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Autore: TheWalkingNerd    18/05/2018    4 recensioni
È uno di quei giorni in cui schiacciare il pedale dell'acceleratore è come respirare, per Dean, in cui solo il ruggito della sua piccola placa il martellio nella sua testa
Sam è partito per Stanford, lasciando Dean da solo, con un vuoto impossibile da colmare.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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So close, no matter how far
Couldn't be much more from the heart
Forever trust in who we are
And nothing else matters
 
 
 
L'Impala sfreccia sulla superstrada con i finestrini abbassati. Il sole traccia comete sulla carrozzeria coperta di polvere; l'aria che entra dal finestrino arroventa la guancia e smuove i capelli. È uno di quei giorni in cui schiacciare il pedale dell'acceleratore è come respirare, per Dean, in cui solo il ruggito della sua piccola placa il martellio nella sua testa.
Non accende lo stereo, perché la cassetta inserita è dei Metallica e perché sa che partirebbe per la tangente con le seghe mentali e non ne ha proprio voglia, non oggi. Potrebbe cambiare cassetta, ma non lo fa, perché era quella che aveva quando Sam è sceso dall'auto e si è sbattuto lo sportello alle spalle per l'ultima volta. È stupido, ma se la togliesse se ne andrebbe anche l'ultima parte di lui, l'ultimo pezzo di cuore ancora attaccato al suo posto, anche se con nastro adesivo e spille da balia.
Si ferma alla stazione di servizio per fare benzina e si concede una birra, che in una vita passata sarà anche stata fresca, ma che adesso sa di brodaglia.
Una corona dorata circonda le cime delle montagne. Gli ultimi raggi del sole tingono il cielo di rosa e arancione e la vallata sotto di lui di oro. Soli più piccoli brillano nel guardrail. 
Gli è sempre piaciuto il tramonto; ma ora non è altro che il segnale della fine di un'altra giornata, un sospiro di sollievo dopo ore ad arrancare.
 
 
«Alla nostra, amico.» 
Dean solleva la bottiglia e fa cozzare il vetro con quella di Sam.
La birra scorre nella gola come una cascata; le bollicine pizzicano la lingua e lasciano un leggero retrogusto amaro in bocca. Gocce di sudore scivolano lungo la nuca e le tempie. È uno dei momenti in cui il lavoro che fanno - la vita che fanno - fa meno schifo, in cui le fitte alla schiena sono quasi piacevoli.
Sam storce la bocca in un mezzo sorriso. «Sì. Anche se spero che non riaccada più.»
Dean afferra il colletto della maglietta con due dita e si fa aria. Oltre le file di alberi che delimitano la carreggiata, i raggi del sole filtrano in arabeschi dorati.
«Non è andata così male.»
Per due come loro, le abrasioni che arrossano il braccio ed il ginocchio di Sam e la contusione di Dean sono praticamente il minimo sindacale, perciò, considerando anche il bigliettino nella sua tasca, sì, tutto sommato è andata bene.
Dean alza la testa. Sopra di lui, tra le foglie, il cielo è di un colore a metà tra l'arancione e il rosso fuoco, il sole una carezza tiepida sulla pelle.
«E, comunque, ti dico che quella cameriera ti stava mangiando con gli occhi.»
Sam corruga la fronte e sbuffa dal naso - quasi arrossisce, a momenti. «Ma se ha dato a te il numero!»
«Non lei, l'altra.»
Sam scuote la testa e torna a bere. Non lo guarda nemmeno e, quando stacca la bottiglia dalle labbra, ha di nuovo la faccia di uno che ha dato un morso ad un limone. 
«Aw.»
Sam gli assesta uno spintone. «Finiscila.»
 
