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Autore: yachan    19/05/2018    2 recensioni
Cosa significa "essere se stessi"?
Da bambino non me ne preoccupavo.
Se qualcosa mi infastidiva, mi arrabbiavo. Se qualcosa mi piaceva, lo dicevo.
Ma tutti noi cambiamo nel tempo.
Così come le cose che vogliamo proteggere...
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doraemon, Hidetoshi Dekisugi, Nobita Nobi, Shizuka Minamoto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Personaggi: Doraemon - Nobita Nobi - Shizuka Minamoto - Takeshi Goda (Gian) - Suneo Honekawa - Dekisugi Hidetoshi - Jaiko Goda - Hiro Kuroyama - Chika Tanaka - Aki Sasaki - Yoshino Saotome - Yukio Mori - Toshio Tsutomu

 

 

  • ... un incidente, eh?- guardò i tre ragazzi che aveva di fronte alla sua scrivania. Quello al centro, il moro, annuì. Il biondo a sinistra guardava annoiato le pareti della stanza, mentre quello alto e castano aveva lo sguardo abbassato. L'uomo dalla calvizia evidente si massaggiò la tempia socchiudendo gli occhi. Perché gli sembrava di rivivere una sorta di deja-vù?- Quindi un lavandino appena riparato e costato alla scuola, si sarebbe rotto da solo soltanto toccandolo?

  • Succede quando si risparmia sulle ripara... ouch- commentò il biondo, per ricevere subito una gomitata dal ragazzo accanto per farlo tacere, prima che l'uomo seduto alla scrivania potesse far aggravare la loro situazione. L'uomo si limitò a guardare il biondino con una smorfia.

  • Abbiamo riferito tutto l'accaduto al professore Tsutomo- spiegò il moro mantenendosi serio- Ci siamo rivolti al bidello appena c'è stata la fuoriuscita dell'acqua.

  • Sono già stato messo al corrente della vicenda- fece l'uomo contrariato- Ma questo non cambia la vostra situazione. Ho visto il rubinetto, e non ho dubbi che sia stato opera di qualcuno- incrociò le mani sotto il mento e li scrutò con attenzione- Dei testimoni mi riferiscono che eravate gli unici in quel piano a quell'ora deserto, nonostante ci fossero altri bagni disponibili ai piani inferiori. Che motivo avevate di riunirvi lì?

  • Hiro ha bisogno di privacy quando va in bagno- rispose il moro cercando di essere serio. Il biondino si voltò subito a guardarlo con espressione tra lo sorpreso e omicida, ma cercò di trattenersi dal fare o dire qualcosa che potesse compromettere la loro versione. Il castano era ugualmente sorpreso, ma cercò di trattenersi dal ridere.

L'uomo guardò poco convinto il biondino.

  • Mi risulta difficile crederlo con voi due presenti.

  • È che Hiro ha una fobia per i fantasmi e si vocifera che ne siano stati avvistati in quel piano- spiegò il moro cercando di non farsi tradire dalla voce- Io e Yukio siamo venuti con lui per rassicurarlo.

Hiro lo guardò tutto rosso e con voglia di strangolarlo. L'uomo però continuò a essere poco convinto della spiegazione.

  • Quindi la testimonianza di tre studenti che vi hanno sentito complottare all'interno del bagno, è da ritenere infondata?

  • Esatto- annuì deciso- E dubito che questi "testimoni" abbiano potuto sentire la voce di Yukio- aggiunse con ironia.

L'adulto continuò a guardare i tre e si toccò nuovamente la tempia.

  • Ho l'impressione, Nobi, che intorno a lei accadano troppi "incidenti"- commentò dando uno sguardo veloce al biondino- E che ha fatto ai suoi occhiali?- aggiunse tornando al moro.

  • Eh... piccolo incidente- disse vago Nobita cercando di coprire il suo paio di occhiali, temporaneamente rimesso insieme con del nastro adesivo.

L'uomo scosse la testa stanco e si alzò dalla scrivania.

  • Comunque sia... tre giorni di punizione dopo scuola.

  • Eh? Ma è ingiusto!- protestò subito il biondino.

  • Abbassi il tono Kuroyama o la sua cartella disciplinare avrà bisogno di essere aggiornata. E Nobi non potrà fare niente per aiutarla questa volta.

"Loro non c'entrano, dia la punizione solo a me"- scrisse subito il castano "È a me che si è rotto il lavandino"

  • Ah sì?- l'uomo lo fissò con insistenza- Ho come l'impressione che lei sappia più di quanto riferisca. Forse vuole... proteggere qualcuno?- e diede un'occhiata veloce al biondino- Non mi sembra proprio il tipo da creare problemi in una scuola nuova. Avanti, mi dica la verità, e potrete tornarvene in classe.

Il castano si irrigidì e abbassò lo sguardo. Nobita lo osservò in silenzio, mentre l'altro si mordeva il labbro come se lottasse dentro di sé. Infine alzò lo sguardo e guardò l'uomo con occhi incerti.

"È solo mia la colpa, io... "

  • No, non gli dia retta- fece subito Nobita mettendosi davanti al castano impedendo la lettura del foglio- La responsabilità è di tutti e tre.

L'uomo non poté evitare di sospirare frustato.

  • Risparmiatevi la sceneggiata. Non ho dubbi che ci sia la mano di qualcuno, ma non avendo prove sufficienti, questo è il minimo che posso darvi. E ritenetevi fortunati che non prenda provvedimenti più seri, la distruzione di installazioni scolastiche è un reato grave. Ora andate in classe prima che cambi idea.

Il biondino fece per protestare, ma il moro lo spinse subito fuori dalla stanza, seguito dal castano che chiuse la porta dietro di loro.

L'uomo sospirò stanco e si sedette sulla sua poltroncina. Essere il preside di una scuola aveva i suoi alti e bassi.

 

DORAEMON AND NOBITA PRESENT:

 

JUST LIKE YOU

Che significa “essere se stessi”?

 

Cap. 6

 

  • E quindi, tre giorni di punizione- fece Chika seduta su una sedia dell'aula e guardando il trio di maschietti con in mano strofinacci e secchi- Mah, tutto sommato vi è andata bene.

