Capitolo 4 –
In fondo
alla prigione
Lettera 20
Avanti Thor, non
dirmi che sei sorpreso. Non ci credo: quello che è successo
era assolutamente
prevedibile, auspicabile persino. Cosa ti aspettavi facessi, sentiamo?
Una
giovane Asinna è stata offesa da un volgare delinquente
davanti ai miei occhi,
uno che certo non aveva senso sfamare e che mai si sarebbe redento
– ti ricorda
qualcuno, per caso? – e io non ho fatto altro che suggerirgli
una via di fuga
che non scontentasse nessuno e, soprattutto, appagasse
me. Sono un figlio della corona come te e non tollero di
vedere certi atteggiamenti, specie se la scortesia in questione
è stata fatta
alla mia ospite. Questo è il mio piccolo regno privato,
ricordi fratello? E ora
passiamo all’altra questione. Senza libri e altri sollazzi,
la bisca mi è
sembrata un ottimo modo per godere della mia presunta ora di
libertà. Altrove
si usa, non fosse altro che per vedere un quadrato misero di cielo, ma
qui ad
Asgard su certe cose siamo all’avanguardia, dico bene?
Del
pagliaccio elfico non voglio nemmeno parlare: è un
idiota e l’ho detestato dal primo istante in cui
l’ho visto. Non me ne frega un
cazzo di sapere cosa pensa di me o crede di aver compreso. Non capisco
quale
convinzione malata ti abbia convinto che avrei perso il tempo che mi
avanza
tediandomi in sua compagnia, davvero. Ora, ad ogni modo, ti si
prospettano più
di un paio di soluzioni e sono certo che, come al solito, farai la
scelta
sbagliata: punirmi perché secondo te a causa mia un
prigioniero è passato a
miglior vita, negarmi il conforto della lettura perché ho
allestito una
divertente attività ricreativa o per aver fatto scappare a
gambe levate il tuo
cerusico squilibrato. Che caso, tutte le soluzioni portano sempre allo
stesso
risultato.
Sai
benissimo che Sigyn non è più scesa qui sotto e,
del
resto, non vedo perché dovrebbe farlo. Bjorn mi ha informato
che sta ancora
cercando di capire perché la sorella sia stata uccisa e
voleva tentare di
parlarmene, dato che un suo cugino è il vicino di casa della
nonna delle due
ragazze, e allora si è quasi sentito in dovere di
descrivermi la povera morta, ma
a me non può fregare di meno. Qui sotto ogni cosa perde di
rilevanza,
sbiadisce, scolora. Solo l’ombra di Thanos era vera e reale,
ma non ti parlerò
di quello che mi ha detto né ti metterò a parte
di quanto successe quando caddi
dal Bifrost. Non capiresti. Non ci sono parole per descrivere
l’abisso né il
suo regno, e non voglio certo ricordarle in questo posto fetido e
umido,
malsano.
Lettera
21
Avanti
Thor, non te la sarai presa davvero, spero? Era solo
uno scherzo – un riuscitissimo trucco che mi ha strappato
qualche risata e che
resterà negli annali di questa divertentissima prigione. Al
prossimo banchetto,
anziché raccontare per la milionesima volta di quando
abbiamo fatto “chiamate aiuto”
(1) e poi il drakkar che
avevamo requisito ha iniziato davvero a colare a picco – e
lì ci è toccato
chiamare aiuto per davvero, rallegrerai i tuoi ospiti con questo
momento di
spettacolare ilarità. Ma chiudiamo questa allegra parentesi
e veniamo a noi
due.
Il
mio umore migliora quando la gonnella di Sigyn si palesa
qui sotto? Può darsi. Ti ho già detto che il mio
dirimpettaio mangia in maniera
disgustosa e ha uno scarso senso dell’igiene? Ti ricordi che
lei è una buona
lettrice e mi trova sempre testi interessanti? Non credo sia necessario
dire
altro, così come ci tengo a ribadire che non me ne frega
assolutamente niente
dell’opinione del tuo ciarlatano elfico. Ti avrà
detto le solite cose: che sono
un pericolo per me e per gli altri, che la sorveglianza nei miei
confronti deve
essere costante, che soffro di allucinazioni e manie persecutorie. Devo
proseguire?
Sai
Thor, quello che non mi è chiaro è
perché tutti vi
preoccupiate tanto assiduamente per me, ma non vi passi mai per
l’anticamera
del cervello che è questo tugurio scuro, il mio problema. Se
potessi vedere un
pezzo di cielo vero, anziché doverlo ricreare tramite il
seidr, starei
certamente meglio. Adesso non venirmi a dire che me la sono cercata.
Sai meglio
di me che la giustizia di Odino è severa, implacabile e
ingiusta: non ti bandì
da Asgard per aver tentato in buona fede di proteggerla? Fu una mia
trappola,
certo, che aveva come solo obiettivo quello di oscurare te e mettere in
una
luce migliore me; non me ne pento, ma ha avuto un alto prezzo. Curioso
come le
disgrazie di uno si riflettano sull’altro, non trovi?
Esiliato su Midgard,
l’arrogante Thor trovò se stesso e un presunto
nobile scopo. Nel tentativo di
mostrarmi degno di un trono che le mie qualità avrebbero
dovuto farmi ottenere
senza sforzo, io scoprii la menzogna in cui ero cresciuto e la vera
natura mia
e di nostro padre. Ho visitato Jotunheim, durante la tua assenza. Non
con
chissà che intenti melanconici, o animato dallo spirito
patetico dell’orfanello
che voglia ritrovare le sue origini. Non c’è
niente da capire, nella mia
vicenda, e di Laufey ho solo il nome. Non ero in cerca di motivazioni o
giustificazioni; la mia era solamente una curiosità
scientifica, niente di più
e niente di meno. È una terra spaventosa, estranea, gelida.