 
Gli artigli che scavano nel petto stringono più forte appena si sveglia, circondato da bottiglie vuote, sparse a casaccio come la ragazza che dorme sul tappeto.
Quando la testa gli gira così forte che non riesce ad alzarsi.
Resta a fissare il soffitto, immobile. Gocce di sudore scivolano sulla fronte e inumidiscono la schiena. Il cuore pulsa nelle tempie. Il ricordo di due mani grandi e ruvide che lo afferrano per la camicia e lo gettano a forza nella vasca da bagno - datti una ripulita - brucia come l'alcool in gola. Sam non aveva detto altro per tutto il giorno, quasi avesse costretto lui ad ubriacarsi fino a vomitare l'anima.
Una mano affusolata si appoggia sul suo petto. «Sono stata bene, ieri.»
Fiato caldo solletica il collo, due labbra umide depositano un bacio sulla pelle accaldata.
«Dovremmo rifarlo, qualche volta.»
Dean la guarda - si sforza di sorridere, di ricordare se il suo nome fosse Kelsey o Chelsea o quello che è. 
«Certo.» 
Stira un sorriso che sparisce un attimo dopo. Non tornerà in quel buco di posto per un po' - mai usare lo stesso cesso due volte, dice sempre papà - e non ha intenzione di formare legami. Cassie gli è bastata e avanzata. 
Kelsey o Chelsea si scosta.
«Sei proprio uno stronzo.»
Gli tira la maglia addosso e sbatte la porta, senza manco vestirsi. Sam ha sempre storto il naso, ogni volta che usciva con una ragazza, ma Dean non ha mai promesso nulla che non potesse dare. Nulla che andasse al di là di una notte di fuoco e magari un secondo round la mattina dopo, quanto bastava a spegnere il cervello dove l'alcool non arrivava.
Lo squillo del cellulare gli fa serrare gli occhi. Non avrebbe nemmeno intenzione di alzarsi, se non fosse che non sente papà da due settimane e potrebbe essere successo qualsiasi cosa. Il freddo sotto la pelle pizzica i nervi; il cuore perde un battito. 
Il numero sul display, però, non è quello che usa al momento.
«Pronto?»
«Finalmente.» La voce di Bobby gronda sarcasmo. «Cosa devo fare per parlare con te, la fila?»
Dean sospira, si passa una mano sugli occhi. «Scusa, Bobby, sono stato impegnato.»
«Stronzate
Dean storce la bocca. Purtroppo, Bobby sembra conoscerlo meglio di papà: sa che se Dean non risponde è riverso da qualche parte, a metà tra la sbornia e il coma etilico; sa anche il motivo di tutte quelle carte di credito sprecate al bancone di un bar, e sa che si è rammollito troppo anche per inventare una balla decente.
Un sospiro, dall'altra parte del telefono. «Ascolta, ragazzo: lungi da me volermi mettere in mezzo. Ma-»  
Dean ficca le unghie nel palmo e affonda finché la carne non brucia, finché l'umido viscido del sangue non pizzica la pelle. 
«-dovresti chiamare tuo fratello
È a tanto così dal chiudere il telefono e scagliarlo contro la parete più lontana.
«A cosa devo la telefonata?»
Bobby sospira, come se se lo fosse aspettato. «C'è un caso, poco lontano da qui
Le viscere si sciolgono nell'addome. Andare a caccia è l'ultima cosa che vorrebbe, ma c'è della gente in pericolo e la gente in pericolo viene prima di tutto. Anche delle seghe mentali su suo fratello, che lo ha mollato come un sacco di zavorra, e su papà, che sembra aver fatto lo stesso, visto che improvvisamente è grande abbastanza da andare a caccia da solo.
«Dimmi.»
Raccoglie le sue cose dalla stanza. Per terra ci sono un paio di collant che Kelsey o Chelsea o come si chiamava deve aver dimenticato; ma non è dell'umore per andarla a cercare. Né saprebbe da dove partire, a dirla tutta. 
«Hai una penna?»
Dean prende nota e si infila in bagno. Il suo riflesso deve fare schifo: non ha bisogno di uno specchio per esserne certo. Apre il rubinetto della doccia. L'acqua scroscia sul piatto e si ritira in un gorgoglio marrone; il che la dice lunga sulla pulizia di quel posto.
Rimane sotto la doccia il tempo necessario per scrollarsi di dosso i postumi della sbornia. L'acqua pizzica la pelle e ogni singolo muscolo e, quando esce, il calore della stanza è una carezza sulla pelle intirizzita dal freddo. Si veste in fretta, con le prime cose che gli capitano a tiro - dovrebbe fare la lavatrice, ma non c'è più il fratellino petulante a ricordarglielo. Ci penserà nella prossima città.
Lo sguardo passa sulle pareti violette, sul letto intoccato, sulla moquette. Controlla di non aver lasciato sale o amuleti in giro, ma dubita che la sera prima gliene sia fregato qualcosa di proteggersi.
Porge una Mastercard alla receptionist, che corruga la fronte. «Non funziona.»
Ah, già. La sbronza deve essergli costata più del previsto. 
Dean fruga nel portafoglio ed estrae un'altra Mastercard. Un nome totalmente diverso che la donna non contesta. Qualsiasi cosa, purché funzioni. 
Gli sorride. «Arrivederci, signor Burkowitz.»
Trova l'Impala sotto un lampione. Alla luce color latte che penetra dalle nuvole, la polvere che la ricopre è quasi invisibile. Dovrebbe darle una ripulita; dovrebbe fare un sacco di cose, di recente, eppure la sera ha a malapena la forza di trascinarsi al bancone di un bar per spegnere il cervello nell'unico modo che conosce.
Apre il bagagliaio. Una volta, per incastrare meglio tutti i borsoni ci sarebbero voluti pugni e spintoni e un salto di peso, come per chiudere una valigia. Adesso, c'è a malapena un borsone in più per caricare le armi e non ci sono zaini o portatili di troppo. Non c'è più niente. Delle mile cose che gli facevano girare gli occhi - dai tomi di storia europea a quelle insalate che aveva preso a lasciare ovunque - non ne è rimasta nessuna e la cosa, invece che farlo sentire sollevato, apre una voragine nel petto.
Lancia il borsone e chiude il bagagliaio.
 
