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Autore: shilyss    19/05/2018    14 recensioni
Ci sono problemi che il martello di Thor non può fracassare né l’astuzia di Loki aggirare. Più inesorabili della Voluspa e dannosi di Hulk dentro a una cristalleria esistono solo due cose. Il Solstizio presso quei gran bacchettoni dei Vanir e i parenti molesti degli Asi. Dal 1 capitolo: Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti
Attenzione! Sebbene la storia sia ambientata nell'universo di "Tutte le tue bugie", può essere considerata come una fanfiction a sé stante! Buona lettura!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Piani che variano di minuto in minuto
 

Nei dieci minuti seguenti Loki Laufeyson riuscì nell’ordine a resistere all’impulso di scatenare una guerra, fingere con Sigyn che stesse andando tutto magnificamente bene e capire cosa fosse andato storto nel suo piano altrimenti perfetto: una delle ametiste che aveva richiesto doveva essere sostituita. I Nani lo avevano avvertito già dal pomeriggio, ma Vili, quell’ubriacone senza pudore maledetto, si era dimenticato di consegnarli il messaggio fatale. Il povero deficiente che aveva commesso l’errore di sbagliare Ase, o meglio, di ritenere che consegnarlo al baffuto guerriero valesse come averlo posato sulla scrivania dell’ingannatore, non saltò mai fuori unicamente perché, nel breve periodo, Loki aveva cose più urgenti di cui occuparsi: assicurarsi l’amore di una moglie affettuosa, devota, che gli stimolava l’ormone ed era anche brava a letto, ad esempio.


Una donna come Sigyn non dava eccessivamente peso all’opulenza del dono ricevuto. Si lusingava, ovviamente, se le venivano regalati gioielli e amava rimodernare spesso il suo guardaroba, ma non pretendeva che suo marito le portasse chissà che tesori, purché ci pensasse. A mortificarla terribilmente sarebbe stato il fatto che quel maledetto figlio di uno Jotunn non avesse badato nemmeno a raccoglierle un fiore. Ecco cos’era disturbante. A ciò occorreva aggiungere che il matrimonio tra Loki e Sigyn si reggeva, come tutte le unioni, su una serie di compromessi, equilibri, abitudini. Entrambi provavano a mettercela tutta per far funzionare le cose, perché la passione che mettevano sotto le coperte non poteva certo bastare a tenerli insieme. Ci volevano una dose di dolcezza (da parte di lei soprattutto) e la volontà di prendersi cura l’uno dell’altra.


Erano stati amanti clandestini prima, e marito e moglie subito dopo, perdendosi completamente l’essenziale fase del fidanzamento. Si erano ritrovati nella peggiore delle situazioni possibili, con un bimbo in arrivo ed esperienze di vita completamente differenti, eppure, dopo qualche momento di iniziale smarrimento, avevano deciso di impegnarsi. Loki era uno scaltro guerriero e politico con un bagaglio di esperienze spaventoso, Sigyn una ragazza di buona famiglia cresciuta al riparo dalle brutture del mondo. Lei era ottimista e sognatrice, lui pragmatico e cinico. Ora, sarebbe troppo smielato dire che i piccioncini si riempivano di piccolissime carinerie reciproche, ma è esattamente così che andava: Sigyn gli portava le tisane calde quando lui tramava fino a tardi, infilava i piedi perennemente freddi tra le sue gambe per scaldarsi e si addormentava stringendoglisi contro, e lui cercava di donarle la parte migliore di se stesso, posto che ne avesse una. Si imponeva di passare del tempo insieme e fare caso a quello che per lei era importante, fosse anche aggiustare in pieno inverno una finestra della serra affinché non si rovinassero i suoi fiori. Non era questo grande sacrificio dato che l’ingannatore tutto pativa tranne il freddo, ma tant’è.

Ecco, sarebbe bastato un fiore, un rametto, una poesia scritta di getto, un segnalibro buffo per far felice Sigyn: non servivano le sontuose tiare né le sete di cui certo non era priva: il regalo più bello che le aveva fatto fino a quel momento, era stato uscire di notte per raccattare le foglie di un medicamento, una sera in cui la donna aveva la febbre. Peccato che non ci fosse neanche questo, stavolta.
 


“Beh, che vai frignando? I tuoi piani variano di minuto in minuto, no? Fatti venire in mente un altro regalo!” si spazientì Thor. (1)

Erano chiusi nel gabinetto trasformato in pensatoio d’emergenza da troppi minuti. Loki parve riflettere su pro e contro, infine sospirò. “Certo. Un altro piano, certo. Userò i gioielli di nostra madre,” sentenziò sicuro.

