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Autore: kissenlove    21/05/2018    1 recensioni
Lauren Castle a soli quindici anni era già una stella del lacrosse, sport che praticava fin da piccola, ma il suo sogno s'infrange alla vigilia di una partita importante. Scopre di avere la leucemia ed è costretta a rinunciare alla sua passione per stare costantemente sotto controllo, tra un ospedale e l'altro. Arresasi all'idea di essere un "malato terminale" e di non avere più speranze, trascorre le giornate nella sua stanza di degenza in compagnia di un soldato americano, ormai in congedo, a cui si lega molto. Sarebbe potuta continuare così, per sempre, ma a quanto pare il destino ha ben altri piani...
(ISPIRATO A UNA STORIA VERA.)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Le corde del cuore'
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A mio padre, a cui dedico ogni pezzo di questa storia












 
Le Corde Del Cuore
Tutti i diritti riservati all'autrice







Era diventata la sua casa, se così si poteva definire una camera di degenza. La 130, per la precisione. Vicino alle scale dove da due anni vedeva scorrere quella vita frenetica, normale, che lei viveva solo in parte. Aveva chiuso in un cassetto il suo sogno di tornare a giocare a lacrosse 1 
Era stata attaccante, e in seguito, anche capitano ma aveva dovuto rinunciarvi a causa delle cure. Il suo corpo non riusciva a reggere i ritmi incalzanti degli allenamenti, e per evitare infezioni era stata ricoverata per un lungo periodo. 
Non potendo uscire all'aperto godeva del calore della luce dalla finestra quasi sempre chiusa. Passava le giornate ad annoiarsi, a gironzolare per il reparto e a chiacchierare ore intere con Megy, l'unica amica e contatto che aveva mantenuto con il mondo esterno, suo nemico. Perché ogni cosa poteva nuocerle e ostacolare la sua guarigione, anche se era da tempo che aveva smesso di crederci.
Megan le faceva spesso visita e le raccontava tutto quello che capitava a scuola, fra quei banchi, che Lauren faceva fatica a ricordare. Mai avrebbe pensato che le sarebbe mancato studiare e andare alle interrogazioni. Non era mai stata una cima a scuola, collezionava solo figuracce e brutti voti. Lauren non era perfetta, aveva tanti difetti, uno di questi era dare tutto e troppo velocemente correndo il rischio di essere delusa. Ma lei era così, aveva il cuore di pastafrolla e il sorriso pronto a spuntare in qualsiasi momento, anche dopo una giornata storta. C'era sempre per gli altri ma mai per sé stessa, e questo la sua amica glielo ricordava sempre. Non poteva però cambiare a diciassette anni suonati e diventare di colpo una persona egoista e spregiudicata. Non era nelle sue corde un simile atteggiamento, era per questo che Dio non le aveva risparmiato la leucemia.
Detta così, faceva paura.
Molta. 
Il male estremo le scorreva nelle vene, la stava divorando, e non voleva dirlo, ma se ne sarebbe andata prima o poi. Perché questo non risparmiava nessuno e la guarigione era come uno spiraglio sottilissimo di luce che vedeva allontanarsi. L'oscurità le strisciava attorno. Si era presa la sua quotidinanità, la sua forza, e presto anche quei capelli color cioccolato che adorava le sarebbero caduti. Forse avrebbe rotto lo specchio nel guardarsi. 
Un mostro divorato da uno più forte, agonia dopo agonia... ma non avrebbe smesso di credere che dopo la pioggia ci sarebbe stato ad attenderla un bellissimo arcobaleno. E lei ci credeva, eccome. Non era la protagonista di una storia a lieto fine. Non aspettava un principe che la salvasse dalle fauci di un drago. Aveva sempre camminato da sola nascondendosi da tutto e tutti, come se fosse stata già un fantasma prima ancora del triste epilogo. Non cercava quelle mani sicuri e forti che l'avrebbero sorretta e messa in piedi. A quel punto della sua vita l'unica cosa che le importava era rendere l'addio il meno doloroso posibile alle persone che amava e che avrebbe amato per sempre.