 
Lo sportello sbatte troppo forte per i suoi gusti, ma è troppo occupato a stringere i denti per interessarsene davvero.
«Ti ha rimproverato?»
Dean alza le spalle. Non è una novità che papà se la prenda con lui, anche se è stato Sam ad uscire di notte, da solo e con un misero temperino per difendersi. È sempre Dean che lo stava perdendo d'occhio, in fondo. Chissà cosa sarebbe successo, se fosse arrivato con un secondo di ritardo.
Non vuole nemmeno pensarci.
Sam stringe le labbra. «Mi dispiace.»
Dean storce la bocca e gli dà un buffetto sul ginocchio. «Basta che non lo rifai.»
 
 
E invece sembrava proprio che in qualsiasi motel le pareti lo schiacciassero, che dividere l'aria con loro - con lui - fosse diventato insopportabile; perché Sam l'aveva rifatto, alla fine, e non era più tornato.
Si mette in macchina e guida finché l'indicatore della benzina non è a nulla dalla riserva. Dorme sotto le stelle, quella notte, perché tanto non è che non ci sia abituato. Un motel vale l'altro, e a lui serve una carta di credito nuova.
Un riflesso latteo copre buona parte del cielo, fuori dal finestrino. Sam sapeva riconoscere ognuno di quei puntini luminosi sopra la sua testa, che sembrano luci di Natale sparse sul nero; Dean non ha nemmeno il libro di geografia astronomica, frequentata per due settimane a Sarasota.
Non è mai stato un cervellone, in fondo.
 
 
Dean sbuffa insieme ai sedili. Intreccia le mani dietro la testa e incrocia le caviglie. Il fianco di Sam preme sul suo; il sedile posteriore inizia a diventare più stretto man mano che il nano guadagna in centimetri.
Oltre il vetro del finestrino, le stelle brillano nel blu del cielo.
«Quella è l'Orsa Maggiore.» Sam indica la stella più luminosa. «E quello è il Grande Carro.»
Dean gli lancia un'occhiata. È alto un metro e un niente, ma sembra contenere più informazioni di quante Dean ne raccoglierà in vita sua.
«Hai ingoiato un libro di astronomia, puffo?»
Sam gli tira una gomitata. Papà sbuffa, dal sedile anteriore.
«Dean?»
Dean rialza lo sguardo. Il volto di Sam è pallido come un lenzuolo; gli occhi brillano, appannati. 
«Secondo te, la mamma è lì fuori?»
Il petto di Dean collassa. Ogni volta, è un pugno allo stomaco. Sam ama fargli domande sulla mamma, ama fermarsi davanti alla fotografia che tengono sul comodino in punta di piedi e disegnarla con un paio di ali sulla schiena. Come se la sedia vuota ad ogni diner o il sedile occupato da borsoni non fossero un artiglio nel petto di per sé.
«Non lo so, Sammy.» Un groppo gli stringe la gola. Al sapore di coca-cola si mischia, sulla lingua, quello più salato che ha imparato a conoscere. «Ora chiudi gli occhi e cerca di dormire.»
 
