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Autore: Benny Bromuro    18/05/2018    0 recensioni
Sono settimane che ormai la piccola cittadina di Varcaturo, nel napoletano, è vessata dalla presenza di giovani killer senza scrupoli, pronti a tutto pur di versare sangue innocente nelle strade.
Tuttavia, nella paura crescente, uomini coraggiosi, speciali, decidono di cercare di uscire dal buio in cui qualcuno li ha immersi. Per salvare il proprio domani e tenere in alto la testa, come gli eroi che sono.
[LA STORIA È SCRITTA CON TRATTI PALESEMENTE PARODISTICI IN RIFERIMENTO AL MONDO FUMETTISTICO E SUPEREROISTICO MARVEL, NON SI VOGLIA QUINDI FRAINTENDERE IL TENTATIVO DI BANALE DIVERTIMENTO CON QUELLO DI BANALE PLAGIO (dato che in tasca non mi entra una ceppa)].
Buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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VI. Bikers
Chronicles Of A Broken Land - Gli Inconsistenti

 
- Varcaturo, Via Madonna Del Pantano Sud, Base Operativa di Vincelantes e L.O.O.P. –
 
“Oggi abbiamo recuperato un sacco di provviste” analizzava Vincenzo, davanti al portabagagli aperto della sua Panda. “Abbiamo preso addirittura una batteria carica da un auto ribaltata”.
Mery sorrise, afferrando una cassa d’acqua che avevano trovato in una casa abbandonata. Era pesante e la trasportò con fatica fin vicino l’ingresso del palazzo, mentre Valerio circolava tranquillo nel giardino.
Salì il primo scalino, la ragazza, esile e paonazza per lo sforzo, fino a quando Luca la raggiunse alle spalle e le tolse il peso dalle mani.
“Uff... Ce la facevo, tranquillo...” fece poi, vedendo l’altro sorridere gioviale.
“Non preoccuparti, ne sono sicuro. Se vuoi potresti andare a prendere qualcos’altro...”.
“Va bene” annuì. Si voltò e ritornò da Vincenzo, che intanto aveva già preso dodici buste, la suddetta batteria e uno scatolo pieno di legna.
Mery spalancò gli occhi, accorrendo rapida da lui.
“Ti aiuto” fece, cercando di raccogliere qualcosa dalle sue braccia. Tuttavia colui che si nascondeva dietro la maschera di Vincelantes declinò con orgoglio l’offerta.
“Ce la posso fare da solo, tranquilla”.
“Volevo soltanto aiutare” ribatté quella.
“Non preoccuparti”.
“Mi dite tutti di non preoccuparmi ma vorrei darvi una mano con le cose che posso fare anche io...”.
“Ci staresti dando una mano coi costumi, a dire il vero” rispose prontamente Vincenzo, cominciando a salire le scale a fatica.
“Sì, ma certo, ma certo”.
“A che punto sono?” chiese l’altro, coi muscoli che scoppiavano.
“Beh, per ora sto facendo un po’ di organizzazione... Sai, col materiale che mi ritrovo per le mani e il resto devo fare un po’ di calcoli...”.
“Purtroppo devi fartelo bastare”.
Quella sospirò.
“Sì, ci sto provando pure... È che sicuramente avrò bisogno di voi per le misure e... Beh, temo che dovrò coprire con delle toppe a meno che...”
“A meno che cosa?”. Vincenzo si bloccò sulle scale, con tutto addosso. Fu allora che Mery prese l’iniziativa e lo liberò da un paio di buste.
“A meno che non utilizziate dello spandex, ecco”.
“Ancora con questa storia del sado, porco mondo!”.
“Qualcuno sta parlando di sado?” chiese poi Luca, scendendo le scale dal piano superiore. Liberò gran parte del carico di Vincenzo, che guardò storto il compagno d’avventure.
Quell’occhiataccia diede a Luca l’opportunità di capire che non fosse una discussione sui gusti sessuali.
“I costumi?” domandò poi.
“Ragazzi, non posso creare dei costumi col tessuto normale! Se davvero siete dei supereroi, e fate quello che avete detto di fare, gl’Inconsistenti distruggeranno i vostri costumi non appena vi toccheranno...”.
“Non mi toccheranno mai” fece sornione il padrone di casa.
“Lo spandex è elastico abbastanza da resistere alle sollecitazioni. Inoltre mantiene la temperatura corporea costante e...”.
Luca guardò gli occhi della ragazza, chiari nonostante la pelle olivastra, quindi inarcò le sopracciglia.
“Come mai sei così esperta di latex?” domandò.
Quella si voltò immediatamente, avvampando con violenza.
“Già!” esclamò poi Vincenzo. “Non è che latex di qua, latex di là, sei una mistress o una cosa del genere?!” sorrise allusivo.
“Ma che state dicendo?!” fece, avanzando rapidamente e salendo la rampa di scale che la divideva dall’appartamento che Vincenzo le aveva riservato.
I due si guardarono, confusi.
“Colpa tua” additò il padrone di casa, continuando a salire gli scalini, raggiungendo e superando Luca, che all’affermazione spalancò gli occhi.
“Io?! Tu eri allusivo!”.
“Tu hai aperto il discorso!”.
“Tu hai detto la parola mistress!”.
“Beh?!”.
“Beh, è una femmina! Si vergognano di dire che hanno voglie strane!”.
“Finitela!” sentirono urlare dal piano di sopra.
Sorrisero entrambi e rincasarono.
 
