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Autore: _doubled_    25/05/2018    1 recensioni
“Ciao Cuppycake! Questa è una caccia al tesoro per trovare il tuo regalo. Sei pronto? Cominciamo semplice: due anni fa ho spento diciotto candeline, dove? Lì troverai il tuo secondo indizio!”
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mamilapo


LISANDRI'S POV


A: Pulcino <3
Sei pronto e ti aspetto giù o non sei pronto e salgo? (Salgo comunque).

Non aspettai neanche la risposta del mio ragazzo, Simone: sapevo che non era pronto per uscire, ci metteva sempre un'eternità per prepararsi, in più volevo salire per salutare Valentina, sua mamma. Entrai nell'ascensore per raggiungere il loro appartamento al quinto piano e, mentre stavo salendo, ricevetti un messaggio.

Da: Pulcino <3
Sono pronto ma ti aspetto in camera.

Per me e il mio ragazzo era normale scambiarci certe provocazioni, sia per messaggio sia di persona, e solitamente il tutto finiva con noi da qualche parte a fare l'amore; quella volta, però, non sarebbe successo: era il compleanno di Simone, nonché il nostro secondo anniversario, avevamo prenotato al ristorante in cui due anni prima mi ero dichiarato e dove saremmo andati ogni anno, e non volevo che facessimo tardi; inoltre, mi ero accordato con il Losco, un nostro amico, affinché portasse a casa di Simone il mio regalo per lui, cioè un kit di registrazione compreso di interfaccia audio, microfono e cuffie professionali. Arrivato al piano giusto, trovai la porta dell'appartamento già aperta e Valentina che mi stava aspettando: «Amore, Simo è in camera, si sta vestendo» mi informò, abbracciandomi.
«Allora lo raggiungo» dissi, andando da lui.
Bussai ed entrai prima che potesse rispondermi; lo trovai seduto sul suo letto: indossava una camicia di jeans a maniche corte e i pantaloni color cachi di Fada, il suo migliore amico. Il mio ragazzo si alzò e si avvicinò a me, così lo strinsi forte tra le mie braccia: «Auguri Pulcino mio, ti amo tanto».
«Auguri anche a te Cuppycake, ti amo anch'io» rispose, sorridendo.
Simone mi baciò con foga, facendosi spazio tra le mie labbra con la sua lingua; avvertii subito il gusto del suo dentifricio alla menta mescolato col sapore della sua bocca. Tutto quello mi piaceva da impazzire, quindi mi lasciai andare, dimenticandomi di dover portare Simone fuori da quella casa il prima possibile. Lui mi sfilò l'impermeabile grigio ghiaccio e cominciò a sbottonarmi la camicia bianca, mentre io passavo la mano nel suo ciuffo, per poi aggrapparmi ai suoi capelli neri. Simone, senza staccarsi, mi stava trascinando verso il letto, quando sentimmo la voce di sua mamma richiamarci dall'altra stanza: «Ragazzi, farete tardi!».
«Non ti preoccupare, ma'!» replicò il mio ragazzo, riprendendo a baciarmi.
A quel punto mi rinvenni, molto probabilmente il nostro amico era già per strada, perciò mi allontanai leggermente e lo fermai: «Mamma-Mone ha ragione, dobbiamo andare, tanto abbiamo tutta la notte» dissi, dolcemente.
Poco convinto, mi riabbottonò la camicia, facendomi ridere; raccolsi il mio trench da terra e me lo infilai, mentre lui indossò il suo giubbetto nero: «Ma lo fai apposta a metterti quello? Sai che quando ce l'hai te lo voglio solo togliere» sussurrai con malizia.
«Abbiamo tutta la notte» mi prese in giro, uscendo dalla stanza.
Salutammo Valentina e, finalmente, lasciammo casa sua. Arrivati al parcheggio, gli aprii la portiera della mia BMW blu scuro, poi salii anch'io; prima di partire, abbassai la capote dell'auto e notai la soddisfazione sul viso del mio ragazzo. Durante il viaggio, mentre parlottavamo, Simone domandò: «Ma quello è il camion del Losco?».