 
Avevano continuato a guardare le stelle anche anni dopo, con birre al posto della Coca Cola e papà nel pick-up parcheggiato poco lontano, ma Sam aveva smesso con le domande già da quando gli avevano messo un fucile in mano. Erano il vantaggio di non avere un tetto sulla testa, diceva.
Dean segue con gli occhi il profilo del Grande Carro, che trema e si appanna e, Cristo, sto diventando un rincitrullito.
Sfrega gli occhi con uno scatto della mani. Non c'è tempo per i rimpianti, né per pensare al passato. Domani avrà di nuovo delle vite da salvare.
 
*
 
Le persiane creano giochi di luce sul soffitto. Non ci sono macchie di muffa o crepe da seguire con lo sguardo; le pareti sono tinte di fresco, le lenzuola odorano di pulito, le molle del materasso non minacciano di sfondargli la schiena e dal suo fianco non ci sono borbottii, ma il respiro pacato di Jessica.
Non c'è nemmeno una luce che si accende e un occhio verde che lo guarda, ancora annebbiato, che è successo? Nessuno che si accorge del respiro spezzato, degli occhi che fissano il bianco del soffitto, vedendo altro.
Sam sguscia fuori dal letto in un fruscio di lenzuola. Scende le scale e raggiunge la cucina. La casa è avvolta dal ticchettio dell'orologio appeso in salotto. Odora di pulito e cannella, in un modo che lo fa sospirare, ma è come se un pezzo di cuore fosse rimasto altrove, in un motel al sapore di muffa tra gomitoli di strade.
Si appoggia al bancone e sorseggia l'acqua fredda, il respiro che appanna il vetro. Se chiude gli occhi, può ancora vedere i due letti gemelli di fronte a sé, immaginare che il secondo piano non esista. 
Ma di fronte a sé non c'è nessun letto in disordine; il tavolo è un disastro di pennelli e tempera colorata. 
 
 
«Hai intenzione di passare la notte lì?»
Dean si tuffa sul letto di fianco. Le molle cigolano in protesta. Il materasso ondeggia sotto il suo peso. L'odore di fritto invade la stanza e, Dio, la smetterà mai con quella roba?
Sam rialza lo sguardo da Le due Torri e inarca un sopracciglio. «Può darsi.»
Dean rotola a pancia in sù con un sorrisetto che dice ne ho combinata un'altra delle mie.
«Pensavo volessi vedere i fuochi d'artificio.»
Sam abbassa lo sguardo sulla moquette blu, su cui rotola un grumo di polvere. «Sì, ma papà ha detto di no.»
E si fa quello che dice papà.
Le dita piegano la punta del copriletto rosso. È stata una richiesta stupida, comunque: lo sa che da quella stanza non si esce se non per fare ricerche o spostarsi nella stanza di un altro motel, dall'altra parte del Paese. Ha l'impressione che vedrà tutte le carte da parati disponibili prima dei vent'anni. Sempre che ci arrivi.
Un fruscio.
«Papà non c'è.»
Sam rialza la testa. Dean regge una scatola di ordigni rossi, blu e violetti a forma di shuttle. Sam spalanca gli occhi. 
Dean ride. Corre alla porta, mentre Sam rotola giù dal letto e infila le scarpe.
«Andiamo! Vuoi che lo spettacolo cominci senza di noi?»
 
*
 
A volte prendere il telefono è come respirare.
Dean fissa quelle tre lettere evidenziate da chissà quanto, la bocca - il cuore - stretta. Premere quel tasto è una tentazione fin troppo forte. Sarebbe facile lasciarsi andare, chiedere che cosa gli abbia fatto in tutti quegli anni per renderlo così, perché la smania di scappare abbia avuto la meglio. Perché quattro mura e un tetto sopra la testa contino più di quello che erano.
Chiude il telefono e lo scaglia sul letto. Che gli piaccia o no, Sam è andato, e non tornerà indietro. 
Afferra le chiavi dell'Impala, l'unica parte di famiglia rimasta. Ha i jeans costellati da macchie di sangue - non suo - e le braccia rigate da lunghi tagli orizzontali e ogni singolo muscolo che si contrae in spasmi che gli fanno stringere i denti, ma non importa.
Anche stasera, sarà il rombo del motore a coprire almeno una parte dei suoi pensieri.
 