Non è priva di una
certa selvaggia bellezza, ma è inospitale in maniera
inaudita. Ti strangola con
il suo freddo implacabile e nella sua oscurità senza ritorno
proliferano creature
di cui si può solo immaginare l’esistenza.
È severa, gigantesca, onirica.
Lettera
22
La
fantasia e l’immaginazione dei secondini Asi colpisce
ancora! Alcune delle nostre guardie scelte dovrebbero proprio mollare
lo scudo
e la spada e dedicarsi alla carta e alla penna, tanto fervida
è la loro mente.
Da dove inizio? Lei è scesa, stretta nel suo ormai consueto
lutto, reggendo tra
le mani una serie di carte, plichi, testi. Ha lo sguardo stanco e
deciso di una
che ha passato tutta la notte a studiare, ma questo non ha intaccato la
sua
bellezza, anche se qui sotto facciamo tutti un po’
più schifo del solito.
Dunque, come dicevo, lei è scesa e la prima cosa che ha
chiesto è stata dove
fossero i miei libri. Gli ho raccontato dello scherzo fatto al cerusico
elfico
e a quel demente di Balder il Beota e della gentile punizione che mi
è toccata
in sorte.
Lei
ha sospirato scuotendo sconsolata la testa, e mi ha
parlato con la sua solita voce gentile condita però da un
pizzico di
familiarità assolutamente inappropriata, te lo concedo, ma
certo il suo tono
non assomigliava per niente al modo in cui una maestra carina
rimprovera
l’alunno disobbediente, come ti hanno invece riferito. Non mi
ha affatto
parlato come se avessi cinque anni, te lo posso garantire. Si
è dimostrata
dispiaciuta che le mie tediose giornate debbano passare senza poter
leggere,
raccontando storie a un gruppo di avanzi di galera abbrutiti, non
immaginando
neanche che in questo mio sotterraneo regno ho trovato mio malgrado un
pubblico
e un palco sempre pronto – o costretto, dirai tu –
ad ascoltarmi, e mi ha
contraddetto dicendo che avrei dovuto accettare dal cerusico il rimedio
per la
raucedine che mi affligge. Non tosse stizzosa, banale
raucedine. Sai dove ve lo dovete ficcare tutti, lo sciroppo?
Ma
torniamo a me.
“Dato
che non hai libri con te, forse potresti distrarti
leggendo questo.” Tramite il porta vivande mi ha passato i
plichi e le carte.
L’ho guardata con attenzione – non desiderio,
brutto idiota, attenzione, e ho
dato un’occhiata veloce ai fogli.
“Voglio
la tua opinione. Le guardie scelte dicono che è
opera di un balordo,” ha aggiunto abbassando le ciglia nere e
lunghe.
Ti
concedo che potrebbe lusingarmi il fatto che desideri
conoscere il mio parere, perché la sua richiesta di aiuto mi
ricorda quello che
ero e sono, il principe degli Asi ma, allo stesso tempo, immischiarmi
in questa
disgraziata vicenda acuirebbe ancora di più la
consapevolezza di essere sepolto
vivo qui sotto. A costo di sembrare scortese, le ho detto che avrei
letto per
necessità le sue carte, ma che non si doveva aspettare da me
alcun tipo di
aiuto. Non riceverei nulla in cambio. Il concetto di riportare ad
Asgard la
giustizia di Odino mi offende e ferisce enormemente, e aiutarla da qui
sarebbe
comunque una perdita di tempo. Per cosa, poi? Forse è
davvero un balordo che,
per puro caso, è riuscito a farla franca perché
Heimdall guardava da un’altra
parte; molto spesso la soluzione è a portata di mano ed
è semplice, la cosa più
semplice che si possa immaginare. Le ho detto che capisco benissimo il
suo
desiderio di trovare un perché al male che ci capita, ma le
ho ricordato come
alle volte una spiegazione non c’è, punto. Io sono
uno dei pochi fortunati che
può dire tranquillamente di conoscere il motivo delle
proprie sventure, ma alle
volte la sfortuna e le disgrazie sono semplicemente il frutto di una
serie di
coincidenze che ci portano a vedere connessioni dove non esistono.
Lei
ha protestato con veemenza a questa mia lucida e
coerente analisi, segno evidente che è ben lontana
dall’aver superato il suo
lutto. “Ti chiedo solo di leggere. Cosa vuoi, in
cambio?” ha detto fiera.
C’era
solo il vetro a separarci: senza la lastra sottile e
indistruttibile, i nostri nasi avrebbero quasi potuto sfiorarsi, le
mani
toccarsi. Questo è vero, come i suggerimenti affettuosi
giunti dagli spalti. I
nostri spettatori, dopo l’ultima volta, sono diventati quasi
dei veri
gentiluomini, ma non hanno mancato di dare la loro romantica visione di
come io
e la biondissima Sigyn dovremmo far evolvere la nostra relazione.
L’interferenza ha bruciato il momento, neanche a dirlo, e
così non senza un
certo imbarazzo ci siamo accomiatati con la promessa di riprendere
quanto prima
il discorso. Non mi farò visitare un’altra volta
dal tuo ciarlatano, ma prenderò
la vostra ridicola pozione. Ora, per cortesia, puoi far sì
che abbia di nuovo i
miei libri? Ti allegherò l’elenco dei testi che
voglio e non piantarmi un
casino perché sono troppi: non li leggerebbe nessun altro a
parte me.
