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Autore: alessandroago_94    26/05/2018    8 recensioni
603 d.C, Italia Settentrionale.
Rufillo ben sapeva che esistevano due realtà quasi contrapposte, due mondi distinti. Ciò che c’era al di là del Limes Tiberiacus, l’ultimo baluardo a difesa di quello che restava della romanità, era qualcosa di travolgente, nella sua immensa barbarie.
O, almeno, così era stato fin all’avvento della regina Teodolinda, prima sovrana cattolica dei Longobardi. Si diceva che ella amasse dedicarsi alla lettura.
Allora, l’ultima missione di una vita lunghissima e resa però resistente dalle continue e tanto desiderate privazioni, sarà quella di far giungere tra le mani di una regnante barbara un preziosissimo testo sacro, così che i suoi occhi così dotti potessero essere per sempre illuminati e guidati dalle parole che avrebbero influenzato per secoli la vita di milioni di persone.
Racconto classificato secondo (a pari merito con FatSalad, Le due cetre) al Contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp.
Racconto vincitore di due premi speciali; Rivelazione maschile (miglior personaggio maschile) e Verità o Menzogna (miglior storia di genere giallo/thriller).
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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Capitolo nove

CAPITOLO NOVE

 

 

 

 

 

 

 

 

“Voi tutti che vivete rinchiusi entro le mura del monastero osservate, pertanto,

sia le regole dei Padri sia gli ordini del vostro superiore e portate a compimento volentieri i comandi che vi vengono dati per la vostra salvezza(…).

Prima di tutto accogliete i pellegrini, fate l'elemosina, vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può dire veramente consolato colui che consola i miseri”.

Cassiodoro, Institutiones.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rufillo non avvertiva altro che il semplice fruscio della natura. Ancora.

“Questi Longobardi”, tornò a dire l’amico a cavallo, “vivono in un regno di boschi e di rovine?”.

Il monaco sapeva che parlava per scacciare le paure, per quello lo avrebbe assecondato. Era poco avvezzo alle parole, bensì più portato per i fatti.

“Stanno ricostruendo le antiche città. Non vivono nei boschi, né nelle rovine, bensì in grandi curtis, una specie di fattorie”.

“Io posso solo chiedermi come abbia fatto un Cassiodoro(1) ad ambientarsi in terre così misere”, borbottò infine il Vescovo, con tono sconsolato.

Per Rufillo, quello risultò quasi un affronto, ed infatti quella pace interiore che lo dominava andò in mille e più frantumi, all’improvviso. Era da tantissimo tempo che qualcuno non gli ricordava il suo passato e la sua vera identità, e tutto ciò parve tornare a piovergli addosso come un macigno.

Il suo vero nome, Lucio, abbandonato per accogliere quello di Rufillo, come il santo ateniese che era giunto dalla Grecia per sconfiggere il drago che spadroneggiava tra Forum Livii e Forum Popili(2). Era un nome da devoto al sacrificio.

Suo padre, conosciuto da tutta Ravenna come Cassiodoro(3), in virtù della gens alla quale apparteneva, era stato un fedele servitore del re ostrogoto Teodorico, e in seguito dei primi Esarchi. Lui, suo ultimo figlio nato durante la sua senilità, era stato destinato a grandi studi, ma aveva scelto di ripudiarli per via della vocazione che avvertiva dentro di sé.

A suo modo, aveva lasciato alle spalle anche la prima parte della sua vita molto agiata, condotta presso la corte di Ravenna, dove anche il padre del Vescovo aveva prestato a lungo servizio. Erano stati molto amici fin da bambini, ma la vocazione aveva sbaragliato ogni altro sentimento terreno, alla fine.

Dio gli aveva dato il dono della vita, e lui l’avrebbe usato al meglio.

Da brivido quell’ennesimo ricordo di un’esistenza passata che aveva cercato di dimenticare in tutti i modi.

“Un tempo ero Lucio, un tempo ero un Cassiodoro. Ora sono solo Rufillo, umile servo del Bene e del Signore”, sancì, infine, a mezza voce.

“Eppure la tua famiglia aveva combattuto contro i barbari…”, tornò ardito il Vescovo.

“Diversi secoli fa, quando la barbarie dei Vandali(4) aveva messo a rischio ogni prospetto di civiltà; ma i Longobardi non sono come quei distruttori senza cuore”, spiegò.

“Sai una cosa, Rufillo? Un giorno gli stendardi della civiltà torneranno anche qui”.

“Nessuno può più difenderci”.

“I Greci…”.

“I Greci sono, per l’appunto, Greci. Le aquile dorate(5) non torneranno mai più, non saranno più innalzate contro il nemico da conquistare”, replicò con immensa freddezza il monaco. Ad averlo spinto a proseguire il dialogo era stato solo il fatto che l’amico era anche un suo superiore, e lui rispettava le cariche predisposte sulla Terra dal Signore, altrimenti non si sarebbe mai azzardato in terreni così scoscesi.

Quelli erano discorsi che lo facevano soffrire e gli davano tormenti troppo terreni, pensieri che andavano al di là delle lodi a Dio, alle quali aveva votato la sua vita.

