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Autore: shilyss    22/05/2018    18 recensioni
La prigione dove Odino ha rinchiuso Loki è una cella asfissiante priva di finestre. Costretto in una forzata inattività ma niente affatto piegato, il dio degli inganni affida i suoi pensieri più oscuri a delle lettere. Il destinatario? Thor, l’avversario di una vita, il compagno d’avventura prediletto, il fratello con cui ha condiviso ogni cosa. Carteggio estorto dal tonante cui Loki accetta di piegarsi solo per raggranellare qualche beneficio in più. Perché gli obiettivi del dio degli inganni potrebbero incrociarsi ancora con il destino di Asgard, e nessuna cosa è per sempre, neanche nelle prigioni sotterranee degli Aesir.
Dal cap. 1: Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4 – In fondo alla prigione

 

Lettera 20

 Avanti Thor, non dirmi che sei sorpreso. Non ci credo: quello che è successo era assolutamente prevedibile, auspicabile persino. Cosa ti aspettavi facessi, sentiamo? Una giovane Asinna è stata offesa da un volgare delinquente davanti ai miei occhi, uno che certo non aveva senso sfamare e che mai si sarebbe redento – ti ricorda qualcuno, per caso? – e io non ho fatto altro che suggerirgli una via di fuga che non scontentasse nessuno e, soprattutto, appagasse me. Sono un figlio della corona come te e non tollero di vedere certi atteggiamenti, specie se la scortesia in questione è stata fatta alla mia ospite. Questo è il mio piccolo regno privato, ricordi fratello? E ora passiamo all’altra questione. Senza libri e altri sollazzi, la bisca mi è sembrata un ottimo modo per godere della mia presunta ora di libertà. Altrove si usa, non fosse altro che per vedere un quadrato misero di cielo, ma qui ad Asgard su certe cose siamo all’avanguardia, dico bene?

Del pagliaccio elfico non voglio nemmeno parlare: è un idiota e l’ho detestato dal primo istante in cui l’ho visto. Non me ne frega un cazzo di sapere cosa pensa di me o crede di aver compreso. Non capisco quale convinzione malata ti abbia convinto che avrei perso il tempo che mi avanza tediandomi in sua compagnia, davvero. Ora, ad ogni modo, ti si prospettano più di un paio di soluzioni e sono certo che, come al solito, farai la scelta sbagliata: punirmi perché secondo te a causa mia un prigioniero è passato a miglior vita, negarmi il conforto della lettura perché ho allestito una divertente attività ricreativa o per aver fatto scappare a gambe levate il tuo cerusico squilibrato. Che caso, tutte le soluzioni portano sempre allo stesso risultato.

Sai benissimo che Sigyn non è più scesa qui sotto e, del resto, non vedo perché dovrebbe farlo. Bjorn mi ha informato che sta ancora cercando di capire perché la sorella sia stata uccisa e voleva tentare di parlarmene, dato che un suo cugino è il vicino di casa della nonna delle due ragazze, e allora si è quasi sentito in dovere di descrivermi la povera morta, ma a me non può fregare di meno. Qui sotto ogni cosa perde di rilevanza, sbiadisce, scolora. Solo l’ombra di Thanos era vera e reale, ma non ti parlerò di quello che mi ha detto né ti metterò a parte di quanto successe quando caddi dal Bifrost. Non capiresti. Non ci sono parole per descrivere l’abisso né il suo regno, e non voglio certo ricordarle in questo posto fetido e umido, malsano.

 

Lettera 21

 

Avanti Thor, non te la sarai presa davvero, spero? Era solo uno scherzo – un riuscitissimo trucco che mi ha strappato qualche risata e che resterà negli annali di questa divertentissima prigione. Al prossimo banchetto, anziché raccontare per la milionesima volta di quando abbiamo fatto “chiamate aiuto” (1) e poi il drakkar che avevamo requisito ha iniziato davvero a colare a picco – e lì ci è toccato chiamare aiuto per davvero, rallegrerai i tuoi ospiti con questo momento di spettacolare ilarità. Ma chiudiamo questa allegra parentesi e veniamo a noi due.

Il mio umore migliora quando la gonnella di Sigyn si palesa qui sotto? Può darsi. Ti ho già detto che il mio dirimpettaio mangia in maniera disgustosa e ha uno scarso senso dell’igiene? Ti ricordi che lei è una buona lettrice e mi trova sempre testi interessanti? Non credo sia necessario dire altro, così come ci tengo a ribadire che non me ne frega assolutamente niente dell’opinione del tuo ciarlatano elfico. Ti avrà detto le solite cose: che sono un pericolo per me e per gli altri, che la sorveglianza nei miei confronti deve essere costante, che soffro di allucinazioni e manie persecutorie. Devo proseguire?