L’idea parve a entrambi i fratelli Odinson fantastica, tanto che Thor iniziò immediatamente a invocare Heimdall offrendosi di aiutare l’ingannatore, ma Loki lo bloccò prontamente.
“Non lascerò che tu scelga il regalo di Sigyn,” s’impose.

Quel cretino di Thor allargò il sorriso sotto la barba incolta. “Sei davvero innamorato, fratello!” commentò quasi lussandogli la spalla con una delle sue pacche cameratesche.

“Sceglieresti qualcosa di inappropriato, inadatto,” glissò Lingua d’Argento. “Brutto persino, anche se nostra madre aveva gioielli meravigliosi. Senza dubbio prenderesti qualcosa di, come dire, agée.”

“Grazie della fiducia.”

“Non è una questione di fiducia. Abbini troppi colori, Thor. Non hai gusto. Vai in giro come un pezzente,” infierì l’ingannatore ormai totalmente a ruota libera. Thor non era vanesio come il fratello adottivo, ragione per cui se ne fregò bellamente dei deliri stilistici dell’altro. Con un “allora arrangiati, deficiente”, troncò il discorso e fece la cosa più giusta di tutte: si sedette sul gabinetto e osservò l’altro utilizzare una delle sue mille abilità.
 

 
“Avanti, sbrigati Heimdall! Apri il Bifrost!” invocò Lingua d’Argento sicuro. Ci fu un momento di tetro silenzio e attesa, poi una voce dall’alto, flebile e un filo sarcastica, irruppe nell’angusta camera. (2)

“Ah Loki, sei tu. Che sorpresa,” fu il laconico commento del Guardiano.

L’Ase deglutì. “Vero?!” Si allentò leggermente il colletto e insistette sotto lo sguardo divertito del tonante. “Avrei fretta, per cui apri il Bifrost.”

Di nuovo cadde il silenzio. “Ora hai bisogno di me?” domandò Heimdall ironico. Aveva diversi sassolini da togliersi dagli stivali. “Mi hai congelato, tentato di uccidere, licenziato,” ricordò gelido. “Com’è che dicevi? Che ero inutile e tu ti muovevi liberamente, dico bene? Esistono sentieri che collegano i mondi di cui io ignoro l’esistenza…”

“Sei stato irriverente e sei una fottuta spia! Adesso apri!” lo zittì Loki furente.
“Una volta mi hai definito un portiere guardone.”

Era evidente come, tra le mille qualità che Heimdall potesse vantare, certo non comparivano la misericordia e il perdono. Non c’era neanche da biasimarlo, per questo. Loki negli anni era stato qualcosa di fastidioso come una zanzara, insopportabile come un attacco di dissenteria e odioso come il lunedì mattina per un comune di midgardiano. Quella sua inquietante capacità di mutare forma e la mancanza di qualsiasi scrupolo nell’usarla, lo avevano reso il compagno migliore di giochi che Thor potesse desiderare e, allo stesso tempo, la sua personale croce.

L’ingannatore roteò gli occhi al cielo esausto. “Non può essere solo colpa mia. I rapporti si rovinano in due, prenditi le tue responsabilità!”

Fu la goccia che fece traboccare il vaso, perché quelli di Heimdall non erano semplici sassolini nella scarpa, ma travi maledette. Per colpa di quel ragazzino spocchioso, quel disastro ambulante, nei secoli si era beccato i peggiori insulti possibili da Odino e non crediate che l’inizio della fine si era manifestato quando, quel gran figlio d’una gigantessa, aveva deciso di far entrare alla festa per l’incoronazione di Thor un gruppo di Jotunn infuriati, promettendogli la possibilità di fregarsi lo Scrigno degli Antichi Inverni: le problematiche erano nate prima, molto prima.

Quando l’altero dio dell’inganno era alto meno della metà e trotterellava ancora per Asgard con un orsetto di pezza tirato per una zampetta, puntando pericolosamente verso ogni spigolo ecco, quello era stato l’inizio della fine. Si nascondeva, il frugoletto adorato, mutando forma, per le Norne, e trovarlo diventava impossibile, una cosa da sguerciarsi. Com’è Heimdall che ti perdi sempre Loki, gli domandava Odino preoccupato, e a lui toccava giustificarsi con perifrasi asciutte e politically correct perché non si può dire al proprio datore di lavoro e sovrano che il figlio adottivo cinquenne dimostra un’attitudine alla delinquenza più unica che rara. Non gli si può spiegare che quel bimbetto dallo sguardo limpido come una sorgente di montagna e all’apparenza tanto obbediente e disciplinato, ha il potere di distruggere tutto ciò che tocca con quelle sue dita infantili.

