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Autore: Miss Loki_Riddle Gold    26/05/2018    1 recensioni
Quasimodo era alla ricerca di qualcuno che lo accettasse così com’era.
Esmeralda era colei che anche con gli occhi chiusi vedeva il suo Sole, la creatura più bella esistente.
Sygin era la moglie incompresa, colei che ti aspetta a casa e che sai avrai sempre al tuo fianco.
Un sogno ingannatore e dannato.
Poi c’è /lui/, il chaos, che aveva sempre avuto una passione segreta per ciò che non avrebbe mai potuto avere.
Possibile OOC, possibile finale drammatico. Non l'ho ancora deciso.
Per ora questa storia é ferma, magari un giorno la continuerò. Non si sa.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: La Esmeralda, Nuovo Personaggio, Quasimodo
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender, Incompiuta
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Angolo autrice:
questo sarà solo un gioco con le parole, non prendetelo seriamente (anche perché temo di essere andata un po’ OOC) Loki è il /mio/ Loki, ma è sicuramente più simile a quello mitologico che a quello Marveliano. Quasimodo è, altrettanto, un mix fra quello del libro, della Disney e del musical. C’è anche il motivo di shippare la mia OTP del momento: la Loki/Quasimodo. Spero vi piaccia e che passiate un buon momento nel leggere.
Dedico l’intero racconto al mio /Quasi/ personale.
Ti voglio bene e non vedo l’ora di incontrarti.







Loki aveva sempre amato andare contro alle regole, trovare vie di fuga all’ultimo momento, cercare qualcosa che non sarebbe dovuto essere suo. Quando otteneva ciò che desiderava era quasi naturale che perdesse in quello stesso momento valore.
 Era stato così da sempre, fin da quando era sceso nei Nove Regni, quando ancora si trovava al tavolo del Chaos, era stato uguale quando aveva unito in una fraterna alleanza se stesso ed Odino. Non era cambiato nemmeno quando si era sposato – nessuna delle due volte – o quando aveva avuto dei figli. Li amava, ma li aveva già ottenuti. Avevano già perso tutto il loro potenziale. Ora si dirigeva in altre direzioni il suo potere. Si affacciava sulla mente di quegli stolti midgardiani che pregavano e credevano in un’altra divinità, un dio diverso, un dio totale. Da perderci la testa. Ora nemmeno Odino li poteva più proteggere. Per quanto potesse essere reale la loro divinità o potente, c’era davvero poco da fare contro divinità di altre provenienze o contro di lui. Adesso che, poi, era libero dai legami - ora che poteva vagare senza essere trattenuto da rocce, mogli o figli - si poteva finalmente divertire.


1482

Quasimodo, solo il giorno prima, non era riuscito a rapire la Esmeralda, come invece Frollo avrebbe voluto. Era stato condotto in carcere ad attendere un’udienza di cui non comprendeva la funzione. In realtà di tutta quella situazione non è che ci avesse compreso molto, era sordo e parlava davvero poco, in effetti aveva solo compreso che era stato sballottato da una parte all’altra, fino a finire in quel luogo buio e chiuso chissà dove. L’avevano trasportato su un cavallo, era stato chiuso in quella cella, che cosa sarebbe stato di lui lo sapeva solo Dio. In realtà non gli importava molto, Frollo sarebbe stato furioso con lui in ogni caso. Tutto era meglio di rendere furioso Frollo. Questo gli era chiaro e non gli piaceva. Non era riuscito nel suo compito di prendere la Esmeralda e portargliela, che poi per quale motivo l’avesse voluta avere non ne aveva idea. Si era messo nell’angolo più buio, esattamente dalla parte opposta dell’unica finestrella di quella stanza minuscola in modo da poter vedere la luce esterna, unica fonte di luce là dentro. Ovviamente il suo sguardo non si era spostato neanche per un istante, ma in realtà non vedeva la luce, ma la ragazza, la zingara meravigliosa che ballava scalza ai piedi di Notre Dame, rivedeva il momento in cui era stato reso Papa dei Folli, il giorno prima. Quelle persone normali che si protraevano verso di lui e lo sollevavano, che lo festeggiavano. Lui, il Campanaro di Notre Dame, festeggiato e adulato da tutti /loro/, quelli normali, quelli che non dovevano nascondersi. Lo avevano adulato, osservato, fatto sedere su un trono, con tanto di corona e di scettro. Poi lei, lei aveva