di-pen-dèn-za/
sostantivo
femminile
2
L'incapacità di fare a meno di una
persona ( d. psicologica ) oppure il bisogno incoercibile di un
farmaco o di una sostanza: d. farmacologica; part., la condizione del
tossicomane.
Va-ga-bon-dàg-gio/
sostantivo maschile
2
Essere
umano o altra forma di vita senza fissa dimora
Assymia
ci aveva provato in tutti i modi.
Aveva provato a smettere di
colpo, e subito l'astinenza era scoppiata a bruciare in lei come un
furioso incendio.
Aveva provato a smettere poco a poco. Forse così
le fiamme dell'astensione non l'avrebbero presa. O, almeno, non con
tale violenza.
Aveva persino provato a sentire le stupide parole
di quell'ingenuo di suo figlio.
Sì,
suo figlio. Nei rari momenti in cui le tornava una parvenza di
lucidità, lo cercava sempre con lo sguardo. E ogni volta il piccolo
Altarinor era sempre più magro, sempre più fragile, sempre più...
lei.
Assymia
non diceva mai nulla, in quei momenti. Cosa doveva dirgli, in fondo?
Che con quei capelli bianchi e quel viso angelico le ricordava troppo
il padre? Che con quegli occhi grigiastri le ricordava la polvere a
cui era assuefatta, che quello era stato il colore delle sue due
condanne?
Non
c'era bisogno di parlargli: quel piccolo impertinente già lo sapeva.
Sapeva già come era venuto al mondo: Assymia non gli aveva mai
nascosto il lavoraccio che doveva compiere con uomini e donne per
procurarsi il "Fuoco degli Angeli", la sua fonte di
felicità fatta polvere. Lui aveva da sempre avuto la possibilità di
vedere e sperimentare tutto: da quella strana sostanza dal nome
peculiare al non avere nulla. Nemmeno un tetto sulla testa.
Distesa
nel suo sporco ammasso di coperte, Assymia si mosse quel tanto per
distendersi supina. Sì, a causa del Fuoco degli Angeli avevano perso
tutto: lei non aveva più una dignità, una casa, degli affetti. E
Altarinor non aveva più un'infanzia e una famiglia, distrutte
entrambe dall'assenza di una madre che non lo voleva e dalla pesante
eredità che il padre gli aveva lasciato.
Socchiuse
gli occhi, cercando di mettere a fuoco l'ambiente oscuro, chiuso e
fumoso. Da qualche parte, in un angolo in basso, doveva esserci un
piccolo falò, data la luce che proveniva da lì?
Dov'era
Altarinor, dov'era finito quel piccolo mezzosangue?
Quel
bastardello era diventato insolitamente assente in quei giorni, fino
a sparire del tutto. Fin da quando Assymia era scivolata nella
spirale del Fuoco, Altarinor era diventato un fastidiosissimo
paladino in miniatura e aveva cercato in tutti i modi di aiutarla a
smettere, a trovarle un'occupazione migliore. A darle di nuovo
un'identità fissa, a porre fine al suo eterno viaggiare senza meta
negli abissi lattiginosi della sua disperazione.
Quel
microbo voleva diventare grande e forte come il padre: sapeva
benissimo, non si sa come, da dove proveniva quel suo maledetto
sangue
celeste. Che
il padre lo avesse raggiunto in sogno?
Assymia
strinse di scatto i pugni e, con estrema fatica, tentò di
riassettare gli stracci che aveva addosso e di rimettersi in piedi.
Ne era certa, Altarinor se n'era andato.
Doveva
esser successo qualcosa che aveva fatto traboccare il vaso e lo
avesse fatto desistere: forse uno dei suoi clienti aveva calcato
troppo la mano con lui. O forse più di uno. O forse nulla di tutto
questo. Forse qualcuno -anche lei stessa, come poteva ricordare?-
aveva solamente provato a fargli del male e lui si era difeso,
affrontando il pericolo frontalmente o fuggendo. Chi lo poteva
sapere?
Ad
Assymia non importava. Doveva riprenderselo, o non avrebbe più
potuto procurarsi uno degli ingredienti per il Fuoco degli Angeli.
Seppur contaminato con quello umano, il sangue di Altarinor aveva la
quantità sufficiente di componente celeste per produrre la polvere.
E anche a basso costo.
Un
passo dietro l'altro, riusciva a tenersi in piedi, nonostante tutto.
Forse
era per quello che Altarinor non tornava più, per farla smettere con
silenziosa forza. Sì, poteva credere che sottraendosi alla madre
sarebbe riuscito a privarle della materia prima della sua rovina, e
quindi riuscire a guarirla.
Una
passo dietro l'altro, Assymia non aveva più la concezione del tempo.
Ma
no, se lo sarebbe ripreso. Dovunque egli si sia nascosto, lei lo
avrebbe scovato e lo avrebbe ripreso a sè, anche con la forza.
Un
passo dietro l'altro, camminava da tanto?
Non
importava che attraversasse solo quel malsano ambiente o anche città,
foreste e fiumi, senza una meta e un'organizzazione precisa. Si
arrangiava come poteva, come aveva sempre fatto fin da quando aveva
scoperto di star aspettando un bambino e, successivamente, il Fuoco.
Non
importava nulla. Non importava perché, che lui lo volesse o no, era
pur sempre suo figlio. E lei lo avrebbe trovato, sempre,
ovunque.