Sai Thor, quello che non mi è chiaro è perché tutti vi preoccupiate tanto assiduamente per me, ma non vi passi mai per l’anticamera del cervello che è questo tugurio scuro, il mio problema. Se potessi vedere un pezzo di cielo vero, anziché doverlo ricreare tramite il seidr, starei certamente meglio. Adesso non venirmi a dire che me la sono cercata. Sai meglio di me che la giustizia di Odino è severa, implacabile e ingiusta: non ti bandì da Asgard per aver tentato in buona fede di proteggerla? Fu una mia trappola, certo, che aveva come solo obiettivo quello di oscurare te e mettere in una luce migliore me; non me ne pento, ma ha avuto un alto prezzo. Curioso come le disgrazie di uno si riflettano sull’altro, non trovi? Esiliato su Midgard, l’arrogante Thor trovò se stesso e un presunto nobile scopo. Nel tentativo di mostrarmi degno di un trono che le mie qualità avrebbero dovuto farmi ottenere senza sforzo, io scoprii la menzogna in cui ero cresciuto e la vera natura mia e di nostro padre. Ho visitato Jotunheim, durante la tua assenza. Non con chissà che intenti melanconici, o animato dallo spirito patetico dell’orfanello che voglia ritrovare le sue origini. Non c’è niente da capire, nella mia vicenda, e di Laufey ho solo il nome. Non ero in cerca di motivazioni o giustificazioni; la mia era solamente una curiosità scientifica, niente di più e niente di meno. È una terra spaventosa, estranea, gelida. Non è priva di una certa selvaggia bellezza, ma è inospitale in maniera inaudita. Ti strangola con il suo freddo implacabile e nella sua oscurità senza ritorno proliferano creature di cui si può solo immaginare l’esistenza. È severa, gigantesca, onirica.

 

Lettera 22

 

La fantasia e l’immaginazione dei secondini Asi colpisce ancora! Alcune delle nostre guardie scelte dovrebbero proprio mollare lo scudo e la spada e dedicarsi alla carta e alla penna, tanto fervida è la loro mente. Da dove inizio? Lei è scesa, stretta nel suo ormai consueto lutto, reggendo tra le mani una serie di carte, plichi, testi. Ha lo sguardo stanco e deciso di una che ha passato tutta la notte a studiare, ma questo non ha intaccato la sua bellezza, anche se qui sotto facciamo tutti un po’ più schifo del solito. Dunque, come dicevo, lei è scesa e la prima cosa che ha chiesto è stata dove fossero i miei libri. Gli ho raccontato dello scherzo fatto al cerusico elfico e a quel demente di Balder il Beota e della gentile punizione che mi è toccata in sorte.

Lei ha sospirato scuotendo sconsolata la testa, e mi ha parlato con la sua solita voce gentile condita però da un pizzico di familiarità assolutamente inappropriata, te lo concedo, ma certo il suo tono non assomigliava per niente al modo in cui una maestra carina rimprovera l’alunno disobbediente, come ti hanno invece riferito. Non mi ha affatto parlato come se avessi cinque anni, te lo posso garantire. Si è dimostrata dispiaciuta che le mie tediose giornate debbano passare senza poter leggere, raccontando storie a un gruppo di avanzi di galera abbrutiti, non immaginando neanche che in questo mio sotterraneo regno ho trovato mio malgrado un pubblico e un palco sempre pronto – o costretto, dirai tu – ad ascoltarmi, e mi ha contraddetto dicendo che avrei dovuto accettare dal cerusico il rimedio per la raucedine che mi affligge. Non tosse stizzosa, banale raucedine. Sai dove ve lo dovete ficcare tutti, lo sciroppo?

Ma torniamo a me.

“Dato che non hai libri con te, forse potresti distrarti leggendo questo.” Tramite il porta vivande mi ha passato i plichi e le carte. L’ho guardata con attenzione – non desiderio, brutto idiota, attenzione, e ho dato un’occhiata veloce ai fogli.

“Voglio la tua opinione. Le guardie scelte dicono che è opera di un balordo,” ha aggiunto abbassando le ciglia nere e lunghe.

Ti concedo che potrebbe lusingarmi il fatto che desideri conoscere il mio parere, perché la sua richiesta di aiuto mi ricorda quello che ero e sono, il principe degli Asi ma, allo stesso tempo, immischiarmi in questa disgraziata vicenda acuirebbe ancora di più la consapevolezza di essere sepolto vivo qui sotto. A costo di sembrare scortese, le ho detto che avrei letto per necessità le sue carte, ma che non si doveva aspettare da me alcun tipo di aiuto. Non riceverei nulla in cambio. Il concetto di riportare ad Asgard la giustizia di Odino mi offende e ferisce enormemente, e aiutarla da qui sarebbe comunque una perdita di tempo. Per cosa, poi? Forse è davvero un balordo che, per puro caso, è riuscito a farla franca perché Heimdall guardava da un’altra parte; molto spesso la soluzione è a portata di mano ed è semplice, la cosa più semplice che si possa immaginare. Le ho detto che capisco benissimo il suo desiderio di trovare un perché al male che ci capita, ma le ho ricordato come alle volte una spiegazione non c’è, punto. Io sono uno dei pochi fortunati che può dire tranquillamente di conoscere il motivo delle proprie sventure, ma alle volte la sfortuna e le disgrazie sono semplicemente il frutto di una serie di coincidenze che ci portano a vedere connessioni dove non esistono.

Lei ha protestato con veemenza a questa mia lucida e coerente analisi, segno evidente che è ben lontana dall’aver superato il suo lutto. “Ti chiedo solo di leggere. Cosa vuoi, in cambio?” ha detto fiera.

