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Autore: Nihal    25/05/2018    0 recensioni
“Potter, Albus Severus”.
La voce severa della professoressa di cui aveva già dimenticato il nome risuonò nella sala. Albus si aspettava il coro di mormorii e le teste voltate a guardarlo, ma due cose non si aspettava. Non si aspettava l’urlo di “Albus Potter Serpe!” di James, anche se avrebbe dovuto e non si aspettava il cenno di riconoscimento da parte di Scorpius, già al tavolo dei Serpeverde.
Con gambe tremanti si diresse verso lo sgabello su cui era posato l’anziano cappello e con mani altrettanto tremanti lo posò sulla sua testa.
“Un altro Potter, eh?”
La voce del cappello gli risuonò nella testa. Non sapeva se rispondere ad alta voce o pensare la risposta, così fece un cenno non compromettente con la testa che fece scendere il cappello di due centimetri buoni sulla sua testa. Sentì qualche risata ovattata.
“Vedo del potenziale”.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage | Contesto: Nuova generazione
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ATTENZIONE: questa storia parla di disturbi mentali. Consiglio di non leggere a chiunque possa considerare argomenti riguardanti il disturbo ossessivo compulsivo un trigger!




Make me weak and then save me



Capitolo 1 – Albus Severus Potter


Albus Severus Potter odiava il suo nome. O, meglio, odiava i suoi nomi. Suo padre gli aveva raccontato delle gesta eroiche dei due presidi di Hogwarts, ma lui aveva letto il volume di Rita Skeeter. Albus Dumbledore non era l’eroe senza macchie né peccati che descriveva Harry Potter. Per quanto riguardava Severus Snape, beh… quale persona sana di mente chiamerebbe il proprio figlio come colui che aveva dato i suoi genitori in pasto a Voldermort e, non pago, l’aveva torturato per i suoi sei anni ad Hogwarts solo per la somiglianza al suddetto padre morto praticamente per mano sua?
C’era una sola cosa che Albus Severus Potter odiava più dei suoi nomi. Il suo cognome. Non bastava una somiglianza inquietante al padre – checché ne dicesse sua madre, essere identico a suo padre e al suo defunto nonno non era carino, era angosciante e un pessimo scherzo della genetica – doveva anche portare il peso di essere il figlio del salvatore del mondo magico.
“Albus Severus Potter” gli aveva detto Ollivander quando era entrato nel negozio stipato di bacchette fino al soffitto a comprare la sua prima.
“Albus Severus Potter” aveva ripetuto con quei suoi inquietanti occhi grigi.
Lo so come mi chiamo, grazie avrebbe voluto rispondergli, ma sua madre, che lo conosceva meglio di suo padre, doveva aver intuito cosa stava pensando e gli aveva discretamente pestato un piede, frantumandogli circa un centinaio di ossa.
Ollivander doveva aver scambiato le lacrime di dolore per emozione perché aveva continuato il suo discorso imperterrito dalla commozione che aveva causato fino a quel momento: “Ricordo ancora la bacchetta che ho venduto a tuo padre. E a tua madre” continuò, accennando a Ginny con un sorriso educato che diceva tutto: se la tua bacchetta non ha un collegamento speciale con quella di Voldemort allora non vale niente.
“Albus Severus Potter.”
Ancora.
“I nomi che ha scelto tuo padre sono importanti, mi aspetto grandi cose da te”.
Usciti dal negozio a Ginny brillavano gli occhi per l’emozione, ad Albus per l’ennesima pestata. La sua bacchetta di Agrifoglio e crine di unicorno non gli era sembrata particolare e neanche a Ollivander, a giudicare dall’ah neutro che gli era sfuggito quando era stato scelto; ma si sa, la bacchetta sceglie il mago e Albus Severus Potter non si sentiva destinato a grandi cose.


