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Autore: DewoftheGalaxy    22/05/2018    1 recensioni
Assisi. Convento di San Damiano. 1225
Francesco è a San Damiano, ospite di Chiara e delle sue consorelle, per riposare e farsi curare da loro.
La sua salute è ormai compromessa da anni ed è proprio qui, nel piccolo convento, che durante l'ennesima febbre malarica i ricordi ritornano.
Ricordi di una vita.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Mi depongono sulla paglia, o almeno credo che sia paglia: al tatto lo sembra, anche se con mani, piedi e costato insanguinati e coperti di pezze è difficile dirlo.
Poi non vedo neanche bene, tutto ciò che vedo è sfocato, sfocatissimo ed i rumori sono ovattati, distanti, anche se qualche parola riesco a capirla.
Credo di avere la febbre perché ho caldo, caldissimo, come nel deserto d’Egitto quando marciavo con frate Illuminato per andare a parlare con il Sultano. E poi sono già stato malato tante volte perché sono di salute… beh… ecco diciamo….cagionevole.
Ma in questi ultimi anni la mia salute è peggiorata.

 

 

È difficile abituarsi di nuovo alla paglia, forse perché da anni il mio materasso è il terreno e questo corpo, “Frate Asino” che è pigro e facile alle tentazioni, ormai è troppo debole e stanco.
Però la paglia mi ricorda dove sono nato.
Io sono nato in un stalla, come Gesù Bambino.
Era il 26 settembre 1182 o almeno così Maman mi ha sempre detto.
Mia madre, Maman, si chiama Pica de Bourlemont  ed è nata in Provenza ( infatti è grazie a lei che so parlare francese) mentre mio padre, Papa, si chiama Pietro di Bernardone e fa (o meglio faceva perché adesso l’attività suppongo sia passata al mio fratellino visto che sia Papa che Maman vengono spesso a trovarmi di recente) il mercante di tessuti ed era il più ricco e famoso di tutta Assisi.
Maman…Papa…dove siete ora? Abbiamo fatto pace non vi ricordate….?
Maman…Papa….

 

 

Maman mi ha detto che quando sono nato ero piccolo, perciò temeva che non sarei vissuto a lungo, ma che ho emesso un grido talmente forte che quasi spaccavo i timpani a tutti, bue e asinello compresi, e che avevo già la testolina coperta da capelli neri come una notte senza stelle.
E che, soprattutto, mi fece battezzare Giovanni, non Francesco.
In Francesco mi cambiò nome Papa quando tornò dalla Francia, perché lui non era presente quando nacqui.
Un onore a quella terra di fortuna.
Francesco, “Il francese”.
Francesco di Pietro di Bernardone.

 

 

Sfioro la paglia con la punta delle dita, la sento.
È morbida.
Morbida come i tessuti della bottega di Papa dove io e il mio fratellino, Angelo, di quattro anni più piccolo di me, giocavamo.
Angelo…Angioletto ( il nomignolo con il quale se lo chiamavo così si arrabbiava sempre)….lui che è nato con i riccioli biondi e gli occhi verdi…non sembriamo fratelli noi due….
Angioletto, Angioletto….vuoi giocare ancora?

 

Mi chiamavi Chicco e da allora quello è diventato il mio nomignolo.
Chicco.
Come i chicchi del grano dorato che d’estate circonda Assisi.

 

Ed il piccolo Chicco non conosceva bene Frate Sole e Sora Luna come ora, però sapeva riconoscere i versi degli animali, li capiva, capiva la loro lingua e per questo gli altri bambini lo prendevano in giro.
Non so perché ma con gli animali ho sempre avuto questo rapporto….di fratellanza.
Ed è così facile capirli! Sono nostri fratelli! Tutti creati dal Signore come il Sole, la Luna e le stelle…perché è così difficile comunicare con creature che ci sono così affini?

 

 

Mi pare di sentire le nostre voci di bambini felici e quella di Maman che ci chiama.
Maman! Maman, ma cherie Maman, sei tu quella persona sfocata che vedo ora china su di me? Sei tu?

 

<< Maman! Maman! >> chiamo.

 

No, non puoi essere te….qui sono a San Damiano, da Chiara e dalle sue consorelle, i frati mi hanno portato qui per farmi curare da Chiara….

 

Ho la febbre alta. Ho caldo. Mi fa male la testa.
Ma ripenso alla mia infanzia fra i vicoli di Assisi ed è un pensiero fresco, sì fresco.
Come la salvietta bagnata che ora la figura sfocata ( Chiara ?) sta posando sulla mia fronte. È una benedizione in questo caldo di delirio febbrile…è…è…non lo so.
La febbre prende corpo e mente, non lascia pensare lucidamente.
Però mi ricorda l’acqua che scorga dalle mille fontane di Assisi.

 

 

Ed io che le vedevo andando a scuola nella vicina chiesa di San Giorgio, dove noi bambini studiavamo chini sulle mille parole latine per evitare la verga del maestro.
Credo di aver giocato più di uno scherzo al pover’uomo….
Ricordo le sferzate della verga sulle mani, le risento…fanno male…fanno tanto male. Rivedo i suoi occhi color del ghiaccio.

 

 

Giro il viso dall’altra parte, non ci voglio pensare, non voglio ricordare.
Ma Assisi sì che la voglio ricordare.

 

 

Assisi, mia dolce Assisi, sei ancora arroccata sul Subasio mia cara città? Le tue vie sono ancora un saliscendi di vicoli, stradine, piazzette e viuzze? I tuoi tanti ulivi argentati e i tuoi campi di papaveri sono ancora lì vero? Ma certo, mio paesino sperduto fra le verdi e ridenti colline umbre, dove le comari chiacchierano dalla mattina alla sera e si sa tutto di tutti, altrimenti lo saprei.

 

 

Però ricordo anche le notti trascorse fra le vie della mia amata città, le notti nelle brigate di amici, ubriachi fradici dopo la taverna.
“Francesco, re della gioventù” mi chiamavano.
Ed ero veramente il re di quelle feste e della gioventù: mio padre era ricco, io il suo rampollo….perché non approfittarne? Il vino scorreva a fiumi, così come le risate e la musica, i giochi con i dadi….

 

 

E c’è troppa luce. Qui, ora, in qualunque angolo di San Damiano io sia, c’è troppa luce. Mi da fastidio, ho gli occhi malati…sono quasi cieco…perché c’è così tanta luce?
C’era tanta luce anche in taverna? Non mi ricordo….

 

 

Ma ora sonno e non mi interessa ricordare.
Mi addormento ma il mio sonno è popolato di ricordi, visioni: persone che ho conosciuto, le loro voci…poi suoni, volti….
Tutto si mischia insieme, tutto diventa un casino ed io non reggo.
Mi sveglio di soprassalto.

 

<< Basta! Basta! Basta! Andate via! >>

 

Accanto a me una voce gentile unita ad una mano morbida mi convince a ritornare a dormire.
Dice che è tardi, che sono molto stanco e che devo riposare.
Chiara sei tu? Sì lo so che sei tu, grazie pianticella.

 

 

Questa volta, pur delirante di febbre e ricordi, dormo tranquillo.

   
 
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