso di rompere il ghiaccio come era sempre solito fare.
«Non sei andato così male» provò a scherzare, nel tentativo di allentare la morsa che le serrava il petto. Harry ridacchiò, ed a quel punto Carter non poté fare a meno di alzare lo sguardo per catturare l’immagine della caratteristica fossetta che gli scavava la guancia.
«Credi che potresti concedermi il bis, allora…?» mormorò lui, avvicinandosi di nuovo e sfiorandole lo zigomo con il naso. Carter deglutì, ubriaca del suo respiro caldo, e si arrese ancora una volta a quelle labbra che erano in grado di farle perdere il contatto con la realtà.
 
Let’s make it last forever
For a hundred times won’t be enough…
 
La ragazza sciolse la presa sulla nuca di Harry per percorrere le sue spalle coperte dal maglione, assaporandone la trama sotto i polpastrelli. Le sue dita saggiavano avidamente ogni rilievo dei muscoli ed ogni piccola incavatura, marchiandone a fuoco ogni particolare nella sua memoria fotografica; i suoi gesti erano molto più sfrontati di quanto avrebbe creduto possibile, ma quando si trattava di Harry era sempre portata a ridefinire i propri limiti e le proprie insicurezze.
I loro respiri si inseguivano senza sosta, mescolandosi tra i baci che si rubavano a vicenda; erano avidi e curiosi, troppo impazienti per accontentarsi, e si cercavano l’uno nelle labbra dell’altra con urgenza febbrile come se quello fosse un sogno da cui avrebbero potuto risvegliarsi in qualunque momento.
L’aria si stava rapidamente caricando di elettricità; lo testimoniavano i battiti frenetici ed irregolari dei loro cuori, dei brividi che nascevano sul corpo di entrambi ad ogni tocco e del calore quasi insopportabile che li avvolgeva ogni secondo di più.
Il desiderio di sentirsi era tanto, al punto che Carter si era trovata seduta sul tavolo senza ben sapere come, con Harry tra le gambe per poter assaporare la sensazione del suo intero busto schiacciato contro di lei. Le grandi mani del ragazzo riuscivano a ricoprire buona parte delle sue cosce magre e le esploravano lentamente dal ginocchio all’anca, su e giù, senza mai essere invadenti ma permettendole di percepire la sagoma di ogni singolo anello attraverso il tessuto dei jeans neri.
Carter soffocò un singulto nel sentire sotto i pollici il profilo della mandibola di Harry, così squadrata e tagliente, così in contrasto con le morbide onde dei suoi capelli e quelle labbra che la stavano facendo letteralmente impazzire. Il suo cervello era su una giostra delirante, i sensi amplificati e distorti dal vino l’avevano più volte portata a pensare di stare avendo le traveggole.
Ma come poteva immaginare così vividamente i palmi aperti di Harry che studiavano con cura minuziosa le sue gambe? Come poteva immaginare così vividamente i suoi denti che le affondavano appena nel labbro inferiore e lo tiravano indietro, la sua bocca umida sul collo, il suo petto ampio che si espandeva e si contraeva al ritmo dei suoi respiri?
Era satura di lui, ed era la sensazione più magnifica che potesse immaginare. Era satura del suo profumo, del suo sapore, del suo tocco, del suono della sua voce, di ogni dettaglio del suo aspetto su cui aveva potuto posare lo sguardo. Si sentiva in combustione, era tutto troppo senza essere mai abbastanza.
«Dio, Carter… non hai idea di quanto volevo baciarti» le sussurrò all’orecchio, in uno di quei rari momenti che si concedevano per riprendere fiato. Lei rabbrividì, serrando le palpebre mentre si ancorava alla sua schiena attirandolo ancora più vicino.
«Il mio nome…» sospirò quando Harry le lasciò un leggero morso alla base del collo. «Di’ ancora il mio nome, Harry»
«Carter…»
Quel suono quasi vibrò contro la gola di lei, le labbra del ragazzo che vi lasciavano piccoli baci risalendo verso l’orecchio.
«Ancora…»
«Carter…»
Harry prese delicatamente il suo lobo tra i denti, mentre lei si aggrappava alla sua schiena annaspando. La strinse per i fianchi, avvicinandola a sé, e tornò ad avventarsi sulle sue labbra che non aspettavano altro.
 
All that's wrong in my world you can make right
You are my savior, you are my light
Forever I want you in my life
 
Harry doveva davvero essere come il vino, se era in grado di inebriarla in quel modo. Tutto di lui era capace di ottenebrare la sua lucidità, farla sentire così euforica e così rilassata allo stesso tempo; il suo sapore le dava alla testa, e se era possibile ubriacarsi di una persona, beh… Carter era ormai irrecuperabile.
Harry doveva davvero essere come il vino, perché era un’opera d’arte.
 