***



I suoi genitori lo stavano ancora salutando quando l’espresso per Hogwarts prese la sua prima curva e li fece scomparire dalla sua vista. Suo padre ci aveva messo tutto l’impegno possibile per rassicurarlo che anche se fosse finito a Serpeverde non sarebbe stato un problema, ma Albus sapeva che sarebbe stata una grande delusione. Sarebbe stato come il padrino di suo padre: Sirius Black era stato una delusione per la sua famiglia, anche se nel senso opposto. Suo padre gli aveva detto che il cappello lo avrebbe lasciato scegliere, ma lui non era sicuro di fidarsi del suo istinto. Se il cappello lo avesse ritenuto un Serpeverde, allora era lì che sarebbe andato a finire. Non si era mai sentito particolarmente coraggioso, comunque. Quando James lo aveva sfidato a duello dopo aver rubato la bacchetta del padre la prima cosa che lui aveva fatto era stato andare a fare la spia da suo padre. James aveva ricevuto la punizione più lunga che gli fosse mai capitata e Albus non si era sentito particolarmente Grifondoro. Forse le urla di “stupida serpe” che arrivavano nella sua direzione ogni volta che aveva incrociato James da quella volta avevano aiutato a cementare la sua opinione di appartenere a quella casa.
Lo scompartimento che aveva scelto era vuoto. Per mascherare la somiglianza con suo padre aveva deciso di usare un berretto che schiacciasse bene i capelli sulla fronte e indossare un paio di lenti a contatto che si era procurato nel negozio di zio George ed era riuscito a passare, fortunatamente, inosservato. Ovviamente aveva indossato il tutto sul treno, non voleva offendere i suoi genitori facendogli credere che si vergognasse di loro. Un altro atteggiamento da serpe? La sua mancanza di coraggio lo sbalordiva.
Sapeva che la sua solitudine non sarebbe durata a lungo, però. Erano passati poco più di cinque minuti quando James fece il suo ingresso trionfale con appresso quello che sembrava un ragazzino biondissimo.
“Ehi serpe, ti ho portato un amico”.
L’amico non sembrava molto contento di essere trascinato per un braccio e stava cercando di liberarsi, ma la stretta di James era ferrea. Giocava a Quidditch lui, non come Albus che si era rotto un braccio la prima volta che era salito su una scopa e non aveva più voluto riprovare. James amava riportare a galla il racconto a tavola di solito.
“Lascialo in pace” replicò Albus cercando di sembrare annoiato, ma in realtà voleva nascondere i sudori freddi perché gli sembrava di riconoscere il ragazzino che non riusciva a togliersi di dosso James. Un altro degli argomenti preferiti a tavola erano le vicissitudini dei Malfoy e sebbene Albus avesse visto Draco Malfoy solo in fotografia, non poteva negare che il ragazzo biondo somigliasse a Draco quasi quanto lui stesso somigliava ad Harry Potter. Suo padre non aveva mai detto di “non fraternizzare con il nemico” come spesso faceva zio Ron, era troppo educato, ma ogni volta che Draco Malfoy veniva nominato il suo volto si induriva e non voleva immaginare a cosa avrebbe pensato se la prima persona con cui fosse venuto in contatto fosse stata proprio suo figlio.
Ma anche James sapeva a cosa stava pensando Albus ed era per quello che con una smorfia per nulla Grifondoro diede una spinta al ragazzo e si volatilizzò con un “Tratta bene Scorpius, anche lui è al primo anno!”
Scorpius, venne fuori, non era molto timido: l’impressione che aveva avuto era stata del tutto sbagliata e dettata dal fatto che James fosse tre volte più grande del ragazzo.
“Tuo fratello è un cafone” commentò, sedendosi di fianco ad Albus con un mezzo sorrisetto. Albus cercò di spostarsi verso il finestrino, ma era impossibile muoversi senza essere notato.
“Non mordo, non preoccuparti”.
Infatti.
Sapeva che James aveva iniziato ad odiarlo dopo la storia del duello, ma sperava che con il suo arrivo ad Hogwarts le cose sarebbero migliorate. E invece no. Come regalo di benvenuto gli aveva portato Scorpius Malfoy, che non sembrava in vena di andarsene o, almeno, di sedersi un po’ più lontano.
“Ci sono altri posti” suggerì Albus, sperando che cogliesse l’indizio e gli lasciasse un po’ di spazio personale.
Apparentemente no. Scorpius si mise a suo agio sul sedile di fianco ad Albus, prese da mangiare quando passò la signora con il carrello dei dolci e ad un certo punto si tolse anche le scarpe. Albus si stupì del fatto che i piedi di Scorpius non puzzassero, poi si stupì del fatto che quella fosse la prima cosa a cui aveva pensato.
“Puoi rimetterti le scarpe?” gli chiese.
“Perché? I miei piedi profumano, no? Mia madre ha incantato apposta le mie calze”.
Albus arrossì. Avrebbe voluto che sua madre avesse incantato anche le sue di calze, era sicuro di odorare come un cacio stagionato nel reparto piedi.
Per le prime ore Albus si era trovato a sperare che arrivasse qualcun altro nel loro scompartimento, ma James doveva aver incantato le porte, perché non si fece vedere nessuno, neanche i prefetti. Forse James aveva incantato anche loro.
Alla fine si arrese a passare un imbarazzante viaggio con Scorpius Malfoy e a sperare che il Cappello Parlante lo mettesse in una casa il più lontano possibile da tutti.