  • Parla per te, è un conto essere sospesi per una rissa, ma questo invece... se la bugia dovesse circolare che figura ci farei- disse il biondo guardando male al moro. L'altro si voltò a guardarlo con un sorriso colpevole.

  • Oh andiamo, non sarai ancora arrabbiato con me.

  • Paura di andare al cesso? Ma dai, tanto valeva dire che mi travesto da femmina!

  • Ehi, è la prima cosa che mi è venuta in mente- Nobita incrociò le braccia.

  • Non dovresti lamentarti, Hiro- intervenne Chika con il suo tono di rimprovero- Con la tua reputazione e la tua presenza nel bagno, il preside non ci avrebbe messo un minuto a darti tutta la colpa e sospenderti.

  • Questo lo so- fece il biondino mettendosi le mani dietro la testa- Ma questo non giustifica l'assurda bugia che si è inventato, che per la cronaca mette me in ridicolo e non lui.

  • Tsk, tu non sai cosa significa essere realmente ridicolizzati- commentò Nobita con una smorfia.

"Perché lo avete fatto? Non dovevate intervenire, la responsabilità è mia"

I tre si zittirono per leggere, Nobita con un po' di fatica, e guardarono Yukio.

  • Oh, non ti ci mettere anche tu- brontolò il moro sbattendo lo straccio sul banco e dando le spalle al biondo.

  • Già, è una cosa che riguarda me e Nobita- fece l'altro imitandolo.

"Però..."

  • Non ti preoccupare Yukio, questi due discutono sempre come due bambini, ma non riescono a tenersi il muso a lungo- commentò Chika tranquilla. I due nominati fecero una smorfia offesa. Lei non poté evitare di osservarli con curiosità- Ancora non mi è chiaro come siate diventati amici.

Il biondino e il moro si guardarono per qualche istante incrociando lo sguardo, per poi distogliere la vista e riprendere a pulire senza fare commenti.

  • Piuttosto, perché non ci dai una mano invece di startene seduta?- cambiò discorso Hiro guardando la ragazza- Che senso ha che tu rimanga qui altrimenti. Ci distrai e basta.

Lei alzò un sopracciglio guardandolo scettica.

  • Io non sono in punizione- specificò la ragazza rimanendo tranquilla- E soprattutto mi diverte vederti lavorare ogni tanto.

  • Dì piuttosto che non vuoi tornare a casa per non sorbirti la tua famiglia.

  • È probabile- fece spallucce.

  • Ah! Che ore sono?- chiese d'improvviso Nobita come ricordandosi di qualcosa.

  • Sono quasi le quattro- rispose Chika guardando l'orologio.

  • Dovrebbe essere qui a momenti...

I tre ragazzi si guardarono senza capire, finché un ragazzino entrò dalla porta.

  • Sempai Nobita!- i ragazzi si voltarono a guardarlo, era uno studente del terzo anno.

  • Ah, sei arrivato Kosuke- disse Nobita con un sorriso appoggiando lo straccio per un momento- Ce l'hai?

L'altro annuì e avanzò dentro. Gli altri guardarono nuovamente Nobita incuriositi. Kosuke gli porse un oggetto riconoscibile, era una radiolina. Più precisamente un vecchio modello con ancora l'antennina regolabile.

  • Perfetto!- gioì il moro- Ti ringrazio.

  • Prego, noi non lo stavamo più usando. Puoi tenerlo finché vuoi.

  • Ottimo, perché prevedo di trovarmi nella stessa situazione un'altra volta- ridacchiò amareggiato.

  • Ci vediamo- il ragazzino come era entrato, se ne andò lasciando i tre ragazzi più perplessi.

  • Perché sei così felice per una radio?- chiese il biondino, mentre Nobita girava le manopole dell'oggetto.

  • Non è ovvio?- fece la ragazza dopo aver compreso- La partita di baseball.

Hiro e Yukio si guardarono ricordandosi che la squadra avrebbe dovuto infatti gareggiare in quei giorni.

  • Dovrebbe iniziare a momenti- continuò Nobita con l'orecchio appoggiato alla radio.

  • E ti pareva, gli importa più della partita che il fatto di essere finiti in punizione- sbuffò il biondino.

 

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  • Inizia, inizia!- fece emozionato un ragazzo con il berretto mentre segnalava il mega schermo al plasma.

  • Di già?- altri sei ragazzi seduti sui divani e sulle sedie si voltarono verso lo schermo acceso. C'era un gran fermento nel gruppetto all'interno di un lussuoso salotto.

Una delle due ragazze presenti si guardò intorno, come non trovando qualcuno nel gruppetto di amici d'infanzia di Gian.

  • Ma... Nobita?- non poté evitare di chiedere Shizuka curiosa. Suneo si voltò a guardarla e con aria superiore rispose.

  • Pensa, gli ho fatto il gran onore di invitarlo a vedere l'incontro a casa mia, ma sai che ha fatto lui? Come un ingrato ha rifiutato. Come se non gli interessasse di Gian e la partita.

  • Non è vero- s'intromise la voce di Jaiko che lo zittì. Lei era seduta sul divano dal lato più vicino allo schermo- Nobita deve rimanere a scuola per scontare una punizione.

  • Sì, be', quello che è...- alzò le spalle come infastidito di essere stato contraddetto- Comunque non è normale essere messi in punizione proprio ora che Gian ha bisogno del nostro sostegno. Sicuramente lo avrà fatto apposta.

  • No, Nobita non lo farebbe- nuovamente Jaiko lo contradisse guardandolo brevemente- Sono certa che avrà avuto le sue ragioni. E mi ha promesso che avrebbe fatto ugualmente il tifo per mio fratello- poi tornò a guardare lo schermo mentre stavano trasmettendo la musica di apertura.

Suneo la guardò in silenzio, non più infastidito, ma con uno sguardo tra il pensieroso e sospettoso.

Shizuka che era sul divano di fronte a Jaiko non chiese altro, ma non poté evitare di chiedersi come fosse informata su Nobita, e cosa avesse fatto il ragazzo per finire in punizione. Ma chiederlo avrebbe solo creato domande e curiosità da parte dei ragazzi presenti.

  • Guardate, stanno entrando in campo- fece uno distraendoli- Dove sarà Gian?