“Sai che ti dico, Loki? Va’ per i sentieri noti a te solo.” Ecco, finalmente glielo aveva detto. Il Guardiano si sentì sollevato come non mai. Riuscì a vedere il fiero principe mordersi le labbra offeso e deglutire dalla rabbia, consapevole com’era della battuta pungente e del riferimento molto poco nobile: eppure, la vittoria non era ancora perfetta e totale come quel buonuomo meritava. Loki di Asgard esplose letteralmente e batté i piedi per terra.

“Ho dieci minuti, maledetto idiota!” inveì.

Heimdall si gustò il suono disperato della voce dell’altro. “Allora corri, Loki, corri.” (3)
Ci vollero due minuti di lunghi e lenti respiri perché il dio degli inganni elaborasse una risposta che non assomigliasse alle urla inarticolate del fu Odino Borson (4). Si massaggiò le tempie provate dal troppo tramare, sempre di fronte allo sguardo curioso del fratello, e si abbassò finalmente nel tentativo di convincere per l’ennesima volta quel precisino insopportabile del guardiano ad assecondarlo.

“Se non vado e torno dal Palazzo di Asgard in dieci minuti,” disse col più ragionevole dei toni e un sorriso inquietante stampato sulla faccia, “Sigyn mi caccerà fuori di casa e io tornerò ad Asgard. Sai che significa, vero? Che noi saremo costretti a vederci tutti i giorni. E noi questo non lo vogliamo, dico bene?”

Il portale si aprì in un fascio di luce e Loki vi sparì dentro. È difficile decidere chi sia opportuno seguire, adesso, se il tonante o il suo scaltro fratello. Partiamo dal primo: Thor.



Il sovrano degli Asi era un inguaribile ottimista, persino quando si approssimavano le tragedie familiari. Uscendo dal pensatoio di fortuna, ad ogni modo, capì immediatamente che sarebbe servita tutta la sua diplomazia e il suo coraggio per sopravvivere a quella giornata e sentì un’acuta nostalgia di suo fratello. Quest’ultimo, se fosse stato presente, avrebbe imprecato e maledetto le Norne puntualizzando che Thor forse era coraggioso, ma certo non diplomatico. Per lui i diplomatici erano dolcetti midgardiani di forma cubica, stop. A terrorizzare maggiormente il nostro eroe, fu la tragica consapevolezza di aver lasciato Vili Borson solo con dei Vanir per ben dieci minuti.

“Tu e tuo fratello dovete staccare il cordone ombelicale che vi lega. O meglio, non vi ha mai legato perché la buonanima di tuo padre l’ha raccattato su un picco di ghiaccio, però Thor seriamente: credevo che aveste smesso perlomeno di andare in bagno insieme.”

Prima che uno sconvolto dio del tuono potesse replicare, il baffuto uomo si prodigò nello spiegare come i due pestiferi nipotini fossero stati pressoché inseparabili fino alla veneranda età di dodici anni. Fu un racconto tenerissimo, che sciolse il cuore di Sigyn: si immaginò i due frugoletti treenni che si addormentavano insieme in una tenda fatta di cuscini e lenzuola, non immaginando neanche la portata disastrosa dei danni causati dai due piccoli criminali. Li ricordava bene Vili, però, che pensò di illustrare agli eleganti ospiti le innocenti marachelle dei due fratelli, compresa quella volta che avevano disperso le ceneri del patriarca dei Nani e con il vaso che lo contenevano avevano…

“Zitto! Basta! Non lo vogliono sapere!” tuonò Thor. “Loki quando tornerà ti strapperà la lingua e io ti terrò fermo, così vedrai come lavoriamo bene in coppia!”

“Noi lo vogliamo sapere,” rispose serafico Njord con gli occhi che brillavano di curiosità.

“Da dove tornerà Loki?” s’informò Sigyn con la voce di una nota leggermente più alta del normale.
“Dal gabinetto,” mentì prontamente il tonante.

“Deve essere davvero disperato, per averti chiesto di levarti di mezzo,” constatò il baffuto Ase contrito. “Colpa della cucina Vanir che è costretto a ingurgitare, povero ragazzo!”



Se il disagio avesse potuto manifestarsi in forma umana, avrebbe preso le sembianze del dio del tuono. Capì immediatamente perché suo padre non aveva mai invitato il fratello a nessunissimo evento pubblico e gli mancò Loki in maniera atroce. Eppure, una parte di lui era contento che l’altro non fosse presente. Gli aveva evitato un dolore. Sigyn, che era una pessima cuoca, si sentì punta sul vivo di fronte all’accusa mossale indirettamente dall’Ase. Le vennero in mente tutte le volte che Loki, dopo aver mangiato uno dei suoi manicaretti, le chiedeva gentilmente una tisana che, tra le altre cose, aveva proprietà digerenti, e si domandò se non stesse inavvertitamente avvelenando il marito. Njord, che pure adorava il dio degli inganni, puntualizzò che se l’Ase stava male era per il troppo idromele che ingurgitava e per il suo apparato digerente di barbaro avvezzo a nutrirsi delle interiora del pesce.
 