C’era solo il vetro a separarci: senza la lastra sottile e indistruttibile, i nostri nasi avrebbero quasi potuto sfiorarsi, le mani toccarsi. Questo è vero, come i suggerimenti affettuosi giunti dagli spalti. I nostri spettatori, dopo l’ultima volta, sono diventati quasi dei veri gentiluomini, ma non hanno mancato di dare la loro romantica visione di come io e la biondissima Sigyn dovremmo far evolvere la nostra relazione. L’interferenza ha bruciato il momento, neanche a dirlo, e così non senza un certo imbarazzo ci siamo accomiatati con la promessa di riprendere quanto prima il discorso. Non mi farò visitare un’altra volta dal tuo ciarlatano, ma prenderò la vostra ridicola pozione. Ora, per cortesia, puoi far sì che abbia di nuovo i miei libri? Ti allegherò l’elenco dei testi che voglio e non piantarmi un casino perché sono troppi: non li leggerebbe nessun altro a parte me.

 

Lettera 23

 

Lo sapevi e non mi hai detto niente, vero? Ti diverte questo giochetto? Sono sepolto qui sotto, e non basta una pila di libri ogni tanto a farmi trascorrere serenamente l’eternità: la mia cella dorata è sempre una prigione priva di finestre e con tre lati fatti di un vetro infrangibile, che mi rende uno spettacolo magnifico e inquietante o di patetica desolazione, a seconda del mio umore. In mezzo a tutto questo ci sono le tue paturnie e le battute idiote che mi regali.

Ho letto i documenti che mi ha fatto avere Sigyn, ovviamente. Potrei dirti che li ho studiati e non sarebbe affatto un’esagerazione. A lei dirò che non se ne deve occupare e farebbe bene ad andarsene per un periodo da qualche parente in campagna. A te, dico di portare le tue chiappe qui e tenere bene gli occhi aperti, perché c’è un’intenzione perversa nel modo in cui quel pazzo ha ridotto il corpo e non solo per quello che si è portato via, ma per il modo in cui ve l’ha fatta ritrovare. Non mi sembra un raptus, ma una vendetta, solo che ho troppi pochi elementi per poter capire chi è davvero. Astrid lo conosceva? Difficile dirlo. Quello su cui potrei giurare è che sapeva di agire indisturbato e che Heimdall non lo avrebbe visto, e partendo da questo discorso potrei essere d’accordo su quanto detto, che certi dettagli li ha fatti per sfregio. Solo che qualcosa non torna. Se avessi potuto vedere il corpo, sarei riuscito a togliermi certe curiosità, ma così non è stato e quindi facciamocene tutti una ragione. Del resto, non era un compito che amassi particolarmente svolgere anche quando me ne occupavo per conto di Odino. Non mi ha mai esaltato come incarico, sebbene non ti nascondo che provavo un certo sottile brivido di divertimento, nel dare la caccia a qualcuno, carpirne la volontà, leggere le intenzioni. So cosa stai pensando, ma la risposta è no: non me ne frega comunque un cazzo.

Finiscila anche di insistere con Thanos, già che ci sei. La mia permanenza nel suo mondo e all’interno dell’entourage che ha creato è una parentesi fortunatamente chiusa della mia esistenza. Non ho alcun piacere nel rivangarla, come ti ho detto. Non so niente neanche del resto, quindi arrangiati.

 

Lettera 24

Eri qui, l’altra notte. Ti ho visto. Mi guardavi, sei sceso, hai riso, hai parlato delle nostre passate battaglie. Davvero mi stimavi, fratello? Hai rievocato Nornheim e Vanheim dicendomi che ti fidavi di me. Veramente credevi che avremmo combattuto insieme per l’eternità? (2) Forse anch’io l’ho pensato qualche volta, di ritorno da un campo di battaglia, con le ossa ammaccate dai combattimenti e il sapore dell’idromele della vittoria sulle labbra. Dopo no, le nostre strade si sono divise perché non poteva che essere altrimenti. La vita adulta non è come ce la immaginavamo quando giocavamo a conquistare terre e mondi armati soltanto di due spade di legno: è lo smarrimento che provavamo quando ci perdevamo nei boschi intorno ad Asgard e, prima di ritrovare la via, ci guardavamo spaesati l’un l’altro e poi fissavamo gli alberi minacciosi dalle cime lontane e i rami contorti. Ieri eri qui, ma non ricordo di averti risposto. È come se fosse stato un sogno o una visione. Davvero sto diventando pazzo, dentro questa cella. Mi basterebbe poter guardare un pezzo di cielo protetto dal reticolo di una grata e respirare dell’aria pulita e fresca, ma non scriverò a Odino chiedendogli la grazia o un trattamento migliore. Sarebbe indegno di me e conosco abbastanza bene il suo cuore da sapere che non si scioglierà, se il figlio adottivo gli chiederà qualcosa. Anzi. Nemmeno lui ha mai avuto il coraggio di scendere, e non mi importa sapere che ogni tanto ha chiesto di me alle guardie: non basta, fratello, non basta. È solo un modo per lavarsi la coscienza.

Sigyn è tornata, oggi. Nei suoi occhi ho letto uno smarrimento nuovo, lo stesso tuo credo. Lo spettacolo che le ha offerto la mia cella non è dei migliori, ne convengo, ma non fingete stupore quando mi vedete: dovevate aspettarvelo. La bestia feroce ogni tanto scalpita, si infervora, prende coscienza della sua condizione: allora la maschera si crepa e potete vedere gli effetti delle sagge scelte che sono state prese da Padre Tutto e anche delle mie azioni, forse sì. Non mi sto pentendo, fratello. C’è una sola alleanza che non rifarei, ma che comunque non mi lasciò la possibilità di decidere e da cui fuggii, come ben ricordi. Ma lasciamo da parte questi deliziosi dettagli e concentriamoci sul resto.