Lettera
23
Lo
sapevi e non mi hai detto niente, vero? Ti diverte questo
giochetto? Sono sepolto qui sotto, e non basta una pila di libri ogni
tanto a
farmi trascorrere serenamente l’eternità: la mia
cella dorata è sempre una prigione
priva di finestre e con tre lati fatti di un vetro infrangibile, che mi
rende
uno spettacolo magnifico e inquietante o di patetica desolazione, a
seconda del
mio umore. In mezzo a tutto questo ci sono le tue paturnie e le battute
idiote
che mi regali.
Ho
letto i documenti che mi ha fatto avere Sigyn, ovviamente.
Potrei dirti che li ho studiati e non sarebbe affatto
un’esagerazione. A lei
dirò che non se ne deve occupare e farebbe bene ad andarsene
per un periodo da
qualche parente in campagna. A te, dico di portare le tue chiappe qui e
tenere
bene gli occhi aperti, perché c’è
un’intenzione perversa nel modo in cui quel
pazzo ha ridotto il corpo e non solo per quello che si è
portato via, ma per il
modo in cui ve l’ha fatta ritrovare. Non mi sembra un raptus,
ma una vendetta,
solo che ho troppi pochi elementi per poter capire chi è
davvero. Astrid lo
conosceva? Difficile dirlo. Quello su cui potrei giurare è
che sapeva di agire
indisturbato e che Heimdall non lo avrebbe visto, e partendo da questo
discorso
potrei essere d’accordo su quanto detto, che certi dettagli
li ha fatti per
sfregio. Solo che qualcosa non torna. Se avessi potuto vedere il corpo,
sarei
riuscito a togliermi certe curiosità, ma così non
è stato e quindi facciamocene
tutti una ragione. Del resto, non era un compito che amassi
particolarmente
svolgere anche quando me ne occupavo per conto di Odino. Non mi ha mai
esaltato
come incarico, sebbene non ti nascondo che provavo un certo sottile
brivido di
divertimento, nel dare la caccia a qualcuno, carpirne la
volontà, leggere le
intenzioni. So cosa stai pensando, ma la risposta è no: non
me ne frega
comunque un cazzo.
Finiscila
anche di insistere con Thanos, già che ci sei. La
mia permanenza nel suo mondo e all’interno
dell’entourage che ha creato è una parentesi
fortunatamente chiusa della mia esistenza. Non ho alcun piacere nel
rivangarla,
come ti ho detto. Non so niente neanche del resto, quindi arrangiati.
Lettera 24
Eri
qui, l’altra notte. Ti ho visto. Mi guardavi, sei sceso,
hai riso, hai parlato delle nostre passate battaglie. Davvero mi
stimavi,
fratello? Hai rievocato Nornheim e Vanheim dicendomi che ti fidavi di
me. Veramente
credevi che avremmo combattuto insieme per
l’eternità? (2) Forse anch’io
l’ho
pensato qualche volta, di ritorno da un campo di battaglia, con le ossa
ammaccate dai combattimenti e il sapore dell’idromele della
vittoria sulle
labbra. Dopo no, le nostre strade si sono divise perché non
poteva che essere
altrimenti. La vita adulta non è come ce la immaginavamo
quando giocavamo a
conquistare terre e mondi armati soltanto di due spade di legno:
è lo
smarrimento che provavamo quando ci perdevamo nei boschi intorno ad
Asgard e,
prima di ritrovare la via, ci guardavamo spaesati l’un
l’altro e poi fissavamo
gli alberi minacciosi dalle cime lontane e i rami contorti. Ieri eri
qui, ma
non ricordo di averti risposto. È come se fosse stato un
sogno o una visione.
Davvero sto diventando pazzo, dentro questa cella. Mi basterebbe poter
guardare
un pezzo di cielo protetto dal reticolo di una grata e respirare
dell’aria
pulita e fresca, ma non scriverò a Odino chiedendogli la
grazia o un
trattamento migliore. Sarebbe indegno di me e conosco abbastanza bene
il suo
cuore da sapere che non si scioglierà, se il figlio adottivo
gli chiederà
qualcosa. Anzi. Nemmeno lui ha mai avuto il coraggio di scendere, e non
mi
importa sapere che ogni tanto ha chiesto di me alle guardie: non basta,
fratello, non basta. È solo un modo per lavarsi la coscienza.
Sigyn
è tornata, oggi. Nei suoi occhi ho letto uno smarrimento
nuovo, lo stesso tuo credo. Lo spettacolo che le ha offerto la mia
cella non è
dei migliori, ne convengo, ma non fingete stupore quando mi vedete:
dovevate
aspettarvelo. La bestia feroce ogni tanto scalpita, si infervora,
prende
coscienza della sua condizione: allora la maschera si crepa e potete
vedere gli
effetti delle sagge scelte che sono state prese da Padre Tutto e anche
delle
mie azioni, forse sì. Non mi sto pentendo, fratello.
C’è una sola alleanza che
non rifarei, ma che comunque non mi lasciò la
possibilità di decidere e da cui
fuggii, come ben ricordi. Ma lasciamo da parte questi deliziosi
dettagli e
concentriamoci sul resto.