  • Lì, lì!- fece la voce emozionata Jaiko. Stringeva tra le mani il suo berretto rosso e seguiva con lo sguardo il ragazzo abbronzato che camminava sul campo insieme ai suoi compagni.

  • Wow, con questo televisore si vede benissimo il volto di Gian- disse Dekisugi quasi meravigliato- E il campo... sembra quasi di essere lì.

  • Eh, ci credo- fece il ragazzo dai capelli neri a spazzola incrociando le braccia- Mio padre ha pagato molto per questo modello, è da poco uscito negli Stati Uniti.

  • Che fortuna, almeno possiamo vederci in diretta l'incontro- fece uno del gruppo, il più cicciotello.

  • Vedere Gian in televisione... chi l'avrebbe detto anni fa?

  • Già, vi ricordate quando andava in giro per il quartiere a fare il bullo e prepotente con noi? E poi quella mania di farci assistere ai suoi terribili concerti- disse con una risata Suneo, per poi pentirsi. Si era scordato che lì c'era la sorella di Gian. Gli altri ragazzi lo stavano guardando un po' a disagio. Lui si zittì subito pensando a una scusa da dire.

  • Non ce n'è bisogno- lo anticipò Jaiko senza distogliere lo sguardo dallo schermo- So com'era fatto mio fratello. Ma ora è tutto concentrato con il baseball- lo disse con una luce che si rifletté negli occhi.

Né Suneo né gli altri dissero niente e continuarono a guardare lo schermo. I giocatori si erano posizionati sul campo e stavano eseguendo dei lanci di riscaldamento.

Shizuka guardò l'amico lanciare qualche pallina al catcher e non poté fare a meno di ricordare le partite di qualche anno prima sul campetto vicino al fiume. I suoi amici in campo nell'intento di battere una squadra di un altro quartiere, lei sulla panchina a lato a fare il tifo e al suo fianco Doraemon. Poi proprio all'ultima battuta, come prevedibile, un errore di Nobita e la partita persa. E di conseguenza la furia di Gian e Suneo, rincorrendo il moro che scappava da Doraemon in cerca di salvezza, e lei in mezzo che cercava di fare da paciere, inutilmente.

Tutto intorno si muoveva come un cerchio senza fine, una sorta di rito che si ripeteva anno dopo anno, così come la loro amicizia sembrava destinata a non svanire.

 

  • Possiamo tornare insieme anche domani dopo scuola?

  • Credo che... sia meglio di no.

 

Lo sguardo si spostò su Jaiko. Provò un lieve fastidio al pensiero che Nobita preferisse confidarsi e passare il suo tempo con persone che non fossero i suoi amici d'infanzia. Non che ci fosse qualcosa di male, però perché solo lei...? Perché solo con lei aveva voluto creare più distacco? Perché quando sentiva altre persone parlare di lui e prendere le sue difese come lo conoscessero da anni, lei provava una fitta al cuore?

 

  • Perché ti sei allontanato da noi... da me?

  • ... Perché? Perché fa male.

 

Ora che lo notava, Nobita... il suo debole sorriso mentre pronunciava quelle parole, aveva fatto trasparire una malinconia e una tristezza che non vedeva da tempo sul suo volto.

 

  • Nobita-san?- fece la bambina mentre, di ritorno dalla lezione di pianoforte, aveva scorto una figura familiare sulla sponda del fiume.

Quella piccola figura seduta sull'erba si alzò in fretta al sentirsi chiamata, e mentre con un braccio si sfregava il viso rimanendo di spalle, lei lentamente si avvicinò tenendo stretta la sua borsa a tracolla con gli spartiti.

  • Oggi non ti ho visto con gli altri al campo di baseball- disse lei, anche se non era la prima volta che gli altri lo escludevano da qualche partita o cercasse lui stesso di evitare di giocare.

Non sentendolo rispondere subito, guardò le spalle del bambino illuminate d'arancione dal tramonto.

Lui lentamente si voltò a guardarla. Aveva il suo solito sorriso sulle labbra, ma l'espressione nei suoi occhi non trasmettevano lo stesso sentimento.

  • Non ne avevo voglia- rispose con semplicità alzando un po' le spalle.

Lei lo guardò per qualche istante in silenzio, come incerta sulle parole del moro. Un venticello sfiorò i loro visi, spettinando i capelli e sollevando lievemente i vestiti. Prima che potesse aprire bocca, lui stiracchiò le braccia in alto e sviò lo sguardo altrove.

  • Aaah, che fame!- esclamò risalendo su per la sponda, passandole di fianco e raggiungendo la stradina. Lei voltò nuovamente la testa per guardarlo, con uno strano sentimento che la faceva sentire inquieta.

  • Nobita-san...

  • Dai, andiamo a casa- Nobita tornò a guardarla con un sorriso spensierato, mentre iniziava a incamminarsi per primo.

Lei tentennò per qualche secondo, prima di raggiungerlo e lasciare alle spalle quei pensieri senza fondamento. Qualsiasi cosa le era sembrata di aver visto in quei brevi attimi, era forse stato un abbaglio. Nobita era il solito sempliciotto e spensierato che conosceva.

E mentre camminavano sulla via del ritorno, i suoi pensieri erano tornati a incentrarsi su di lei e la vicinanza della fine delle elementari. Ignara che da lì a qualche settimana Nobita li avrebbe messi al corrente sulla partenza di Doraemon.

 

  • Strike!- esultarono i ragazzi. Shizuka sussultò tornando a guardare la partita. Gian aveva già ottenuto il primo punto per la sua squadra.

Scosse la testa. Non era quello il momento di abbandonarsi ai ricordi. Gian stava disputando un importante partita e lei come amica doveva sostenerlo.

 

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  • È stato fantastico!- disse allegro Nobita mentre camminava affianco a Yukio sulla strada di ritorno- Gian è stato davvero bravo a ribattere quel lancio. Gli avversari non se l'aspettavano. Con questa vittoria, la conquista del Koshien non è lontana.

"Non me ne intendo, però sembra divertente"

  • Uh? Non ci hai mai giocato?

"Credo una volta, ma ero piccolo"

  • Ah, ma allora una volta ci dobbiamo giocare- fece subito Nobita sorridendo.

"Sei bravo?"