Lei ti ha già raccontato tutto, credo. Mi ha detto che volevi conoscerla per vedere negli occhi la ragazza per cui ho speso tante righe, dimenticando come tuo solito che non è amore ma desiderio, quello che me la fa inevitabilmente sognare la notte. Lei fissava spaventata il disordine improvviso cui non era affatto abituata, comprendendo una volta di più la misura della mia disperazione. Dimmi fratello, quale particolare l’ha sconvolta di più? I vestiti sporchi di sangue, i mobili distrutti, il segno delle unghie sui muri, cosa? Il mio aspetto dimesso? Gli occhi segnati dalla stanchezza, il pallore? Non le devo apparire più come il principe affascinante che non la guardava, il figlio cadetto del re per cui nessuna cosa era impossibile. Avrà avuto vergogna di essersi invaghita di quell’immagine passata e di aver aperto il suo cuore a questo – al mostro da cui le madri mettono in guardia i bambini, dal gigante di ghiaccio che mente persino sul suo vero aspetto. Ho dimenticato anche io dove inizia l’incanto e dove finisce, o forse non l’ho mai saputo. La mia forma reale qual è? Quella di Laufey da cui sono nato, della donna che, partorendomi, deve avermi trasmesso l’abilità di mutare forma, un dettaglio davvero inquietante sebbene divertente, o l’aspetto che ho assunto quando Odino mi ha preso in braccio? Nostra madre mi disse, una volta, che Padre Tutto le raccontò di non aver usato nessuna runa per donarmi l’aspetto di un Ase: fui io ad adattarmi al colore della sua pelle. In fondo, la mia figura rappresenta ciò che dovrei essere, che sono, e il volto che vedo riflesso nello specchio o nel vetro della prigione, qualunque cosa sia, sono io.

Sigyn è tornata oggi, e forse ti ha detto che non scenderà qui sotto da sola mai più, o che non la posso aiutare anche se potrei. Invece verrà di nuovo: lo farà perché ha bisogno di capire quanto so di questa storia anche se è spaventata dai miei modi. Non riesco a essere cavalleresco come dovrei, con l’unica gonnella che scende qui sotto. Sono stato crudele e lo ammetto e lei, certamente, abbassando quelle sue lunghe ciglia nere, ti domanderà con voce esitante qualcosa di me, girando attorno al problema senza rivelarlo. L’ho turbata, stasera, e non solo per quello che ho lasciato trapelare, ma per l’altra battuta: quella che ti confesserà con un riso nervoso e un gesto rapido della mano, che le tornerà in mente quando si adagerà nella vasca piena d’acqua calda della sua stanza.

Concedimi di indugiare in queste fantasie, fratello. Fuori di qui non l’ho mai notata e ora lei ha il sapore e il gusto delle cose proibite, negate. Compatiscimi, avanti. Divertiti alle mie spalle, sorridi della mia disperazione. I piegamenti che faccio ogni mattina – quando capisco che è giorno, perlomeno, servono a non far atrofizzare i miei muscoli, gli altri esercizi sono un modo per non farmi venire le piaghe. Ho finto che le pergamene portatemi da Sigyn fossero dei pugnali affilati come quelli che usavo. Potrei aiutarla per ingannare il tempo e soffocare la noia? Forse, probabilmente. Questa morte assurda e francamente disgustosa in verità non stimola così tanto il mio intelletto da rappresentare un valido passatempo mentale, anche se l’idea che riguardi lei mi rende meno indifferente alla cosa. Il che non significa che nelle mie scorse lettere ti ho raccontato una serie di palle e di lei mi importa, ma che il mio menefreghismo non è totale. Non è per lei, i suoi begli occhi o le sue curve sinuose e invitanti, ma per quello che c’è scritto nei documenti che mi ha portato. Non è che manchino i tasselli per ricostruire tutti gli elementi della morte di Astrid, è che sono stati assemblati male e quindi il quadro che si è venuto a creare è vago, incompleto, imperfetto in una maniera disturbante.

 

Lettera 25

 

Anche questo era senza occhi? I secondini non hanno saputo dirmelo, o forse credevano che certi dettagli non dovessero essere divulgati. Certo che c’è un sistema in quello che fa e uno scopo che vuole raggiungere o ha già raggiunto. Mi sembra ovvio. Balder si è rialzato? Buon pro gli faccia. Odino è preoccupato? Indovina? Non me ne può fregare di meno. Per quanto riguarda lei, puoi scopartela, fate quello che vi pare.

 

Lettera 26

Non voglio che siate vicini. Non ho intenzione di immaginarvi insieme, detesto l’idea che collaboriate. Una risata, una battuta, un evento fottutamente ridicolo come una pioggia improvvisa e un solo mantello, ed ecco che vi trovereste improvvisamente troppo vicini. Ho creato decine e decine di situazioni simili e altre si sono verificate senza che mi ci impegnassi troppo. Io non sono più quello che amava da lontano. Guardami, fratello. Scendi qui un’altra volta ancora e fissa il nemico di Asgard negli occhi. Dite che sono pazzo, temete le mie azioni sconsiderate, mi biasimate e giudicate ancora adesso, ma trovate più conveniente scrivermi quattro righe su un pezzo di carta che affrontarmi a viso aperto. Credi che non sappia perché?