Frattanto, il nostro eroe era finalmente giunto a destinazione, aveva avuto modo di accaparrarsi uno dei gioielli più belli sfoggiati a suo tempo dall’amata madre e stava correndo da Heimdall. Il guardiano lo fissò torvo.

“Ci rincontriamo,” lo salutò senza particolare gioia.

“Ovvio. Sono passato qui otto minuti fa,” ricordò l’Ase. “Adesso apri di nuovo il portale, da bravo.”

Il severo protettore del Bifrost lo squadrò dall’alto in basso. “Hai gusto con i gioielli.”

“Ho gusto in tutto,” puntualizzò Loki fiero.

Heimdall assottigliò gli occhi. “E le reliquie…”

Il dio dell’inganno sgranò gli occhi verdissimi e trasparenti, sorpreso. “Non so proprio a cosa tu ti stia riferendo.”

“Io ti conosco,” fu l’irremovibile risposta.

Loki sospirò spazientito. “E io ho fretta,” ribatté roteando gli occhi al cielo. “Ricordi quella storia che ci siamo raccontati prima? È la sera del Solstizio, se Sigyn non avrà il suo regalo mi prenderà a calci e mi butterà fuori di casa!” sillabò come se stesse rivolgendosi a un povero derelitto e non a Heimdall.

Questi si concesse un sorriso. “Hai paura di una donnina delicata come Sigyn?”

“Ne dovresti avere tu. Verrò qui a rovinarti l’esistenza ogni giorno!”

“Perché ti sei nascosto al mio sguardo mentre eri nel palazzo, Loki?”

“Perché è casa mia, guardone.”

“Loki,” iniziò il guardiano tetro, “se tu hai trafugato…” iniziò, ma non completò mai la frase: il dio degli inganni decise che aveva perso troppo tempo in attesa che il portale si aprisse, ed esplose in un impeto d’ira travolgente e melodrammatica. Puntò il dito contro l’altro e gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. “Apri questo fottuto portone, Heimdall o quant’è vero che sono il dio dell’inganno prenderò quella spada e la infilerò dritta dritta…”

“Apro, apro.”
 


Pochi secondi dopo, uno stravolto Loki usciva finalmente dal gabinetto con un’aria stropicciata particolarmente sospetta e un sorriso tronfio sulle labbra sottili. Avanzò con passo deciso fino al capannello di gente che si era creato attorno a quel vecchio pedante di Njord, rendendosi conto, con un istante di ritardo, quale fosse l’ameno argomento del discorso. Sigyn vedendolo gli si avvicinò, carezzandogli la guancia affilata e sbarbata.

“Oh, tesoro, non lo sapevo proprio.”

L’Ase lanciò un’occhiata interrogativa a Thor e quello si limitò a stringersi nelle spalle e a indicare Vili, che rideva beato e raccontava i dettagli della sua esistenza miserabile a Freyr.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto portare per decenni l’apparecchio ortodontico con il baffo,” sussurrò la donna posandogli un lieve bacio sulle labbra sottili.
 
Ebbene sì, il sorriso fascinosissimo e sghembo del dio dell’inganno non era il frutto di una squisita mescolanza genetica, ma merito della perizia e delle bestemmie di un dentista Nanico che era stato ampiamente foraggiato dalle Casse di Risparmio Aesir. Odino buonanima soleva dire che Loki aveva la Lingua d’Argento, ma il sorriso era sicuramente d’oro, dato che gli era costato fior di milioni. Il dispendio economico, tuttavia, nulla era stato in confronto al tormento patito dal figlio adottivo. Colpa di quei fottuti geni Jotunn. Il bel ghigno dell’Ase era stato ottenuto con una serie di tiranti e fermi che si completavano nell’installazione del cosiddetto baffo, un diabolico strumento di tortura fonte di estremo disagio. Thor bambino non aveva dimenticato un giorno di beffare il fratello minore per quella fastidiosa trappola. Il momento in cui, ormai adolescente fatto, il dio degli inganni si era fatto strappare l’appendice di ferraglia dolorosa dalla bocca, aveva festeggiato tutta la notte. E si era scoperto anche un po’ figo.

“È stata una sciocchezza, una lieve correzione,” bofonchiò l’Ase a disagio, scostandosi.