Lei
ti ha già raccontato tutto, credo. Mi ha detto che
volevi conoscerla per vedere negli occhi la ragazza per cui ho speso
tante
righe, dimenticando come tuo solito che non è amore ma
desiderio, quello che me
la fa inevitabilmente sognare la notte. Lei fissava spaventata il
disordine
improvviso cui non era affatto abituata, comprendendo una volta di
più la
misura della mia disperazione. Dimmi fratello, quale particolare
l’ha sconvolta
di più? I vestiti sporchi di sangue, i mobili distrutti, il
segno delle unghie
sui muri, cosa? Il mio aspetto dimesso? Gli occhi segnati dalla
stanchezza, il
pallore? Non le devo apparire più come il principe
affascinante che non la
guardava, il figlio cadetto del re per cui nessuna cosa era
impossibile. Avrà
avuto vergogna di essersi invaghita di quell’immagine passata
e di aver aperto
il suo cuore a questo – al mostro da cui le madri mettono in
guardia i bambini,
dal gigante di ghiaccio che mente persino sul suo vero aspetto. Ho
dimenticato
anche io dove inizia l’incanto e dove finisce, o forse non
l’ho mai saputo. La
mia forma reale qual è? Quella di Laufey da cui sono nato,
della donna che,
partorendomi, deve avermi trasmesso l’abilità di
mutare forma, un dettaglio
davvero inquietante sebbene divertente, o l’aspetto che ho
assunto quando Odino
mi ha preso in braccio? Nostra madre mi disse, una volta, che Padre
Tutto le
raccontò di non aver usato nessuna runa per donarmi
l’aspetto di un Ase: fui io
ad adattarmi al colore della sua pelle. In fondo, la mia figura
rappresenta ciò
che dovrei essere, che sono, e il volto che vedo riflesso nello
specchio o nel
vetro della prigione, qualunque cosa sia, sono io.
Sigyn
è tornata oggi, e forse ti ha detto che non
scenderà
qui sotto da sola mai più, o che non la posso aiutare anche
se potrei. Invece verrà
di nuovo: lo farà perché ha bisogno di capire
quanto so di questa storia anche
se è spaventata dai miei modi. Non riesco a essere
cavalleresco come dovrei,
con l’unica gonnella che scende qui sotto. Sono stato crudele
e lo ammetto e
lei, certamente, abbassando quelle sue lunghe ciglia nere, ti
domanderà con
voce esitante qualcosa di me, girando attorno al problema senza
rivelarlo. L’ho
turbata, stasera, e non solo per quello che ho lasciato trapelare, ma
per
l’altra battuta: quella che ti confesserà con un
riso nervoso e un gesto rapido
della mano, che le tornerà in mente quando si
adagerà nella vasca piena d’acqua
calda della sua stanza.
Concedimi
di indugiare in queste fantasie, fratello. Fuori
di qui non l’ho mai notata e ora lei ha il sapore e il gusto
delle cose
proibite, negate. Compatiscimi, avanti. Divertiti alle mie spalle,
sorridi
della mia disperazione. I piegamenti che faccio ogni mattina
– quando capisco
che è giorno, perlomeno, servono a non far atrofizzare i
miei muscoli, gli
altri esercizi sono un modo per non farmi venire le piaghe. Ho finto
che le
pergamene portatemi da Sigyn fossero dei pugnali affilati come quelli
che
usavo. Potrei aiutarla per ingannare il tempo e soffocare la noia?
Forse,
probabilmente. Questa morte assurda e francamente disgustosa in
verità non
stimola così tanto il mio intelletto da rappresentare un
valido passatempo
mentale, anche se l’idea che riguardi lei mi rende meno
indifferente alla cosa.
Il che non significa che nelle mie scorse lettere ti ho raccontato una
serie di
palle e di lei mi importa, ma che il mio menefreghismo non è
totale. Non è per
lei, i suoi begli occhi o le sue curve sinuose e invitanti, ma per
quello che
c’è scritto nei documenti che mi ha portato. Non
è che manchino i tasselli per
ricostruire tutti gli elementi della morte di Astrid, è che
sono stati
assemblati male e quindi il quadro che si è venuto a creare
è vago, incompleto,
imperfetto in una maniera disturbante.
Lettera
25
Anche
questo era senza occhi? I secondini non hanno saputo
dirmelo, o forse credevano che certi dettagli non dovessero essere
divulgati.
Certo che c’è un sistema in quello che fa e uno
scopo che vuole raggiungere o
ha già raggiunto. Mi sembra ovvio. Balder si è
rialzato? Buon pro gli faccia.
Odino è preoccupato? Indovina? Non me ne può
fregare di meno. Per quanto
riguarda lei, puoi scopartela, fate quello che vi pare.
Lettera
26
Non
voglio che siate vicini. Non ho intenzione di
immaginarvi insieme, detesto l’idea che collaboriate. Una
risata, una battuta,
un evento fottutamente ridicolo come una pioggia improvvisa e un solo
mantello,
ed ecco che vi trovereste improvvisamente troppo vicini. Ho creato
decine e
decine di situazioni simili e altre si sono verificate senza che mi ci
impegnassi troppo. Io non sono più quello che amava da
lontano. Guardami,
fratello. Scendi qui un’altra volta ancora e fissa il nemico
di Asgard negli
occhi. Dite che sono pazzo, temete le mie azioni sconsiderate, mi
biasimate e
giudicate ancora adesso, ma trovate più conveniente
scrivermi quattro righe su
un pezzo di carta che affrontarmi a viso aperto. Credi che non sappia
perché?