  • Per niente- agitò la mano in segno di negazione- Da piccolo ero una frana nel baseball, anzi in tutti gli sport. Però...- guardò davanti a sé con nostalgia. Yukio lo osservò- anche se continuavo a lamentarmi e sbagliare facendo perdere la squadra, era divertente giocare tutti insieme...

"Quel Gian, è un tuo amico d'infanzia? Giocava con voi?"

  • Gian aveva formato una squadra già alle elementari, ma non ero uno dei membri ufficiali- ammise il moro mentre raccontava- Come ti ho detto, ero una frana e poi temevo la sua furia se si perdeva- ridacchiò- Non puoi saperlo, ma Gian era un prepotente da bambino. E non sempre si riusciva a evitare uno dei suoi pugni.

"E tu gli eri ugualmente amico?"- lo guardò perplesso.

  • Perché... nonostante questo suo lato aggressivo, Gian aveva dei lati altruisti- gli sorrise- Non è cattivo, è solo ehm... fatto a modo suo.

Yukio guardò la strada davanti.

"Anche tu e Hiro siete amici. A vedervi sembrate così diversi, ma siete diventati ugualmente amici"

Nobita lo guardò per qualche secondo, per poi grattarsi dietro la testa con un sorriso a disagio.

  • La verità è che... neanche io sapevo se un giorno saremmo andati d'accordo- abbassò lo sguardo- Ero al primo anno, e anche lui come te aveva cambiato scuola a metà anno scolastico...

 

Lo guardò, così come gli altri studenti della classe. Era impossibile non rimanere incollati a fissare il colore dei suoi capelli. Erano di un biondo cenere che alla luce del sole sembravano risplendere di luce propria. Era impossibile non chiedersi se non venisse da qualche paese straniero o da qualche nobile famiglia. Anche se il suo modo rozzo di camminare e tenersi le mani nelle tasche, non sembravano abbinarsi a uno di nobile lignaggio.

Il ragazzo era in piedi davanti alla classe con una smorfia scocciata, che rifletteva il suo nullo desiderio di trovarsi lì. Dal momento che era entrato nell'aula non si era neanche scomodato a guardare i suoi futuri compagni.

Era toccato al professore di letteratura riceverlo con entusiasmo, anche se dalla sua espressione si vedeva chiaramente che non era realmente contento dell'arrivo dello studente, già sospettava che quel colore di capelli fosse una colorazione.

Il ragazzo fece una breve presentazione di se stesso, per lo più si era limitato a dire il suo nome e che i suoi capelli non erano tinti, come se intuisse i pensieri dei presenti. Poi rivolgendosi al professore aveva tagliato corto chiedendo di andarsi a sedere. S'incamminò tra i banchi, sotto lo sguardo attento degli studenti, andando a sedersi al banco vuoto vicino alla finestra. Era dietro a Chika e di fianco al banco di Nobita. La ragazza non si prese la briga di voltarsi, ma tornò sul testo scolastico. Il moro invece continuò a osservarlo senza poterlo evitare. L'altro appena si era seduto e aveva sbattuto il quaderno sul banco, alzò lo sguardo verso di lui.

  • Che hai da fissare- disse con tono scontroso e poco amichevole.

Nobita distolse lo sguardo e cercò di concentrarsi sulla lezione che era appena iniziata.

Ma non gli fu facile, per qualche secondo tornò a guardare il biondino che non aveva neanche aperto il quaderno e guardava fuori dalla finestra.

I giorni passavano, ma lui si ostinava a seguire poco le lezioni e distrarsi guardando fuori dalla finestra. Come se il suo corpo non fosse realmente in quella stanza, ma là fuori.

Qualche volta aveva fatto il gesto di alzarsi per andare a parlargli, ma sia lui che gli altri della classe venivano evitati dal biondino, che appena finiva la lezione era già fuori dalla classe.

Nobita cercò quindi di concentrarsi con la sua candidatura per rappresentante di classe. Non sapeva di preciso cosa l'aveva spinto a scegliere quello anziché iscriversi a qualche club. Chiaramente erano più responsabilità e più lavoro, ma sentiva che era un buon modo per tenere la mente occupata e fare qualcosa di utile. Aveva buone probabilità di riuscirci.

Un altro mese passò e Nobita cominciava a preoccuparsi. Essendo il più vicino a quello del biondino, non poté evitare di notare segni sulla pelle del ragazzo. Sembravano essere dei lividi, ma difficile dirlo con certezza con gli abiti che coprivano. Eppure quando un gonfiore rosso apparì sulla faccia, non gli fu facile nasconderlo, e neanche sembrava preoccuparsene. Finì almeno due volte dal preside, e dato che dall'inizio del suo arrivo non aveva voluto stringere amicizie, le voci sul suo conto iniziavano a diffondersi, alcune davvero assurde. E ciononostante ancora una volta non sembrava preoccuparsene, purché lo lasciassero in pace.

Passando per il corridoio e sbirciando dalla finestra, lo aveva notato nel giardino allontanarsi con ragazzi più grandi. Forse le voci che facesse parte di qualche gruppo di mafiosi, non erano così assurde. Ma quando ore dopo lo ritrovò seduto per terra nel retro della scuola al riparo da sguardi altrui, con la testa china e le braccia appoggiate sulle ginocchia piegate, i capelli biondi disordinati e evidenti sgualciture sulla divisa scolastica, il biondino non gli appariva così come lo descrivevano. Avrebbe voluto avvicinarsi e dirgli qualcosa, ma al biondino bastava minacciare con lo sguardo per tenerlo alla larga.

La stessa scena si ripresentò altre volte, ma al contrario della prima volta, lui si portava appresso il minimo necessario per le medicazioni. Si avvicinava in silenzio e glielo lasciava davanti, per poi andarsene. Quando poi il biondino tornava in classe, aveva la conferma che li aveva usati, anche se continuava a non rivolgergli la parola o trattarlo meglio.

  • Dovresti smetterla, qualsiasi cosa tu stia facendo- una volta si azzardò a parlargli in quei brevi momenti che erano soli nel retro della scuola.

L'altro lo guardò storto dal basso.

  • Non ti intromettere.

  • Non è mia intenzione- fece il moro serio- Ma continuando così, i professori lo noteranno e...