*
 
Potrebbe chiamarlo, in fondo: è una strada a due direzioni, non devono per forza cercarlo loro.
Se esci da quest'auto, non ti azzardare a tornare!
Il tonfo dello sportello è l'ultima cosa che ricorda con chiarezza. Poi ci sono state solo luci sempre più piccole nel folto del bosco, il sangue che pulsava nelle tempie e la maglia incollata alla schiena, zuppa di sudore. Il rombo del motore aveva accompagnato il rischiararsi del cielo, quando l'aria sapeva di dentifricio e asfalto rovente e il nodo allo stomaco si era sciolto, come le gambe. Aveva stretto il telefono nel palmo per tutto il viaggio in autobus, lo sguardo fisso sullo schermo. Che era rimasto spento.
Sam posa il bicchiere nel lavello e scuote la testa. Il freddo pizzica i piedi scoperti. Nella penombra, ruota il foglio lasciato sul ripiano verso di sé. Due mani intrecciate: una affusolata, l'altra piena di cicatrici. Solleva un angolo della bocca. La morsa nel petto si allenta e torna a stringere più forte. Nel disegno di fianco, metà del suo viso è in ombra.
Sam stringe le labbra. Magari Jessica intuisce che qualcosa non va, che esiste un lato oscuro, un non detto tra loro. È come essere punto e a capo: prima, il non detto era la vita normale che voleva. Adesso, anche con una borsa di studio e una pila di libri da studiare, è come se un pezzo di sé fosse rimasto tra asfalto, sedili che sanno di pelle e benzina e whiskey - di casa, più di quanto non lo faranno quelle mura al sapore di tintura.
Richiude l'album e sospira. Le dita indugiano ancora sopra il telefono. Chissà se gli risponderebbe. Chissà quanti numeri avrà cambiato, da quando se n'è andato.
Balle. Se volesse, se volesse davvero, saprebbe come rintracciarlo. Ma quel cuore incollato con nastro adesivo e spille da balia non reggerebbe un altro rifiuto. Non reggerebbe a Dean che gli sbatte il telefono in faccia. Non lui.
Lascia ricadere la mano lungo il fianco. È un capitolo chiuso: bisogna solo andare avanti.
 
 
***
 

Sono tornata prima del tempo a infestare la sezione, da brava Poltergeist.
Chi mi conosce e ha avuto modo di sopportare i miei discorsi strampalati sa che ci sono moltissime cose che associo a Supernatural, dalla crostata ad alcune canzoni. Nothing Else Matters è una di queste. Forse perché sono i Metallica, forse perché il primo verso in particolare è così da Sam e Dean che mi chiedo se Kripke e compagnia non abbiano scritto gli episodi con la musica di sottofondo. 
Ma ciancio alle bande. Una storia simile l'avevo scritta anni fa (non credo che qualcuno si ricordi, ma va be') e poi cancellata. Nei miei due anni di pausa, ho deciso di recuperarla. L'idea c'era ancora: ho modificato solo i flashback e le parole, in pratica.  Siccome non ero sicura che avrei riscritto altre storie, tra cui le drabble natalizie, in giro troverete alcuni frammenti presi da lì.
L'idea che Jessica sia un'artista non è mia, ma del lato oscuro di internet: Tumblr. Effettivamente, nel pilot c'è un'inquadratura della casa di Sam e Jess che mostra pennelli, colori e tele. Siccome Sam non disegna, ecco fatto due più due. E poi, a me personalmente piace moltissimo l'headcanon di Jessica che disegna Sam mentre lui non guarda.
Non so quando ricomparirò (su, smettete di fare scongiuri! XD) ma, se vi è piaciuta la scena in cui Sam e Dean guardano le stelle, potreste ritrovarvi molto soddisfatti. Se riuscirò di nuovo a superare le mie paranoie, ci sarà una raccolta a tema Impala + Stelle, che a me ricordano moltissimo le prime stagioni. 
Spero che questa storia risulti un po' più matura della precedente (in cui Dean finiva per chiamare Sam) e scritta meglio e, al solito, spero vi abbia fatto intrattenuto quei cinque minuti che ci voglioni per leggerla.
Un bunker di cuori a tutti voi!
   
 
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