ballato scalza, davanti a tutti loro. Era stato stupendo. Stupendo a dir poco. Sorrise di riflesso, continuando a fissare quel punto, quella luce che gli permetteva un legame con l’esterno. Chissà che ore erano. Chissà come avrebbe fatto l’indomani a suonare le campane. Non gli interessava in quel momento, così come non gli interessava neanche esattamente su cosa fosse seduto, beh, era di sicuro qualcosa di asciutto, ma sapere cosa era impresa assai difficile essendo al buio. Rivide davanti agli occhi lo sguardo di Esmeralda, gli dispiaceva di averla spaventata, non era sua intenzione. Poi ripensò all’uomo che la stava seguendo, un suo colpo era bastato per stenderlo. Gli dispiacque avergli fatto male. Non era sua intenzione, voleva solo proteggersi ed eseguire il compito ricevuto, rivide gli occhi di quell’angelo spalancarsi, sgranarsi spaventati. Non si accorse nemmeno di quando il sonno lo sopraffece, gli sembrò quasi normale che quegli occhi avessero iniziato ad osservarlo con attenzione, che attorno a loro si fosse andato a formare un corpo, i capelli neri, gli occhi marrone scuro, il sorriso che non preannunciava niente di buono, ma che era rivolto a lui.  Era lei che glielo stava donando, sorrise a sua volta, mentre volgeva lo sguardo al suo corpo, leggermente diverso dalla realtà. Più alta, meno riccamente decorata, era così pallida e magra che sembrava essere fatta solo di fumo, piano si andò a creare anche una sua conformità, l’abito verde scuro, lungo fino ai piedi, che la fasciava, delineandone le forme perfette, lasciando scoperte parte dei seni, con una scollatura un po’ troppo profonda. I piedi non erano più scalzi, ma coperti da lucide scarpette di cristallo. Nessuna capra al suo fianco, ma non se ne accorse, attirato com’era da quella visione, la sua mano che si allungava, quasi ad invitarlo.
“Balla con me” dissero le sue labbra. La sentì. Non si chiese più di tanto come fosse possibile. Non se lo chiedeva mai mentre sognava, ne perché tutte quelle voci assomigliassero spaventosamente alle sue amate campane, eppure avveniva sempre così, probabilmente se si fosse riflesso ora da qualche parte non avrebbe più avuto la gobba, un piede più lungo dell’altro o, ancora, una verruca sull’occhio, nei sogni era bello. Non si doveva vergognare del proprio aspetto, nei suoi sogni era salvo, libero. Bello come i normali. Mosse i primi passi, lasciandosi condurre da quella leggiadra creatura in un ballo in cui avrebbe descritto tutto il suo amore. Lo avrebbe fatto, infatti, se non fosse successo qualcosa a rompere il momento, a spezzare la magia del tutto. Proprio un attimo prima che le loro dita si incontrassero Esmeralda scomparve sotto le sue dita. Ringhiò di frustrazione, mentre il suo aspetto tornava quello di sempre. Gobbo, mezzo cieco e leggermente zoppo. Una grande luce si diffuse tutto attorno a lui. Si ritrasse, come accecato da quella luce, ma in realtà era più che mai spaventato, guardò con l’unico occhio che riusciva ad usare per bene in quella direzione. Si era già svegliato? Ringhiò di nuovo, mostrando più saliva possibile, come a voler allontanare qualsiasi nemico da lui. La luce iniziò a sparire poco alla volta, tornando a una situazione di normalità, mentre sentiva una risata giungere alle sue orecchie. Non era tornato sordo, quindi stava ancora sognando. Strano, non era mai rimasto addormentato alla vista della luce. Un giovane ne fuoriuscì. Capelli rossi come i suoi, alto, entrambi gli occhi aperti – si concentrava sempre su questo dettaglio - e azzurri, un tale colore che ad osservarlo per troppo tempo lo avrebbe ipnotizzato, nessuna gobba in vista, ma muscoli, seppur non eccessivi e ben nascosti. Se si fosse fermato lì nella sua analisi avrebbe potuto credere che si trattasse di un qualche nobile, di un principe, magari, o di un angelo, perché era così bello. Invece era così dannatamente magro, quasi famelico. Quasimodo non sapeva bene se avesse intenzione di avvicinarsi o di allontanarsi, il suo aspetto era ambivalente, qualcosa di velenoso e letale che si accompagnava alla più delicata delle colombe. Come se Dio e il Diavolo avessero potuto fare un figlio assieme, fu il suo pensiero a quella vista. Rimase lì, fermo, osservandolo e quasi proteggendosi nel buio.
