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Autore: MarcoMarchetta    26/05/2018    0 recensioni
Fra storia e racconto.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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LA  SCORRIBANDA  
(1076)                          
    
Ghisulfo era furente nel dettare:
'...Tu, Roberto, non solo ti sei dimostrato un mio vassallo subdolo e ribelle ma hai disatteso anche le speranze di una parente: non hai rispetto per la mia Sicelgàita, tua terza moglie. Grazie a lei hai un secondo maschio che possa trasmettere nel futuro il tuo sangue. In tuo figlio Ruggero il sangue nostro è mescolato, il tuo con il mio.
Non basta questa considerazione per allontanare i tuoi armati da Salerno?
Ormai mi resta solo questa città di tutto il mio bel principato che raggiungeva le punte della Calabria e delle Puglie. L'incarico che mio padre, Guaimaro, diede ai tuoi fratelli, Guglielmo, Drogone e Unfredo quando li assoldò come mercenari era solo quello di compiere qualche scorribanda per bloccare e tenere a freno i Bizantini.
Di quelle scorribande voi Altavilla ne avete fatte tante e tutte di conquista e occupazione a vostro vantaggio. Quando vi sazierete?
I Bizantini non ci sono più ma, in compenso, ci sono i vostri Normanni, tutti smaniosi di terre e di ricchezze. Quelli avevano sporadiche roccaforti e caposaldi, voi tutto l'intero territorio a meridione dei possedimenti di San Pietro compresa la Sicilia.
Anche il rampollo della vostra famiglia, il tuo fratellino Ruggero, ha preso il vizio di tutti voi: Bentumne di Siracusa lo invita per combattere ai suoi ordini e, scorribanda dopo scorribanda, il padrone diventa il suo servo. Così anche gli Arabi di Sicilia, i saggi e illuminati Kalbiti, si sono dovuti arrendere ai Normanni d'Altavilla.
Roberto, tu sei un fellone, traditore di ogni fede e ideale cavalleresco! E sei di un'ingordigia spaventosa!
Così stretto fra i miei spalti volevo almeno la signoria su Amalfi. Quella operosa repubblica dedita unicamente ai traffici sul mare, così prossima alla mia città, sarebbe stata ben difesa contro le scorrerie di Pisa, Genova e dei Saraceni. No, tu l'hai voluta per te: un'altra scorribanda, ovviamente per difenderla da me, e così addio Repubblica di Amalfi ben asservita a un tuo strategoto.
Allontanati, quindi, dalle mie mura...'
 
Il Guiscardo diede la lettera al suo primogenito Boemondo per sghignazzarci sopra insieme.
"Figlio" concluse ammannendo al giovane un po' della sua saggezza, "non mischiar mai i vantaggi personali con i sentimenti e non rinunciar mai al tuo tornaconto per dar valore a degli scrupoli. Non c'è nulla che valga più delle terre, castelli e titoli nobiliari e di quelli non ce n'è mai troppi.
Noi, che proveniamo da una famiglia di spiantati, dobbiamo riscattarci da un'atavica miseria e ciò è possibile solo con una inesorabile determinazione. Inoltre fra la nostra gente è d'uso il maggiorascato: il primogenito prende titolo e patrimonio e i cadetti niente; devono mettersi al suo servizio se vi sono cariche e compiti a disposizione, o arrangiarsi altrove."
"Non preoccuparti, padre. Non c'è luogo per la pietà nell'animo di un vero normanno, e chi non sa tenersi stretto il suo è giusto che lo perda.
Diamogli il colpo di grazia a Ghisulfo."
"Per modo di dire, figlio. La sua vita non m'interessa; solo la sua roba.
Inoltre, Boemondo, ho fretta di andare in oriente. C'è Costantinopoli che ci aspetta e, se i Bizantini la difenderanno come hanno fatto con i possedimenti italiani, da duchi diventeremo presto imperatori."
"Un'altra scorribanda, padre? Non sarà solo tuo suocero a piangere."
"Già.
Ora ascoltami, ragazzo, che è importante. A nord c'è il papa e quello non lo si può toccare. Io sono vecchio ormai, ma se non ce la farò io ricordati che qui è stato fatto tutto e che lo spazio per altre scorribande è là al Bosforo e oltre, verso Antiochia, Edessa, Gerusalemme, sempre più verso il sole sorgente. Hai capito, figlio?"
"Antiochia, padre? Sì, suona bene; me la devo ricordare.”
 