Guardai nello specchietto retrovisore e vidi proprio il furgone del mio amico, così, tentando di non essere sgamato, mi inventai una scusa: «Ci sta, magari ha staccato ora e sta tornando a casa».
Sembrò funzionare perché Simone non fece altre domande. Dopo non molto arrivammo al ristorante e raggiungemmo il nostro tavolo in perfetto orario; io ordinai delle penne agli scampi e un branzino arrosto con patate, lui invece prese dei tagliolini al ragù e una bistecca di manzo con un'insalata. Passammo la cena a ridere e scherzare tra un bicchiere di vino e l'altro, poi chiedemmo anche due dolci -io un cheesecake ai frutti di bosco e lui dei profiteroles- e ce li dividemmo. Finita la cena, uscimmo sul retro del ristorante e raggiungemmo la nostra altalena, quella dove ci eravamo messi insieme: era di legno e le corde che la sostenevano erano ricoperte di fiori e lucine; mi sedetti e feci accomodare Simone sulle mie gambe, poggiando il mento sulla sua spalla e iniziando a dondolare.
Ripensai alla sera di due anni prima, a quanto eravamo piccoli e inesperti; avevo rimuginato per mesi su come e se dirgli tutto ciò che provavo per lui, ma ero troppo spaventato all'idea che potesse non ricambiare, invece adesso mi sentivo uno stupido per aver pensato certe cose, perché Simone, senza alcuna esitazione, aveva accettato subito di essere il mio ragazzo, e da quel momento non riuscivamo più a fare a meno l'uno dell'altro.
Respirai profondamente, senza staccarmi da lui, e inspirai il suo profumo; lo abbracciai più forte e gli presi una mano, il suo punto sensibile, cominciando a fare dei ghirigori sul palmo.
«Grazie per questi due anni e per tutti quelli che verranno, ti amo ma non è abbastanza per dirti ciò che provo, però so che mi capisci perché so che lo provi anche tu» mormorò.
«Allora dobbiamo inventarci una nuova parola, tutta nostra» scherzai, portando la sua mano alle mie labbra e baciandogliela.
«Allora io ti» cominciò, per poi fermarsi a pensare.
Non riuscivo a credere che stesse davvero creando un termine per definire ciò che provavamo l'uno per l'altro, quel ragazzo mi sorprendeva ogni giorno di più.
«Mamilapo!» esclamò poi, soddisfatto.
Scoppiai a ridere e lui si voltò nella mia direzione, risistemandosi sulle mie gambe e mettendo il broncio; quello mi fece ridere ancora di più, finché non decisi di calmarmi e guardarlo dritto negli occhi marroni: «Ti mamilapo anch'io» dissi, serio, facendo spuntare un bellissimo sorriso sul suo volto.
Avevo visto centinaia di volte quell'espressione, eppure non mi ci ero mai abituato, ogni volta sentivo il bisogno di baciarlo, quindi posai le labbra sulle sue e rimasi lì, gustando il loro sapore; schiusi la bocca così che lui potesse approfondire quel contatto, ma subito fummo interrotti dal tossicchiare di un cameriere: «Scusate, vi ho portato due bicchieri di champagne, offre la casa, auguri».
Entrambi ci voltammo verso di lui, che ci riempì due calici e ce li passò, per poi lasciarci soli.
«A noi, Pulcino» sussurrai, sollevando appena il bicchiere verso di lui.
Simone lo fece scontrare col suo, sorridendo: «A noi, Cuppycake».
Bevemmo il nostro champagne, poi lui si alzò: «È l'ora dei regali!» esclamò, tirando fuori una bustina dalla tasca del suo giubbetto e passandomela, «Aspetta ad aprirla, voglio filmarti».
La presi e non la aprii finché lui non afferrò il cellulare e accese la telecamera. Sulla busta c'era scritto in verde “Per Andrea” con tanti ghirigori intorno, mentre al suo interno trovai un fogliettino che diceva:

“Ciao Cuppycake! Questa è una caccia al tesoro per trovare il tuo regalo. Sei pronto? Cominciamo semplice: due anni fa ho spento diciotto candeline, dove? Lì troverai il tuo secondo indizio!”