***
 
Louis roteò gli occhi e scosse la testa, tamburellando impaziente con la scarpa sul marciapiede. La suola di gomma produceva un leggero e ritmato tap sull’asfalto freddo, ma quel suono ovattato invece che rilassarlo lo irritava sempre di più.
Controllò l’ora per l’ennesima volta sul display del suo iPhone, e se lo ricacciò in tasca con un grugnito incomprensibile che si dissolse in una nuvoletta di condensa.
Quella sera aveva dato buca a Gabriel, un portoghese amico di amici che aveva iniziato a frequentare, perché Carter l’aveva pregato di uscire insieme a lei e ad Harry. Perché, in fondo, doveva pur conoscerlo, no?
Erano passate alcune settimane dalla fatidica prima cena, e tra quei due c’era stato un crescendo incredibile che aveva sorpreso non poco Louis; la sua piccola love si era innamorata, e nonostante non perdesse occasione di punzecchiarla come suo solito non poteva non essere felicissimo per lei.
O perlomeno, lo era fino a poco prima; in quel momento era semplicemente incazzato nero.
Louis era un tipo piuttosto pigro, non lo si poteva negare, ma quando si prendeva un impegno muoveva mari e monti pur di essere sempre puntualissimo. Detestava cordialmente i ritardatari, ed in generale chiunque gli facesse perdere tempo; purtroppo Carter aveva questo difetto.
Per una volta aveva deciso di fare il bravo migliore amico, ma naturalmente lei era in ritardo come al solito; ventiquattro minuti, per l’esattezza. Se pensava a cos’avrebbe potuto fare alla bocca carnosa di Gabriel, in quei ventiquattro minuti…
«Lou! Perdonami, ti prego, ho avuto un contrattempo»
La figura trafelata di Carter entrò nel suo campo visivo, seguita da quella di un ragazzo che ormai Louis aveva imparato a riconoscere tra mille, per merito – o colpa – delle centinaia di fotografie che la ragazza gli aveva scattato nel corso delle ultime settimane.
«Venticinque minuti» sibilò, puntando l’indice verso di lei quando gli fu abbastanza vicina. «Direi che sei in debito con me»
Carter annuì vigorosamente.
«Per tutta la vita, Lou. Te lo giuro»
L’amico la trapassò con uno sguardo affilato come una spada, e non poté evitare di notare le sue guance rosse e l’accenno di una macchia rossiccia sul collo che faceva capolino dalla sciarpa.
Trattenne un’imprecazione esasperata e fece del suo meglio per recuperare il proprio scarso autocontrollo.
«Tu devi essere Harry» esordì invece, tendendo la mano destra al ragazzo poco oltre, che sembrava star faticando parecchio a reprimere una risata. «Ma che dico, certo che sei tu. Ormai so anche quanti peli del culo hai, grazie a questa povera disperata, quindi se non ti dispiace farò direttamente a meno di fingere di non conoscerti meglio di te stesso»
Harry rise di gusto, sia per l’imbarazzo cocente di Carter che per la schiettezza di Louis, quindi gli strinse la mano.
«E tu devi essere Louis» replicò divertito, senza scomporsi. «Mi dispiace per essere stato la causa del contrattempo che ci ha fatti tardare, ma prometto che cercherò di farmi perdonare»
La ragazza si coprì la faccia con le mani, al culmine della vergogna; era palese che il suo migliore amico aveva capito tutto, e nonostante non rimpiangesse nemmeno un istante di quella mezz’ora scarsa passata a cavalcioni di Harry sul sedile davanti della sua macchina avrebbe comunque voluto essere inghiottita dall’asfalto all’istante.
«Di’ al tuo ragazzo di prepararsi per bene, love» esclamò Louis con un ghigno, rivolto a Carter. «Sono parecchio difficile da soddisfare»
«Oh, Lou, finiscila!» sbottò lei, incamminandosi svelta verso la macchina di Harry per estinguere l’imbarazzo che la stava divorando viva. I due ragazzi si lanciarono un’occhiata complice e ridacchiarono, seguendo Carter con passo molto più tranquillo; dovevano pur sempre lasciarle il tempo per sbollire.
 
You set the moon to pull the tide
You speak and move this heart of mine
From the start until the end of time
You're in the details, you're in the details
 
 
 
The End



 
Spazio autrice
Ciau c:
Eeee anche questa storia è terminata.
Doveva essere una one-shot in origine, quindi per me è già tanto aver scritto quattro capitoli più il prologo :') però mi ci sono davvero divertita, è stata una piacevole divagazione dalla selva oscura che è
Reunited hahah
Harry e Carter hanno avuto il loro lieto fine, ma da quanto si piacevano l'un l'altra sarebbe stato difficile il contrario ^^
Spero che Details vi sia piaciuta almeno quanto a me è piaciuto scriverla <3 mi rivedo moltissimo in Carter per tanti aspetti, quindi l'ho sentita particolarmente "mia" :3
Grazie infinite a tutti i miei lettori, silenziosi e non <3

Un abbraccio forte,
mononokehime
   
 
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