Ormai in quella casa il silenzio la faceva da padrone.
Vincenzo sapeva che le cose non sarebbero cambiate a breve senza l’intervento di qualche folle volenteroso, e lui, assieme a Luca, possedeva il profilo giusto.
Levò i vestiti e li piegò ordinatamente sul mobile del bagno quando ormai anche l’ultimo raggio di sole aveva detto addio all’ennesima giornata lampo, dove era proprio la luce della sfera luminosa alta nel cielo a creare un timer mentale prima che gli animali si svegliassero dal proprio riposo.
Nudo, aprì l’acqua della doccia. Si fermò davanti allo specchio, aspettando invano quel minuto e sperando che diventasse calda.
Ma senza una caldaia funzionante non accadeva.
Quindi anche quel giorno, come ogni giorno, Vincenzo prese forza e coraggio e cercò di calmare l’istinto di uscire fuori da quel bagno sporco e sudato, lavandosi con l’acqua gelida.
Quando finì si gettò nel caldo abbraccio dell’accappatoio, più che intirizzito, coi muscoli tonici e i capelli bagnati.
Ciò che mancava non era una caldaia funzionante; ciò che mancava era la corrente.
E la corrente mancava perché la cupola d’energia era caduta anche sui cavi, spezzandoli di netto e isolando Varcaturo.
Bisognava rimuoverla.
E siccome avevano già provato a toccarla, venendo praticamente respinti, come da un campo di forza, e dopo aver vagliato varie ipotesi per uscire da lì, anche scavando, si erano resi conto che c’era bisogno di qualcosa di più drastico.
Hacker com’era, sarebbe riuscito a entrare nei sistemi di videosorveglianza della chiesa e magari capire se l’intero sistema dell’innesco della cupola fosse elettrico oppure avesse anche un tantino a che fare con la magia.
Non era tipo che riusciva a credere a quelle cose, era fin troppo razionale e pragmatico e la magia era per quei tipi che ti facevano sparire il cellulare e te lo facevano riapparire dietro l’orecchio.
Se avevi fortuna.
Tuttavia pensava a L.O.O.P. e non riusciva a darsi altra spiegazione; come diamine avrebbe potuto fare quello, se non utilizzando la magia?
“Forse sono davvero superpoteri…” sussurrò tra sé e sé. Asciugò velocemente i capelli e si ritrovò fuori al balcone.
Le luci erano spente e il freddo s’era steso nell’aria stanco e prepotente, quando le prime urla moleste s’erano levate nel cielo scuro di quell’inverno.
Varcaturo era sotto la mercé di quegli animali, anche quella sera.
Che poi, ritornava al pensiero della cupola: se l’alimentazione fosse stata magica non avrebbe potuto farci nulla, avrebbe dovuto ucciderne la fonte, a meno che non fosse stata una bella donna, la causa di tutto quel problema.
Perché sostanzialmente, Vincelantes doveva essere un eroe playboy, gli piaceva quell’idea.
Tuttavia, se invece fosse stata elettrica la matrice della cupola, gli sarebbero bastati pochissimi minuti per mettere a posto una bomba a impulsi elettromagnetici, in grado di spegnere per qualche secondo il generatore d’energia che alimentava la cupola e permettere a tutti di uscire.
Doveva succedere di giorno, senza gl’Inconsistenti tra i piedi, e poteva utilizzare la batteria che aveva trovato quel giorno.
Poi qualcuno che batteva le nocche sulla porta e quando andò ad aprire vide che erano i suoi unici due vicini di casa.
“Ragazzi…”.
“Stiamo aspettando te per mangiare qualcosa” disse Mery, gioviale.
Lo sguardo di Luca s’intenerì, Vincenzo lo vide sorridere in direzione di quella, che neppure s’accorse dell’espressione del ragazzo.
“Sì, entrate, ho tutto qui…” disse l’altro. Fece strada nella casa buia. Mery cercava di carpirne qualche particolare con lo sguardo, inutilmente.
Tutto troppo scuro.
Vincenzo fece strada fino alla cucina, dove dello scatolame era ben ordinato sulla tavola.
I tre si guardarono, presero tre scatolette di tonno e divisero un barattolo di fagioli.
E con la fame non totalmente assopita s’addormentarono vicini, sul letto del ragazzo con lo scudo.
 
