Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Registe    18/05/2018    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 17 - Marluxia (III)





Xaldin e Xigbar





Quando riemerse dalla vasca da bagno si sentì un altro. Era rimasto oltre un’ora immerso nell’acqua calda, inspirandone i vapori, soffermandosi istante dopo istante sui gloriosi momenti di quel pomeriggio; poteva sentire ancora il piacere della vendetta contro le sue labbra, ed aveva il sapore della conserva di rose.
Scelse con cura il profumo: zenzero e viola, l’essenza più pungente a sua disposizione.
Era abbastanza convinto che l’odore del sangue fosse stato lavato, ma sapeva altrettanto bene che gli strani sensi del n. VI avrebbero avuto bisogno di un odore molto intenso per essere distratti, dunque si versò contro il collo ed i polsi praticamente tutto il contenuto della boccetta. Per sicurezza si era disfatto della tunica sporca di sangue con un portale spalancato su un mondo magmatico, e quando indossò un capo pulito si osservò allo specchio con discreta soddisfazione.
Era di nuovo Marluxia, il n. XI dell’Organizzazione.
Ed era ancora in perfetto orario per la festa del Superiore.
Fu dunque con una certa sorpresa che, entrando nella sua stanza per annaffiare le piante, si ritrovò faccia a faccia con l’occhio color cielo del n. VI puntato contro di lui. “Quello che hai fatto … è imperdonabile”.
Marluxia impiegò un tempo odiosamente lungo per convincere il proprio cuore a riprendere a battere in modo normale.
Il ragazzo era immobile, in piedi al centro della stanza, con il suo solito sguardo privo di vita che in tutti quegli anni non aveva smesso di causargli uno strano tremito lungo la spina dorsale; nel suo unico occhio visibile non c’era nulla che potesse ricordargli ira, furia, delusione, tristezza, non vi era assolutamente nulla a parte l’innaturale sensazione di essere messo a nudo da quei poteri che persino il Superiore aveva ammesso di non capire. Ma, se di solito era solo fastidio quello che provava trovandosi a contatto col n. VI, in quel momento Marluxia si accorse di avere i piedi saldamente radicati al terreno, incapaci di fare anche solo un movimento sensato. “Credi seriamente di potermi ingannare con tutti quei profumi che ti sei versato addosso?”
“In effetti ci speravo …”
Cercò con ogni pensiero a sua disposizione un modo per uscire da quella situazione. “… ma a quanto pare non ha funzionato. Sei venuto fin quaggiù a comunicarmi la tua disapprovazione, n. VI? Sappi comunque che quella gente meritava di morire”.
“Non spettava a te deciderlo”.
“Oh, davvero? E immagino che adesso mi dirai anche che era una decisione che spettava al Superiore”.
Non gli servì nemmeno fissare quell’inquietante occhio azzurro per sapere che il moccioso non avesse una risposta migliore da dargli. Il Superiore, il Superiore, il Superiore.
Sentì persino lo stomaco rivoltarsi al pensiero di quell’uomo e del suo “giudizio”. Un pazzo squilibrato dotato di un Castello con poteri immensi e circondato da gente disposta a scodinzolare ad ogni suo minuscolo capriccio, anche quando fuori da quelle mura accadeva di tutto.
Si meravigliò che non fosse già lì, pronto a fargli la paternale.
“Non so a chi spettasse. L’unica cosa che so è che ho sentito la vendetta e l’odio crescere dentro di te in tutto questo tempo, e non se ne sono mai andate. Il n. I credeva che sarebbe solo servito altro tempo … la cosa gli darà un grande dolore”.
Marluxia deglutì.
Xemnas non era ancora al corrente della sua missione.
Il piccoletto ingenuo era venuto lì a parlargli per chissà quale motivo, e la cosa avrebbe senza dubbio preso una pessima piega nel momento in cui sarebbe uscito fuori da quella stanza per andare a far rapporto al loro beneamato capo, situazione che non poteva assolutamente permettere.
Si voltò distrattamente verso i vasi accanto alla finestra, offrendo loro in silenzio la propria magia. In quel luogo privo di luce la magia del suo elemento era debole rispetto a quella che aveva liberato nel bosco, ma gli sarebbe servito solo un po’ più di tempo. E, almeno di quello, poteva trovarne in abbondanza.
“La vendetta era un mio diritto. Hanno cospirato per eliminare la mia famiglia, e li ho semplicemente ripagati come meritavano. È la legge del sangue, e solo quell’imbecille del Superiore crede che certe offese debbano restare impunite, che i Durlyn potessero continuare a girare con la testa alta vantandosi di aver massacrato la mia famiglia” disse. “Nei miei panni tu saresti rimasto a guardare?”
“Spero di non dovermi mai trovare nella tua situazione, n. XI …”
Marluxia sorrise, ponendosi tra lo sguardo del suo giovane interlocutore e le piante pronte a sbocciare.
Quel dialogo non sarebbe approdato a nulla.
