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Autore: blu panda    27/05/2018    2 recensioni
E' stata raccontata da mille bocche e udita da mille orecchie.
Su di lei sono stati creati culti, religioni, movimenti. C'è chi ci crede ciecamente, chi la ode e sorride dell'ingenuità di chi vi si affida.
Ma è sempre stata sacra per ogni Lupo, credente o miscredente che sia.
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"Fu così che il figlio governò il padre con mano salda, e i suoi eredi e gli eredi dei suoi eredi governarono sulla prole del Lupo nei secoli a venire".
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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L'alba del Lupo


 
Secoli e secoli fa, millenni addirittura, lungo le coste di un’antica terra dove il cielo si fonde con il mare e le foreste bagnano le loro radici nell’acqua salmastra, una giovane donna ambiziosa e impudente, ebbe l’ardire di invocare un dio.
Il dio, dall’alto, vide solo i suoi capelli rossi come la fiamma che guizza e udì solo la sua voce ferma e profonda, e decise fosse una cosa buona scendere dalla sua dimora celeste e ascoltare le preghiere della donna.
Con sua sorpresa, si accorse che era solo una ragazza, vent’anni o forse meno. Non si fece spaventare dal fulmine sul quale il dio viaggiava e che schioccò in tutta la sua potenza a pochi passi da lei.
La donna gli offrì cibo, bacche, foglie profumate. Si levò la veste, scoprendo i prosperosi seni candidi, e la pose anch’essa sulla montagnola di offerte. Non erano doni preziosi ma il dio rimase colpito da quella donna disposta a spogliarsi di tutti i suoi averti per un’unica udienza.
Nel suo sguardo cinerino non c’era incertezza o paura e il dio decise che avrebbe esaudito la sua richiesta.
E la donna le chiese di essere maga, per vendicarsi del marito che con le sue percosse aveva ucciso il bambino non ancora nato che aveva portato in grembo, e l’aveva resa sterile.
Allora il dio fu convinto da quelle parole e richiamò a sé la natura, il limpido fragore delle acque, l’assordante rombo della linfa che scorre nei tronchi degli alberi, il silenzio immoto delle pietre delle montagne, e le infuse nella donna, che parve quasi crescere in statura mentre accoglieva nel petto quel potere.
Poi prese la donna per mano, la condusse sotto un grosso salice e tra le sue foglie si unì a lei, rendendo nuovamente fecondo il suo ventre.
 
Quando il dio salì alla sua casa, la donna fece ritorno al suo villaggio.
Avvolta in una veste candida tipica delle sacerdotesse di quella regione e appesantita da una gravidanza avanzata fece strazio del corpo del marito. L’aveva trovato al lavoro nei campi, e le era quasi sembrato un bravo uomo. Ma lei conosceva la sua vera natura, e aveva bagnato col suo sangue la Terra.
Poi, a pochi passi dal luogo della vendetta, tra i campi di grano dorato, le contrazioni del parto la sorpresero e dette alla luce una bambina.
Con lei scappò nel folto del bosco, rincorsa dagli abitanti del villaggio che erano stati richiamati dalle sue grida ed erano accorsi, trovando il cadavere.
Il padre della piccola aveva osservato la scena e aveva reso il passo della donna leggero per volare sopra le radici, la bambina silenziosa perché non facesse scoprire le due con il suo pianto.
Madre e figlia, stremate, erano riuscirono ad addentrarsi nel fitto della foresta e a trovare una casupola abbandonata.
Quel semplice ricovero divenne ben presto la loro casa, una graziosa dimora immersa tra i fiori e nascosta nel folto.
Il dio aveva preso a cuore la sorte della bambina, che cresceva forte, sana e graziosa, e non le faceva mai mancare cibo e compagni con cui giocare e le chiudeva gli occhi con calda bruma quando era tempo di dormire.
Vissero così per lunghi anni, guadagnando dal mestiere di guaritrice, indovina e stregona che la madre svolgeva tenendo segreto il suo volto.
 
La bambina crebbe e crebbe, sempre più selvaggia, sempre più affamata di conoscenza e sempre più insofferente alla vita ritirata che era costretta a vivere. Il gioco con le volpi, la raccolta dei primi fiori estivi non la divertivano più come un tempo e il suo unico pensiero era il mondo fuori dalla capanna. Ne aveva sentito parlare da un forestiero e ne era rimasta incantata. Non era riuscita a sentire molto di quelle storie perché sua madre era intervenuta, cacciando via l’uomo, ma quel tanto era bastato per farle sognare di città candide inerpicate sulle montagne, di vita che brulicava nelle strade.
Non capiva perché la madre fosse così protettiva, così soffocante.
Così, una notte in cui sua madre si era attardata nel curare un contadino ferito qualche miglio fuori la foresta, colse l’occasione. Racimolò le sue poche cose in un fagotto, saccheggiò la dispensa e con piglio deciso uscì di casa, iniziando il suo vagabondare.
 
