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Autore: Angel TR    27/05/2018    3 recensioni
Asuka Kazama sollevò lo sguardo dalla mappa in pixel della città di Ulan Bator e si guardò intorno, lievemente scettica. «Oca Bionda, sei proprio sicura che sia questo il luogo che cerchiamo?» chiese, una nota accusatoria nella voce.
Lili Rochefort, inguainata in una tuta a prova di viaggi nello spazio -modello 4.01, nella variante rosa e bianca, perché ovviamente "Solo perché partecipo a un Torneo, non significa che devo sembrare una pezzente senza navicella"- si girò di scatto verso la sua partner, fulminandola con lo sguardo. «Il mio intuito è infallibile così come il Sistema Operativo ViaggiCyberspazio di papà.»

[2^ classificata al "Test your might" contest indetto da Akimi su EFP]
[Partecipa anche alla ABC!Challenge indetta su efp da Yuma.B] [LilixAsuka|AU]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alisa Boskonovitch, Asuka Kazama, Emily Rochefort
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Belle Époque'
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iNickname: Angel Texas Ranger
Titolo fanfic: The Gaiacity!
Pacchetto: Folle (luogo Ulan Bator, prompt Viraha, genere Fantascienza, canzone Nosferatu-Kamijo)
Fandom+Pairing: Tekken + LilixAsuka (shoujo-ai)
Note: AU
Partecipa al Concorso “Test your might” indetto da Akimi su efpfanfic.


Partecipa anche alla ABC!Challenge indetta su efp con V – Viraha.


NOTE AUTRICE.
Prima di tutto, vorrei illustrare a tutti voi gentili lettori e lettrici la mia immensa idiozia. Siccome non conoscevo il significato del prompt, “Viraha”, ho digitato nella rete. Chiaro, direte voi. Eh, peccato che io abbia digitato VAraha. Vabbeh, ma ti avrà indirizzata alla parola giusta!, direte voi. No! Perché c’è un dio chiamato Varaha, anzi, l’avatar di un dio hindu xD Ho poi aggiustato il tiro ma ero quasi a conclusione della storia per cui si è allungata di parecchio. Per altro il dio quadrava con la canzone xD
Tutto quello che riguarda Ulan Bator e la Mongolia è frutto di ricerche su Wikipedia (clima, fiumi, monumenti, geografia, storia bla bla), Tripadvisor, blog di viaggiatori fortunelli che descrivono le loro esperienze e i monumenti, mitologia hindu e qualche invenzione mia.
Tutto quello che riguarda il cyberspazio e la città futuristica è frutto di una malsana ossessione per i Guardiani della Galassia (Gamora. Abbiamo pure il nome che finisce uguale (con una h mancante). Basta.) e per il makeup fantascientifico (googlate “Galaxy makeup ideas” e vedrete). Il Torneo Intergalattico ovviamente è una parodia del Torneo del Pugno di Ferro, così come Heimish X.
Il titolo è ispirato da un meme di un tweet di Rihanna “The audacity!” che poi è diventato “The caucacity!” e quindi…
Spero che vi diverta come a me ha divertito scriverla (per quanto sia stato un parto far quadrare il tutto xD).
Vasilli azzeccosi, Angel.




THE GAIACITY!


Watashi-tachi wa ima yume wo dakishimete
(now, we are embracing our dreams)
Dareka no tsumuida ai wo kanadete risou no sekai wo
(playing about someone’s love, playing about an ideal world)

Saigo ni hitotsu dake tazuneyou
(Let me ask a last question,)
Kono keiyaku wo oeru toki
(when we finish this contract)
Mou ichido dake aisuru mono ni
(will I can meet a person)
Aeru to suru nara?
(to love one more time?)

Kamijo - Nosferatu


Ulan Bator. Anno Prima della Rivoluzione Tecnologica.

Asuka Kazama sollevò lo sguardo dalla mappa in pixel della città di Ulan Bator e si guardò intorno, lievemente scettica. «Oca Bionda, sei proprio sicura che sia questo il luogo che cerchiamo?» chiese, una nota accusatoria nella voce.

Lili Rochefort, inguainata in una tuta a prova di viaggi nello spazio – modello 4.01, nella variante rosa e bianca, perché ovviamente "Solo perché partecipo a un Torneo, non significa che devo sembrare una pezzente senza navicella" – si girò di scatto verso la sua partner, fulminandola con lo sguardo. «Il mio intuito è infallibile così come il Sistema Operativo ViaggiCyberspazio di papà» replicò, irremovibile. Aveva pure piazzato le mani sui fianchi snelli: guai a chi osasse contraddirla.