Era solo un moccioso che aveva trascorso la sua intera esistenza dentro quel Castello senza avere la minima idea di cosa volesse dire avere una vera famiglia, non una decina di uomini squinternati che giocavano alla pace a tutti i costi. Non poteva sapere come fosse vivere davvero quel mondo di fuori, provare a dominarlo, il sapore vero di trovarsi in alto, di essere il migliore. Era l’ennesimo fenomeno da circo ambulante pronto a scodinzolare al passaggio del n. I, ed in fondo questo suo olfatto così sensibile gli sarebbe tornato a favore.
L’effetto dei pollini lo avrebbe sentito molto prima.
“… ma il tuo tentativo di prendere tempo non ti servirà a molto”.
Prima ancora di liberare il suo incantesimo sentì un dolore esplodergli contro la nuca. Cadde verso il pavimento, ma prima di toccare terra sentì un secondo colpo, ancora più violento, colpirlo tra il mento e il collo.
“Complimenti per averlo fatto parlare, n. VI. Andiamo, Xigbar, mi aiuti a sollevare questo sacco di merda?”
Marluxia provò a riprendersi, ma anche la magia gli scivolò tra le dita prima di perdere conoscenza.
“Altroché, Xaldin. Diamine, stavolta il capo si incazza di brutto”.
 


La cella era stretta, ma non angusta.
Marluxia cercò di riprendersi, massaggiandosi la testa ed il collo proprio dove i due energumeni lo avevano colpito.
Il bianco dominava anche le segrete del Castello dell’Oblio. Negli ultimi anni si era chiesto se fossero mai state occupate da qualcuno, e quasi sorrise alla sottile ironia del trovarsi lì dentro, gettato su un letto improvvisato, schiacciato da quelle pareti chiare. Non vi era alcuna finestra, né apertura di alcun tipo verso l’esterno, e l’odiosa sensazione di non avere nemmeno il più piccolo raggio di luce solare addosso gli risalì nello stomaco. Delle sbarre verticali, che correvano dal pavimento al soffitto, erano adornate dai simboli della famiglia del n. I ed erano tutto ciò che lo separava dal corridoio esterno.
Fece per alzarsi, ma un paio di occhi gialli lo stava osservando da oltre le sbarre.
Non gli avrebbe dato modo di iniziare una delle sue insopportabili paternali. Scattò in piedi per avvicinarsi all’ingresso e sbattere in faccia a quell’uomo presuntuoso tutto quello che aveva da dirgli, ma le gambe non gli ressero. Si portò una mano alla tempia, con il soffitto che sembrava intenzionato a girare con lui, e quando chiese aiuto ai propri poteri la magia gli giunse ovattata. “Ho fatto preparare a Vexen un siero. Il tuo corpo non risponderà alla magia del Castello per un bel po’”.
Il n. XI tentò di aprire un portale anche solo per tentare una via di fuga, ma non accadde nulla. Serrò i denti, provando una seconda volta, ma quel bastardo gli aveva tagliato le ali.
Erano lui, il Superiore ed una fila di sbarre.
“Non ho niente da dirle”
“Perché io invece credo il contrario?”
Marluxia deglutì. Non si sarebbe scrollato di quell’odioso scrutatore con una mera alzata di spalle, ed anche il pensiero di dargli la schiena e fissare per oltre un’ora il muro della prigione prospettava di tramutarsi in fumo. Era chiaro come il sole che il suo interlocutore avrebbe continuato a parlare all’infinito, se necessario anche da solo.
L’unica soluzione possibile era dare un taglio duro a quello strazio di dialettica. “Quello che lei crede, Superiore, sono le allucinazioni della sua mente malata. Crede che l’Organizzazione sia la sua famiglia felice? Beh, forse è il caso che lei apra gli occhi!”
Pronunciò quelle parole con tutta la stizza che aveva in corpo.
Il Radigata continuò a fissarlo dall’ingresso, con i lineamenti leggermente in ombra a causa delle sbarre e gli occhi socchiusi, con le pupille che non lasciavano andare nemmeno un solo movimento; Marluxia sibilò, cercando di spremere una qualsivoglia espressione da quella faccia che non fosse un viso silenzioso e pacato. Era chiaro che si fosse preparato quella paternale da diverse ore o che avesse previsto le sue reazioni, perché lungo la sua fronte non comparvero segni né di ira né di disgusto.
Si rese conto che avrebbe preferito una sfuriata di quelle in grado di far tremare i muri. Sotto un certo verso sarebbe stato più facile affrontarlo.
Gli sembrò che le sue parole si perdessero nell’aria, quindi si mise seduto di nuovo, pronto all’attacco. “Crede davvero che il grande sogno di tutti noi sia stare qui ad ammuffire in un mondo ostile alla maggior parte dei nostri elementi? Scenda da quel bel trono e apra gli occhi! Vedrà quanto sia felice la sua famiglia …”
“Abbiamo già parlato di questo, figlio mio, e non una volta sola. Sono conscio di aver sacrificato la felicità di molti di voi, ma l’ho fatto per mettervi al sicuro. Ed in questi anni nessuno è mai giunto a disturbarci, e finché i nostri avversari non riusciranno a dominare le magie dello spazio e del teletrasporto rimarrà un baluardo inespugnabile” rispose. “La magia che hai usato in quel bosco stava già richiamando l’attenzione dei demoni. Per fortuna Axel è stato abbastanza rapido da far svanire nel fuoco le prove del tuo operato prima che arrivassero”.