La madre, una volta tornata, non trovando la figlia si disperò e invocò il dio con voce così alta che le sue parole vennero udite fin tra le nuvole.
Il dio accolse di nuovo quelle parole, senza la curiosità che lo aveva spinto ad incontrare la giovane donna, sedici anni prima, ma con una disdicevole preoccupazione per la figlia mortale.
Anni, minuti, secondi prima, però, era stato accecato da tizzoni ardenti gettatigli in volto da un dio rivale a cui aveva fatto un torto. Le genti ricordavano quel momento. Il cielo aveva cominciato a piangere le sue lacrime incendiate, e i fulmini avevano preso a cadere causalmente, come se chi li governava non ne avesse più il pieno controllo.
E così il dio, ruggendo di rabbia, mandò a chiamare uno dei principi a lui più fedeli, colui che offriva doni più sostanziosi, bruciava più incensi, e lo nominava nelle sue preghiere.
Il principe venne condotto nella dimora celeste sulle ali di un gigante corvo nero. L’animale era incaricato di far scendere la notte con le sue ali nere e il principe poté godere dello spettacolo del mondo che si assopiva sotto i suoi occhi.
Una volta giunto, vide il dio che seduto su un trono dorato che senza vederlo davvero, con gli occhi cerulei, immersi in un volto pieno di cicatrici di bruciature e di passate battaglie.
Gli chiese di trovare la figlia per lui e come ricompensa gli offrì tutto ciò che il suo cuore desiderava.
Il giovane principe partì su di un cavallo divino, che percorreva centinaia di leghe in minuti. Trovò la ragazza in un mercato cittadino intenta a comprare mele. La caricò a dorso di cavallo senza una parola, legata per impedirle di scappare e la portò nel suo palazzo, adagiandola su di un altare dedicato al dio suo padre. Ve la depositò sopra e invocò tutti i nomi della divinità per richiamare la sua attenzione.
Compiaciuto e sollevato dal ritrovamento, il dio parlò dalle nuvole, intimandogli di esprimere il suo desiderio.
Il principe, che dalla moglie aveva avuto solo bambini gracili e sparuti, non si fece scappare l’occasione. Chiese di poter avere un figlio dalla donna, così da garantirsi una stirpe forte e feconda, discendente da una semidea.
Allora il padre fece scendere un sonno profondo sulla figlia, e permise al principe di accoppiarsi con lei sul suo proprio altare.
La sua gravidanza durò dodici mesi, e il bambino crebbe nel suo ventre attraverso le quattro stagioni. Quando venne il momento, si fece strada tra i lombi della madre e le si arrampico fino al petto, suggendo nutrimento dal suo seno.
Quando la ragazza si svegliò, capì ciò che era successo e la sua rabbia si accese in un istante.
Il principe, richiamato dalle sue serve che gli annunciavano la nascita del suo erede, corse fino al giardino per accogliere suo figlio.
Ma ciò che trovò fu la ragazza che stringeva il neonato al petto con una mano e l’altro braccio steso verso di lui. La madre di suo figlio, con gli occhi incendiati come fiamme ardenti, i capelli dorati smossi da una forza invisibile, gli parlò con una voce profonda, come d’oltretomba:
“Tu hai osato profanare il mio corpo sacro, di donna mortale, dea e strega. E io ora ti condanno a trasformarti in lupo, diviso tra la tua metà umana e il tuo istinto animale, non più padrone del tuo corpo, come non padrona del mio hai reso me. Questo bambino che hai voluto ardentemente, ora io lo designo come tuo signore e padrone. Egli crescerà in forza e fermezza, e comanderà su di te e sulla tua stirpe futura con mano salda. E tu e la tua stirpe sarete i suoi servi, perché io ho voluto così, fino a che la notte si trasformerà in giorno e l’acqua salmastra diventerà dolce”.
La ragazza lasciò il principe a contorcersi. Accompagnata da urla e suoni di ossa rotte di un corpo in trasformazione attraversò i corridoi del palazzo, fino alle stanze della principessa, che si era nascosta con la sua prole. Staccò il bambino dal suo capezzolo e glielo porse. Le intimò di trattarlo come figlio suo, e di crescerlo come il suo nobile sangue richiedeva o anche lei sarebbe incorsa nella sua ira.
Poi tornò sui suoi passi e non tornò mai più indietro.
 
Fu così che il figlio governò il padre con mano salda, e i suoi eredi e gli eredi dei suoi eredi governarono sulla prole del Lupo nei secoli a venire.

Note:
Questa è una leggenda che dovrebbe far parte di una storia più ampia che probabilmente non vedrà mai la luce. E' stata sccritta e pubblicata di getto, ma volevo evitare di tenerla nel cassetto, nonostante sappia che non è assolutamente perfetta. 

Se siete arrivati fin qui, grazie di cuore :) 
  
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