Rispondendomi
per iscritto, avete tempo per pensare una
risposta adeguata per ogni mia frase, ma se foste ora davanti alla mia
cella
ampia ed elegante, la vostra lingua esiterebbe e non saprebbe
ribattermi con
giudizio e accortezza. Tu risponderesti in maniera arrogante e
impulsiva perché
questa è la tua natura, io ti rigirerei contro ogni pensiero
e considerazione
seguendo la mia. Così sarebbe. Con lei è stato
diverso e so perché non scende,
anche se vorrebbe farlo, ma non le chiederò scusa. Respiro
il suo profumo, ammiro
il mio trofeo, ricordo il suo smarrimento e anche se la soddisfazione
non è
nella mia natura e questo, ovviamente, non può certo
bastarmi, fingo di
crogiolarmi in una vittoria apparente. Che altra verità vuoi
che ti serva,
Thor? Cosa ti soddisferebbe? Conoscere i palpiti del mio cuore? Provo
pena per
te e per la morbosa attenzione che dedichi alle farneticazioni di un
pazzo,
perché questo sono, dico bene? Sostieni che ho passato sotto
silenzio certi
piccoli dettagli del nostro ultimo incontro, ma sai una cosa? Io
davvero non li
ricordo, quindi fammi internare in una cella ancora più
buia, perché mi sono
svegliato da un sogno e non c’era un singolo arredo che fosse
intatto, e
anziché spaventarmi ho riso fino alle lacrime
perché l’ho trovato divertente,
immensamente divertente. Chiedi a Bjorn (3), che era di guardia, chiedi
a chi
cazzo ti pare. Non hai bisogno delle mie lettere bugiarde per sapere
quello che
succede qui: la mia corte estasiata provvede a tessere le mie lodi.
Lettera
27
Ha
pianto per me? E tu le hai asciugato le lacrime con le
labbra, l’hai baciata, cosa? Nei giorni in cui non ti ho
scritto ho cercato di
trasformare la mia corte di dementi in un gruppo di persone assennate,
pentite
dei loro errori e acculturate, persino. Le storie degli Asi li
affascinano, li
conquistano meglio e più intensamente di quanto non abbiamo
saputo fare con le
spade e le lance. Li incantano le nostre arguzie, i piani audaci, le
gesta
eroiche. Vorrebbero assaggiare l’idromele che conserviamo
nelle nostre botti,
al sicuro nelle cantine, e levare le loro voci sgraziate lodando Odino.
Non
facciamo solo questo, ovviamente. Alle guardie solerti insegno qualche
trucco
per vincere a dadi o a carte, allo sventurato Bjorn suggerisco le
parole
d’amore da mormorare quando smonterà dal suo turno
alla fidanzata da
riconquistare. Il naso rotto ha dato personalità al suo
volto e figurati, lei
finalmente gli ha concesso un appuntamento. Lui, in cambio, mi
ringrazia
omaggiandomi come mi spetta dato il mio rango e procurandomi quel poco
che mi è
concesso. Vuoi toglierci anche la bisca? Dopo i libri anche questo? (4)
Bjorn
ovviamente mi ha informato della paura che attanaglia
i tuoi futuri sudditi. Siamo a tre, e Astrid non era la prima. Temo ce
ne
saranno altri – che imperdonabile frase fatta – e
che tu ti stia agitando
pigramente con vane parole e non faccia niente per risolvere il
problema.
Lettera
28
Chi
mi ha incarcerato? (5) Chi mi costringe a respirare
muffa qui sotto? Sai già cos’è
successo, te lo ha raccontato lei. Perché devo
ripetertelo io, che gusto c’è a scriverti una
storia che già conosci, che
supponi falsa e per quale fottuta ragione dovrei dirti la
verità? Quale bisogno
soddisfi? Chiami questa farsa ridicola “cura”, mi
obblighi a mantenere un
legame con te, affermi che se non ti scrivessi avrei di nuovo le
visioni, ma il
punto non è questo, nient’affatto: non voglio
essere compatito da te. Vivo in
una cella angolare che ha tre lati fatti di vetro: nessuna delle mie
parole
viene udita solo da un paio di orecchie. Non ho diritto a una vita
privata né a
una vita. Devo espiare una condanna che credo smisurata e ingiusta e,
in tutto
questo, ti ci metti tu. Che non mi servi davvero a un cazzo se non a
farmi
impazzire davvero. Ieri sera vi hanno visto parlare tutto il tempo e la
voce è
giunta fin qua sotto, non priva di una certa ironica compassione nei
miei
confronti, come se lei fosse la mia donna o cosa. Mi hai tolto anche
questo, il
suo sospiro, fratello. Complimenti.
Lettera
29
La
tua offerta di pace mi ha sbronzato, ma questo già lo
sai. Mi congratulo e mi compiaccio per la tua ottima scelta, fratello:
hai dei
gusti francamente proprio di merda, ma di alcool ne capisci, te lo
concedo. Le
ho chiesto di sposarmi per vederla sobbalzare, tremare, soffrire
persino. È
bella e intelligente e questo anche fuori di qui. Era la cosa giusta da
dire
per la tensione che si era creata – qualcosa di vero,
palpabile, che l’ha
stretta come una morsa allo stomaco e l’ha fatta sentire
viva, donna. Hai
intuito questo, nei suoi occhi?
Venne
da me, giorni fa, stretta nel suo lutto ad eccezione
di una sciarpa color primavera: una sfumatura di viola, per
l’esattezza. Voleva
sapere che ne pensassi delle carte che mi aveva consegnato.