Non mi aspettavo una cosa del genere, Simone era riuscito a tenere il segreto per chissà quanto tempo, e ora capivo perché quel giorno fosse tornato a casa invece che passare il pomeriggio con me. Lo guardai, confuso: «Che significa? Cosa devo fare?».
«Stupido, c'è scritto» ridacchiò.
Mi alzai dall'altalena e mi guardai intorno, dopodiché tornai a posare i miei occhi su di lui: «Ma le hai spente qua, ci siamo al ristorante» affermai.
«Fada me l'aveva detto che non ci saresti arrivato» commentò, scuotendo la testa, «sforzati un po'».
Quindi il nostro amico l'aveva aiutato a organizzare tutto quello, e mi meravigliai che fosse riuscito a tenere la bocca chiusa, o forse Simone l'aveva chiamato solo quella mattina e per quello Fada non si era fatto sentire. Tentai di ragionare come quei due e pensai che magari dovessi andare al tavolino dov'eravamo seduti per il diciottesimo del mio ragazzo, quindi entrai nel ristorante, ma vidi che quel posto era occupato da una coppia di anziani: «Non posso andare a disturbarli» mi lamentai.
«Allora niente regalo» rispose, ironico.
Sbuffai e mi avviai nella loro direzione: «Scusate» borbottai, imbarazzato, «sto facendo una caccia al tesoro, avete per caso visto un bigliettino su questo tavolo?».
«Non abbiamo visto nulla, però guarda pure» disse, cordialmente, l'anziana signora, scostandosi e indicando con la testa la gamba del tavolo.
Gettai lo sguardo in quella direzione e lo vidi, appeso lì, così lo staccai, ringraziai i due coniugi e mi allontanai velocemente da loro, rosso dalla vergogna. Aprii il foglietto e trovai il secondo indizio:

“Bravo Cuppycake! Adesso, se vuoi il terzo indizio, cerca chi ci ha versato il vino l'anno scorso.”

«Il cameriere?!» chiesi, esasperato, «Come faccio a ricordarmelo? Guardavo solo te».
«Guarda che non ti dico chi è, è inutile che provi ad addolcirmi!» replicò, continuando a filmarmi.
Sbuffai una seconda volta e cominciai a scrutare uno per uno tutti i camerieri nella sala, fino a che non lo vidi: era sicuramente lui, mi ricordavo i suoi riccioli biondi, quindi andai da quel ragazzo, ancora imbarazzato: «Scusi, ha un bigliettino per me?» chiesi, timidamente.
«Certamente!» rispose, entusiasta, consegnandomi il terzo cartoncino.
Lo ringraziai e lessi il contenuto di quel pezzo di carta:

“Scherzetto! Questo non è un indizio, se vuoi trovare quello vero guarda meglio nel secondo bigliettino.”

Stavo cominciando a innervosirmi, quella era sicuramente opera di Fada, però mi stavo anche divertendo, e poi non mi sarei mai potuto arrabbiare con Simone. Tirai fuori dalla tasca dei jeans chiari il secondo foglio e cercai su tutti i lati, ma non trovai nulla; a un tratto mi accorsi che erano due foglietti attaccati tra loro e guardai Simone, soddisfatto.

“Ci sei arrivato finalmente! Ti ho fregato! Adesso dobbiamo guidare fino al luogo in cui ci siamo conosciuti.”

Riportai il mio sguardo su di lui e feci una smorfia di disapprovazione: «Siamo stati poco qua, dobbiamo davvero andarcene?».
«Ma non sei curioso di scoprire qual è il regalo?» ribatté, sporgendo il labbro inferiore.
«E va bene, come faccia a dirti di no?» sospirai, e subito Simone si rianimò, entusiasta.
Ridacchiai e mi avviai verso il parcheggio, seguito dal mio ragazzo; quando arrivai davanti alla mia macchina, notai il nuovo indizio appeso al finestrino del lato guidatore, così mi voltai verso Simone: «Te e Fada non dovete mai più organizzare niente insieme, mi state facendo impazzire» risi.
Mi sarei dovuto aspettare una cosa così infantile dal momento in cui avevo saputo che il nostro amico aveva aiutato Simone a organizzare la caccia al tesoro: già da soli sembravano due bambini -soprattutto Fada- e quando passavano del tempo insieme peggioravano ancora di più.
Aprii il foglietto e ne lessi il contenuto:

“Forse non è il caso di andare fin laggiù, basta andare dove sono inciampato l'anno scorso e dove tu mi hai preso al volo.”