 
- Varcaturo, Via Ripuaria –
 
E se invece non fosse mai riuscita a uscire da Varcaturo?
 
Era questa, la domanda che Antonio si poneva. Si muoveva come un’ombra nella notte, mentre gl’Inconsistenti gironzolavano per Varcaturo, pattugliandone le strade disastrate.
 
Non può essere morta. Questi animali non possono averla uccisa e lei non sarebbe scappata via da me. Sarebbe rimasta qui, tuttalpiù avrebbe finito col rimanere all’esterno della cupola, tanto vicina da farsi vedere. Avrebbe lasciato qualche traccia di sé, qualche scritta, qualche cartello… Lei non può essere morta e non può essersi scordata di me!
Lei è ancora qui dentro ed è in pericolo!
 
Questi erano i pensieri che circolavano nella testa dell’uomo con la torcia.
Via Ripuaria non era particolarmente affollata quella sera. La raggiunse da nord, da Via Madonna del Pantano, dove abitava. Aveva impiegato più di un’ora per percorrere quei settanta inutili metri, dato che le ronde diventavano sempre più frequenti sulle strade secondarie.
La principale, invece, godeva di parecchio silenzio.
Fu quasi confortevole vedere l’Alfa 156 ribaltata, poco oltre la rotonda, andando verso il mare. Non sapeva di chi fosse, poteva solo immaginare che il proprietario dovette essersi fatto parecchio male quando, durante lo scontro col palo della luce che lo aveva fatto ribaltare, l’automobile carambolò a venti metri, rotolando.
Aveva spulciato quell’auto più di una volta, cercando provviste e risorse.
Batterie per la sua torcia, magari.
Invece no.
Quel giorno decise di allungarsi verso il mare, in una zona che in quel capitolo nero della sua vita non era mai andato a esplorare.
Fu quando sentì una voce sguaiata che il Punitore si mise all’erta.
Saltò rapido oltre le inferriate di una villa, passando attraverso i lauri e atterrando malamente sull’erba.
 
