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Autore: Miky30    23/05/2018    2 recensioni
Una lettera misteriosa e un Conte infuriato. Come reagirà l'originale di fronte a un capriccio di proporzioni epiche?
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Tristan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Una mattina fresca, un cielo dalle mille tonalità di azzurro faceva a gara con un mare altrettanto azzurro e quasi immobile per chi fosse il più bello, ma a pensarci bene, si soffermò l’Originale, nessuno dei due, né cielo né mare, potevano contendere quel primato agli occhi del suo Conte, il quale con molta probabilità era ancora dolcemente addormentato nella loro camera da letto, i riccioli scomposti e un’aria talmente angelica che, a vederlo così, si faticava credere che fosse uno spietato vampiro millenario.

Elijah era sceso per una passeggiata mattutina e per fermarsi al forno ad acquistare quelle piccole, dolcissime conchiglie, quei piccoli bocconi di felicità che a Tristan piaceva gustare a letto, fra un bacio e l’altro.

Quello era il suo momento preferito per passeggiare: a quell’ora Marsiglia era ancora addormentata, pochi si fermavano ad osservarlo. Eppure quei pochi non potevano fare a meno di seguirlo con lo sguardo fino a che non avesse svoltato l’angolo: alto, bruno, un velo di barba, camicia bianca con le maniche arrotolate e il colletto sbottonato, un incedere deciso e calmo allo stesso tempo. Sembrava di guardare un dio sceso in terra e in un certo qual modo lo era. Un dio dal temperamento deciso e dalla mano lesta: tutti dovevano sottostare ai suoi comandi o sarebbero stati guai. Tutti, tranne la sua prima creatura, che i guai se li andava a cercare almeno una dozzina di volte al giorno e solo per il gusto di vedere fin dove riusciva a spingersi, fin quanto poteva tirare la corda, per vedere gli occhi del suo sire ardere prima di agitazione per poi mutare, con una rapida virata, in passione altrettanto agitata e pericolosa.

Era una giornata deliziosa, dall’aria calda e rilassata, nulla faceva intuire il temporale che di lì a poco sarebbe scoppiato in casa Mikaelson. Un uragano in piena regola. Un ignaro postino, come ogni mattina, recapitava la posta nel quartiere e anche nella palazzina dal portone azzurro, abitata da due strani individui, sempre molto eleganti e cortesi, invero, ma un tantino fuori luogo. Sembravano, al suddetto postino, creature senza tempo, più vecchi dell’età che dimostravano. Come ogni mattina, tra una bolletta e l’altra, depose nella cassetta della posta un mazzetto di lettere che Tristan ritirò pochi istanti dopo, si affacciò in strada nell’aria tiepida e salmastra della mattina, ma nessuna traccia di Elijah. Dove si sarà cacciato? - pensò tra sé. Non gli piaceva svegliarsi da solo: niente aroma di caffè che si spargeva per tutta la casa, niente Madeleines, niente EliJah.

Questi risvegli presagivano sempre qualche guaio in arrivo e il presentimento del Conte fu confermato quando, sfogliando distrattamente le buste, mentre saliva le scale, una di esse colpì la sua attenzione: un’anonima busta bianca indirizzata ad Elijah, niente mittente, ma chiaramente una calligrafia femminile. Puzzava di lupo e questo era sufficiente ad innervosirlo. Sapeva benissimo a chi appartenesse quella calligrafia e per quanto tentasse di dissimulare, anche con se stesso, la cosa lo innervosiva e non poco. Entrato in casa posò le lettere sul tavolino dello studio di Elijah e si impose di cercare un libro dalla libreria e iniziare a leggere: questo forse l’avrebbe distratto dal pensiero di quella busta e dell’autrice della lettera, che aveva deliberatamente messo in fondo alla pila per non vederla e, forse, inconsciamente, pensava che neanche il destinatario l’avrebbe notata.

Si disse che non sarebbe stato corretto aprire la posta altrui e cercò di concentrarsi sul libro che stava leggendo, elegantemente seduto sulla bella poltrona di pelle.

Ma la curiosità lo distraeva dal libro, non riusciva a concentrarsi, sentiva che quella missiva aveva qualcosa che non andava, che avrebbe portato solo guai.

Se ne stava lì fissando il vuoto e riflettendo sul da farsi.

Certo avrebbe potuto ignorare del tutto la busta, e sarebbe stata la scelta più saggia. Avrebbe potuto chiedere spiegazioni al diretto interessato e rischiare di sentirsi mentire. Avrebbe potuto aprire la busta, leggere la lettera e richiuderla, indubbiamente la scelta più azzardata che nel migliore dei casi avrebbe portato a una litigata coi fiocchi.