“Lieve un corno, Loki! Ho visto serpenti marini con arcate più ordinate delle tue! Eh no, il ragazzo non aveva il sorriso perfetto come adesso, no” puntualizzò maligno Vili.

Sigyn aggrottò la fronte e pregò mentalmente che la sua adorata bambina non avesse ereditato dal padre la brutta caratteristica, mentre il dio degli inganni si lanciava in torve minacce nei confronti del troppo sincero parente. Questi specificò serafico che ce ne sarebbero state da dire molte anche su Thor, dato che nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza si era ritrovato a sfoggiare un fisico ben diverso da quello attuale. Insomma, i fieri figli di Odino, da bambini, non erano affatto questo splendore, tutt’altro. (5)

“Ma perché non vediamo che meraviglioso dono ha fatto mio fratello alla sua bellissima moglie!”

Il dio del tuono era riuscito miracolosamente a catalizzare l’attenzione di Njord e Freyr e Freya, ma soprattutto di Sigyn, sul vero senso del Solstizio: l’ostentazione dei regali. La bionda Vanir sbatté le palpebre leggermente truccate, accennò un lieve sorriso, e Lingua d’Argento ne approfittò per ghignare svelando, una volta di più, i prodigi dell’ortodonzia dei Nani e il potere del denaro degli Asi. Le porse finalmente un astuccio di velluto contenente un paio di orecchini e un anello di squisita fattura. Smeraldi e diamanti bianchi e rosa si incastravano tra loro creando un perfetto disegno floreale, di impareggiabile bellezza e grazia. Nessuno avrebbe mai detto che Loki aveva scelto quella parure quasi a caso, tirando una carrellata di bestemmie come nemmeno nelle peggiori bettole intorno al porto di Asgard che servivano pessimo rum.

“Oh Loki! Io…” boccheggiò la bionda esterrefatta.

“Mia Sigyn,” la interruppe l’Ase, “era da tanto tempo che volevo darti questi gioielli,” esordì serissimo. “Nostra madre, la mai abbastanza pianta regina Frigga, un giorno quando ero poco più di un ragazzo…”

“E portavi ancora quell’orrenda cosa in bocca,” aggiunse Vili.

L’ingannatore finse di ignorarlo e andò avanti. “Mia madre mi chiamò e disse: Loki, quando troverai la donna giusta per te, voglio che tu le dia questi preziosi, come pegno.”

“Secondo me ha detto risarcimento,” borbottò Freyr.

“O ringraziamento per essertelo portato via,” commentò Thor.

Stoico e impassibile, Lingua d’Argento continuò il suo discorso. La vendetta sarebbe arrivata a tempo debito. “Mia madre era una donna nobile e davvero eccezionale: tu le saresti piaciuta immensamente, Sigyn.”

Il tonante incrociò al petto le poderose braccia. “Certo che le sarebbe piaciuta. Ti sopporta.”

“Appartengono alla Casa di Odino da migliaia di anni. Indossali con orgoglio,” concluse, ignorando completamente che la deliziosa parure di Frigga era stato un acquisto recentissimo della sovrana, fatto commissionare di persona per consolarsi di qualcuna delle molte decisioni scriteriate e discutibili del marito.

La principessa dei Vanir, com’è ovvio, rimase colpita dalle parole del marito e dalla bellezza del dono. Gli buttò le braccia al collo, lo baciò e gli diede il suo, di regalo: un rarissimo testo di magia oscura, rimediato con moltissima pazienza grazie all’intercessione di un mercante.
 


Anche Vili aveva portato dei doni, purtroppo, perché il bello dell’imbarazzo e del disagio è che sono pozzi senza fondo dentro cui si può sprofondare anche se si è Re o potenziali tali. Occorre sorvolare sugli orribili manufatti in pelliccia che Loki e Thor ricevettero in dono e che si ripromisero di gettare nel camino, non appena Vili si fosse ubriacato abbastanza, ma senz’altro merita di essere menzionato il dono che l’anziano Ase consegnò alla sua tenera nipotina: una scimitarra con l’elsa in osso su cui, probabilmente, il fratello di Odino aveva lavorato tutto l’inverno. La bimba osservò l’arma letteralmente estasiata, Sigyn cacciò un urlo disarticolato in cui qualcuno ravvisò il nome di Loki, l’ingannatore si affrettò a togliere dalle mani della piccina la lama.

“Zio Vili è davvero un dono magnifico,” esordì sfoderando un sorriso falsissimo, “ma Sonje è troppo piccola per poterci giocare.”
Il vecchio Ase barbuto scosse la testa. “Ma non credo proprio: quello che usasti per accoltellare Thor, a otto anni, te lo regalai quando avevi circa la sua età,” ricordò puntuale e implacabile. (6)

Il dio dell’inganno non sapeva da dove cominciare, per spiegare al parente quante cose sbagliate c’erano nella sua frase. Scosse la testa, chiuse gli occhi e fece sparire la scimitarra bofonchiando che era inutile, una battaglia persa, e tanto valeva provare a insegnare a un gregge di pecore le equazioni di secondo grado.