L’unica ragione per
cui ti riporto ciò che ricordo di quel dialogo è
perché tutti, anche lei, ti
avranno riferito quasi esclusivamente quella battuta estemporanea e
necessaria,
lo “sposami, Sigyn” che ho detto quasi ridendo, e
non si soffermeranno sul
resto. Perché quello è l’importante
Thor, soprattutto adesso che le vittime
sono tre. Ci sono una serialità e una sfilza di coincidenze
che non puoi
fingere di ignorare. Io sì, le riconosco, ma a me non frega
un cazzo perché sono
lo squilibrato chiuso dentro la cella, ricordi?
Ad
ogni modo torniamo a parlare di Sigyn, della mia Sigyn
che non posso sfiorare, dell’unica donna che mi fa visita qui
sotto. Mi ha
chiesto cosa ne pensassi, delle carte. Credo di aver alzato un
sopracciglio
dubbioso e averle detto che conoscevo il guaritore incaricato di
redigere le
analisi sulla povera Astrid: un uomo meticoloso, uno scienziato di
coscienza.
Morta poco dopo essere stata presa, tentò di difendersi.
Perché dovevo
nasconderle la circostanza che era viva, quando le hanno cavato gli
occhi? È un
indizio importante, anche se doloroso. Sigyn si è piegata in
avanti come se
fosse stata colpita e mi ha chiesto di continuare.
Dicono
di me che sono il dio degli inganni e che la verità dal
mio punto di vista sia un concetto labile, sfumato, grigio. Non
è una
descrizione accurata: mento e tramo per un fine preciso, un obiettivo.
La
biondina non aveva bisogno dell’ennesima persona che le
dicesse quale tremenda
disgrazia fosse capitata all’amata sorellina: le serve un
volto e un nome e un
perché. Io potrei aiutarla, solo non voglio, eppure quel
giorno l’ho fatto a
mio modo e dopo, nemmeno la mia corte di devoti disperati era disposta
ad
appoggiarmi. Temono i miei sguardi, assecondano i miei bisogni, restano
invischiati
nei miei racconti, ma non riescono a tollerare la perfidia di certe
trovate che
metto a punto quando mi assale la noia o la disperazione. Sigyn ha
voluto che andassi
avanti, e io le ho proposto un gioco.
Cosa
ti hanno raccontato, a quel proposito? Che l’ho
guardata con fare altero, incrociando le mani dietro la schiena,
sporgendomi
verso di lei? Confermo, è vero. Vedi,
c’è un altro motivo per cui non è
opportuno che io mi invischi nelle disgrazie di Asgard: questa
è una lotta
contro il tempo. Tre vittime chiamano necessariamente delle altre,
perché
l’artefice ritiene di poter agire senza essere scoperto e
vive in un delirio di
onnipotenza. Può fare ciò che vuole, dato che ha
trovato il modo per non farsi
scoprire da Heimdall e tutti gli Asi brancolano nel buio. A me, invece,
il
tempo qui sotto avanza: è una maledizione fottuta, una
catena in più che mi
tiene vincolato qui sotto. Io posso aspettare che commetta un passo
falso e
dare così un volto a colui che mi ha rubato il mio primato
di mostro, ma voi
no, non potete permettervi che tutti i Nove Regni vedano un uomo solo
gettare
in subbuglio la meravigliosa Asgard, di nuovo.
Lo
so, tu non vuoi sentire questi ragionamenti: starai
imprecando lamentandoti per la mia verbosità, per
l’insistenza con cui giro
attorno al punto, perché per te il tempo scorre, anche se
sempre secondo i
canoni degli Asi.
“Ti
dirò la verità su ciò che ho scoperto,
a patto che tu risponda
alle domande che ti farò,” le ho detto. Sigyn
è rimasta sorpresa, un sottile
disagio l’ha convinta a fare un passo indietro.
“Che
verità?” ha domandato in allerta. Le ho spiegato
che le
mie considerazioni valevano il prezzo di un gioco e che mi sarei
accorto se mi
avesse mentito: lo avrei visto nei suoi occhi, ascoltato nel tremore
della sua
voce, intuito dall’esitazione mostrata nel rispondere a una
domanda diretta.
Ecco qual è il prezzo della conoscenza: aprirsi a me,
spogliarsi come non
poteva fare di fronte ai miei occhi eppure, allo stesso tempo,
rivelarsi più
che se si fosse tolta i vestiti. Ho sorriso. “Concedimi un
passatempo
divertente e avrai le tue risposte.”
Nessuna
costrizione dunque, né allusione. Lei ha
acconsentito perché il pensiero che sua sorella sia
sottoterra e il suo
assassino libero le è intollerabile e non riesce a
dimenticare com’era quando
l’hanno ritrovata, ma io non sono il responsabile dei mali
del mondo e della
sua tristezza: potrei risolverli, forse, ma poi Asgard dovrebbe
concedermi
qualcosa, perché non accetterò mai le parole di
quell’idiota di Balder il
Beota: io non sono in debito con gli Asi. Sto scontando per le mie
presunte
colpe marcendo qui dentro: il conto si è azzerato, la
bilancia della giustizia
del buon Odino è assolutamente allineata. Il mio aiuto
prevede un
corrispettivo, e non me ne frega un cazzo che questa era casa mia e ho
giurato
di proteggerla. Non devo la mia fedeltà a Odino
perché mi ha mentito e
ingannato, come non devo nulla a Thanos che mi ha estorto promesse e
giuramenti
con la paura.