Marco Marchetta
 
 
CALATAFIMI  
(1867)            
                             
Carlo Filangieri, principe di Satriano, ebbe notizia della battaglia di Sadowa e della definitiva disfatta dell'Austria. Ora della Casa d'Asburgo, che si avviava verso un inarrestabile declino, e di quell'impero glorioso non aveva paura più nessuno.
Presa coscienza di questo, l'ottantaduenne generale decise che doveva dare la giusta versione di quanto accadde nel '60: nelle sue 'Memorie' non era stato troppo sincero dato che l'unità d'Italia, a danno dell'imperatore Francesco Giuseppe e suoi associati, era dovuta anche a lui.
Nel guardare dall'alto di San Martino il panorama napoletano, parte anch'esso del regno piemontese, si vergognò di essere stato tanto timoroso e si riconobbe molte iniziative che avevano portato alla disfatta di re Francesco e alla cessazione del dominio borbonico.
A casa si consultò con suo figlio Gaetano:
"Piccerì (ragazzo)" cominciò appellandolo come faceva da più di mezzo secolo, "quando sette anni fa re Franceschièlle mi richiamò a capo del governo io stavo con l'acqua alla gola, con i debiti fino a qua."
Mentre il padre faceva una specie di saluto militare, il figlio chiedeva con espressione stupefatta:
"Ma che dite, papà? E non dicevate niente?"
"E che dovevo dire? Che i vizi li ho sempre avuti, specie il gioco e le donne? E quelli costano assai.
Però il re mi voleva di nuovo, fortunatamente, e ci siamo rifatti le ossa e una posizione. Lo vedi che non è mai troppo tardi?"
"Papà, non me lo dite… Avete approfittato della vostra carica. Avete rubato ed estorto, è così?"
"No, no, ho fatto qualche affare è vero, ma è tutto guadagnato."
"Papà, io pensavo fossimo persone per bene, una grande famiglia dignitosa: il nonno Gaetano, filosofo e giurista..."
"Sì sì. Niente retorica però, noioso! Li vuoi sapere i fatti veri? Poi se vuoi correggere le mie 'Memorie' sarai libero di farlo. Io, per me, vuoto il sacco e poi posso pure morire.
Beh, lo confesso: tasse all'erario ne arrivavano poche, ho venduto parecchi titoli, appalti e prebende e ho fatto affari col Savoia."
"Vittorio Emanuele? Col nemico? Papà!..."
"Non proprio con lui, con Cavour, con La Farina che era il suo emissario. Volevano l'annessione al Piemonte e noi, sotto sotto, dovevamo spalleggiare Garibaldi."
"Un tradimento della corona, insomma."
"E sì, piccerì. Però non ti scaldare troppo, per favore.
I Borboni erano in agonia e nell'attesa dell'ultimo respiro che male c'era a fare i propri interessi? Lo sai che con quel re si lavorava per la gloria? Gratis et amore Dei.
Comunque soldi a palate a Lanza per lasciare Palermo..."
"Ventimila contro i mille di Garibaldi... Eh, già."
"Hai capito mò, Gaetà. E soldi a palate a Persano per non presidiare lo stretto di Messina e, ovviamente, prima si erano versate somme, sempre con la pala, per facilitare lo sbarco a Marsala e al generale Landi per farsi vincere a Calatafimi."
"No. Pure a Calatafimi? 'Qui si fa l'Italia o si muore'. Tutti i picciotti che vanno a dare manforte spontaneamente...
Ma voi, babbo, che ci guadagnavate?"
"Gaetà, e ti devo spiegare proprio passo passo? E quanto sei pesante! Loro pagavano a me le cifre e io ne distribuivo la metà a chi di dovere. Anche così quelli erano contentissimi e il resto lo intascavo io. Me lo meritavo, no? E se no l'Italia e mò la facevano.
Se lo vuoi sapere i picciotti a Calatafimi stavano a guardare per appoggiare chi avrebbe vinto e in quella gloriosa battaglia, grazie ai soldi dati a Landi che fece un'opportuna ritirata, si fece male sì e no un centinaio di gente."
"Papà, sarà l'età ma voi siete diventato tutto scemo. Per me le 'Memorie' le avete già scritte e non ve ne saranno altre!"
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Appuntamento al prossimo sabato, 2 giugno, con un altro racconto)
 
Marco Marchetta
   
 
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