“In effetti credo che avessimo la stessa età,” ricordò Thor con un sorriso nostalgico. “Capisco che vuoi fare il padre modello, fratello, ma Sonje è mezza Asi. O Jotunn. O quel che vuoi che sia. E quell’arma è il tipico regalo con cui giocherebbe ogni bambino di Asgard.”
“Ma qui siamo a Vanheim,” ricordò Loki tra i denti, tentando di mantenere la calma, “e mia moglie è una Vanir e non desidera sapere che io e te a otto anni ci accoltellavamo.”
 


Il dio del tuono non rimase a sentire le paturnie e le discussioni messe in atto da quella piaga ambulante del fratello. Si dedicò a certe erbe terapeutiche dispensate dall’imperturbabile Ufa, che sorrideva gentile un po’ a tutti. A Thor la vecchina era molto simpatica, soprattutto perché aveva un’evidente difficoltà nel pronunciare il nome di suo fratello. O forse, non le interessava farlo in maniera corretta, chissà. Non c’era verso di farle dire in maniera distinta Loki.

“Foki sta ancora lamentandosi per il regalo del vostro amabile zio?” domandò svagata.

“Loki, nonna Ufa. Si chiama Loki,” la corresse il tonante assaggiando uno degli intrugli della sapiente. Quella annuì convinta.
“Foki, certo. Si agita troppo. È così un bel coltello!”

Thor avrebbe tanto voluto parlare del bilanciamento delle armi e dell’affilatura delle lame, ma l’eterea nonnetta si mise a parlare delle sue felci, dei suoi oleandri e di chissà che altra pianta cui era legata da un profondo affetto e, com’era assolutamente prevedibile, l’attenzione di Thor precipitò ai minimi storici. Cercò suo fratello con l’intento di proporgli una sfida virile come la gara di sputi, il braccio di ferro o scommettere su chi riusciva a mangiare più rapidamente tra i due, ma Sua Noia Mortale era stato bloccato da Njord e da un vecchietto decrepito. Questi, con il poco alito di vita che gli restava, illustrava convinto un problema apparentemente di fondamentale importanza: l’abolizione di una legge suntuaria che impediva alle nobildonne di Vanheim di indossare parrucche, una questione davvero essenziale, e quell’idiota di suo fratello, anziché creare una copia di se stesso e prestare attenzioni a lui, era lì ad annuire, a metà strada tra lo schifato e l’infastidito. (7)

Occorre dire, a onor del vero, che quella osservata con palese biasimo da Thor era a tutti gli effetti una copia. Il vero dio degli inganni era in altre faccende affaccendato. Fatto sta che il Re degli Asi iniziò a vagare per la festa con aria annoiata e fu lì, mentre reggeva un corno vuoto e si guardava attorno sbuffando, che Freya gli si avvicinò, lasciando che il suo sguardo chiaro e leggermente annebbiato dall’alcool scivolasse con studiata lentezza sui muscoli scolpiti e guizzanti dell’Ase.

“Dimmi un po’,” sorrise, “ma tu sei prestante come tuo fratello?”

Il Re degli Asi gonfiò il petto, lusingato dalle parole dell’ancora molto appetibile donna. “Ma certo!” rispose pronto, rinvigorito dalla possibilità di poter gareggiare con quell’insopportabile pedante di suo fratello. In fondo, Odino li aveva tirati su così, a suon di sfide e competizioni spesso non troppo sane, e adesso che erano uomini fatti, i due non perdevano occasione di misurarsi in sfide nobilissime o profondamente svilenti e cretine. Si divertivano anche con poco, insomma. Così Thor ridacchiò soddisfatto, mentre Freya allungava la mano ingioiellata per tastargli il bicipite d’acciaio, e ragionò solo successivamente sull’inquietante portata nascosta nella battuta della donna.

“Aspetta un attimo,” la interruppe, “che ne sai tu di quanto è prestante mio fratello?”

Freya inumidendosi le labbra si guardò attorno, per evitare che qualche orecchio indiscreto potesse udirla. “Non avrai mica pensato che ospitassi Loki solo perché è intelligente, vero?”

Thor esitò un istante. “No?”