Oltre
il vetro l’ho vista annuire, mentre i secondini e i
prigionieri la guardavano con malcelata ansia: non è un
passatempo inventato
per l’occasione, lo confesso; è il modo in cui
alle volte tormento i miei
nemici qui sotto, perché talvolta, prima di piegarsi al mio
dominio, hanno
bisogno che qualcuno ricordi loro gerarchie e ruoli. Non posso dirti di
non
provare un certo gusto, nell’agire in questo modo; in fondo,
era una delle cose
che preferivo fare anche quando ero solo il figlio cadetto del grande
Odino. Ad
ogni modo, Sigyn ha deciso che non temeva la verità e che
qualsiasi rivelazione
valeva la vendetta per la sorella, così a bruciapelo le ho
fatto la prima di
una serie di domande cattive.
“Cosa
hai provato quando sei entrata in questa cella e ti ho
stretta tra le braccia?”
“Non
è rilevante, credo,” ha risposto in fretta.
Non
si aspettava che le chiedessi questo genere di
ammissioni e si è sentita mortalmente a disagio, chiusa
com’era in un
sotterraneo dove ogni discorso è assolutamente pubblico,
rivelato, commentato
persino. Scende qui sotto da un numero significativo di mesi
– anni, forse? – e
una volta mi ha anche rivelato di avere un debole per me, ma adesso era
diverso: io le ho chiesto di confessarmi non i sussulti del suo
cuoricino
innamorato, ma quelli più bassi: viscere che si
attorcigliano per un desiderio
fisico impossibile da consumare, questo volevo che ammettesse.
L’ho sentito
anche quando l’ho stretta a me. Per questo non la devi
toccare. Non sarà mai
mia, ma certo non può essere tua in nessun caso.
Mi
aspettavo questa sua reazione, così ho finto una certa
sorpresa. “Oh. Già contesti le regole
così, alla prima domanda? Non ho mai
detto che dovesse esserci pertinenza con l’omicidio, mi
pare,” le ho fatto
abilmente notare.
“Gli.
È la stessa mano.”
“Ti
disturba parlarne?” ho insistito ghignando e quasi
toccando il vetro che ci separa. “Vuoi incrinare da subito il
clima di pseudo
fiducia che si è creato tra me e te in questi
mesi?”
“Mi
lusinghi.” L’ha detto per smarcare la mia domanda e
cambiare discorso. È stato del tutto inutile, ovviamente. Si
è guardata attorno
come se fosse braccata, e allora lì ho affondato la lama.
“Allora
rispondi. Cos’era? Eccitazione, terrore,
gioia…”
C’era tutto questo nel suo sguardo, e anche di
più. Mi amava, te l’ho detto.
Quando avevo Asgard nelle mie mani, mi voleva, mi sognava. Adesso vede
l’ombra
sgualcita di ciò che ero, e le faccio pena. Fuori di qua, ci
sarebbe stata una
notte divertente e poi più niente: qui sotto, invece,
penseremo per sempre a
ciò che avrebbe potuto essere; il rimpianto e
l’amarezza fiaccano lo spirito
come l’idromele e l’insonnia fanno scrivere
sciocchezze.
Si
è infuriata, ovviamente. Gli occhi le brillavano per
l’ira e la vergogna. La sua voce limpida e sottile ha
superato il
chiacchiericcio insolente della mia banda di tagliagole ed è
risuonata per le
mura umide e muffite del sotterraneo tutto. Sarebbe stata una regina
perfetta,
così fiera e nobile. Sif mi ha detto che non è
aristocratica per nulla e che
davvero i suoi nonni coltivavano la terra. Alzando le spalle le ho
risposto che
il mio lignaggio pialla gli altri. Non fa differenza, per uno che come
me ha
sangue di Re nelle vene, guardare una contadina, una schiava o la
figlia di un
conte. Non sapevi che fosse tornata a farmi visita? Divertente.
“Se
il tuo gioco crudele consiste nell’umiliarmi,” ha
proseguito Sigyn, “forse è perché in
verità non hai nulla da dirmi. Intuiscilo
dal mio sguardo cos’ho provato, ma leggi bene, dio degli
inganni,” ha gridato
tremando. Ho inclinato la testa da un lato per osservarla meglio e con
aria
critica e una voce assolutamente neutra, ho interpretato il suo
sguardo. In
verità, l’avevo fatto da tempo, ma così
è più scenico e teatrale.
“Desiderio.
Paura. Compassione.”
Ha
annuito trattenendo a stento lacrime di rabbia. “Compassione.
Soprattutto compassione.”
Si
è allontanata e non è vero che sono quasi
soffocato nel
mio catarro dal dispiacere. È solo un fastidio, una leggera
affezione dovuta
all’aria stantia di questo cesso di prigione dove mi avete
sbattuto. Andasse
pure a brancolare nel buio nel vano tentativo di trovare il bandolo
della
matassa di questa lugubre storia, ho detto.
Ah,
quasi dimenticavo. Il foulard che teneva al collo è
stato un pegno che lei mi ha lasciato, non certo ho chiesto io, ma non
l’ha
fatto in quel momento. È ritornata correndo nemmeno due ore
dopo
quell’incontro, ma sai già anche questo. Suppongo
di dovertelo raccontare. È
quasi l’alba e non ho chiuso occhio: tanto vale continuare,
non credi?
Descriverti la noia delle mie giornate e i miei incontri con lei
è sgradevole e
irritante, ma cerco sempre di ricordarmi che se non sto al tuo
ripugnante
ricatto, perderò il privilegio della mia cella dotata di
ogni comodità e del
paravento che mi consente di espletare le mie funzioni al riparo da
sguardi
indiscreti. Cosa credevi, che Sigynella fosse l’unica a
essere squadrata con
una certa cupidigia qui sotto? Provo pena per te. E per me.