***



“Potter, Albus Severus”.
La voce severa della professoressa di cui aveva già dimenticato il nome risuonò nella sala. Albus si aspettava il coro di mormorii e le teste voltate a guardarlo, ma due cose non si aspettava. Non si aspettava l’urlo di “Albus Potter Serpe!” di James, anche se avrebbe dovuto e non si aspettava il cenno di riconoscimento da parte di Scorpius, già al tavolo dei Serpeverde.
Con gambe tremanti si diresse verso lo sgabello su cui era posato l’anziano cappello e con mani altrettanto tremanti lo posò sulla sua testa.
“Un altro Potter, eh?”
La voce del cappello gli risuonò nella testa. Non sapeva se rispondere ad alta voce o pensare la risposta, così fece un cenno non compromettente con la testa che fece scendere il cappello di due centimetri buoni sulla sua testa. Sentì qualche risata ovattata.
“Vedo del potenziale”.
Oh, non un altro Ollivander.
“E al contrario di Ollivander sento i pensieri”.
Ops.
“Sei intelligente”.
Insomma.
“Vedo anche del coraggio”.
Comprati degli occhiali nuovi.
“Ma soprattutto… vedo scaltrezza e lealtà”.
Le due cose non si legano molto bene insieme.
“Ah, no?”
Direi di no.
“Tuo fratello è in pericolo, così come uno sconosciuto. Puoi salvare sicuramente tuo fratello oppure puoi tentare di salvare entrambi ma la percentuale di fallimento sarebbe molto alta. Cosa fai?”
Lo sapeva. Quelle erano le domande che si faceva da tutta la vita. Cosa farei se…? Sono una brutta persona se…?
Dentro di sé conosceva la risposta. La cosa furba da fare, la cosa leale da fare era salvare suo fratello. La cosa moralmente giusta da fare? Beh.
“Non sei una brutta persona Albus Severus Potter. E prenderò in considerazione anche la tua scelta così come tuo padre ti ha sicuramente detto”.
Non merito di scegliere qualcosa a cui non appartengo.
“La penso diversamente, ma se così credi… SERPEVERDE!”
Ricordava a mala pena le risate di scherno di James, le facce sconvolte dei suoi cugini. Ricordava a malapena il volto barbuto di Hagrid, la bocca aperta in una gigantesca O, seduto al tavolo dei professori. Quello che ricordava di più erano le centinaia di dita puntate verso di lui, i mormorii…
“Un Potter a Serpeverde!”
“Deve esserci stato un errore!”
“Dev’essere la pecora nera della famiglia”.
Ricordava vagamente di aver visto qualcuno fargli cenno dal tavolo dei Serpeverde, indicandogli un posto libero, uno dei pochi rimasti. Contento che qualcuno non lo evitasse come la peste – immaginava come sarebbero stati i suoi giorni futuri da Serpeverde – si sedette grato.
“Sconvolto, eh?”
Scorpius Malfoy.
Era stato lui ad indicargli il posto: gli parlava in modo del tutto normale, con empatia. Esisteva l’empatia tra i Serpeverde? Secondo i suoi amici e parenti no. Albus si era sempre sentito particolarmente empatico, però. Sarebbe dovuto tornare dal cappello parlante e dirgli che alla fine la voleva, la sua scelta? Ma la professoressa senza nome aveva già portato via il cappello e tutti, notò con orrore, stavano già mangiando. Non potevano mangiare mentre lui era a Serpeverde.
Il suo stesso piatto era riempito di quelle che sembravano cosce di pollo e patate al forno. Non ricordava di averlo riempito.
“Mangia, sei palesemente sotto shock”.
Albus prese una forchettata di patate, obbedendo alla voce imperiosa che si rivelò essere, nuovamente, quella di Scorpius.
Scorpius che apparentemente aveva zittito una buona parte dei Serpeverde che avevano tentato di parlargli negli ultimi dieci minuti. Nell’ultima mezz’ora?