Non aveva stilato nessuna lista. Voleva andarsene nel punto esatto in cui si era fermata, celando in un angolo remoto della sua testa tutti i suoi desideri. Il presente però era lì, nella sua camera, e al futuro non voleva pensarci. Anche se era convinta non ci sarebbe mai stato. 
Dopo aver mangiato un disgustoso brodo di pollo si mise nel letto a leggere una rivista. Sulla parete, proprio sopra la sua testa, aveva attaccato le mille foto che le ricordavano la sua vita passata. Erano foto fatte con ancora addosso la maglia numero sette e insieme alle sue compagne di squadra, che le si stringevano attorno felici per la vittoria. Ricordava quegli istanti, trattenendo a stento le lacrime, ed ancor di più il momento in cui levò al cielo la coppa. Era davvero felice di aver raggiunto quel risultato dopo anni di allenamento. Aveva segnato il traguardo più importante e si era divertita, al punto che non l'aveva mai sfiorata il presentimento che tutto potesse finire, così, e che non avrebbe più potuto stringere la sua amata mazza. Avrebbe dato qualsiasi cosa per farlo, solo un'altra volta. Solo così avrebbe smesso di darsi della fantasma.
Forse, avrebbe potuto chiedere a Megan di giocare una partita fra di loro vicino a fiume, ma lei era peggio dei medici. 
Eppure le piaceva la sua compagnia, era l'unica persona oltre la sua famiglia che la stava accompagnando nel suo calvario. Si prendeva cura di lei, più di una madre, la faceva ridere e, sopratutto, non la trattava da malata. E Lauren questo l'aveva sempre apprezzato, nonostante fosse questa la sua condizione. 
Era malata terminale, cosa che si poteva benissimo notare dal colorito pallido della sua pelle. 
Poteva essere scambiata per il vampiro Edward nella sua versione femminile. Megan scherzava anche su questo, paragonandosi a Bella. Era brava a sdramatizzare, per questo Lauren l'adorava a tal punto da desiderarla come sorella.
Anche lei giocava nella sua squadra, con la maglia 8 nel ruolo di difensore, e dopo il suo abbandono Lauren l'aveva pregata di prendere il suo posto. Dopo la scoperta della malattia aveva dovuto sottoporsi subito alla cura, se voleva evitare che il male mettesse radici, e così la squadra si era trovata senza una guida alla vigilia di un campionato. 
La ragazza si sentì in colpa e pregò Megy di farle questo favore, cosa che fece, ricordandole che sarebbe stato per poco. Lauren l'abbracciò e si rese conto della straordinaria persona su cui avrebbe potuto sempre contare. 
Alzò gli occhi verso quel mappamondo di scatti e li sfiorò uno ad uno con la punta delle dita. Sentiva fluire una sorta di energia positiva quando pensava che poteva farcela, poteva distruggere quel male e riprendere a vivere. Ma era utopia. La leucemia era lì e non se nè sarebbe andata così facilmente, neanche con tutti i medicinali. E di questo né era convinta. 
Mentre era immersa nei suoi pensieri, dal corridoio udì la voce della sua amaca, i suoi passi energici e vitali, e non si sbagliò quando la vide spalancare la porta. Aveva un sorriso a trentadue denti che faceva contrasto con quel posto bianco e asettico. Salutò brevemente un infermiere che passava di lì per il solito giro, poi chiuse la porta e si fiondò contro il suo letto. 
"Buongiorno, Lauren!" 
"Giorno anche a te, Megy." rispose l'altra, sollevando un sopracciglio e mettendosi seduta al centro del lettino.
La compagna dopo essersi liberata della borsa prese posto sulla sedia di fianco e prese una confezione di yogurt alla pesca, portati quella stessa mattina dalla madre di Lauren. Prese un cucchiaio e cominciò a mangiarlo, sporcandosi il mento sotto lo sguardo divertito della mora. 
"Cosa fai? Quello yogurt è mio!" protestò Lauren. 
"Beh, è squisito." le fece un occhiolino agitandole contro il naso il cucchiaio. "Devi dire a tua madre di portarne altri."
"Certo, così te li mangi tutti tu, dico bene?" replicò, poi alzò gli occhi contro il soffitto incrociando le braccia al petto in una finta posa offesa. 