  • Che m'importa- fece una smorfia infastidita e guardò di lato- E neanche a te dovrebbe importare- aggiunse con tono di minaccia.

Nobita non insistette e serrando le mani tornò alle sue faccende.

Passò altro tempo e Nobita era intento a guardare la neve che scendeva dal cielo con in mano una lattina di caffè caldo. Era fuori dall'atrio della scuola protetto dalla tettoia del portone, mentre alcuni studenti tornavano a casa. Avrebbe dovuto correre via come gli altri che si erano dimenticati dell'ombrello, ma quel giorno non ne aveva voglia. Alle sue spalle la scuola da cui sentiva provenire un suono di violino con accordi sbagliati. Alzò lo sguardo come cercando di individuare da quale finestra provenisse. Si soffermò a immaginare la persona intenta a esercitarsi con lo strumento. I suoi capelli castano scuro raccolti in due codini, gli occhi marroni concentrati su uno spartito, le braccia esili e delicate sollevate a mezz'aria, la gonna della divisa in un svolazzo continuo del movimento del corpo.

Sorrise malinconico e tornò a bere il caffè caldo. Voleva evitare che i ricordi tornassero nuovamente a galla, quindi s'incamminò ugualmente coprendosi con il cappuccio del giubbotto.

Qualche metro più avanti sentì dei rumori non tanto distanti. Si girò di lato e vide il parco. Normalmente avrebbe proseguito il cammino verso casa, ma invece rimase fermo. Poi voltandosi entrò nel parco, sapendo già cosa si sarebbe aspettato di vedere, ma quello che non aveva previsto è che in mezzo alla baruffa di tre o quattro ragazzi ce ne fosse uno dai capelli biondi. In quella lotta di tutti contro un singolo, non sarebbe sembrato giusto a nessuno.

  • Fermi!- esclamò senza pensarci su e facendosi vedere. I ragazzi si voltarono a guardare l'intruso.

  • E tu che cavolo vuoi- fece uno. Nobita sudò freddo quando lo sguardo minaccioso di quei tipi più grandi si posò su di lui. Ma non arrivarono a fargli qualcosa, perché le voci di altre persone in avvicinamento li allertarono.

  • Andiamo, arriva gente- disse un altro.

  • State fuggendo, vigliacchi?- fece il biondino che li guardava con rabbia tenendosi in piedi con fatica- Avanti, non ho ancora finito!

  • A te penseremo un'altra volta- lo guardarono minacciosamente prima di dileguarsi velocemente.

Il moro si precipitò dal biondino appena lo vide cadere sulle ginocchia. Aveva i capelli e la divisa inzuppati di neve sciolta e sporcizia, vicino al labbro una ferita che sanguinava e un gonfiore alla guancia.

  • Kuroyama come va? Dove ti fa male?

L'altro scacciò in malo modo le attenzioni di Nobita e si rimise in piedi.

  • Che ci fai qui, chi ti ha detto di intrometterti.

  • Eri in difficoltà...

  • Potevo benissimo cavarmela da solo!

  • Ottimo, peccato che sarebbe stato più difficile nascondere due occhi neri- commentò sarcastico Nobita insistendo ad aiutarlo a tenersi in piedi. L'altro si lasciò aiutare per un momento, poi con il braccio lo spinse via- Ehi!

  • Lasciami... so tornare a casa da solo- il biondino gli diede le spalle e zoppicando si avviò.

Nobita lo guardò con una smorfia offesa, poi fece per tornarsene a casa anche lui. Però quando fece per incamminarsi, si voltò in direzione del biondino e lo osservò allontanarsi sotto la pioggia di neve.

Perché sentiva che non poteva lasciar stare? Forse se fosse stato un bambino di dieci anni, non avrebbe avuto dubbi su cosa fare, ma con più si cresce e più complicati sono le decisioni da prendere.

 

Il biondino camminò a piccoli passi con lo sguardo sulla strada che lentamente si ricopriva di neve. Sentì qualcosa gocciolare dalla bocca, con fastidio si passò la manica della giacchetta che si sporcò di sangue. Sbuffò mentre vedeva la chiazza rossa. Avrebbe dovuto subito lavarla appena arrivato a casa.

Un brivido lo scosse per la temperatura e gli abiti bagnati. Alzò lo sguardo al cielo biancastro e non poté evitare di esalare un respiro. Quando tornò a guardare la strada e fare un passo, finì però per avere un mancamento e perdere l'equilibrio. Ma prima di scivolare a terra, si sentì afferrare da sotto il braccio. Al suo fianco comparve un ragazzo moro con lenti da vista.

  • Tu... ?

L'altro non lo guardò ma si accinse il braccio sulla spalla e lo aiutò a tenersi in piedi.

  • S-so camminare da solo!- non poté evitare di balbettare dalla sorpresa.

  • Lo so- si limitò a dire il moro e guardando avanti a sé, mentre iniziavano a incamminarsi.

Forse perché fradicio o perché non aveva voglia di tornare a discutere, il biondino decise semplicemente di non dire niente e farsi condurre a casa, ogni tanto sbirciando il profilo del moro e gli occhiali appannati. Ma nessuno dei due aprì bocca, né in quel momento, né nel momento che i due si separarono davanti a una palazzina.

L'indomani tornando a scuola, con indosso la divisa asciutta e spiegazzata, passò lungo la fila di banchi ignorando i soliti sguardi dei suoi compagni, che evidentemente dovevano aver notato qualche segno sul suo volto, ma che preferivano distogliere lo sguardo per evitare la sua ira. Notò Nobi seduto al suo solito posto concentrato a leggere degli appunti.

Si sedette al suo banco che era lì di fianco e appoggiò stancamente il suo zaino sul banco, facendo sussultare leggermente la ragazza davanti.

  • farai meglio la prossima volta a girare a largo da me, o avrai dei seri problemi- disse con voce non tanto alta, ma abbastanza per farsi ascoltare dal ragazzo accanto, e come se si rivolgesse al banco anziché a una persona.

L'altro distolse lo sguardo dal quaderno e senza che Kuroyama lo potesse guardare, alzò le spalle disinteressato.

  • Lo terrò a mente.