Rispondendomi per iscritto, avete tempo per pensare una risposta adeguata per ogni mia frase, ma se foste ora davanti alla mia cella ampia ed elegante, la vostra lingua esiterebbe e non saprebbe ribattermi con giudizio e accortezza. Tu risponderesti in maniera arrogante e impulsiva perché questa è la tua natura, io ti rigirerei contro ogni pensiero e considerazione seguendo la mia. Così sarebbe. Con lei è stato diverso e so perché non scende, anche se vorrebbe farlo, ma non le chiederò scusa. Respiro il suo profumo, ammiro il mio trofeo, ricordo il suo smarrimento e anche se la soddisfazione non è nella mia natura e questo, ovviamente, non può certo bastarmi, fingo di crogiolarmi in una vittoria apparente. Che altra verità vuoi che ti serva, Thor? Cosa ti soddisferebbe? Conoscere i palpiti del mio cuore? Provo pena per te e per la morbosa attenzione che dedichi alle farneticazioni di un pazzo, perché questo sono, dico bene? Sostieni che ho passato sotto silenzio certi piccoli dettagli del nostro ultimo incontro, ma sai una cosa? Io davvero non li ricordo, quindi fammi internare in una cella ancora più buia, perché mi sono svegliato da un sogno e non c’era un singolo arredo che fosse intatto, e anziché spaventarmi ho riso fino alle lacrime perché l’ho trovato divertente, immensamente divertente. Chiedi a Bjorn (3), che era di guardia, chiedi a chi cazzo ti pare. Non hai bisogno delle mie lettere bugiarde per sapere quello che succede qui: la mia corte estasiata provvede a tessere le mie lodi.

 

Lettera 27

 

Ha pianto per me? E tu le hai asciugato le lacrime con le labbra, l’hai baciata, cosa? Nei giorni in cui non ti ho scritto ho cercato di trasformare la mia corte di dementi in un gruppo di persone assennate, pentite dei loro errori e acculturate, persino. Le storie degli Asi li affascinano, li conquistano meglio e più intensamente di quanto non abbiamo saputo fare con le spade e le lance. Li incantano le nostre arguzie, i piani audaci, le gesta eroiche. Vorrebbero assaggiare l’idromele che conserviamo nelle nostre botti, al sicuro nelle cantine, e levare le loro voci sgraziate lodando Odino. Non facciamo solo questo, ovviamente. Alle guardie solerti insegno qualche trucco per vincere a dadi o a carte, allo sventurato Bjorn suggerisco le parole d’amore da mormorare quando smonterà dal suo turno alla fidanzata da riconquistare. Il naso rotto ha dato personalità al suo volto e figurati, lei finalmente gli ha concesso un appuntamento. Lui, in cambio, mi ringrazia omaggiandomi come mi spetta dato il mio rango e procurandomi quel poco che mi è concesso. Vuoi toglierci anche la bisca? Dopo i libri anche questo? (4)

Bjorn ovviamente mi ha informato della paura che attanaglia i tuoi futuri sudditi. Siamo a tre, e Astrid non era la prima. Temo ce ne saranno altri – che imperdonabile frase fatta – e che tu ti stia agitando pigramente con vane parole e non faccia niente per risolvere il problema.

 

Lettera 28

 

Chi mi ha incarcerato? (5) Chi mi costringe a respirare muffa qui sotto? Sai già cos’è successo, te lo ha raccontato lei. Perché devo ripetertelo io, che gusto c’è a scriverti una storia che già conosci, che supponi falsa e per quale fottuta ragione dovrei dirti la verità? Quale bisogno soddisfi? Chiami questa farsa ridicola “cura”, mi obblighi a mantenere un legame con te, affermi che se non ti scrivessi avrei di nuovo le visioni, ma il punto non è questo, nient’affatto: non voglio essere compatito da te. Vivo in una cella angolare che ha tre lati fatti di vetro: nessuna delle mie parole viene udita solo da un paio di orecchie. Non ho diritto a una vita privata né a una vita. Devo espiare una condanna che credo smisurata e ingiusta e, in tutto questo, ti ci metti tu. Che non mi servi davvero a un cazzo se non a farmi impazzire davvero. Ieri sera vi hanno visto parlare tutto il tempo e la voce è giunta fin qua sotto, non priva di una certa ironica compassione nei miei confronti, come se lei fosse la mia donna o cosa. Mi hai tolto anche questo, il suo sospiro, fratello. Complimenti.

 

 

Lettera 29

 

La tua offerta di pace mi ha sbronzato, ma questo già lo sai. Mi congratulo e mi compiaccio per la tua ottima scelta, fratello: hai dei gusti francamente proprio di merda, ma di alcool ne capisci, te lo concedo. Le ho chiesto di sposarmi per vederla sobbalzare, tremare, soffrire persino. È bella e intelligente e questo anche fuori di qui. Era la cosa giusta da dire per la tensione che si era creata – qualcosa di vero, palpabile, che l’ha stretta come una morsa allo stomaco e l’ha fatta sentire viva, donna. Hai intuito questo, nei suoi occhi?