La cosa buffa fu che non si diede nemmeno la possibilità di scelta: si alzò e aprì la busta, ne uscì una lettera in bella calligrafia e la foto di una donna e una ragazzina. Non ebbe modo di domandarsi chi fossero: le riconobbe al primo sguardo, la regina delle ipocrite e la figlia di Niklaus. Evviva - pensò fra sè - ora siamo proprio a posto. Dette una lettura veloce alla missiva e si rese conto che la rabbia che gli stava montando non avrebbe portato a niente di buono. Sapeva di aver torto ad aver letto la lettera, ma anche che avrebbe dovuto impedire ad Elijah di ritornare da quella "poco di buono".

Ormai non riusciva più a riflettere, era furibondo. Misurava a grandi passi il soggiorno come una tigre in gabbia.

Elijah era sceso per qualche commissione poco prima che arrivasse il postino e, ignaro della sorpresa che l'attendeva, spalancò la porta con un sorriso.

Ma il sorriso gli si congelò non appena vide Tristan furente che viaggiava su e giù per la stanza con l'aria di chi ti sta per assalire.

Notò nella mano sinistra del Conte una lettera e si avvicinò per domandare che cosa mai fosse accaduto.

"Sei uno stronzo! Ipocrita! Falso!"

Elijah rimase immobile ad ascoltare la lunga sfilza di epiteti poco carini che il suo piccolo Conte gli stava rifilando con la voce che gli tremava e in un salendo di tono che non lasciava dubbi sulla natura della sua agitazione.

Stanco di sentirsi apostrofare di tutti i nomi, l'Originale in tono calmo e pacato asserì: "Vedo che il mio Conte ha un ricco e ben curato vocabolario, a cosa devo cotanta gentilezza, Milord?"

Per tutta risposta Tristan gli mollò un ceffone da rivoltargli la faccia e aveva già la mano a mezz'aria per il secondo. Elijah però fu più veloce e gli bloccò il polso a pochi centimetri dalla propria faccia.

Lo rigirò su se stesso e lo strinse a sé. Elijah completamente attaccato alla schiena di Tristan, gli soffiò in un orecchio, glaciale: "Vedi di darti una calmata o ti faccio calmare io"

Tristan, ormai fuori controllo, cercò di divincolarsi, ma le braccia dell'Originale erano troppo forti per lasciarlo muovere e fece l'unica cosa che gli rimaneva da fare: gettò di colpo la testa all'indietro e colpì Elijah con forza sul naso, tanto forte da fargli uscire il sangue. Ma non abbastanza forte da fargli lasciare la presa ferrea sui suoi polsi.

Elijah ora era davvero infuriato, con la voce ancora più cupa gli intimò: "Ora sei davvero nei guai, piccolo monello"

Tristan spalancò gli occhioni, conscio di aver superato il limite, ma non ancora pronto alla resa: "Che pensi di fare? Buttarmi in mare chiuso in un container?"

"No, no, quella era una punizione da adulti... per i bambini capricciosi è sufficiente una sonora sculacciata..."

"Non oseresti"

"Non sfidarmi..."

"Lasciami andare!" Il tono della voce ancora nettamente alterato in contrapposizione a quello decisamente calmo e basso di Elijah. "Non eri tu che volevi che non ti lasciassi mai? Eccoti accontentato. Ma se proprio vuoi che ti lasci andare facciamo così: se ti liberi da solo io ti lascio andare impunito e ti perdono questo gigantesco capriccio. Oppure se non ci riesci... deciderò io cosa fare di te. Liberati se ne sei capace."

Queste parole non fecero che aumentare la rabbia del Conte, così tanto che ogni tentativo di liberarsi andava a imbrigliarlo di più nella stretta di Elijah, che dal canto suo stringeva i polsi del ragazzo con forza e lo teneva stretto a sé. Tristan lottava e lottava, più contro se stesso che contro Elijah, il quale stanco di quel gioco ad un certo punto domandò: "Ti arrendi?" "Mai!" Ruggì Tristan, con la forza della disperazione, per non darla vinta a quel grande ipocrita del suo compagno, ma sapeva benissimo che non sarebbe riuscito ad opporre più resistenza, ormai stanco dalla rabbia più che dalla lotta.

Dopo poco si fermò ed Elijah non ripetè la domanda, nè lo lascio andare.