"Sai.." - iniziò a dire l'altra finendo quella roba, per poi appoggiare la scatolina vuota sul comodino. "Ho sentito che forse ti dimetteranno. Finalmente te ne andrai via da questo posto."
"Come? Ma chi te l'ha detto?" indagò prontamente Lauren a occhi sgranati.
"Non me l'ha detto nessuno. L'ho sentito con queste stesse orecchie..." 
Lauren non riusciva a credere a quelle parole che le suonavano così belle. Le mancava casa sua, l'odore di vernice, i suoi mille peluche a forma di animale, i suoi poster, la sua amata chitarra. Almeno lì non sentiva il suono continuo dei campanelli di emergenza o le rotelle delle barelle quando dovevano spostare qualche paziente. A furia di stare lì dentro però si era fatta piacere anche quella stanza che aveva riempito in qualche modo di sè. Le piaceva lasciare una piccola traccia in qualunque posto andasse. Se avesse potuto avrebbe preso un aereo per andare dovunque il cuore la portasse. C'erano ancora tanti posti che Lauren Castle avrebbe voluto esplorare, o che si limitava a sognare tramite cartoline. Posti sconfinati in un angolo remoto della terra che solo a lei, patita di avventure fin da bambina, potevano piacere. Ma aveva promesso di starsene buona fin quando la malattia non fosse regredita un po', tanto da permetterle di non rischiare una banale influenza, che per una persona sana non era nulla, mentre per lei poteva esserle fatale e condurla alla morte.
Non aveva difese immunitarie per affrontare il mondo esterno, era un pezzo di cristallo che al minino urto andava a pezzi.
"Ho già pensato a cosa faremo quando uscirai..." le disse Megy. 
"A cosa hai pensato?" sospirò Lauren.
"Andare al cinema, cara. Non c'è niente di meglio di un bel film!" esclamò raggiante. Prese il cellulare scorrendo velocemente sul display. Lauren pensò alle cose che poteva fare, e il cinema non era fra queste. Non poteva andare nei luoghi affollati e pieni di germi, ma Megan quando si metteva in testa una cosa la faceva. 
"Cosa ti dice Il Sole a Mezzanotte?" detto questo, le mostrò una bellissima locandina dal sito dell'HappyMaxi Cinema. Sembrava da fuori la classica storia d'amore di turno, l'incontro che cambierà tutto e segnerà una svolta o la fine che dirsi voglia. 
"Bello..." si limitò a dire, osservando i due ragazzi con un pizzico di invidia.
Una cosa così non le sarebbe mai successa.
"Bello?" ripetè l'amica. "Semplicemente stupendo, dovresti dire. Ho già visto il trailer e ti assicuro che sarà un successo nelle sale a marzo. E poi la protagonista, Katie, ti somiglia decisamente."
Lauren inarcò un sopracciglio. 
"Ha la tua stessa passione per la chitarra e scrive canzoni, per esempio.
"Non scrivo canzoni, solo insignificanti pezzi." le ricordò Lauren, girandosi brevemente verso il suo diario poggiato sul comodino assieme alla bottiglietta di acqua. 
"Pensala come vuoi Lauren Castle, ma io non conosco nessuna ragazza in tutta Dublino che sappia suonare e cantare come te. Nessuna!" Lauren stava per aprire bocca, ma Megan la interruppe con un gesto frettoloso della mano.
"Alt, fammi finire."
La ragazza alzò le mani in segno di resa. 
"Non c'entra che tu abbia o non abbia una malattia, niente ti può impedire di fare ciò che vuoi. Quindi, apri bene le orecchie Lauren. Io e te andremo al cinema a vedere questo benedetto film!"
Lauren sbuffò. Era impossibile farle cambiare idea. 
"Sei impossibile."
"Sei tu che ti sei adagiata sulla malattia." affermò sicura Megy, mettendosi il cuscino sulle ginocchia per poi appoggiarvi sopra i gomiti. "Nonostante tutto, la tua vita continua e non devi sprecarla."
Lauren la guardò di sottecchi, riflettendo per un attimo. Poi mormorò. "Sembri mio padre..." 
"Lauren... - Megy si drizzò e prese quelle mani fragili e fredde fra le sue - ti voglio tanto bene, davvero."
"Anch'io, Megy. Non sai quanto..." si strinsero in un piccolo abbraccio. 