Venne da me, giorni fa, stretta nel suo lutto ad eccezione di una sciarpa color primavera: una sfumatura di viola, per l’esattezza. Voleva sapere che ne pensassi delle carte che mi aveva consegnato. L’unica ragione per cui ti riporto ciò che ricordo di quel dialogo è perché tutti, anche lei, ti avranno riferito quasi esclusivamente quella battuta estemporanea e necessaria, lo “sposami, Sigyn” che ho detto quasi ridendo, e non si soffermeranno sul resto. Perché quello è l’importante Thor, soprattutto adesso che le vittime sono tre. Ci sono una serialità e una sfilza di coincidenze che non puoi fingere di ignorare. Io sì, le riconosco, ma a me non frega un cazzo perché sono lo squilibrato chiuso dentro la cella, ricordi?

Ad ogni modo torniamo a parlare di Sigyn, della mia Sigyn che non posso sfiorare, dell’unica donna che mi fa visita qui sotto. Mi ha chiesto cosa ne pensassi, delle carte. Credo di aver alzato un sopracciglio dubbioso e averle detto che conoscevo il guaritore incaricato di redigere le analisi sulla povera Astrid: un uomo meticoloso, uno scienziato di coscienza. Morta poco dopo essere stata presa, tentò di difendersi. Perché dovevo nasconderle la circostanza che era viva, quando le hanno cavato gli occhi? È un indizio importante, anche se doloroso. Sigyn si è piegata in avanti come se fosse stata colpita e mi ha chiesto di continuare.

Dicono di me che sono il dio degli inganni e che la verità dal mio punto di vista sia un concetto labile, sfumato, grigio. Non è una descrizione accurata: mento e tramo per un fine preciso, un obiettivo. La biondina non aveva bisogno dell’ennesima persona che le dicesse quale tremenda disgrazia fosse capitata all’amata sorellina: le serve un volto e un nome e un perché. Io potrei aiutarla, solo non voglio, eppure quel giorno l’ho fatto a mio modo e dopo, nemmeno la mia corte di devoti disperati era disposta ad appoggiarmi. Temono i miei sguardi, assecondano i miei bisogni, restano invischiati nei miei racconti, ma non riescono a tollerare la perfidia di certe trovate che metto a punto quando mi assale la noia o la disperazione. Sigyn ha voluto che andassi avanti, e io le ho proposto un gioco.

Cosa ti hanno raccontato, a quel proposito? Che l’ho guardata con fare altero, incrociando le mani dietro la schiena, sporgendomi verso di lei? Confermo, è vero. Vedi, c’è un altro motivo per cui non è opportuno che io mi invischi nelle disgrazie di Asgard: questa è una lotta contro il tempo. Tre vittime chiamano necessariamente delle altre, perché l’artefice ritiene di poter agire senza essere scoperto e vive in un delirio di onnipotenza. Può fare ciò che vuole, dato che ha trovato il modo per non farsi scoprire da Heimdall e tutti gli Asi brancolano nel buio. A me, invece, il tempo qui sotto avanza: è una maledizione fottuta, una catena in più che mi tiene vincolato qui sotto. Io posso aspettare che commetta un passo falso e dare così un volto a colui che mi ha rubato il mio primato di mostro, ma voi no, non potete permettervi che tutti i Nove Regni vedano un uomo solo gettare in subbuglio la meravigliosa Asgard, di nuovo.

Lo so, tu non vuoi sentire questi ragionamenti: starai imprecando lamentandoti per la mia verbosità, per l’insistenza con cui giro attorno al punto, perché per te il tempo scorre, anche se sempre secondo i canoni degli Asi.

“Ti dirò la verità su ciò che ho scoperto, a patto che tu risponda alle domande che ti farò,” le ho detto. Sigyn è rimasta sorpresa, un sottile disagio l’ha convinta a fare un passo indietro.

“Che verità?” ha domandato in allerta. Le ho spiegato che le mie considerazioni valevano il prezzo di un gioco e che mi sarei accorto se mi avesse mentito: lo avrei visto nei suoi occhi, ascoltato nel tremore della sua voce, intuito dall’esitazione mostrata nel rispondere a una domanda diretta. Ecco qual è il prezzo della conoscenza: aprirsi a me, spogliarsi come non poteva fare di fronte ai miei occhi eppure, allo stesso tempo, rivelarsi più che se si fosse tolta i vestiti. Ho sorriso. “Concedimi un passatempo divertente e avrai le tue risposte.”

Nessuna costrizione dunque, né allusione. Lei ha acconsentito perché il pensiero che sua sorella sia sottoterra e il suo assassino libero le è intollerabile e non riesce a dimenticare com’era quando l’hanno ritrovata, ma io non sono il responsabile dei mali del mondo e della sua tristezza: potrei risolverli, forse, ma poi Asgard dovrebbe concedermi qualcosa, perché non accetterò mai le parole di quell’idiota di Balder il Beota: io non sono in debito con gli Asi. Sto scontando per le mie presunte colpe marcendo qui dentro: il conto si è azzerato, la bilancia della giustizia del buon Odino è assolutamente allineata. Il mio aiuto prevede un corrispettivo, e non me ne frega un cazzo che questa era casa mia e ho giurato di proteggerla. Non devo la mia fedeltà a Odino perché mi ha mentito e ingannato, come non devo nulla a Thanos che mi ha estorto promesse e giuramenti con la paura.