Marluxia sbuffò.
I corpi di Bernard Durlyn e di sua figlia sarebbero stati un gradevole monito a tutti coloro che avevano riso della caduta della sua casata.
Aveva fatto crescere intorno ai loro corpi persino un bellissimo roseto.
“Figlio mio, quelle vittime ricadono per prima cosa sulla mia coscienza. Zexion mi aveva avvisato dei tuoi sentimenti, ma ho sempre creduto che il tuo rancore potesse sfumare con il tempo, come quello di molti altri di noi. E, dal profondo del cuore, parte di me comprende il tuo astio”.
“ASTIO?”
Ignorò il mal di testa e si alzò, dritto verso le sbarre. “Non c’era alcun astio, Superiore. Quei bastardi dovevano morire. E no … si risparmi la predica sul perdono e sugli innocenti. Non c’era nessun innocente in quel nido di serpi! Se è venuto qui a convincermi del contrario può anche tornarsene tra i suoi figlioli adoranti!”
Il Radigata si teneva a distanza di sicurezza, e Marluxia non provò nemmeno ad afferrarlo per la tunica per il solo piacere di spingerlo da qualche parte o cancellargli quell’espressione benevola dalla faccia con un pugno. La voglia di stringergli le mani intorno al collo stava salendo in maniera incontrollabile, e se non fosse stato per quelle sbarre … “Ancora una volta vedi solo ciò che desideri vedere, n, XI”.
Iniziò a trafficare tra gli anfratti del suo abito, e quando la mano ne riemerse Marluxia vide apparire tra le dita un sacchetto di piccole dimensioni, in stoffa scura, trattenuto con un nastro color rosa; fissò il Superiore con dubbio.
“Per quanto trovi riprovevole il massacro che hai fatto, specie di quella povera ragazza … non sei in prigione per questo, figlio mio” disse. “Molti di noi hanno del sangue sulle proprie mani, chi per una ragione, chi per un’altra, e per quanto possa trovare la cosa deprecabile non sono in grado di cambiare il vostro passato. Sei qui perché hai violato un mio specifico ordine, e le tue azioni per poco non hanno portato di nuovo i demoni nel nostro Castello. Ed io non posso permettere che ciò accada”.
Estese il braccio verso di lui, e prima che Marluxia potesse pensare di afferrarglielo, torcerlo o chissà quale altro finale, l’elegante sacchetto finì dal palmo del Superiore al suo. Il primo pensiero sarebbe stato quello di lanciarlo indietro, dritto sul naso di quel presuntuoso, ma sotto la stoffa pesante trovò una forma e nonostante gli anni le sue dita la riconobbero in un istante.
“Ho avuto modo di riaverla indietro. Pensavo di restituirtela alla festa di stasera”.
Il bianco delle pareti del Castello si riflesse nei piccoli rubini della spilla a forma di rosa. Marluxia osservò le foglie modellate nell’oro, con i margini ancora leggermente taglienti, sfiorando col palmo un petalo alla volta quasi per essere sicuro che nessuna mano avesse osato anche solo scalfire il prezioso gioiello da cui era stato costretto a separarsi quella sera di tantissimi anni prima.
Era appartenuta ad un Lumaria spaventato e in fuga.
Il tempo non l’aveva resa meno perfetta.
Rimase rapito dai ricordi per diversi istanti, e solo il sospiro del Superiore gli rammentò a chi dovesse quel regalo. “Non siamo mai stati la tua famiglia, vero?”
“No. Né lo sarete mai”.
Ci fu qualcosa oltre quello sguardo color oro. Marluxia non fu in grado di definirlo, ma fu un guizzo veloce che svanì in un battito di ciglia. Per la prima volta dopo tanto tempo gli parve di vedere una crepa dietro quella maschera di buone parole e follia e, per quanto potesse sembrargli strano, gli parve addirittura di aver ottenuto la seconda vittoria della giornata. Si concesse un sorriso più large del solito, ritirando la mano con la spilla prima che l’altro provasse a riprendersela. “Ci sono alcune cose che la sua preziosa segretezza e le sue parole zuccherine non possono cambiare”.
“Comprendo”.
Il Radigata si allontanò dalla cella, liberandolo finalmente del suo sguardo carico di giudizi. “Ma capirai che, con queste premesse, non posso certo liberarti”.
“Prenderò atto della cosa”.
Si appuntò la spilla alla tunica, assaporando il suono lieve che la punta metallica inflisse all’abito nero. L’educazione lo avrebbe spinto a ringraziare il n. I per il dono, ma Marluxia respirò a fondo e rimase in silenzio.
Aveva finto per troppo tempo.
Aveva sradicato le radici dei Durlyn e anche il Superiore era stato costretto a retrocedere davanti alle sue nuove spine.
La piena fioritura era prossima.
Osservò l’altro andarsene senza proferire parola finché anche l’ombra non fu scomparsa dalla sua vista e rimase in compagnia delle sbarre e del soffitto bianco.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Registe