Albus mangiava automaticamente e il suo piatto chissà come continuava a riempirsi. Comprese che era Scorpius a riempirlo ogni volta che prendeva una dose per sé quando James si prese la briga di venire fino al tavolo dei Serpeverde, fingendo orrore sul suo volto, e farglielo notare: “Oh, che gentile il tuo nuovo amico a riempirti il piatto. Papà sarà felicissimo di sapere che tu e Scorpius MALFOY siete diventati migliori amici”.
Una cosa Albus ricordava benissimo della sua prima serata ad Hogwarts. Lo sguardo gelido che Scorpius lanciò a James.
“Torna al tuo tavolo, Grifondoro. O vuoi trascinarmi da qualche altra parte? La tua stazza te lo permetterebbe, ma dubito che i professori te lo lascerebbero fare. Cosa dici?”
James rimase a bocca aperta. Albus sapeva che effettivamente stava ponderando se trascinarlo da qualche parte o tornarsene al suo tavolo, ma i professori avevano davvero iniziato ad osservare la scena e una lite tra un Potter e un Malfoy non era il massimo che poteva succedere.
James non rimaneva a bocca aperta. E Albus non si faceva difendere da Scorpius Malfoy. Era tutto sbagliato.
“James sparisci e tu smettila di riempirmi il piatto!” urlò praticamente, e la metà della sala che non stava facendo attenzione subito si voltò verso di loro.
James, a dirla tutta, indietreggiò di qualche passo.
“Potter, dovresti calmarti”.
“No, non voglio calmarmi! E non darmi ordini. E tu sparisci!”
La sua scenata riuscì addirittura ad attirare l’attenzione della preside, la professoressa McGonagall, che si alzò con fastidio e si diresse a passo veloce per la sua età verso la tavolata dei Serpeverde, in fondo alla sala. A quel punto James avrebbe voluto filarsela, ma uno guardo della preside lo inchiodò lì dove si trovava, così come inchiodò Albus che avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra nascondendosi sotto il tavolo.
“C’è qualche problema?” chiese con tono gelido, lo sguardo che correva tra i due Potter e Scorpius.
Albus avrebbe voluto dirgli che il problema era Serpeverde, anzi Hogwarts e tutti i loro fondatori, ma come al solito non ebbe il coraggio di esprimere la sua opinione.
James tentò con un “Stavamo solo scherzando, professoressa” che cadde nel vuoto sotto lo sguardo di fuoco della preside.
A salvarli tutti da una punizione il primo giorno dell’anno fu, tra lo stupore generale, Scorpius Malfoy.
“Albus non si sente molto bene, professoressa. Suo fratello era venuto a controllare e gli stavo dicendo che non c’era bisogno di preoccuparsi e che l’avrei accompagnato io nella sala comune. I toni si sono un po’ riscaldati, ma è tutto a posto. Vero, Albus?”
Il tono con cui Malfoy pronunciò il suo nome gli fece un effetto strano. Era come se non potesse rifiutargli una risposta positiva: era sotto l’effetto di un incantesimo?
Dicendosi che si stava affidando alle doto di attore di Scorpius per uscire da una situazione difficile e non c’era nient’altro di cui preoccuparsi, fece un cenno con la testa.
“Allora lo accompagni in sala, signor Malfoy. E lei, Potter, torni al suo tavolo prima di vincere un nuovo primato.”
James guardò la McGonagall come se non avesse capito nulla di quello che stava succedendo.
“Far perdere punti alla sua casa il primo giorno, Potter”.
Albus poteva giurare che la McGonagall avesse alzato gli occhi al cielo.
Quando James si avviò sconfitto al proprio tavolo, Albus ricordò che oramai era obbligato a seguire Malfoy nella sala dei Serpeverde. Era il primo Potter a mettervi legalmente piede e per di più accompagnato dall’erede di Draco Malfoy. Se quello più la scenata in Sala Grande non gli avessero meritato una strillettera da casa, non sapeva cos’altro avrebbe potuto farlo.