Oltre il vetro l’ho vista annuire, mentre i secondini e i prigionieri la guardavano con malcelata ansia: non è un passatempo inventato per l’occasione, lo confesso; è il modo in cui alle volte tormento i miei nemici qui sotto, perché talvolta, prima di piegarsi al mio dominio, hanno bisogno che qualcuno ricordi loro gerarchie e ruoli. Non posso dirti di non provare un certo gusto, nell’agire in questo modo; in fondo, era una delle cose che preferivo fare anche quando ero solo il figlio cadetto del grande Odino. Ad ogni modo, Sigyn ha deciso che non temeva la verità e che qualsiasi rivelazione valeva la vendetta per la sorella, così a bruciapelo le ho fatto la prima di una serie di domande cattive.

“Cosa hai provato quando sei entrata in questa cella e ti ho stretta tra le braccia?”

“Non è rilevante, credo,” ha risposto in fretta.

Non si aspettava che le chiedessi questo genere di ammissioni e si è sentita mortalmente a disagio, chiusa com’era in un sotterraneo dove ogni discorso è assolutamente pubblico, rivelato, commentato persino. Scende qui sotto da un numero significativo di mesi – anni, forse? – e una volta mi ha anche rivelato di avere un debole per me, ma adesso era diverso: io le ho chiesto di confessarmi non i sussulti del suo cuoricino innamorato, ma quelli più bassi: viscere che si attorcigliano per un desiderio fisico impossibile da consumare, questo volevo che ammettesse. L’ho sentito anche quando l’ho stretta a me. Per questo non la devi toccare. Non sarà mai mia, ma certo non può essere tua in nessun caso.

Mi aspettavo questa sua reazione, così ho finto una certa sorpresa. “Oh. Già contesti le regole così, alla prima domanda? Non ho mai detto che dovesse esserci pertinenza con l’omicidio, mi pare,” le ho fatto abilmente notare.

“Gli. È la stessa mano.”

“Ti disturba parlarne?” ho insistito ghignando e quasi toccando il vetro che ci separa. “Vuoi incrinare da subito il clima di pseudo fiducia che si è creato tra me e te in questi mesi?”

“Mi lusinghi.” L’ha detto per smarcare la mia domanda e cambiare discorso. È stato del tutto inutile, ovviamente. Si è guardata attorno come se fosse braccata, e allora lì ho affondato la lama.

“Allora rispondi. Cos’era? Eccitazione, terrore, gioia…” C’era tutto questo nel suo sguardo, e anche di più. Mi amava, te l’ho detto. Quando avevo Asgard nelle mie mani, mi voleva, mi sognava. Adesso vede l’ombra sgualcita di ciò che ero, e le faccio pena. Fuori di qua, ci sarebbe stata una notte divertente e poi più niente: qui sotto, invece, penseremo per sempre a ciò che avrebbe potuto essere; il rimpianto e l’amarezza fiaccano lo spirito come l’idromele e l’insonnia fanno scrivere sciocchezze.

Si è infuriata, ovviamente. Gli occhi le brillavano per l’ira e la vergogna. La sua voce limpida e sottile ha superato il chiacchiericcio insolente della mia banda di tagliagole ed è risuonata per le mura umide e muffite del sotterraneo tutto. Sarebbe stata una regina perfetta, così fiera e nobile. Sif mi ha detto che non è aristocratica per nulla e che davvero i suoi nonni coltivavano la terra. Alzando le spalle le ho risposto che il mio lignaggio pialla gli altri. Non fa differenza, per uno che come me ha sangue di Re nelle vene, guardare una contadina, una schiava o la figlia di un conte. Non sapevi che fosse tornata a farmi visita? Divertente.

“Se il tuo gioco crudele consiste nell’umiliarmi,” ha proseguito Sigyn, “forse è perché in verità non hai nulla da dirmi. Intuiscilo dal mio sguardo cos’ho provato, ma leggi bene, dio degli inganni,” ha gridato tremando. Ho inclinato la testa da un lato per osservarla meglio e con aria critica e una voce assolutamente neutra, ho interpretato il suo sguardo. In verità, l’avevo fatto da tempo, ma così è più scenico e teatrale.

“Desiderio. Paura. Compassione.”

Ha annuito trattenendo a stento lacrime di rabbia. “Compassione. Soprattutto compassione.”

Si è allontanata e non è vero che sono quasi soffocato nel mio catarro dal dispiacere. È solo un fastidio, una leggera affezione dovuta all’aria stantia di questo cesso di prigione dove mi avete sbattuto. Andasse pure a brancolare nel buio nel vano tentativo di trovare il bandolo della matassa di questa lugubre storia, ho detto.

Ah, quasi dimenticavo. Il foulard che teneva al collo è stato un pegno che lei mi ha lasciato, non certo ho chiesto io, ma non l’ha fatto in quel momento. È ritornata correndo nemmeno due ore dopo quell’incontro, ma sai già anche questo. Suppongo di dovertelo raccontare. È quasi l’alba e non ho chiuso occhio: tanto vale continuare, non credi? Descriverti la noia delle mie giornate e i miei incontri con lei è sgradevole e irritante, ma cerco sempre di ricordarmi che se non sto al tuo ripugnante ricatto, perderò il privilegio della mia cella dotata di ogni comodità e del paravento che mi consente di espletare le mie funzioni al riparo da sguardi indiscreti. Cosa credevi, che Sigynella fosse l’unica a essere squadrata con una certa cupidigia qui sotto? Provo pena per te. E per me.

