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Autore: Glance    24/05/2018    1 recensioni
C’è un posto magico alla fine del vicolo, proprio dove la via principale si affaccia sulla grande piazza e si comincia a sentire lo scrosciare dell’acqua della fontana del tritone.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’è un posto magico alla  fine del vicolo, proprio dove la via principale si affaccia sulla grande piazza e si comincia a sentire lo scrosciare dell’acqua della fontana del tritone.
Li sulla via dei negozi, tra persone impegnate in conversazioni animate,  appese ai loro auricolari.
Propri lì, dove meno te lo aspetti, si apre un piccolo squarcio di mondo che sembra essere rimasto bloccato in un'altra epoca.
Non  è facile farvi caso, si deve camminare non facendosi travolgere da tutta la deriva, abbassando il volume del brusio di fondo ed è come se quel piccolo pezzo di mondo antico ti chiamasse.
E’ un attimo, devi voltare la testa al momento giusto, senza farti distrarre da tutto il resto e, il vicolo ,è lì; colmo dei suoi profumi di piante che sporgono dai davanzali, le finestre aperte da dove provengono suoni ormai inusuali nel nostro quotidiano.
Si possono cogliere stralci di una conversazione, la musica di un vecchio disco, profumo di caffè.
E’ automatico alzare lo sguardo verso quelle finestre, e tirare un respiro profondo.
Ad un tratto è come se il tempo rallentasse e ti venissero i super poteri. Perché è come se riuscissi a vedere cose a cui prima non avresti prestato la minima attenzione; passi accanto a vecchi portoni alcuni dei quali sono aperti e ti viene la pelle d’oca.
Continui a camminare come spinto da una forza sconosciuta, ma lo fai piano assaporando ogni immagine fino ad arrivare davanti ad un piccolo locale.
Una di quelle trattorie che sembrano uscite da un film in bianco e nero.
Le porte  sono dipinte di bianco ai vetri delle semplici tende di cotone candido e da dentro proviene un profumo di cucina della nonna.
Sa di sugo, di basilico, c’è anche un lieve sentore di sambuca: “ anisetta”, poi mi dice con un sorriso di quelli genuini di una volta Teodora, ma per tutti è solo Dora da sempre. Teodora la chiamava solo il suo papà.
Quando si entra, aprendo la porta, si viene accolti dal trillo argentino di una campanella.
Mi viene da sorridere, in un vecchio film si diceva che quando un campanellino suona un angelo mette le ali.
L’interno è di una semplicità disarmante, che scalda il cuore.
C’è un buon profumo di pulito.
Le sedie sono di legno impagliate, ai muri piastrelle bianche, i tavoli con sopra tovaglie a quadri bianche e rosse.
Non ci sono molti posti.
Conto appena quattro tavoli. Entrando ci si trova davanti l’alto bancone anch’esso bianco con il ripiano in marmo.
Osservo Dora e capisco che fa tutto da sola.
La voce è dolce, si muove con la lentezza dei suoi anni.
Come se avesse preso le distanze dagli affanni del mondo.
Guardandola si capisce che per lei le cose importanti sono diventate altre.
Ad una delle pareti  sono appese alcune fotografie.
Momenti di una vita piena, fatta di tante cose.
“Ero un bel tipino da giovane.” Mi dice con un moto d’orgoglio nella voce. “ Ma è passato tanto di quel tempo che non sembra mai successo”. E colgo quella nota malinconica, la stessa che si avverte entrando, che accompagna il suo incedere lento e ogni gesto.
Non ero entrata con l’intenzione di restare, ero stata spinta dalla curiosità, ma prendere posto ad uno di quei tavoli è stato naturale.
Sul bancone fa bella mostra di se una vecchia cassa, una di quelle con i tasti tondi in metallo.
- E’ li per bellezza. Ci sono affezionata.- Mi dice capendo la mia curiosità.- Vuole mangiare qualcosa?-Continua sorridendo. Annuisco e le sorrido a mia volta.
- Abbiamo del formaggio, dell’insalata e se vuole qualcosa di caldo posso farle delle uova. Le uova sono le nostre, può stare tranquilla.- Non so perché, ma le uova stuzzicano il mio appetito.
-Allora vada per le uova. – Dico, sorridendole. La vedo annuire, voltarsi e andare via.
Mi accomodo sulla sedia e intorno a me si respira una calma di altri tempi.
Riesco a rilassarmi come non mi capitava da tanto.
Dora torna poco dopo, portando un cestino di pane e una brocca d’acqua. Sistema tutto con cura sul tavolo.
Guardo la mia borsa e cerco il cellulare per abbassare la suoneria. Non voglio che squillando spezzi quella magia.