Scorpius si alzò e, Albus, nauseato – forse perché aveva mangiato troppo, forse perché pensava che il suo destino fosse segnato – lo seguì. All’inizio pensò che avrebbe potuto perderlo dopo essere uscito dalla Sala, ma si ricordò in fretta che non conosceva la strada per il loro dormitorio, tanto meno la password. Effettivamente neanche Malfoy avrebbe dovuto conoscerla.
“Ma la parola d’ord-”
“L’ho chiesta ad un prefetto”.
Albus chinò la testa sconfitto e si decise a seguire Malfoy per gli stretti passaggi che la mattina dopo non avrebbe sicuramente ricordato.
Odiava già Hogwarts e odiava il disprezzo negli occhi di James mentre usciva dalla sala. E lo stupore in quelli di Rose. E odiava suo padre per essere famoso. Ma soprattutto, in quel momento, odiava Scorpius Malfoy che lo conduceva con convinzione come se lui fosse il suo elfo domestico o qualcosa di poco valore.
Forse quello che odio di più è me stesso.
Ecco di nuovo ritornare quei pensieri. Andavano e venivano e da quando James gli aveva appioppato il soprannome di Serpe erano diventati sempre più frequenti. Lui era una serpe dentro, era sbagliato e non meritava di far parte della perfetta famiglia dei Potter.
“Viperae”.
La voce di Malfoy che pronunciava la parola d’ordine lo riscosse dai suoi pensieri. Entrarono insieme nella sala comune: era proprio come l’aveva descritta suo padre. Verde, viscida e sotto il lago. Tutto aveva un colore verde che gli faceva venire in mente un’infezione. E lui era stato contagiato non appena aveva messo piede in quella stanza malata. O, forse, la malattia era già dentro di lui da quando aveva rivolto la parola a Scorpius Malfoy. O prima ancora, quando aveva pensato “E se uccidessi James nel sonno?”. Non era un pensiero ricorrente, ma lo terrorizzava. Sarebbe davvero stato capace di uccidere il suo proprio fratello? Sì, secondo la sua mente. E la scelta del cappello parlante confermava l’ipotesi. Però aveva anche pensato che l’avrebbe salvato in una situazione di pericolo. Voleva dire che c’era ancora speranza anche per qualcuno come lui?
Si rese conto di essere seduto su una poltrona di pietra – molto scomoda – solo quando Scorpius gli parlò di nuovo.
“Albus”.
“Non chiamarmi per nome, Malfoy”.
Scorpius sospirò leggermente, ma non diede adito ai suoi sentimenti in altro modo.
“Va bene. Potter, non ti dirò che capisco come ti senti, ma ti devi riprendere. Non puoi esplodere così”.
Lui non era esploso. O forse sì. Un flash di lui che urlava a James e Malfoy gli attraversò la mente.
“Tu non capisci”.
“No, non capisco. Ti dico solo una cosa: qui avrai bisogno di amici o non ce la farai. Siamo chiari?”.
Detto ciò lasciò Albus seduto su quella poltrona da solo, a riflettere.
Aveva appena ricevuto una richiesta – ordine – di amicizia da Scorpius Malfoy?



Salve! 😊 Allora, inizierei con il dire che sono anni che non scrivo più e il mio fandom non era neanche Harry Potter. Questa fanfiction è una specie di esperimento che non so come andrà a finire. Avevo bisogno di scrivere qualcosa ed è uscito fuori questo, ho qualche capitolo e spero di riuscire a continuarla ma non assicuro niente, purtroppo. Come ho già avvertito, uno dei temi trattati è quello del disturbo mentale, in particolare il disturbo ossessivo compulsivo, quindi se per qualcuno qualcosa riguardante questo disturbo può causare dei trigger vi sconsiglio di leggere la storia. Il rating è arancione a causa del tema trattato, ma più avanti potrebbe cambiare.

  
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