- Chi sei?- Ringhiò, ma senza avvicinarsi, quasi cercando di proteggersi e minacciare al contempo. Se erano in un suo sogno col cavolo che avrebbe permesso a quella creatura di rovinargli il momento. Anche se a ben considerare poteva essere un mostro prodotto dalla sua mente, ma a questo Quasimodo non ci pensò neanche un attimo, anche perché non conosceva tale possibilità.
La creatura rimase in silenzio inizialmente, poi, con un movimento lento avanzò, quasi fosse un agguato, solo che non rispose nello stesso modo.
- Un ballo, un bacio… nulla di più scontato, a parte un fatto: tu la conosci quella ragazza. Perché non fai nulla per renderlo reale, a meno che tu non consideri tale rapirla… ma anche lì avrei qualcosa da ridire.-
Quasimodo questa volta perse totalmente la pazienza, gettandosi su di lui, prendendolo per il colletto e con forza inaudita lo sbattè contro un muro che si era andato appena a creare.
– Chi sei? Come fai a sapere quelle cose? Come osi parlarmi così nei miei sogni? – Non strinse ulteriormente la presa, notando che il volto dell’altro era cambiato. Capelli in parte grigi, la chierica, il volto lungo, gli occhi scuri che lo guardavano duro. Frollo. Lasciò la presa. Il volto si aprì in un sogghigno, i capelli tornarono ad essere rossi, gli occhi azzurri, ma Quasimodo si era subito gettato ai suoi piedi, senza guardarlo.
– Ecco perché… sei ridicolo. Sei grande e grosso e… ridicolo.- Disse, prendendolo in giro, Quasimodo alzò lo sguardo su di lui, la sua ira era sfociata non appena aveva visto il volto di Frollo. Mai e poi mai avrebbe permesso a Frollo di invadergli anche i suoi sogni, anche se a volte lo immaginava come un enorme cielo sopra il quale si trovava Notre Dame e che doveva scalare per riuscire a tornare a casa.
- Tu non esisti.- Disse, lentamente, come se stesse cercando di modulare le parole.
- Sbagliato… di nuovo. – La creatura allungò un dito, toccandogli il naso. – In ogni caso puoi chiamarmi Loki, allora… perché non ti sei mai dichiarato a quella ragazza?-
Quasimodo lo guardò dubbioso, ma che importava, era protetto. Stava sognando e lì, davanti a lui si trovava una sua immaginazione – stava diventando bravo ad immaginarsi le cose – non avrebbe mai rivelato a nessuno i propri segreti semplicemente perché non esisteva.
- Perché… Guardami, io… lei non mi potrebbe mai volere.- La sua voce era sembrata più un mormorio conciso e depresso che altro, neanche lui si rendeva conto della cosa. Ancor peggio se l’altro si avvicinava a lui e gli prendeva il volto con una mano come stava effettivamente facendo.
- Ti guardo e ti guardo a fondo, ma non vedo questo orrore di cui vai parlando.-
Lo osservò negli occhi, occhi che rimandavano al cielo, occhi che rimandavano a un fascio di luce che ti colpisce in pieno volto. Sentiva il suo alito sul volto, sapeva di chiuso, di qualcosa di maleodorante, una stanzetta dove passa davvero poca aria, dove il ricambio è insignificante, ma sufficiente per lasciarti in vita.
I suoi occhi non erano più occhi, erano una finestrella dalla quale proveniva la luce del primo mattino. Non c’era più nessun contatto, quel qualcosa era sparito, ma non le sue parole. Quelle parole che avrebbe tanto desiderato sentirsi dire da una donna, da una zingara che danzava scalza con una capretta al fianco. Parole che, in ogni caso, non sarebbe mai davvero riuscito a sentire.
- Loki.- Sussurrò o, almeno, le sue labbra si mossero e il pensiero corse a quella creatura che era ruscito ad incantarlo. Loki, l’unico che gli avesse mai rivolto parole benevoli, ma esisteva davvero?
Non se ne accorse subito, ma presto, quando sarebbe uscito si sarebbe accorto, a causa del vento che gli colpiva il corpo che era sudato. Non gli era mai successo di svegliarsi sudato.
Un sogghigno, una risata, provenienti da qualche parte, in qualche tempo sconosciuto si fece strada nella sua mente e in tutto il circondario, il gioco era appena iniziato.
   
 
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