“Tuo fratello è un brillante casinista,” esordì la Vanir a disagio, “ma se non era figo stai pur certo che poteva mendicare alla mia porta fino al Ragnarok,” puntualizzò ferma. (8)

“Ma quindi, tu e mio fratello…”

“Qualche volta, sì,” ammise la figlia di Njord esausta. “Ma quando Sigyn era ancora una ragazzina, prima che… non spifferare niente, eh? Non stavano insieme, allora! Se lei lo scoprisse sarebbe la fine!”

Thor aggrottò la fronte: improvvisamente, tutta una serie di battute bofonchiate a mezza bocca da Odino sui Vanir, acquistarono un senso nuovo.
 


Più tardi Sigyn, dolcemente raccolta sotto le coperte, mugolò appena sentendo le labbra perfide dell’Ase sfiorarle il collo. “Hai dimenticato il mio regalo e lo sei andato a cercare in fretta e furia ad Asgard,” bofonchiò aprendo pigramente un occhio, “insegni, di nascosto, a nostra figlia come si usano i pugnali e, come se non bastasse, tuo fratello stanotte si è appartato con mia zia. Ti odio, Loki Laufeyson.”

L’ingannatore sogghignò malefico. “I Nani hanno avuto un problema con un’ametista, nostra figlia è mezza Ase e tua zia non è da buttar via,” soffiò continuando l’assalto. Lasciò scivolare la mano sul fianco della moglie, artigliando la seta morbida della camicia da notte che indossava per sollevarla.

“Che vorresti dire con questo?” Sigyn si irrigidì voltandosi completamente. Lo guardò con sospetto, aggrottando le sopracciglia.
Loki le rubò un bacio. “Mezza Jotunn è più corretto, certo,” acconsentì.

“Non mi riferivo a quello,” insistette la donna. “Che cos’era quell’allusione a zia Freya?”

Resosi conto del pericolo imminente, l’ingannatore corresse rapido il tiro. “Che le Vanir si mantengono bene e Thor era ubriaco. Lascia che si divertano,” propose, e tornò a baciarla. Il Solstizio era una festa orrendamente faticosa, Njord un vecchio rompipalle e Ullfriaehdkkeh non la piantava di sbagliare il suo nome chiamandolo in quel modo deficiente. Heimdall si sarebbe, prima o poi, accorto del piccolo souvenir – o sarebbe stato meglio chiamarlo dovuto indennizzo? – che si era portato via dalla Sala delle Reliquie di Asgard, e il dio dell’inganno ora non voleva altro che divertirsi un po’.

“Pensi che mia zia sia attraente?”

Ecco, appunto. Era riuscito a guadagnare una posizione estremamente vantaggiosa, intrappolando la sua graziosa mogliettina sotto il suo corpo, ed ecco che quella ricominciava con la lagna.

“Penso che tu sia attraente, di tua zia non me ne è mai fregato di meno,” insistette convinto. Sigyn, per il momento, gli credette.
 
 


“Fratello, bentrovato. Ti avevo detto di non eccedere con gli intrugli di Ullfriaehdkkeh.”

Era mattina. Loki Laufeyson sedeva nella sua sala da pranzo, a capotavola, e aveva quell’aria perfettina che Thor e Sigyn trovavano, per ragioni fortunatamente diverse, assolutamente intollerabile. Il primo detestava quell’atteggiamento impomato che il dio dell’inganno si ostinava a sfoggiare, la seconda trovava irresistibile il marito quando le si presentava davanti scarmigliato e ghignante.

Ad ogni modo, il dio degli inganni aveva insopportabilmente ragione. Thor cercò di metterlo a fuoco e barcollò grattandosi la testa fino al tavolo. “…Come fai a pronunciarlo di prima mattina,” domandò in un rantolo sofferente.

Quello spalmò del miele su una fetta di pane. “Spiccate proprietà linguistiche, credo.”

Thor grugnì e si versò una bevanda ottenuta dall’essicazione di certi semi coltivati nell’estremo sud di Vanheim e che rassomigliava vagamente al caffè.

“Che notte! Che notte! Freya fa delle cose che…”

“Lo so,” tagliò corto l’Ase bevendo una tazza della mistica bevanda. “Risparmiami i dettagli.”

Il re di Asgard comprese e addentò una fetta di torta, ma poi fu vinto dalla curiosità. Del resto, la sala da pranzo era ancora deserta, di Sigyn e della bambina non c’erano ancora tracce. Si sporse verso il fratello con aria complice. “Senti ma anche a te…”

Loki lo fulminò con lo sguardo. “Possiamo cambiare argomento?”

