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Autore: FatSalad    24/05/2018    2 recensioni
Regno Goryeo (935-1392)
Una ragazza che non ricorda la madre, di punto in bianco viene abbandonata dal padre in una casa di tolleranza. L’unica cosa che può tenerle compagnia in quel luogo sconosciuto sono le storie che le raccontava il padre riguardo al giovane JinSoo e al suo amico, il giovane Ling. Storie di scherzi e marachelle, storie che paiono inventate, storie che potrebbero avere un significato molto più profondo…
[Storia seconda classificata a pari merito con "Al di là del Limes" di alessandroago_94 al contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp, vincitrice del premio speciale Rivelazione femminile per il miglior personaggio femminile]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Avevo diciannove anni quando decisi di giocarmi il tutto per tutto.
Il nome che mi diedero i miei genitori doveva essere stato scelto col favore degli dei, infatti, tutti gli avvenimenti più importanti della mia vita si svolsero in un giorno di primavera1. Non fece eccezione quello, che stravolse completamente ogni mia certezza e non ho dubbi che il destino abbia disposto ogni cosa per l'esito che ebbe.
Il signor Dao aveva continuato a farmi visita periodicamente, senza mai tralasciare di portare in pegno della seta, con cui ricavavo tutti i miei abiti senza spendere una sola monetina.
Armata della mia cetra JinSoo, quella dal suono più acuto e allegro, decisa ad andare all'attacco del ricco straniero, riscaldavo le dita. Intanto, per darmi coraggio, ripetevo dentro di me una delle storie di mio padre, immaginando con quali note le mie cetre avrebbero potuto darle vita.
«JinSoo e Ling vedono un gruppo di uomini in cerchio, scrutano i loro movimenti e scoprono un contadino ai loro piedi che cerca di coprirsi la testa con le braccia mentre quelli lo ricoprono di calci e bastonate. JinSoo e Ling si lanciano uno sguardo. Il gruppo è formato da adulti alti e grossi, rozzi e violenti, ma i due giovani amici non sopportano quell'ingiustizia e, sfrontati, iniziano a lanciare sassi contro quella gentaglia. Coraggio!»
Mi presentai davanti al signor Dao con il mio abito migliore addosso ed un sorriso che, benché l'avessi provato tante volte davanti allo specchio, non mi calzava ancora a pennello. Fui sorpresa dal fatto che il mio cliente si fosse presentato insieme ad un tipo secco e curvo come un giunco piegato dal vento.
Ben presto scoprii che si trattava di un traduttore, Dao sussurrava qualcosa inclinando la testa di lato e l'omino allampanato mi riferiva nella nostra lingua, senza alcuna particolare inflessione.
Non mi disse granché, solo che apprezzava molto la mia musica, cosa che avevo già immaginato. Poi mi chiese se sapevo che le corde dello strumento che stavo suonando erano ricavate dalla seta. Sì, lo sapevo, ma non ci avevo mi pensato in quell'ottica: era come se non solo i miei vestiti, ma anche le mie adorate cetre fossero legate in qualche modo al signor Dao.
Sapevo che aveva arricchito immensamente la propria famiglia con il commercio, portando la seta sempre più a Occidente, dove, a quanto pareva, vi erano molte persone interessate a quella stoffa. Forse era grazie ai suoi innumerevoli viaggi che Dao aveva acquisito quell'aura di rispettabile mistero. Chissà quanti posti e quanti popoli avevano visto i suoi occhi, quante strane usanze aveva conosciuto, quanti sapori e quanti odori aveva sentito! Si diceva che in ogni luogo in cui faceva tappa abitualmente avesse un'intrattenitrice “di fiducia”, per ammirare bellezze da ogni parte del mondo e udire musiche ogni volta diverse.
Quella che suonai io quel giorno era una melodia nervosa e imprevedibile, come solo una truffa del giovane JinSoo poteva essere.
Pizzicando le corde riuscii a calmarmi, ma quando mi avvicinai al signor Dao per versargli da bere, non riuscii ad attuare il mio piano di seduzione. Mi sentivo troppo strana, mi sarebbe sembrato di ingannare con movenze e risolini fuori luogo quell'austero signore così corretto e generoso, che non aveva mai azzardato nemmeno a sfiorarmi una mano. Mi pentii, anzi, di non aver portato la cetra a sei corde per suonare qualcosa di più grandioso al mio ospite, qualcosa che si addicesse di più alla sua presenza importante.
In fin dei conti non fui in grado di fare niente quel giorno, il coraggio di JinSoo e Ling rimase imprigionato tra le corde di seta della cetra.
Quando il signor Dao si congedò, io, non contenta dell'esito della serata, provai a seguirlo. Sgattaiolai fuori dal gyobang pochi minuti dopo di lui, ma, appena ebbi messo la testa fuori, dimenticai in un attimo il ricco mercante.
Davanti ai miei occhi c'era mio padre.
«Papà...» sussurrai incredula.
Aveva qualche filo bianco, estraneo ai miei ricordi, tra i capelli, qualche ruga ai lati degli occhi e sulla fronte, ma era senza dubbio mio padre, che non vedevo da sette lunghissimi anni.
Come mossa da una forza invisibile, feci qualche passo nella sua direzione e solo quando lo sentii parlare mi resi conto che stava discutendo con qualcuno. Non capivo tutte le frasi, sia perché i due parlavano a bassa voce, sia perché, mi parve, non tutte le parole erano pronunciate in una lingua che conoscevo.
Una cosa capii:
«BuYeong» disse mio padre e mi sembrò che qualcosa luccicasse nei suoi occhi.
Allora chiesi ai giovani JinSoo e Ling di darmi il loro coraggio.
«Padre!» chiamai ad alta voce, troppo emozionata per aggiungere altro.
Mio padre si voltò verso di me e, mettendomi a fuoco, la sua espressione si fece di sorpresa e incredulità, mista a qualcos'altro che non seppi riconoscere.
«Bom...»
C'era qualcosa di strano in quella situazione, ma non sapevo cosa. Poi capii. A pronunciare il mio nome non era stato solo mio padre, ma anche il suo interlocutore: il signor Dao.
Mio padre, agile e minuto come le note della cetra a sei corde, stava accanto al fisico mastodontico del mercante straniero, perfetto per il suono solenne della cetra a sei corde. I due uomini, voltati verso di me, mi guardavano con occhi sgranati che tradivano sbigottimento ed affetto e fu a quel punto che un terribile sospetto mi strinse le viscere.
Boccheggiai, senza sapere cosa dire.
«Scusa» disse Dao con un accento dolce e strascicato.
Parve in difficoltà e di ciò che disse dopo capii solo “BuYeong... soldi... seta...”, poche parole, ma sufficienti a procurarmi una nuova consapevolezza.
D'un tratto tutto mi parve chiaro.
Ero come raggelata al centro della strada, incapace di muovere un solo muscolo, spaventata, avrei potuto crollare a terra da un momento all'altro, perché tutto attorno a me aveva cominciato a ruotare voticosamente
Mio padre fece un passo verso di me e con voce tremante disse:
«Bom... io...»
Non sapevo cosa stesse cercando di dirmi, sapevo solo che non avevo alcuna intenzione di ascoltarlo. Mi voltai e rientrai di corsa nel gyobang, al sicuro da ogni minaccia esterna, portandomi dietro tutti i miei sogni infranti.


 
1Bom significa primavera in coreano
   
 
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