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Autore: FireFistAce    27/05/2018    1 recensioni
"Perché piangi?"
Ed il castano non lo sapeva come mai piangeva, perché era così convinto di aver rinchiuso i sentimenti in un angolo così remoto del proprio cuore che non avrebbero mai potuto fuoriuscire, eppure era bastata una sola parola per aprire il Vaso di Pandora che gli dimorava dentro.
[Storia partecipante alla 26 Prompt Challenge indetta dal gruppo "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart"]
{Prompt 4/26: Prigionia}
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marco, Thatch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prigionia

/pri·gio·nì·a/

sostantivo femminile

1.
Stato di segregazione forzata in luogo angusto, con privazione della libertà di movimenti; reclusione.Condizione di isolamento dalla vita sociale della comunità.

.


Wanna be friends?


Era buio in quella stanza, da quanto il castano si trovava chiuso là dentro? Ma alla fine se lo meritava, aveva disubbidito agli ordini e quella era la sua punizione.

Le manette chiuse alle caviglie facevano male, dotate di aghi piantati nella carne ed ogni movimento era una tortura, mentre quelle ai polsi erano normali.
Certo, non potevano rovinargli l'utilizzo delle mani: per l'assassino che era lui quelle erano indispensabili, in quanto esperto di sostanze velenose da utilizzare nella creazione dei pasti nel ristorante sotto copertura ove lavorava.

Alzando lo sguardo smeraldo sulla spessa porta in legno che lo separava dalla libertà, il giovane cercò di richiamare alla mente informazioni che potessero aiutare a comprendere il passare del tempo.

Era stato chiuso in quel buco che era sera appena calata e sapeva, per esperienze passate, che il cibo veniva portato una volta ogni due giorni e da quando era là aveva ricevuto da mangiare tre volte, ma dall'ultima erano passate già molte ore. Questo voleva dire che era stato imprigionato almeno una settimana prima e che se non fosse stato liberato entro la fine della giornata allora gli sarebbe spettato il mes-

La testa del castano scattò verso la parete collegata all'esterno quando rumori di battaglia giunsero alle sue orecchie, e le iridi si sgranarono quando la terra fu scossa da un terremoto.

Ah, pensò, Perfetto.

Sarebbe morto lì dentro a causa di un fottuto terremoto. E anche fosse riuscito a liberarsi, cos'avrebbe fatto? Aveva fame, era stanco ed era ferito, non poteva stare in piedi, non era bravo nel combattimento come i suoi compagni di Accademia.

Abbandonò la nuca contro la parete contro cui era seduto e stese le gambe, un'espressione di malcelato dolore sul volto nel muovere inavvertitamente le caviglie.

Sarebbe morto e la cosa gli andava bene, perché lui non era importante e nessuno lo avrebbe pianto.

---

Marco atterrò elegante sul campo di battaglia, gli artigli sporchi del sangue nemico che tornavano ad assumere la forma di piedi mentre le ali di fiamme blu lasciavano spazio a braccia e mani.
Affianco a lui, Vista sorrise soddisfatto mentre si lisciava i baffi con una mano.

"È stata una bella battaglia."
Disse ad alta voce lo spadaccino, ma il biondo non lo stava ascoltando: si era già avviato verso la struttura che rappresentava molto probabilmente la base nemica.

Dovevano recuperare un compagno, dopotutto, e chiunque doveva imparare che con i pirati di Barbabianca non si scherzava.

Il giovane secondo in comando si diresse con sicurezza verso i piani inferiori della struttura, laddove le prigioni erano sempre situate, la presenza di Vista costante alle sue spalle, e, dopo aver afferrato le chiavi che riposavano ormai abbandonate appese ad un gancio, iniziò ad aprire ogni porta presente.

Giunto alla terza, si fermò con curiosità e confusione, adocchiando la figura abbandonata contro al muro.
Per un istante temette che si trattasse del compagno che stavano cercando, poi si rese conto che i tratti non combaciavano e si tranquillizzò, passando però le chiavi al proprio compagno per potersi avvicinare alla figura sconosciuta.

---

Il rumore della porta che si apriva distolse il castano dai propri pensieri, e con disinteresse scostò lo sguardo dalla parete di fronte a lui per poter osservare il nuovo arrivato.

Una figura sconosciuta se ne stava sulla porta, il volto oscurato dalla luce che si trovava dietro di lui, fuori da quella prigione infernale, ed il giovane assassino tornò presto ad osservare le travi di legno della parete a lui opposta.

