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Autore: Hayaros    23/05/2018    2 recensioni
Una ragazza ogni giorno, alla stessa ora, sente una campana suonare. Niente di strano, tranne per il fatto che nessuno riesce a sentirla tranne lei.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   Non era certa di come fosse iniziato.
Era sdraiata sul letto, lo sguardo perso rivolto verso la finestra, gli alberi che dondolavano di fronte ai suoi occhi, mentre venivano accarezzati dal vento d’estate. Il sole rischiarava l’aria, rendendo il cielo ancora più brillante del solito, segno dell'estate ormai iniziata, come il canto delle cicale che riusciva a sentire in lontananza.
Sospirò, chiudendo gli occhi: sperava di addormentarsi, ma l’ansia le torceva lo stomaco, infiammandole gli occhi che non riuscivano a rilassarsi.
E, mentre la sua mente era un turbinio incessante di ricordi e sensazioni, un’oscura matassa senza via di uscita, uno squarcio di luce improvviso lo rischiarò. Spalancò gli occhi, trattenendo il respiro: un suono lontano la fece rinsavire.
Un suono cristallino, come di un vetro accarezzato da una piuma. Un suono tintinnò nell’aria, quasi impercettibile, che sembrò delicatamente crearsi uno spazio al di sotto delle sue orecchie.
Una campana.
Sembrava una campana di vetro, suonata magistralmente da un vento mistico. Un suono trasparente, che risuonò nell’aria per qualche secondo.
La ragazza alzò lo sguardo verso l’orologio: erano le 17.05.

-“Una campana…?”

Si alzò dal letto, dirigendosi in cucina. Sua madre stava guardando un programma in televisione, distrattamente mangiando delle noccioline, mettendole in bocca con movimenti automatici. Il volume era talmente basso da essere solo un rumore bianco, mentre il gatto pigramente dormiva accanto a lei.

-“Mamma?”

La sua voce sembrò svegliarla dal torpore:-“Sì, cara?”

-“L’hai sentita?”

-“Sentito cosa?”

-“La campana” – guardò l’orologio, -“Mi sembra strano che suoni alle 17.05…”

-“Una campana?”

Lei annuì, innervosita:-“Sì, una campana. Come quella di una chiesa…” – s’interruppe, -“Almeno credo. Il suono era un po’ diverso…”

-“Io non ho sentito nessuna campana.”

Rimase in silenzio, guardandola. I suoi occhi guizzarono per un secondo sul televisore, ma infine sospirò: probabilmente, quando aveva sentito quel suono, stava dormendo.

-“Non fa niente.”

-“Però in effetti è strano.” – continuò la madre, posando di nuovo gli occhi sul televisore ed aumentando un po’ il volume, -“Normalmente la campana suona alle ore precise.”

-“Forse me lo sono immaginato” – rispose lei, alzando le spalle, -“Vado a riposare.”

-“Va bene, cara. Ti chiamo quando la cena è pronta.”

 

Il giorno dopo, mentre era china sui libri, disperandosi per un problema di matematica, lo sentì di nuovo.
Quel suono trillante, trasparente come le ali di un insetto. Si voltò verso la finestra, il cielo terso che sembrava amplificare il suono di quella campana.
Guardò l’orologio: 17.05.
Scattò in piedi, correndo verso la cucina: le noci non erano ancora finite, e sua madre era intenta a mangiarle con calma, una per una, con una cura maniacale.

-“Mamma!”

Sussultò:-“Sì?”

-“La senti?” – alzò un dito in aria, guardando in alto, -“La campana…”

La madre alzò un orecchio, attento:-“Cara… io non sento niente.”

-“Cosa? Ma sta ancora suonando… adesso ha smesso. Non l’hai sentita?”

-“Cara, io non ho sentito niente.”

Rimase perplessa, guardando i gusci delle noci disseminati sul tavolo. Sembravano dadi di un gioco infame, senza fortuna e dettato dal caso.

-“Forse me lo sono immaginato.” – disse, tornando in camera.

 

Il giorno dopo, mentre era sdraiata sul divano, accanto alla madre, mangiando le noci rimaste dai giorni precedenti, il gatto che placidamente dormiva sulle sue ginocchia, teneva d’occhio l’orologio sulla parete, attendendo che le lancette segnassero i numeri che voleva vedere.
17.05.
La campana iniziò a suonare.
Si voltò verso sua madre, che portava pigramente un'altra noce alla sua bocca, non un gesto fuori dalla norma.
Stava per chiamarla, per chiederle se sentisse qualcosa di strano, ma rimase in silenzio.
La campana continuava a rintoccare, il suo suono eterno ed irreale, e comprese che lei era l'unica che riusciva a sentirlo.