Mentre si stava irritando più del dovuto, non riuscendo a controllare le proprie emozioni e temendo che il suo lato più barbaro stesse per emergere, quello stesso che era stato stimolato dalla lunga convivenza con i Longobardi, qualcosa interruppe quel concitato momento. Infatti, il rumore di zoccoli in avvicinamento gli fece aguzzare le orecchie, e si immobilizzò sul posto, guardingo.

Dietro di lui, il Vescovo faceva altrettanto, così come i dieci soldati dell’Esarca(6), che sguainarono le armi.

Rufillo si volse verso di loro e fece cenno di rinfoderarle; conosceva i modi di fare dei Winnili, e coloro che si stavano muovendo verso di loro avevano senz’altro intenzioni amichevoli, altrimenti sarebbero stati molto più silenziosi.

La ridottissima guardia armata eseguì con reticenza ciò che era stato ordinato.

Ben presto, un nutrito gruppo di cavalieri apparve in lontananza, e si avvicinò al galoppo.

Il monaco sorrise, quando riconobbe il nobile Duca, che cavalcava davanti a tutti; il suo Adalberto era uomo ormai, ed emanava autorità solo con la sua presenza.

Giunse di fronte al gruppo di stranieri e fermò il suo cavallo, salutando in latino.

“Siate i benvenuti nelle mie terre”, affermò, poi. Sia i Longobardi e sia coloro che provenivano dalle terre al di là del Limes si studiarono un po’, con un Vescovo rimasto impettito e le guardie altrettanto.

Rufillo invece sorrise con sincerità ed andò incontro al suo signore.

“Che Dio vi benedica”, affermò, felice.

Molti Longobardi sorrisero a loro volta; erano arimanni esperti e maturi, ed alzarono i loro scudi, sui quali era stata impressa una croce(7). A quella vista, gli stranieri parvero tranquillizzarsi.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

(1)antica famiglia romana(di probabile origine siriana), una delle più influenti in epoca tardo-imperiale e nei primi secoli dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. I Cassiodoro erano ricchissimi e godevano di grande fama. Ricoprirono numerosi incarichi di immenso prestigio, soprattutto tra il V e il VI secolo d.C.

 

(2)odierne Forlimpopoli e Forlì. Rufillo fu infatti un santo ateniese della chiesa delle origini, che giunse a Forlimpopoli probabilmente attorno al IV secolo d.C.

Si narra che Rufillo(spinto ed aiutato da Mercuriale da Forlì) uccise un drago che si era installato tra le due città, entrambe situate lungo l’importantissima via Emilia. Naturalmente, tutto ciò è una allegoria; il drago rappresenta il paganesimo e le prime eresie. Rufillo, poi reso santo, combatté arduamente contro i movimenti religiosi non accettati dai primi pontefici.

Attualmente, san Rufillo è il patrono di Forlimpopoli, presso cui riposano le sue spoglie.

 

(3)colui che è passato alla Storia come Cassiodoro Senatore. Fu consigliere di Teodorico, prestò a lungo servizio presso la corte di Ravenna con grande talento e carisma. Ebbene, il nostro Rufillo altri non è che il suo figlio più giovane.

Flavio Magno Aurelio Cassiodoro(485-580 d.C. circa) era molto credente, per questo fondò anche un monastero e la rispettiva biblioteca, essendo un grande amante dei libri e del sapere.

                                                                                       

(4)i Cassiodoro entrarono nella Storia grazie alla grandissima resistenza che opposero contro i Vandali durante il V secolo.

Quando questi barbari si stanziarono nel Nord Africa(zona dell’attuale Libia-Tunisia), iniziarono a minacciare seriamente la penisola italiana, unico possedimento rimasto in mano all’Imperatore di Ravenna. L’antenato del nostro Rufillo(conosciuto semplicemente come Cassiodoro) costruì una grande flotta e si mise a difesa dell’Italia, stanziandosi nei porti dell’attuale Calabria. Ottenne l’effetto desiderato; durante il periodo del suo servizio, i Vandali non giunsero mai a saccheggiare Roma o a mettere seriamente a repentaglio l’ultimo lembo di terra in mano romana.

 

(5)simbolo rappresentante le antiche legioni romane.

 

(6)delegato dell’Imperatore d’Oriente al governo dei possedimenti italiani.

 

(7)nonostante la religiosità resti un problema per i Longobardi, in numerose fare(come, ad esempio, questa che ormai ben conosciamo), la religione cristiano-cattolica radicò abbastanza in fretta. In altre fare, invece, l’arianesimo continuò a provocare dissidi per secoli, giacché era ritenuta eresia. Da qui la nascita delle prime spaccature tra pontefici e Longobardi; i primi, nel secolo successivo ai fatti narrati, si ritrovarono a richiedere l’aiuto dei Franchi(cattolicissimi) per riuscire a liberarsi dall’insidia longobarda.

Sono passati quasi vent’anni dai momenti ricordati dal nostro Rufillo nei capitoli scorsi; la mentalità longobarda si è evoluta, si costruiscono armi appariscenti e non solo da battaglia, e sì, si ornano i propri oggetti anche con simboli religiosi, come le croci che appaiono su questi scudi.   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Semplicemente, grazie a tutti ^^

   
 
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