Un abbraccio che valeva più della valanga di parole che avrebbero voluto dirsi. 
Non appena si staccarono Megan si asciugò velocemente le lacrime con la manica della maglia e tornò seduta. Pur essendo, lei, una persona di polso si scioglieva di fronte a quegli occhi trasparenti, a cui non poteva nascondere niente.
La ragazza seduta nel letto, il capitano che l'aveva fatta sudare più di sette camicie sotto il sole, la sua migliore amica impegnata in quell'ardua battaglia. Davanti al suo sguardo spento riaffiorava quella fottuta paura di perderla.
Megy non sapeva quanto tempo le rimaneva ancora, se e quando la malattia se la sarebbe portata via. Aveva paura di parlare di futuro, desiderava tanto che il tempo si fermasse in quella stanza, mentre le loro mani si tenevano forti, ma era impossibile. Il tempo scorreva ed il sole sorgeva con la stessa monotonia con cui calava, portandosi via un pezzetto della sua anima così come la malattia si divorava Lauren. Ma Megy voleva essere forte, essere la spalla amica di cui la ragazza aveva tanto bisogno. Solo che non sapeva bene cosa fare per non farsi seppellire dall'angoscia e i brutti pensieri.
"Megy, a cosa pensi?" fu Lauren a distoglierla dai suoi pensieri, spostando le lenzuola per mettere i piedi a terra. 
Si alzò di scatto pronta per offrirle un appoggio. Lauren rifiutò e si mise in piedi da sola.
"Allora?" le ripetè, fissandola dritta negli occhi. 
Megy abbassò il volto. "Nulla."
Lauren lasciò correre e prese la vestaglia per non prendere freddo, sotto lo sguardo incerto della sua amica. 
"Ti va di andare a fare un giretto?"
Megy corrugò la fronte. "E i dottori cosa dicono?"
"Non sono agli arresti." ironizzò la ragazza, aprendo la porta seguita a ruota da Megy.
Fecero un breve giro del reparto, in cui erano ricoverati malati gravi e meno gravi, ma tutti avevano un cancro. Quando si stancarono decisero di sedersi nella sala d'aspetto. Megan comprò un pacchetto di patatine, e Lauren rise per la sua ingordigia che le faceva ingurgitare ogni cosa come se non mangiasse da secoli. 
"Ne vuoi?"
"No. Non posso mangiarle."
"Cosa puoi mangiare, Lauren?"
"Solo disgustose, pappine."
"Che schifo questa malattia!" commentò Megan, facendo increspare un lieve sorriso alla ragazza che le sedeva accanto. I primi tempi era stato diffile rinunciare alle cose che faceva prima. Un colpo troppo duro per un adolescente piena di vita, come sempre era stata Lauren. Ora si sentiva prigioniera della sua malattia. La leucemia rovinava tutti i suoi momenti più belli, e lei provava ribrezzo anche solo sentirla nominare dai medici. Poi ci aveva fatto l'abitudine, col passare degli anni. Come avere una macchia di vernice nera addosso che non si toglieva con nessun detersivo. Era da due anni che aveva scoperto di esserne affetta, e la sua battagia non era ancora finita. Non aveva scritto la parola "fine". Era ancora al centro del ring a tirare pugni e riceverli. 
In silenzio, si misero a guardare la televisione che stava trasmettendo una partita di calcio, commentando le mosse dei vari giocatori, che si muovevano a comando sul campo. La squadrà bianca segnò un goal all'ottantesimo minuto, ed appena il cronista ne annunciò il nome Lauren ebbe un tuffo al cuore, come ricadere nel vuoto mentre stai dormendo.
Adam Clark.
La telecamera zummò su di lui mentre sollevava il braccio muscoloso verso il cielo. Il cronista mandò in onda il replay in slow motion, poi tornò velocemente al gioco. 
"Hai visto che goal!" esclamò Megy. "Adam è sempre il più forte in campo."
Lauren annuì. "Vinceranno anche stavolta."
"Sicuro. Nessuno può battere Adam Clark. Quel ragazzo è una promessa del pallone."
Lauren fece spallucce, ignorando il resto della partita, e si alzò per tornare dentro prima che chiudessero la porta.
"Lauren dove vai?!"