Iniziò la sua ricerca. L'estate era ancora nel vivo della sua giovinezza, i suoi libri di scuola stipati nell'angolo della scrivania, ormai ignorati.
Passava le ore di fronte al computer, alla ricerca di qualcuno che condividesse la sua esperienza:
“Ogni giorno, alle 17.05, sento una campana suonare. Nessun altro in casa sembra sentirla.”
Ogni giorno, con puntualità perfetta, la campana tornava a suonare, ricordandole della sua missione.
Non era sicura quante settimane trascorse dedicata alla sua ricerca. La campana divenne ciò che scandiva i suoi giorni.
Ricevette le prime risposte:
Sicura di non aver bisogno di un medico?”
Sospirò, non aveva nessun altro sintomo, oltre a quello. Rispose:
Non ho mai sentito parlare di allucinazioni che si ripetono ogni giorno alla stessa ora, con una puntualità disarmante.”
Allora forse la tua famiglia sta complottando contro di te, facendoti credere pazza.”
Sospirò, e capì che era inutile.
Spense il pc e tornò a dormire.

 

Il giorno dopo, vide un nuovo messaggio:
Finalmente ho trovato qualcun altro come me!”
Il suo cuore saltò un battito.
Non ci credo! Anche tu? Contattami in privato.”
Iniziarono a parlarsi, il rintocco della campana che scandiva l'ora del loro incontro.
Puntuale.
Ah, allora l'hai sentito anche tu.”
Sì.”
Era un ragazzo, più grande di lei solo di un anno. Abitava in un'altra città, non troppo lontano, perciò decisero di incontrarsi.

   La città dove abitava lui era molto più grande della sua: caotica e spettrale, l'enorme folla di persone le passa di fronte, come eteree presenze senza volto e senza personalità. Scorrazzavano in giro, verso le loro mete, gli occhi vuoti.
Un brivido le attraversò la schiena: la città era di fronte a lei, ma una staticità le copriva la vista, e l'unico pensiero che riuscì a formulare riguardava la strada che doveva intraprendere.
Avevano deciso di incontrarsi di fronte ad un bar, vicino alla stazione ferroviaria. Iniziò ad incamminarsi, tenendo stretta la borsa al suo fianco, il sole d'estate che sembrava arderle la pelle, come spada di fuoco.
Vide il locale che stava cercando in lontananza, la vista che sembrava vacillare, quel bar come un'oasi nel deserto. Affrettò il passo e, quando raggiunse le sue porte, alzò lo sguardo: lo riconobbe, dalle foto che si erano scambiati. Sorrise, quando improvvisamente sentì la campana suonare: alzò il polso, erano le 17.05.
S'incontrarono spesso, loro due. L'ora dell'appuntamento era sempre la stessa, accompagnata dalla campana irreale.

   Un giorno, lui disse di aver scoperto un gruppo di persone che, come loro, riuscivano a sentire la campana, e le chiese se fosse interessata a conoscerle.
Il suo sguardo sembrò illuminarsi mentre annuiva con forza.

-”Allora è deciso.” - rispose lui, -”Li incontreremo domani.”

 

   Girare per la città con lui al suo fianco non la spaventava: le persone sembravano assumere le loro reali forme e facce ben distinte, i palazzi uscivano fuori dalla nebbia che li circondava.
Incontrarono i loro compagni in un parco immerso nel verde, accanto ad un lago. Erano seduti sull'erba, con tovaglie e giacche disposte in maniera disordinata sulla terra, senza una forma precisa.
Li salutarono con gesti amichevoli e vivaci, e lei si sentì immediatamente a suo agio. Si sedettero a terra con loro e poi, chiudendo gli occhi, per la prima volta ascoltarono insieme la campana.

Divenne una tradizione incontrarsi ogni giorno alle 17.05.

Si sedevano a terra, sull'erba del parco e, chiudendo gli occhi, ascoltavano quel tintinnio irreale e onirico che solo loro potevano ascoltare. Ad occhi chiusi, sapevano di non essere soli, mentre si lasciavano trasportare da quel suono mistico. Anche dopo che era scomparso, rimanevano in meditabondo silenzio. Alcune volte lei rompeva quella sorta di incantesimo aprendo gli occhi, spiando gli altri: il loro viso era sereno, fuori dal caos del resto del mondo, rinchiusi in un mondo che era solo il loro. Sospirava e tornava a chiudere gli occhi anche lei, silenziosamente ringraziando chiunque avesse reso possibile quel fantastico dono.
Non si sentiva più sola: in compagnia di quel gruppo di ragazzi particolari come lei, aveva trovato un luogo dove stare. S'incontravano anche al di fuori degli appuntamenti della campana, semplicemente per uscire e passare del tempo insieme. La città diveniva sempre più nitida e lei aveva ormai smesso di tremare e di stringere la sua borsa tra le mani, lasciandosi andare al suo gruppo.
Il suono della campana li univa con un filo invisibile.
E fu proprio quel suono a reciderli.