«Se questo non è l'ultimo, stanotte te la faccio pagare» lo minacciai, con tono provocante.
«Anche se è il mio compleanno?» si lamentò, tentando di impietosirmi di nuovo con il suo labbro inferiore.
«Stavolta non mi freghi, bello!» esclamai, ridendo, e poi mi incamminai verso la panchina che si trovava nel giardino sul retro del locale, poco distante dall'altalena.
Vedendo quel luogo, iniziai a ricordare i fatti accaduti l'anno precedente: io e Simo stavamo passeggiando per il prato, mano nella mano, e Simone era impegnato a raccontarmi chissà che cosa, quando a un tratto mi sentii tirare verso terra; per fortuna, riuscii a prenderlo appena in tempo, prima che potesse farsi del male contro il marmo della panchina.
Presi la bustina e, sperando che contenesse l'ultimo indizio, la aprii:

“Se Giulia non lavorasse alla Barcaza, ma lavorasse qua, dove sarebbe adesso?”

Giulia era la madre di Fada, proprietaria del ristorante La Barcaza, un locale galleggiante sul fiume di Marina di Bibbona, dove lavorava anche come cuoca. A quel punto capii che dovevo recarmi nella cucina e maledii Simone per quello, così lo guardai sempre più disperato: «Perché mi fai fare questo? Sai che sono timido, non posso irrompere nella cucina così a caso» piagnucolai.
«Perché è divertente vederti in difficoltà» ridacchiò, spingendomi verso l'interno del ristorante.
Bussai alla porta, per poi affacciarmi leggermente: «Scusatemi, immagino siate al corrente della caccia al tesoro, credo che qui ci sia un bigliettino per me, posso averlo?» domandai, a disagio.
La ragazza che stava preparando i dolci si interruppe per passarmi un pezzetto di carta con una frase scritta sopra:

“Ci sei quasi! Vai dove tutto è iniziato.”

Quelle parole erano accompagnate da un cuoricino verde, così guardai il mio ragazzo per la millesima volta in quella serata: ero emozionato perché sapevo di dover tornare all'altalena e iniziavo a pensare che il regalo potesse essere qualcosa di serio e importante. Anche lui sembrava trepidante, non vedeva l'ora che trovassi il suo dono, quindi presi la sua mano libera e lo trascinai con me verso il giardino.
Sull'altalena non trovai nulla, perciò mi voltai verso di lui, confuso: «Mi hai comprato l'altalena? È ufficialmente solo nostra?».
«No, guarda meglio» mi incitò.
Mi accigliai: «Avevi detto che c'ero quasi!».
«Quasi, se continui a perdere tempo però!» replicò, impaziente.
Iniziai a guardarmi intorno, ma non vidi niente, quindi, con un'illuminazione, controllai sotto al seggiolino e trovai l'ennesimo foglietto, forse l'ultimo.

“Il tuo regalo ti ha seguito per tutto il tempo, trovalo!”