Si voltò. "Sono un po' stanca. Ti dispiace se torniamo in camera?"
Megy le si affiancò subito afferrandole il braccio per accompagnarla. Si rimise nel letto, con Megy sempre al suo fianco, e aspettò che quel pomeriggio passasse come tutti gli altri. 

Verso le sette mezza un'infermiera passò di camera in camera ad avvisare che l'orario delle visite era finito. Megy era dispiaciuta di dover lasciare Lauren da sola, ma capiva che la ragazza avrebbe dovuto riposare. Prese la borsa e, prima di andarsene, le lasciò un bacio sulla guancia. 

Dopo aver mangiato un'altra disgustosa pasta e fatto gli ultimi lavaggi di vitamine Lauren si preparò per dormire. Non si aspettava altre visite, aveva già inviato un messaggio a sua madre dandole la buonanotte e chiesto se in famiglia andasse tutto per il meglio, e lei rispose che poteva stare tranquilla. A un certo punto, la porta si spalancò e il dottor Tognetti, il medico che si stava occupando del suo caso, entrò rivolgendole un sorriso cordiale. Lauren si tirò a sedere e gli sorrise, a sua volta.L'uomo aveva tra le mani il suo refarto e tutti gli esami dei mesi scorsi e la sua faccia diventò seria in un colpo.
Lauren conosceva quello sguardo. Deglutì, stringendo nei pugni chiusi le lenzuola e pregò fossero delle buone notizie.
Il dottore si tolse gli occhiali e lì lasciò ricadere sul petto. "Come stai, Lauren?"
"Bene, dottore." disse, o meglio, sussurrò.
"Ho già parlato con i tuoi familiari. Abbiamo deciso che non c'è più bisogno che resti in ospedale."
"Da-davvero? Posso andare a casa?" chiese, sul punto di scoppiare a piangere.
"Sì." confermò il dottore, e Lauren avrebbe voluto salire sul terrazzo e gridare a tutto il mondo la sua immensa felicità. "Però devi tornare in day ospital la settimana prossima per il ciclo di chemioterapia."
Il sorriso della ragazza si affievolì sempre di più nel ricordo gli effetti devastanti dei primi. Si era sentita un relitto per molti giorni, senza alcuna voglia di parlare, apriva la bocca solo per dare di stomaco nella bacinella.
Il dottore, notato la reazione della ragazza, le pose la grande mano sulla spalla scuotendola.
"Lauren non mollare proprio ora. Ce la faremo, insieme."
La ragazza alzò il viso, incrociando quello del medico, tremando leggermente.
"L-lo so dottore, ma sono stanca. Sto lottando da due anni e non ce la faccio più a tenere duro."
"Non sei la prima persona che sento parlare in questo modo."
Lauren sospirò, abbassando il volto sulle lenzuola e strinse di più i pugni come a darsi coraggio.
"Non è facile questa battaglia. Ma lo devi a te stessa, al futuro che ti aspetta, e alla tua famiglia..."
"Che futuro... posso avere, dottore? Ho un male che potrebbe portarmi via anche domani, o tra una settimana..."
"Lauren, fai bene a sfogarti. Ma non devi dimenticare che le pillole che prendi lo stanno tenendo a bada, quindi abbiamo una possibilità. C'è una minima speranza, ma c'è... e tu devi essere forte e superarla."
Lauren rimase in silenzio a riflettere su quelle parole. Il dottore non attese la sua replica e continuò, sfogliando la sua cartella clinica." La leucemia sta regredendo lentamente. Se andiamo di questo passo potrebbero esserci buone probabilità di non fare altri cicli e continuare solo con le pillole. La cosa positiva è che nel tuo ambiente domestico ti sentirai più a tuo agio e l'affronterai meglio. Inoltre i valori bianchi stanno scendendo..."
"Quando potrò andare via?"
"Lunedì, perciò riposa il più possibile e non andare in giro come tuo solito." le strizzò un occhio, e lei arrossì.
"Va bene. Le prometto che farò la brava."
"Ottimo. Ti auguro buona notte."
Il dottore uscì lasciandola a riposare e pensare che tra due avrebbe dormito nel suo letto, riabbracciando quella realtà che credeva scomparsa.
   
 
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