   Un giorno si incontrarono, come al loro solito, per ascoltare la campana insieme. Quando i suoi rintocchi irreali si fermarono, uno di loro, un ragazzo, parlò:-”Ci avete mai pensato... a cosa possa essere, questa campana?”

-”Forse un rintocco di un altro mondo...” - ipotizzò una ragazza, alzando gli occhi al cielo.

-”Un rintocco di un altro mondo...?” - ripeté lei, lo sguardo perso.

-”No, no. E' impossibile.” - rispose un altro ragazzo, alzandosi in piedi, -”Non diciamo sciocchezze.”

-”Ed allora cosa potrebbe essere?” - incalzò la prima ragazza, alzando lo sguardo verso di lui.

-”Ci sono stati fenomeni di induzione psicologica collettiva.” - iniziò a spiegare lui, -”Gruppi di persone che pensavano di vedere la stessa persona in una stanza... ma quella persona in realtà non esisteva.”

-”Una sorta di effetto placebo collettivo?” - chiese un altro.

Il ragazzo annuì:-”Potrebbe essere qualcosa di simile.”

-”Ma quello funziona se ad un gruppo di persone viene chiesto di pensare ad una cosa.” - spiegò un'altra ragazza, -”Non è il nostro caso.”

-”E' una cosa troppo fuori dal mondo!” - continuò la prima ragazza, -”Non potete semplicemente dire che si tratta di un fenomeno psicologico!”

-”Non tutto ciò che è inspiegabile fa parte dell'occulto.” - continuò il secondo ragazzo, -”E' un tipo di ragionamento antiquato.”

-”Voi e la scienza! Il mondo è pieno di misteri! Perché tentate sempre di semplificare tutto?”

-”Molti fenomeni cosiddetti “magici” sono in realtà il risultato di fenomeni scientifici! Siete voi che tendete a semplificare tutto!”

-”Basta!” - esclamò la ragazza, mettendosi tra loro due.

Il gruppo, quel gruppo di ragazzi che avevano scoperto un qualcosa che li rendeva alieni alla società, quel qualcosa che li aveva poi uniti. Quel gruppo la rendeva felice, la faceva sentire a casa.

Non voleva che si rompesse.

-”Basta.” - ripeté, - “Per favore, non possiamo semplicemente sederci a terra, ad ascoltare la campana, come nostra abitudine?”

I due ragazzi si fermarono, allontanandosi un poco, guardandosi l'un l'altro con occhi di fuoco. Il resto del gruppo osservava la scena, incerti su cosa fare, guardandosi a vicenda per un poco di conforto.

-”Pensate.” - continuò la ragazza, -”Nonostante noi veniamo tutti da posti diversi ed abbiamo punti di vista diversi... la campana ci unisce. Quel suono di vetro...”

-”Suono di vetro?” - chiese il ragazzo, colui che le aveva presentato il gruppo, -”Non mi pare un suono di vetro.”

-”Neanche a me.” - rispose la ragazza dell'occulto, -”Mi pare più... ceramica?”

-”E' una campana.” - continuò l'altro ragazzo, -”Sarà metallo.”

-”Ma è una campana che non esiste!”

-”Non è un suono di vetro.” - continuò il ragazzo, -”Sembra più... carta al vento.”

La ragazza strabuzzò gli occhi e guardò il gruppo di ragazzi, uno per uno.

Non li riconobbe più.

E non si incontrarono mai più.


   Trascorse il resto dell'estate nella sua casa, in compagnia di sua madre e del suo gatto. Riprese la sua vita normale: studiava, una volta ogni tanto usciva con qualche amica, in attesa che le lezioni ricominciassero.
Alcune volte sulla cartina il suo occhio cadeva sulla città vicina dove si incontrava con quei ragazzi, ed il suo cuore si riempiva di malinconia.
E, ogni pomeriggio, senza mai perdere il suo appuntamento, alle 17.05 la campana suonava, quel suono etereo e lontano che non faceva altro che farle ricordare la ragione di quell'unione e del loro litigio.
La campana continuava a suonare, imperterrita, ogni giorno alla stessa ora e lei, guardando fuori dalla finestra, le piaceva immaginare i suoi vecchi amici con gli occhi al cielo, intenti ad ascoltare quel suono ad occhi chiusi, come loro vecchia abitudine.

  
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