Dato che il regalo non poteva essere lui, pensai che dovesse averlo addosso, quindi probabilmente si trattava di qualcosa di piccolo, e se era davvero importante come credevo, potevo aspettarmi una cosa sola: un anello di fidanzamento.
In quel momento riuscivo a pensare soltanto a quanto effettivamente volessi sposarlo, però non era così che me l'ero sempre immaginato: avrei dovuto chiederglielo io, con un bellissimo anello degno di lui, ma non ci avevo mai pensato perché non ne sentivo il bisogno, io e Simone stavamo talmente bene insieme che non c'era motivo per cambiare le cose. Adesso che mi ritrovavo davanti a quella possibilità, ero sicuro che, nonostante fossi spaventato, niente sarebbe potuto andare male; col mio Pulcino tutto era sempre perfetto, e lo sarebbe stato anche il nostro matrimonio.
«Amore, ci sei?» mi richiamò Simone, poi allargò le braccia: «Trovalo!».
Cercai di calmarmi e di non dare a vedere il mio nervosismo, poi mi avvicinai a lui e cominciai a baciarlo con tenerezza, frugando nel suo giubbetto, dove però non c'era niente; spostai le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, ma ancora non trovai nulla, quindi ne approfittai per soffermarmi sul suo fondo schiena e tastarlo. Mi staccai appena: «Dove l'hai nascosto?» chiesi, sorridendo come un ebete.
«Dalla vita in giù» sussurrò, riprendendo a baciarmi.
Gli alzai leggermente la camicia per poter infilare le mani dentro ai suoi pantaloni, ma subito trovai una busta sul suo fianco; mi allontanai di nuovo e la sfilai.
Era impossibile che ci fosse un anello lì dentro, ma non m'importava: qualsiasi fosse stato il suo regalo, sarebbe stato sicuramente perfetto per me; in più, eravamo ancora giovanissimi e avevamo tutta la vita davanti per poterci sposare.
Aprii la busta, curioso e agitato, e ne tirai fuori due biglietti aerei per Amsterdam, a nome mio e del mio ragazzo, e la ricevuta dell'hotel che ci avrebbe ospitati i primi di Agosto, solo due mesi dopo.
«Wow, non me l'aspettavo proprio, Pulcino! Non dovevi, avrai speso tantissimo, grazie, ti amo, anzi no! Ti mamilapo» farfugliai, contentissimo.
«Stavo risparmiando da mesi, ci tenevo tanto a partire con te, ma, visto che non posso venire a Salou, ho pensato a questo, ti mamilapo anch'io» sorrise.
«Il mio regalo, invece, ti aspetta a casa tua» lo informai, stringendolo a me.
«E allora che stiamo aspettando? Andiamo!» esultò, gongolante, fermando il video che stava facendo dall'inizio della caccia al tesoro.
Risi, lo presi di nuovo per mano e lo trascinai al parcheggio; salimmo in auto e partimmo alla volta di casa sua. Il viaggio fu silenzioso, in fondo non avevamo bisogno di parole, ci bastavano i nostri sguardi e i nostri sorrisi carichi di amore. Quando arrivammo a casa, Valentina già dormiva, così andammo dritti in camera, dove trovammo il mio regalo per lui: montato in un angolo della stanza, c'era un kit di registrazione completo, avvolto da un nastro verde con tanto di coccarda. Simone lo guardò a bocca aperta, poi si voltò verso di me, fece un salto e si aggrappò alle mie spalle, urlando di gioia; riuscii a prenderlo al volo, sostenendolo da sotto le cosce: «Ssht! Che svegli mamma-Mone!» lo ammonii, riposandolo a terra.
«Grazie Cuppycake, è bellissimo! Non vedo l'ora di iniziare a registrare i miei pezzi!» continuò, avvicinandosi al regalo.
Il sogno più grande di Simone era quello di diventare un cantante, ma non era mai riuscito a comprarsi ciò che gli serviva per incidere, così l'avevo fatto io per lui, perché non volevo altro che vederlo felice.
Mi stesi sul letto e lo osservai mentre provava quell'apparecchio, poi: «Ehi Pulcino, registra qualcosa per me».

 

NdA
Ciao a tutti! Siamo tornate con una one-shot sui nostri amati Simone e Andrea. Per chi non lo sapesse, sono i protagonisti di “Ed ero contentissimo” (una nostra storia originale); le vicende narrate si svolgono poco prima di quelle della storia principale. Speriamo che vi sia piaciuta e che, se non avete letto la long, vi siate incuriositi su questo Pulcino e questo Cuppycake! Ci piacerebbe se ci faceste sapere cosa ne pensate! Grazie a chiunque abbia letto!
Un abbraccio,
Sofia e Luna

   
 
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