Ma non passò neanche un ora, che come d'abitudine, fu chiamato all'ufficio del preside. Sbuffò mentre si alzava e con le mani in tasca usciva dalla classe. Non c'era da domandarsi perché questa volta era stato chiamato, i professori dovevano aver notato il suo aspetto. Passando per il corridoio e sbirciando dalle finestre, si chiese se saltando fuori e calandosi da quell'albero vicino avrebbe potuto evitare nuovamente quello strazio. Ma la sua fuga non sarebbe passata inosservata.

Con un nuovo sbuffo, entrò nell'ufficio dove ad attenderlo c'era il preside e il suo vice.

  • Kuroyama, ti sembra il modo di venire a scuola!- esclamò il vice appena lo vide passare la porta.

Lui si fermò davanti alla scrivania e quasi per dispetto si sistemò il colletto della divisa, come se quello bastasse a sistemare il tutto.

  • Non è divertente- commentò il vice.

  • Non sto ridendo- rispose il ragazzo secco. L'altro non sembrò gradire la sua risposta.

  • Tieni a freno la tua lingua Kuroyama. Non sei nella posizione per mancarci di rispetto. Ti ricordo che è dal primo giorno che crei problemi. Fossi in te chiederei scusa e farei del mio meglio per non creare altro disturbo.

  • Chiedere scusa per cosa, questa volta?

  • Pessima condotta, mancanza di rispetto e voti bassi. Per non parlare dell'aspetto- lo indicò con disprezzo- sembra che tu abbia fatto a pugni con qualcuno.

  • È così, Kuroyama?- intervenne il preside guardando il biondino- Vuoi dirci cos'è successo? Lo sai cosa puoi andare incontro in caso di un tuo coinvolgimento in qualche rissa, dovremmo anche contattare tua madre...

Il biondino guardò distrattamente altrove. Non sapeva cosa rispondere. In altre occasioni avrebbe risposto senza pensarci, ma non voleva coinvolgere la madre. Non di nuovo.

  • Io...

  • Mi scusi- una voce alle sue spalle, lo zittì. Era appena entrato un ragazzo. Guardandolo, lo riconobbe subito, era il suo compagno di classe.

  • Lei è?- chiese il vice.

  • Sono Nobi Nobita- si presentò il moro.

  • Dovresti essere in classe, cosa ci fai qui?

  • Avrei da dire qualcosa riguardo a Kuroyama...

Il biondino si voltò di scatto cercando di fulminarlo con lo sguardo e farlo tacere subito. Inutilmente però, perché il moro da quando era entrato aveva evitato il contatto visivo con lui. Stupendo, quel tipo ora voleva fare la spia, magari per entrare nelle grazie del preside.

  • Bene, sai darci una spiegazione?- chiese il preside.

Nobita si portò la mano dietro la testa e assunse un espressione imbarazzata.

  • Eh, a dire la verità... ieri stavo camminando vicino al fiume e distratto com'ero non mi sono accorto di uno skateboard lasciato lì per terra. Senza volerlo ho messo un piede sopra e sono ehm, scivolato. Aggiungo anche, in modo goffo- i due uomini si guardarono a vicenda sorpresi- Kuroyama si trovava nel cammino. Senza volerlo l'ho trascinato nella mia caduta e insieme siamo rotolati nel fiume. Io non sono bravo a nuotare, perciò è stato lui ad aiutarmi a uscire, anche se nell'agitarmi devo avergli mollato una gomitata in faccia- aggiunse dispiaciuto.

Kuroyama lo guardò tra il perplesso e l'incerto. Ma che storia assurda si era inventato? Figurati se loro...

  • Be', trattandosi di te, non mi sorprende Nobi- disse infine il preside con un sospiro sconsolato- Questo ti scagiona Kuroyama- disse poi rivolgendosi all'altro ragazzo- Ma non giustifica la tua condotta scolastica. Vedi di rigare dritto d'ora in poi. E tu, Nobi- guardò nuovamente il moro- non camminare con la testa tra le nuvole- il ragazzo annuì imbarazzato- Ora tornate in classe.

Il vice guardò il preside poco convinto e fissò il biondino con diffidenza mentre usciva dall'ufficio.

I due ragazzi chiusero la porta dietro di loro. Il moro tirò un grosso sospiro di sollievo prima di incamminarsi verso la classe.

  • Ehi, che credi di fare?- fece Kuroyama facendo frenare l'altro a metà corridoio- Perché l'hai fatto. Ti ho già detto di non intrometterti e...

  • starti alla larga, lo so- annuì.

  • E allora perché sei intervenuto? Non ho chiesto il tuo aiuto.

  • Ho sentito quello che mi hai detto, ma non ho detto che l'avrei fatto. E poi, preferivi farti sospendere?- detto questo entrò in classe senza aggiungere altro.

Il biondo lo raggiunse e si sedette al suo banco, affianco a quello dell'altro ragazzo che per tutta la lezione si concentrò a prendere appunti. Ogni tanto gli lanciò qualche occhiata indagatrice. Non riusciva a comprendere che tipo di persona era quel Nobi. La prima impressione che aveva avuto di lui, era di un sempliciotto e imbranato. Ma forse in realtà nascondeva una mente astuta, intenzionata a guadagnarsi la sua fiducia e poterlo ricattare.

Tornò a guardare fuori dalla finestra. Non si sarebbe sorpreso se quel Nobi si rivelasse doppiogiochista come tanti che aveva conosciuto. Ma doveva ammettere che lo aveva tolto da un bell'impiccio con il preside.

I giorni seguenti senza volerlo continuò a seguirlo con lo sguardo, un po' per curiosità e un po' per cercare di intravedere la vera natura del ragazzo. Ma non ottenne un granché, Nobi era esattamente come si mostrava: un debole e ingenuo. E le persone venivano da lui perché si mostrava disponibile. Ma non sapeva dire di no? Lo irritavano quel tipo di persone.

Aveva però poco da soffermarsi sul compagno di classe, perché notò gli stessi tipi di quel giorno all'uscita della scuola. Sospirò, avrebbe potuto andare sul retro e scavalcare il muretto evitandoli, ma non era il tipo che scappava come un codardo, e comunque sarebbero tornati il giorno dopo.