“O quggì! Staje ‘t fox!”.
 
Sbuffò, Antonio. “Come cazzo parlano, ‘st’Inconsistenti. Cose che neppure al Cocoricò dodici anni fa…”.
 
“Ua! T’laiv, o frat” rispose un secondo.
“O’ frat mij carnal!” aggiunse un altro. “Nisciun ce mett rint o CARCR”.
“Chill’è o’riposo re’liun, a babbucc’”.
 
Rabbrividì, il ragazzo.
“Per un pelo…” fece.
Ed effettivamente erano passati vicinissimi. Tuttavia qualcos’altro attirò l’attenzione dell’uomo in nero.
Si rimise in piedi, pulendosi dal terreno. Aveva preso una brutta botta all’anca ma non ci pensava.
No, perché davanti a sé aveva otto Harley-Davidson, tutte lucide, tutte messe a nuovo.
E la cosa era strana, dato che gli unici veicoli ancora interi al di sotto della cupola erano custoditi gelosamente sotto la protezione di fucili a pompa o di qualsiasi semiautomatica.
Invece quelle motociclette erano lì, sui propri cavalletti, l’una accanto all’altra.
Si avvicinò a quelle motociclette e ne carezzò la superfice lucida. Passò poi la mano accanto al motore, sentendo il calore attraverso i guanti.
“Funzionano”.
S’immaginava già in sella a uno di quei bolidi, e probabilmente avrebbe dovuto rubarne uno al più presto. Tuttavia era sicuro che nella casa che aveva davanti avrebbe potuto trovare qualcosa di più.
Afferrò la torcia e si abbassò.
I superstiti non erano molti, sotto la cupola. Chiunque avesse la possibilità di sopravvivere agli Inconsistenti e contemporaneamente mantenere una Harley ancora intera non doveva essere una persona qualunque.
E lì c’erano quasi dieci motociclette.
Forse dieci persone dalla potenza straordinaria. Forse sapevano di Roberta.
Percorse l’intera lunghezza della parete basso sulle ginocchia, con le mani sulla torcia e il sudore che gli imperlava la fronte. Arrivato all’angolo riuscì a percepire le voci di quelle persone: non erano pochi. Ne riusciva a contare almeno tre differenti.
Gettò lo sguardo oltre, verso il muro più lungo dell’abitazione. Lì c’era qualcuno che stava discutendo di meccanica.
 
“Sì, lo so che la mia moto si sente da lontano, ma è per via della frizione…”.
“Quel rumore metallico dà fastidio” ribatté quello che gli stava accanto.
“Vuol dire che funziona, allora”.
I due discutevano e non si erano accorti di Antonio. Lui li guardava gesticolare vistosamente, indossando jeans sdruciti e giubbotti di pelle. Il primo, quello con la frizione rumorosa, era più bassino.
Portava i capelli castani pettinati ordinatamente da una parte, ma la barba di qualche giorno sul volto allontanava da lui la figura da bravo ragazzo. Naso schiacciato, occhi scuri e labbra carnose, manteneva tra le mani una bottiglia di Tennent’s e una grossa catena d’acciaio pendeva da un moschettone attaccato ai suoi denim.
“Se deve dare fastidio, allora funziona” riprese l’altro, quello più alto e sottile, col ciuffo castano arricciato sulla fronte.
Antonio continuava ad ascoltare le loro parole, cercando di sporgersi quanto bastava per identificarli.
“Scè… Poi com’è andato a finire con quello?”.
“Quello quale?”.
“Il tizio che inviava le polaroid della banana a Kekka”.
Antonio lo vide sbuffare. “L’ho lasciato lì per terra…E deve ringraziare che la gente di Marano non può entrare nella cupola”.
Ma il dito di Antonio premette per sbaglio sul pulsante e la luce si accese; i due si voltarono rapidi e spalancarono gli occhi.
Non impiegarono molto tempo prima di metterlo fuori combattimento e catturarlo.

 
   
 
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