Ignorò i passi che si avvicinarono tanto quanto quella figura che si abbassò sulle ginocchia per poter raggiungere la sua attuale altezza, ma si ritrovò inevitabilmente a guardare l'intruso quando lo sentì parlare.

"Che ci fai qui?"

Che domanda stupida, pensò, scostando nuovamente le iridi smeraldo e percependo lo sguardo dell'altro su di sé.
Nonostante questo, sobbalzò un poco quando una mano gli sfiorò le caviglie.

"Non voglio farti niente di male. Voglio solo toglierti queste manette."

Una smorfia si dipinse sul volto del prigioniero, ma non disse nulla e si limitò ad osservare in silenzio il lavoro dell'altro, i cui lineamenti erano più visibili grazie alla luce che proveniva dalla porta spalancata.

Spalle larghe, volto dai lineamenti marcati ed occhi così azzurri da far concorrenza al cielo stesso. Anche quello strano ciuffo biondo sulla testa attirava molto l'attenzione.

Ad ogni modo, appena le manette alle caviglie caddero a terra con un tintinno strinse le labbra per trattenere un verso di dolore, ma l'espressione di stupore e preoccupazione che si dipinsero sul volto del biondo lo distrassero dall'agonia che straziava la sua pelle, e subito le mani dell'altro corsero a liberargli anche i polsi, forse nel timore che lo stesso trattamento fosse stato riservato anche agli arti superiori, ed un verso di sollievo gli sfuggì dalle labbra socchiuse nel notare che la pelle era invece intatta.

"Cos'hai fatto per finire con queste, mh?"

Sentì mormorare, ma il castano non rispose e scosse solo appena la testa, lo sguardo di chi ormai si era arreso all'idea della morte inevitabile che gli sarebbe spettata.

"Sono tutti morti, ormai."

Pronunciò ancora la stessa voce, ma con tono più alto per farsi sentire meglio mentre aiutava il ragazzo liberato ad alzarsi, sostenendolo per non fargli poggiare troppo peso sulle caviglie ferite.

"Vuoi venire con noi? Oyaji sarebbe sicuramente felice di accettarti in famiglia."

Ed un'espressione di puro stupore si dipinse a questo giro sul volto del castano, mentre le iridi smeraldo si puntavano sul suo salvatore.

"Con... Voi?"

Chiese alla fine, incerto, la voce roca a causa di giorni interi votati al totale mutismo e alla gola secca, e si ritrovò a premere le labbra in una striscia unica quando lo sguardo azzurro cielo del biondo si puntò nel suo verde smeraldo.

"Sì, con noi. Siamo pirati."

Rispose il biondo con tono leggero e sguardo felice.

"Sai, siamo venuti qui perché avevano rapito un nostro compagno e dovevamo insegnare a questi stolti che nessuno scherza con noi, così li abbiamo fatti fuori."

Oh sì, il castano aveva sentito il nuovo prigioniero appena era stato portato. Aveva passato almeno due giorni ad urlare che si sarebbero pentiti di averlo catturato e che la sua famiglia sarebbe venuto a riprenderlo.

Famiglia.

Al giovane assassino faceva male pensare a questa parola.
Il cuore si stringeva ed il nodo nella sua gola tornava più grande di prima ogni qualvolta il volto di suo padre gli tornava alla mente.
Ogni momento che riportava a galla il ricordo dello sguardo terrorizzato di sua madre mentre lo guardava affondare il coltello nella gola del marito.
Ogni singolo istante che le parole della donna risuonavano nelle sue orecchie gli ultimi istanti di vita, mentre le lacrime cadevano dagli occhi sgranati del bambino, la mano che teneva tremante l'arma affondata nel corpo della sua stessa genitrice.

Non si rese conto di star piangendo finché una mano non gli carezzò la guancia, e le iridi smeraldo si persero in quelle cerulee dell'altro.

"Perché piangi?"

Ed il castano non lo sapeva come mai piangeva, perché era così convinto di aver rinchiuso i sentimenti in un angolo così remoto del proprio cuore che non avrebbero mai potuto fuoriuscire, eppure era bastata una sola parola per aprire il Vaso di Pandora che gli dimorava dentro.

Così scosse la testa e portò una manica lercia a pulirsi gli occhi, che alla fine facevano un po' male a causa dello sporco, e tirò su col naso prima di parlare di nuovo.

"... Sono Thatch."

Mormorò stanco, ed il sorriso che il biondo gli rivolse gli scaldò il cuore e lo spinse ad incurvare a sua volta le labbra in sorriso, sebbene molto più piccolo ed esausto.

"Io sono Marco. Ti va di essere mio amico?"
  
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