Anche se aveva bene in testa le parole del preside, non poteva evitarlo. Con lo zaino in spalla e senza guardarsi indietro, si diresse verso i suoi avversari. Il gruppetto lo attese con le braccia aperte, come se si trattasse di amici d'infanzia, e lo condussero in un posto isolato. Mentalmente si preparò a riceverle e anche darle. Perché poteva anche essere in minoranza, ma non li avrebbe fatti andare via senza prima aver restituito uno o due colpi.

  • Cosa succede qui?- fece una voce, che riconobbe subito in quella del suo compagno impiccione. E infatti era lì in piedi a pochi metri da loro, e con uno sguardo tra il preoccupato e spaventato.

  • E questo chi è?- fece uno del gruppo- Aspetta... non è lo stesso dell'altra volta?

  • Hai ragione...- cercò di squadrare il moro e gli andò vicino- Per caso sei suo amico?- fece cenno con il pollice al biondino.

  • No, non so neanche chi sia!- rispose di getto Kuroyama, impedendo che l'altro aprisse bocca- Per quale motivo dovrei avere per amico un tipo come lui!- aggiunse con tono sprezzante. Il gruppetto lo guardò per qualche istante.

  • Hai ragione, perché mai tu dovresti avere dei amici- rise uno e poi si rivolse a Nobita- Levati di torno, ragazzino. Vattene prima che cambi idea.

Il moro diede un veloce sguardo dietro il tizio, in direzione del biondino. Poi annuì un po' deluso e si voltò per andarsene.

  • Ora... dov'eravamo?- fece un altro del gruppo, mentre si stringevano intorno al biondino. Nello stesso istante uno di loro lo afferrò da dietro le spalle bloccandolo.

  • Ehi, così non vale!

  • Così eviterai di svignartela. Vedrai, questa volta non ci andrò così leggero.

  • Sei una canaglia!

Impossibilitato di difendersi o svincolarsi, ricevette un pugno in faccia e uno allo stomaco che lo lasciarono qualche secondo frastornato. Lo sguardo cadde a terra, mentre vedeva rivoli di saliva cadere sull'asfalto.

Com'è che era finito lì? Com'è che qualsiasi cosa facesse, lo portava allo stesso risultato? Perché la sua vita era fatta solo di quello? Proprio non lo capiva. Sebbene non lo desiderasse, era come una sorta di maledizione che lo portava giorno dopo giorno a fare gli stessi errori. Ma poi, perché? Perché era così diverso dagli altri? Eppure lui, in fondo, gli sarebbe bastato un po' di tranquillità, che nessuno lo disturbasse, era chiedere troppo?

Mentre sentiva dei passi veloci in lontananza, gli tornò alla mente l'immagine di una donna sorridente mentre armeggiava ai fornelli, con scarso risultato. Avrebbe voluto almeno per una volta, non essere lui a farle sparire il sorriso.

Un urlo, e nel giro di pochi attimi, che gli sembrarono ore, vide uno gettarsi a capofitto sul tipo che lo aveva appena menato. Evidentemente non era l'unico a essere rimasto sorpreso dall'azione improvvisa di quel ragazzo che tentava goffamente di atterrare l'avversario, infatti sentì le sue braccia libere dalla presa che lo immobilizzavano. E come d'istinto si liberò e ne approfittò per dargliene di santa ragione al tipo dietro di lui, per poi gettarsi sugli altri.

Non ricordava con esattezza com'era finita la rissa, né dove gli altri se n'erano andati, né se c'era stato un vincitore, sapeva solo di essere accasciato a terra, con le spalle appoggiate a quelle di un altro. Sentiva il respiro affannoso di lui mentre le spalle si alzavano e scendevano. Poi lo vide tastare il suolo, come se stesse cercando qualcosa.

Notò un paio di occhiali malridotti caduti vicino ai suoi piedi. Lo raccolse e glieli passò senza dire niente. L'altro lo prese tra le mani e li ispezionò mentre se lo avvicinava agli occhi. Gli uscì un sospiro quasi desolato.

  • Sei uno stupido- gli uscì spontaneo da dire, mentre guardava il suolo. Sentì la schiena dell'altro irrigidirsi- Se solo ti fossi limitato ad andartene...

  • Sarò anche uno stupido- commentò l'altro risentito- ma tu lo sei il doppio.

  • Sei penoso anche solo per tirare un pugno.

  • Oh scusa tanto, la prossima volta cercherò di impegnarmi di più- rispose sarcastico.

  • Non ci sarà un'altra volta!- si voltò arrabbiato- Non ti è bastato prenderle oggi!

  • Fermami se ci riesci!- ribatté l'altro voltandosi- Ma ti assicuro che non ti sarà facile!

Il biondino guardò il viso determinato del moro nonostante il sangue che gli usciva dal naso, i capelli spettinati e il paio di occhiali che pendeva da una parte. Non poté evitare di farsi scappare una risata. L'altro rimase per qualche secondo sorpreso, per poi sciogliersi in una risatina.

  • Sei conciato male- commentò il biondino.

  • Ti sei visto allo specchio?- rimbeccò l'altro.

  • Andiamo...- alzandosi e poi facendo un gesto di seguirlo, lo condusse davanti a una palazzina.

 

In quella palazzina ci era già stato giorni prima, quando aveva lasciato un Kuroyama ferito. Era una palazzina da due piani privo di guardino. Salirono le scale esterne, arrivando al piano superiore e fermandosi alla terza porta. Con un paio di chiavi il biondino aprì le chiavi ed entrarono.

  • Permesso...- fece lui per educazione, togliendosi le scarpe all'ingresso ed entrando in casa. Ma nessuna voce uscì dall'interno.

  • Siamo solo noi- spiegò Kuroyama avviandosi per primo per il corridoio e tornando indietro con una cassetta di cerotti e disinfettante.

I due si sedettero nel piccolo salotto annesso alla cucina e si curarono le ferite.

Per lui non era un problema medicarsi, già da bambino era abituato a ricorrere alla cassetta del pronto soccorso. E nel frattempo non poté evitare di dare un'altra occhiata alla casa. Come appartamento era piccolo, forse era un monolocale. Su un mobile c'era l'immagine di una donna che stringeva amorevolmente un piccolo bambino. Entrambi sorridevano allegramente.

  • I tuoi genitori non si preoccuperanno vedendoti in quello stato?- chiese rompendo il silenzio.