Thor annuì, ma poi, di nuovo, fu vinto dalla curiosità. “Ma tutte le Vanir fanno…”

“Davvero pensi che risponderò a questa domanda?!” Lingua d’Argento si era sporto verso di lui e aveva pronunciato la frase tra i denti. Per fortuna o somma sventura, la splendida chiacchierata venne interrotta prima che il dio dell’inganno si lanciasse in una lunga invettiva sulle post-sbronze moleste di quel gran cretino del Re degli Asi, che ben conosceva e di cui l’ultima chiacchierata non rappresentava che la triste punta di un ben più vasto iceberg. Il fraterno momento, ad ogni modo, venne interrotto da un messaggero pallido in viso, che consegnò lesto un biglietto a Loki e scappò via senza attendere alcuna risposta.

Si rivelò una mossa assai saggia, dettata dall’istinto di conservazione dell’uomo.

Il fiero Lingua d’Argento lesse le poche e scarne righe, si accigliò, impallidì. Passò il foglio a Thor e anche il tonante s’incupì. “Che significa questo? Vili ha rubato la Laxdaela?”

“Cosa vuoi che ne sappia?! Hai visto, me lo hanno detto adesso!” esplose Loki con voce incrinata.

La Laxdaela (9) non era una semplice barca Asi: era il più bel drakkar che fosse mai stato costruito nei Nove Regni. Era un oggetto di culto, un sogno proibito, un orgoglio nazionale, un simbolo. Aveva la prua abbellita con un rostro bellissimo, a forma di drago. Era un drakkar velocissimo, aerodinamico, confortevole e tutta una serie di aggettivi che facevano piangere di gioia qualsiasi Ase. Se lo era fatto costruire Padre Tutto e aveva rappresentato, per Loki e Thor, un vero e proprio mito irraggiungibile. Quante volte si erano picchiati per decidere chi, tra i due, dovesse pilotarlo! Il dio del tuono l’aveva infine donato al fratello come regalo di nozze e segno di pace, in un modo più o meno spontaneo. Lingua d’Argento, infatti, si era lamentato del suo braccio malmesso ed era riuscito a instillargli un senso di colpa tale che il Re degli Asi si era deciso a cederglielo.



Continua...

Caro Lettore che sei arrivato fin qua,
Grazie per il tempo che mi hai dedicato giungendo fino a codeste ultime righe finali. Grazie per avermi testimoniato il tuo apprezzamento in ogni modo. La Fatina dell’Ispirazione promette che spedirà zio Vili in tutto il suo vichingo splendore da te, se non nutrirai la sua magia o la nutrirai, non si è ben capito. O forse preferivi un ponicorno da Loki? Non lasciare che dalle sue alucce piovano glitter sulla mia tastiera! Colgo l’occasione per rispondere a qualche FAQ:

Finirò mai tutte le long che ho in corso che, attualmente, ammontano a 5?
Sì, leggerai la fine di tutte le mie storie, se lo vorrai chiaramente. Non posto mai una fiction di cui non ho ben chiari gli sviluppi. Come Lettrice, mi dispiace non leggere la fine delle storie che seguo, e quindi mi pare giusto non dimenticare questo principio da Autrice.

Con che criterio aggiorni?
Settimanalmente, cercando di rispettare un ordine cronologico. Tuttavia, la Fatina dell’Ispirazione elargisce la sua magia prevalentemente alle storie più seguite. Quindi, se vuoi che una storia venga aggiornata con più frequenza, devi solo farmelo sapere! Ricorda: una storia molto amata è una storia spesso aggiornata!

P.S.
A martedì ;) (nel pomeriggio troverete già la prossima storia) e… a chi piacciono gli AU?!
 
  1. Una delle battute di Loki in Thor: Ragnarok.
  2. Tutta questa scena è un omaggio al primo Thor, dove intuiamo i rapporti tesi tra il guardiano e Loki, con quest’ultimo che fa lo splendido e viene prontamente zittito da Heimdall.
  3. Corri Forrest, corri! (da Forrest Gump).
  4. Di nuovo, nel primo Thor.
  5. Che Thor bambino fosse paffutello ce lo rivela Taika Waititi.
  6. Di nuovo, un omaggio a Thor: Ragnarok.
  7. Per la gara di sputi rimando alla mia fiction “Tutte le tue bugie”. Per la gara a chi mangia più velocemente, Loki l’ha disputata davvero nell’Edda in prosa (sic). E ha perso. Le leggi suntuarie erano norme medievali che stabilivano e regolavano l’abbigliamento, impedendo alle persone di ostentare in maniera eccessiva la propria ricchezza.
  8. Nella Lokasenna Loki racconta come Freya sia di ampie vedute e liberissimi costumi.
  9. La Laxadaela è una saga islandese. Ho scelto il nome per affibbiarlo a questo drakkar di mia invenzione che avete già incontrato in “Tutte le tue bugie.” Ho immaginato che, come oggi, anche allora le navi vichinghe avessero un nome femminile.
S.
   
 
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