Le uova arrivano portate in uno di quei piccoli tegami di alluminio dai manici neri di bachelite. Sono ad occhio di buie cotte in maniera perfetta.
Osservo quella donna camminare lentamente, ed è come se riuscissi a scorgerne la vita. In quei passi misurati, non c’è rassegnazione, ma completezza, non ci sono rimpianti , ma ricordi.
Sono tutti lì, ovunque intorno a lei a farle compagnia.
Mangio con gusto, assaporando una lentezza che da tanto non mi appartiene.
Mi guardo intorno e la sensazione è quella di stare tra le pagine di un libro, che racconta di un qualcosa di perduto e che sa di buono: di sapone, di bucato steso al sole ad asciugare, di quelle piccole cose, dettagli semplici, di un qualcosa ormai perduto.
Mi guardo intorno e mi dispiace andare via.
E’ stato un bellissimo viaggio nel tempo e Dora sembra capire quella mia malinconia perché mi guarda con fare bonario come se avesse capito cosa mi passa per la testa.
- Il caffè lo offre la casa. -  Dice mentre porta via le stoviglie dalla tavola. Poi si ferma si volta  e aggiunge: - Vuole venire con me? Le faccio vedere come si fa il caffè di una volta, quello buono, buono. – Fa complice, strizzandomi l’occhio.
La seguo, ringraziandola. Felice di ricevere quell’attenzione.
Mi fa strada, passiamo dietro l’alto bancone, bisogna salire i due gradini della pedana e passiamo nel retrobottega. Sembra di entrare nella casa delle bambole. Tutto è al suo posto e ogni oggetto tenuto con cura. Molti non li ho mai neanche visti.
Dora prende il contenitore del caffè e una starna caffettiera d’alluminio anche quella, sembrano due piccoli bricchi  uno sopra l’altro, i due beccucci quasi si toccano, e ci sono due manici. La vedo preparare il caffè, come se stesse montando un alambicco e poi posizionare la caffettiera sul fuoco.
- Questa caffettiera fa il caffè più buono del mondo.- Le sorrido e poi mi invita a prendere due tazzine in un ripiano di una credenza. La caffettiera comincia a gorgogliare e Dora con un gesto deciso la volta.
- Il segreto è questo. La devi girare con decisione.- Dice fiera.-  Faceva il caffè buono anche con il surrogato. Non me ne sono mai separata. Era di mia madre. E’ più vecchia di me. – E si illumina in una risata mentre gli occhi le si velano di chissà quali ricordi.
Mi invita a sedermi, poggiamo le tazzine sul tavolo che ha anch’esso il ripiano in marmo dove si vedono tante macchie circolari. Gli aloni del contenuto di bicchieri e bottiglie. Dora vi passa la mano dalla pelle quasi trasparente, come ad accarezzarle, a sincerarsi che siano al loro posto.
Stiamo in silenzio e sorseggiamo uno dei caffè più buoni che abbia mai bevuto.
E’ un sapore nuovo per me.
Poi mi domanda in maniera discreta qualcosa di me, le rispondo volentieri senza la mia solita reticenza è come parlare con una persona di famiglia.
Mi racconta di lei della sua vita.
 Il lavoro di suo padre, capomastro, di sua madre che stirava la biancheria buona delle signore, dei suoi sette fratelli, gelosi di lei e non volevano che nessuno la corteggiasse.
Di suo marito bello come il sole, del matrimonio, la guerra i figli. Quei suoi novantasei anni condensati in un racconto ipnotico.
Andarmene adesso mi dispiace ancora di più, ma purtroppo devo congedarmi e le chiedo di farmi il conto.
- Offre la casa mia cara.- Alle mia proteste mi prende le mani tra le sue e mi dice che quello è l’ultimo giorno che la trattoria rimarrà aperta. Nessuno se ne può occupare, i figli e i nipoti hanno altri lavori.
Le sono simpatica e mi vuole fare un regalo.
- Io con questo posto ho dato un futuro ai miei figli, li ho fatti studiare tutti. Sono grata di tutto per carità e ringrazio ogni giorno la provvidenza. Però un po’ mi dispiace.-  Mi dice e sopira, e vedo che trattiene la commozione. La saluto e la ringrazio, felice di averla incontrata, consapevole che quel piccolo angolo chiudendo tratterrà in se tutto il mondo di Dora, la sua storia, tutta la vita passata tra quelle pareti bianche.
Raccolgo le mie cose mi volto e lei mi saluta con la mano.
Aprendo la porta il piccolo campanello trilla nuovamente.
 
  
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