  • Mia madre torna sempre a tarda notte. Prima che mi veda sarò già a letto.

  • E tuo padre? Non credi che se ne accorgerà?- dall'espressione scura in volto del biondino, capì solo dopo di essere stato poco discreto.

  • Non credi che dovresti preoccuparti per te, piuttosto? Hai già pensato cosa dire ai tuoi?

Lui si limitò ad alzare le spalle.

  • Sono così tante le volte che mi faccio male, che non mi faranno domande.

  • Sei davvero così imbranato?

  • Ehi!- esclamò offeso- Sono solo distratto- si giustificò.

  • E cos'è che ti tiene così assorto?- chiese, non potendo evitare una smorfia divertita e scettica.

Il moro si soffermò a guardare il cerotto che aveva appena applicato al braccio. Diverse immagini gli tornarono in mente, ma cercò velocemente di cambiare discorso guardandosi intorno.

  • È tuo quel disegno?- chiese notando un foglio attaccato al frigo e avvicinandosi- È maschera di leone, ho indovinato?- sorrise compiaciuto- Piaceva molto anche a me da bambino. Non credevo che ti piacessero i supereroi.

Il disegno schizzato raffigurava un uomo con la testa di leone e accanto tre omini biondini, di cui uno piccolo che sorrideva.

  • Non ti riguarda- senza aspettarselo, il biondo gli si era avvicinato e aveva strappato dal frigo il disegno. Nobita lo osservò da dietro con un espressione dispiaciuta- Dovresti tornare a casa, non credi?- disse mentre appallottolava senza problemi il foglio e lo gettava nel cestino affianco.

Il moro alzò lo sguardo sull'orologio.

  • Hai ragione, mia madre si chiederà che fine ho fatto- ridacchiò, quasi cercando di allentare la tensione. Raggiunse l'ingresso e si infilò le scarpe- Be', allora... ciao.

  • Perché lo fai?- chiese d'improvviso Kuroyama, mentre lui era già di spalle uscendo dalla porta- Perché ti ostini a intervenire? Non siamo neanche amici.

Lui preferì non voltarsi, e intuiva che il biondo avesse aspettato quel momento per affrontarlo, per non averlo di fronte.

  • Perché... - socchiuse gli occhi con malinconia. Dei ricordi sbiaditi tornarono a galla e non poté evitare di sorridere tristemente- Perché nessuno è mai realmente solo, se ha qualcuno su cui contare.

E senza aggiungere altro se ne andò.

Fortunatamente sarebbero tornati a scuola solo tre giorni dopo per delle festività, il tempo almeno per rimarginare le ferite più evidenti e farsi cambiare gli occhiali.

Quando tornò in classe e si sedette sul suo banco, quasi si sorprese di vedere il biondino già al suo posto con lo sguardo annoiato alla finestra. Conoscendolo, sarebbe arrivato in ritardo senza tanti complimenti, e invece questa volta era tra i primi. Sentì inevitabilmente qualche bisbiglio da qualche compagno di classe, anche loro sorpresi. Cercò di non farci caso e tirare fuori i suoi libri per un ultimo ripasso. Ma mentre gli altri erano distratti, qualcosa rimbalzò sui suoi capelli e cadde sul banco. Un pezzo di carta accartocciato. Guardò in direzione da dove lo avevano lanciato e vide il biondino ancora girato verso la finestra.

All'interno del foglio c'erano scarabocchiate qualche parola.

Resti ugualmente un impiccione, ma... grazie”

Sorrise. Non poteva definirlo un successo, ma sicuramente era un primo passo.

Non poteva immaginare che da lì in poi sarebbe stato coinvolto in altre risse, fatto la conoscenza con la giovane madre, finito in qualche guaio e discusso spesso con lui fino a trovare un accordo.

 

  • Ma non mi pento, e rifarei le stesse scelte. Perché solo così ho imparato a conoscerlo- terminò di raccontare- Non so ancora se mi consideri un amico, però ne abbiamo fatta di strada insieme.

I due si fermarono a un incrocio di una stradina.

“Nessuno è mai realmente solo, se ha qualcuno su cui contare”- ripeté Yukio con un sorriso dolce- “Grazie per aver condiviso con me questa storia”.

  • Oh, uhm...- si grattò la testa imbarazzato- Figurati, ma... evitiamo di parlarne davanti a Hiro, sai com'è fatto...

Il castano annuì e fecero per salutarsi. Però prima scarabocchiò un'ultima cosa.

“Sono convinto che neanche Hiro si penta delle sue scelte... perché ha conosciuto te”

Nobita non poté evitare di sentirsi in parte sollevato e grato per le parole del castano. E quando riprese a camminare per tornare a casa, ripensò al bambino che fu e quella sensazione amara che lo rattristava di ritorno a casa. Quella convinzione che sarebbe sempre stato solo.

Fino a che un gatto robot non giunse dal futuro per lui. E la solitudine si trasformò in allegria.

Quando poi ,voltando l'angolo con i pensieri affollati, notò due ragazzi venire nella sua direzione, quasi d'istinto fece un passo indietro e si appoggiò al muretto, come cercando di mimetizzarsi con esso.

I due ragazzi sbucarono da quella via e presi com'erano a chiacchierare non si accorsero di lui, proseguendo per la loro strada senza voltarsi.

Lui rimase a guardarli di spalle per qualche istante. Giusto per imprimersi la figura femminile con indosso un grazioso completo che avvolgeva il corpo di una ormai adolescente... la voce, che nei anni aveva mantenuto quel suono gradevole e soave... le mani che si posavano sulle labbra mentre faceva uscire una risata e con l'altra sfiorava quasi per inerzia il braccio del ragazzo accanto, che come lei era intento a trattenere una risata.

Cosa si dicessero di preciso non lo sapeva, neanche il motivo per provocare la risata tra i due... perché tanto a lui non importava. Non più ormai. Aveva smesso di guardare quella stessa scena che si era ripetuta più volte davanti a lui e di provare quei sentimenti di sconforto.

Voleva solo allontanarsi il più in fretta possibile, e così tornò a svoltare l'angolo per tornare a casa.

 

Everything stays
Right where you left it
Everything stays
But it still changes

 

Ever so slightly
Daily and nightly
In little ways
When everything stays

 

   
 
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