Dunque, come sanno anche i muri verdognoli e male isolati di questa cloaca fetida, due ore dopo Sigyn è corsa di nuovo nel sotterraneo e si è quasi ammazzata cadendo per le scale scivolose per tutta la serie di problematiche strutturali dei sotterranei, che mai mi stancherò di illustrarti. Io l’ho squadrata dall’alto in basso con un certo fastidio; il minimo, dopo che mi aveva carinamente urlato che prova pena per me, ma lei ha ignorato completamente la mia irritazione. Mi ha detto che era sparita una bambina, che forse c’era una possibilità di ritrovarla viva, se solo io avessi collaborato, e via di seguito. Le ho spiegato che non avevo la soluzione a portata di mano perché non leggo il futuro e non sono una strega e conosceva i termini della mia eventuale collaborazione. Si è indignata – o dovrei dire schifata? – e mi ha insultato dicendo che era vile trattare in un momento del genere.

Le ho gridato contro che era da esseri ignobili, ma del resto aveva presente o no il vetro e il sotterraneo? “Io sono rinchiuso qui con una condanna a vita, non per aver pestato la coda ai lupi di Odino. Ho seminato guerra, distruzione e morte!”

Di fronte a tanto sgarbo, la dolce ospite si è mortificata e mi ha sciolto con una frase tremante e gonfia di speranza. “Ma non sei un mostro e mi aiuterai.” Una pausa lunga, un sospiro. “Cosa vuoi sapere?” ha mormorato.

Io, con in tasca la vittoria, le ho fatto una domanda personale che nessuno oltre lei ha udito e ho ottenuto risposta. Soddisfatto, le ho spiegato ciò che avevo compreso dai documenti su cui avevo messo le mani. Non salverà la ragazzina – è persa, non c’è più niente da fare, ma forse riuscirete ad acciuffarlo prima che possa nuocere agli altri. Come muto ringraziamento o provocante pegno, devo ancora deciderne il senso, si è sfilata dal collo il foulard viola con impresso il suo profumo di donna e me lo ha passato grazie al porta vivande.

Ho alzato le spalle e finto disinteresse perché lei non è che una fantasia graziosa che non ho mai potuto nemmeno sfiorare. Le guardie si sono date il cambio, deduco che sia finalmente sorta l’alba, da qualche parte in superficie.

Lettera 30

Punto 1: certo che è una minaccia, idiota.

Punto 2: non è elegante dirti cosa ho fatto con le lettere di Balder.

Punto 3: il cerusico elfico dice solo cretinate.

Punto 4: sai che facciamo, adesso? Organizziamo un bel matrimonio qui, nelle prigioni, in questo clima di serenità collettiva, sia mai che riusciamo ad agevolare lo squilibrato che vuole decimare la popolazione. Tu mi fai da testimone e la graziosa Sigyn si occuperà della mia biancheria sporca senza poter beneficiare dei miei servigi e dei miei doveri coniugali. Certo, potrebbe consolarsi con le rendite e l’oro che forse non mi avete sequestrato, ma ritengo sia poca cosa dopotutto, nevvero? Fare la vedova bianca è la massima aspirazione della sua vita, immagino. Piantala di dire cazzate e tieni gli occhi aperti, piuttosto. E fammi avere idromele di qualità: l’ultimo andava bene per le bettole che frequenta quel fanfarone di Fandral. Hai notato la figura retorica? Non si mangia, tranquillo.

Continua....

Cantuccio dell'Autrice (Shilyss we want you!)

Caro Lettore che sei arrivato fin qui, grazie immensamente per aver letto queste mie righe. Io e la Fatina dell’Ispirazione ti saremmo grate se volessi testimoniare il tuo passaggio e farci sapere se ti è piaciuta questa storia che chiede con prepotenza di essere scritta, ma che per scintillare ha bisogno anche del tuo aiuto: perché ricorda, lettore: il tuo pensiero vale! Ringraziamo altresì di cuore tutti coloro che hanno recensito, e hanno dato un segno del loro apprezzamento. Grazie mille! 

Il titolo della fanfiction, come qualcuno avrà riconosciuto senz’altro, è un omaggio al primo film diretto da George Clooney che era, appunto, “Confessioni di una mente pericolosa.” Parla di tutt’altro. O forse no?

  

1) .  “Chiamate aiuto,” come abbiamo scoperto in Thor: Ragnarok, è l’arma definitiva degli Asi. Sic.

2) .  Queste battute sono riprese da Thor: Ragnarok. Il riferimento a Nornheim è preso dalla scena tagliata del primo Thor.

3) .   Bjorn, in onore del figlio di Ragnar in Vikings.

4)     Pesanti riferimenti a De André e alla mia fanfiction “Sposami, Sigyn.”

5)   “Ti agiti pigramente” è un omaggio di The Avengers; “Chi mi ha incarcerato” a Thor: the dark world, ovviamente. Riferimenti ai film di Thor, a De André, ad Avengers e al film “Il silenzio degli innocenti” sono sparsi ovunque nel testo tanto che, se ve li indicassi tutti, la fic sarebbe illeggibile.

Un saluto e a presto, con il nostro solito appuntamento ;)

Shilyss <3

   
 
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