Stettero così l'uno stretto all'altro per un po'.

"Ti sei calmato?" Fu la domanda che non ottenne risposta se non con un cenno del capo a dire di sì. Elijah allentò la presa sui polsi e se lo rigirò fra le braccia, senza lasciarlo andare, ma in modo da guardarlo negli occhi. "Allora sei pronto ad una conversazione da adulti o vogliamo giocare ancora un po'?" Ma Tristan si era spinto troppo oltre in quel gioco e provò di nuovo a liberarsi, riuscendoci in parte, una sola mano libera, l'altra sempre imprigionata. Fu una mossa piuttosto azzardata che gli valse uno sculaccione senza dire una parola.

"Allora, vuoi continuare con questo gioco? La mia pazienza si è esaurita da un pezzo e sei sul punto di non ritorno. Decidi in fretta se vuoi parlare da adulto o vuoi continuare sulla linea del bambino monello. A te la scelta, tue le conseguenze."

"Non sono un bambino monello!" L'espressione imbronciata, i pugni stretti e il piede sbattuto a terra, raccontavano però tutt'altra storia.

"Davvero? Neanche Niklaus a cinque anni faceva capricci così. Poverino, la metà di questo capriccio gli sarebbe valsa una sculacciata da non farlo sedere per qualche giorno."

"Io non sono Niklaus !"

"Buon per te che io non sia mio padre!"

Il Conte si stava agitando di nuovo e non sapendo più come liberarsi decise che ne aveva abbastanza e di giocare sporco.

"Sei peggiore di tuo padre, sei il peggiore di tutti. Perché non te ne torni dalla tua amichetta?" E così dicendo gli affondò i denti in una spalla.

Elijah non si scompose nemmeno. "Ok, capito" disse soltanto e così dicendo trascinò Tristan con sé fino alla sedia più vicina, senza dire una parola si sedette e tirò il più piccolo sulle sue ginocchia.

Tristan rimase inebetito, non riuscì a reagire, tanto fu lo stupore.

E attese che il colpo arrivasse. Ma arrivò invece la voce calda e suadente di Elijah: "Mi spieghi che cosa cerchi di fare esattamente? E bada che la risposta mi piaccia. Se sarai bravo potrei anche decidere di salvarti all'ultimo momento!"

"Fottiti!" Fu la risposta del conte, ormai fuori controllo.

Un linguaggio molto insolito per l'algido conte sempre compassato e formale, il che dava la misura precisa della sua agitazione.

Partì una raffica di sculaccioni sonori, senza tanti complimenti.

Una decina in totale, sufficienti a scuotere il piccolo conte.

Dopodiché Elijah rimise in piedi un Tristan furioso, con le orecchie in fiamme e un broncio ancor più da bambino.

Gli occhi azzurri, più liquidi del solito, trattenevano a stento due lacrime giganti.

Le lacrime non erano per il dolore, quei pochi sculaccioni non avrebbero fatto piangere nemmeno un bambino, erano più lo sfogo di tutta la rabbia accumulata, erano lo sciogliersi di quel peso sul petto.

Tutta una serie di sentimenti gli affollavano il cuore e il cervello, era arrabbiato con Elijah, con se stesso e col resto del mondo, si sentiva stanco e svuotato, si sentiva un ragazzino davvero monello e davvero tanto amato nonostante tutto. Fissava il suo Sire e non riusciva a dire, né a pensare, neanche una parola difronte a quello spettacolo: Elijah bello come non mai, le guance rosse, i capelli spettinati, la camicia tutta sgualcita e mezza fuori dai pantaloni, un'espressione seria e preoccupata allo stesso tempo.

Nel momento stesso in cui una lacrima birichina scivolò lungo la guancia Tristan fece per girarsi dall'altra parte, ma non ne ebbe il tempo, si senti tirare e finì dritto fra le braccia forti di Elijah che lo stringevano delicatamente, senza far altro che tenerlo lì, al sicuro, senza dire né fare niente.

"Ora vogliamo tornare adulti, vuoi Milord? Sul serio Tristan cerchiamo di calmarci e parliamo."

Dopo un tempo che parve infinito il Conte parlò, senza staccare il viso dalla camicia dell'altro:"Elijah?"

"Si?" "Pace?"

Un sorriso increspò le labbra dell’originale mentre soffiava nell'orecchio del suo piccolo conte:

"Piccolo monello, ora ti faccio vedere io che cos'è la pace!" E iniziò a baciarlo e a spingerlo fino a raggiungere il letto.

   
 
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