Dunque,
come sanno anche i muri verdognoli e male isolati di
questa cloaca fetida, due ore dopo Sigyn è corsa di nuovo
nel sotterraneo e si
è quasi ammazzata cadendo per le scale scivolose per tutta
la serie di
problematiche strutturali dei sotterranei, che mai mi
stancherò di illustrarti.
Io l’ho squadrata dall’alto in basso con un certo
fastidio; il minimo, dopo che
mi aveva carinamente urlato che prova pena per me, ma lei ha ignorato
completamente la mia irritazione. Mi ha detto che era sparita una
bambina, che
forse c’era una possibilità di ritrovarla viva, se
solo io avessi collaborato,
e via di seguito. Le ho spiegato che non avevo la soluzione a portata
di mano
perché non leggo il futuro e non sono una strega e conosceva
i termini della
mia eventuale collaborazione. Si è indignata – o
dovrei dire schifata? – e mi
ha insultato dicendo che era vile trattare in un momento del genere.
Le
ho gridato contro che era da esseri ignobili, ma del
resto aveva presente o no il vetro e il sotterraneo? “Io sono
rinchiuso qui con
una condanna a vita, non per aver pestato la coda ai lupi di Odino. Ho
seminato
guerra, distruzione e morte!”
Di
fronte a tanto sgarbo, la dolce ospite si è mortificata e
mi ha sciolto con una frase tremante e gonfia di speranza.
“Ma non sei un
mostro e mi aiuterai.” Una pausa lunga, un sospiro.
“Cosa vuoi sapere?” ha
mormorato.
Io,
con in tasca la vittoria, le ho fatto una domanda
personale che nessuno oltre lei ha udito e ho ottenuto risposta.
Soddisfatto,
le ho spiegato ciò che avevo compreso dai documenti su cui
avevo messo le mani.
Non salverà la ragazzina – è persa, non
c’è più niente da fare, ma forse
riuscirete
ad acciuffarlo prima che possa nuocere agli altri. Come muto
ringraziamento o provocante
pegno, devo ancora deciderne il senso, si è sfilata dal
collo il foulard viola
con impresso il suo profumo di donna e me lo ha passato grazie al porta
vivande.
Ho alzato le spalle e finto disinteresse perché lei non è che una fantasia graziosa che non ho mai potuto nemmeno sfiorare. Le guardie si sono date il cambio, deduco che sia finalmente sorta l’alba, da qualche parte in superficie.
Lettera 30
Punto 1: certo che
è una
minaccia, idiota.
Punto 2: non è
elegante
dirti cosa ho fatto con le lettere di Balder.
Punto 3: il cerusico
elfico dice solo cretinate.
Punto 4: sai che facciamo, adesso? Organizziamo un bel matrimonio qui, nelle prigioni, in questo clima di serenità collettiva, sia mai che riusciamo ad agevolare lo squilibrato che vuole decimare la popolazione. Tu mi fai da testimone e la graziosa Sigyn si occuperà della mia biancheria sporca senza poter beneficiare dei miei servigi e dei miei doveri coniugali. Certo, potrebbe consolarsi con le rendite e l’oro che forse non mi avete sequestrato, ma ritengo sia poca cosa dopotutto, nevvero? Fare la vedova bianca è la massima aspirazione della sua vita, immagino. Piantala di dire cazzate e tieni gli occhi aperti, piuttosto. E fammi avere idromele di qualità: l’ultimo andava bene per le bettole che frequenta quel fanfarone di Fandral. Hai notato la figura retorica? Non si mangia, tranquillo.
Continua....
Cantuccio dell'Autrice (Shilyss we want you!)
Caro
Lettore che sei arrivato fin qui, grazie immensamente
per aver letto queste mie righe. Io e la Fatina
dell’Ispirazione ti saremmo
grate se volessi testimoniare il tuo passaggio e farci sapere se ti
è piaciuta
questa storia che chiede con prepotenza di essere scritta, ma che per
scintillare ha bisogno anche del tuo aiuto: perché ricorda,
lettore: il tuo pensiero vale!
Ringraziamo altresì
di cuore tutti coloro che hanno recensito, e hanno dato un segno del
loro
apprezzamento. Grazie mille!
Il
titolo della fanfiction, come qualcuno avrà riconosciuto
senz’altro, è un omaggio al primo film diretto da
George Clooney che era,
appunto, “Confessioni di una mente
pericolosa.” Parla di tutt’altro. O forse
no?
1) .
“Chiamate
aiuto,” come abbiamo scoperto in Thor:
Ragnarok, è l’arma definitiva degli Asi. Sic.
2) .
Queste
battute sono riprese da Thor: Ragnarok.
Il riferimento a Nornheim è preso dalla scena tagliata del
primo Thor.
3) .
Bjorn,
in onore del figlio di Ragnar in Vikings.
4)
Pesanti
riferimenti a De André e alla mia
fanfiction “Sposami, Sigyn.”
5) “Ti
agiti pigramente” è un omaggio di The
Avengers; “Chi mi ha incarcerato” a Thor: the dark
world, ovviamente. Riferimenti
ai film di Thor, a De André, ad Avengers e al film
“Il silenzio degli
innocenti” sono sparsi ovunque nel testo tanto che, se ve li
indicassi tutti, la
fic sarebbe illeggibile.
Un
saluto e a presto, con il nostro solito appuntamento ;)
Shilyss
<3