Asuka roteò gli occhi. Quella era una punizione: faceva di tutto per evitare la giovane ereditiera e il karma gliel'aveva affibbiata come partner. «Guarda che io nemmeno volevo partecipare a questo stupido Torneo Intergalattico. Tu mi ci hai trascinata contro la mia volontà!» sbottò, incrociando le braccia al petto.
Era di pessimo umore: il sole picchiava forte in testa, provocando un aumento della temperatura del suo corpo. La conseguenza? Asuka stava sudando. Nessuna ricerca sulla rete l'aveva preparata alla terribile sensazione dell'acqua che letteralmente si riversava dal suo corpo. Sul Pianeta Terra durante gli anni d.R.T. non si sudava e basta.
Scoccò un'occhiataccia a Lili: lei, che portava addirittura i lunghi capelli biondi sciolti, non sembrava accusare il calore. Perché chiaramente indossa l'ultimo modello delle Tute. Quella che mi voleva prestare? Troppo stretta per me. Odiosa.
Emise un forte respiro per calmarsi, infischiandosene se Lili la sentisse o no.

Ovviamente, la bionda la sentì. Batté un piede a terra e puntò il dito contro l'androide che le accompagnava. «Chiedilo a lei, visto che hai tanto insistito per portarla! Quei cafoni di Marte ci hanno riso dietro!» sbottò, il bel viso che virava verso una terribile tonalità fucsia. «Si portano l'androide Alisa! Ah ah!» scimmiottò. Si ricompose, riprendendo fiato. «Mi hai fatta scompigliare. Alisa, mi dai la spazzola, cortesemente?»


Cinque giorni prima. 50 dopo la Rivoluzione Tecnologica.

Mancavano pochi minuti all'annuncio del Torneo Intergalattico indetto dal Dittatore Heimish X del Pianeta Marte.
I terrestri, derisi da tempo immemore per essere il fanalino di coda – e pecora nera – della Galassia Via Lattea, scalpitavano nelle loro tutine di seconda mano: era la loro occasione per riscattarsi, la loro occasione per dimostrare che le loro tecnologie, per quanto arretrate rispetto a quelle degli altri pianeti, erano comunque all'altezza del Torneo. E poi, chi li aveva mai abbattuti, i terrestri? Che gli altri popoli dessero aria alla bocca quanto volessero, loro avevano resistito alle Grandi Crisi Economiche, ai Grandi Cambiamenti Climatici ed erano ancora là. Eh già.

La Piazza Sospesa1 era bloccata dalle molteplici navicelle sostate in doppia fila. Certe abitudini erano dure a morire e chi era arrivato ultimo si era beccato un posto migliore di chi era arrivato primo per assistere all'annuncio ufficiale del Torneo.

Asuka Kazama, in sella a una bicicletta spaziale usata, sbuffò impaziente. «Mi stai schiacciando, idiota! Chi ti ha dato la patente?!» urlò, quando un'imponente navijeep con i vetri oscurati quasi la investì mentre faceva marcia indietro. «Meriterebbe una bella lezione» borbottò tra sé e sé, parcheggiando meglio la bicicletta.
La famiglia di Asuka rientrava nell'elenco dei terrestri caduti in disgrazia con l'avvento della Rivoluzione Tecnologica. Non che prima navigassero nell'oro ma almeno non avevano problemi a mettere il piatto a tavola, o almeno così raccontava la bisnonna.
Perché mai la gente avrebbe dovuto apprendere le arti marziali se gli scienziati potevano comodamente impiantarle negli androidi tramite microchip?
E fu così che il genere umano si trasformò in un'enorme pappamolla, pensò Asuka, innervosendosi. A volte detestava la sua razza. Lei aveva insistito comunque per prendere lezioni di karate da suo padre, nonostante sua mamma scuotesse la testa ogni volta che la vedeva correre per casa in divisa. Asuka Kazama si rifiuta di rammollirsi come questa generazione orribile.

Questo non voleva dire che avesse intenzione di partecipare alla stupida farsa del Torneo Intergalattico, ovviamente.

Improvvisamente, una corrente d'aria scompigliò i capelli di Asuka e fece tremare la sua bicicletta – che, per la cronaca, a stento fluttuava. «Ma che diamine...» inveì lei, sollevando la testa.
Una sagoma nera dotata di potenti propulsori e targata in bella grafia "Rochefort" aveva oscurato la visuale di Asuka. Dal vetro antimissile della navicella personale dei Rochefort, una manina slanciata e femminile salutava gioiosamente.

Asuka emise un lamento. «Lili.»

I Rochefort, al contrario della sua famiglia, avevano cavalcato l'onda della Rivoluzione ed erano passati dal petrolio alla fabbricazione di navicelle spaziali. Se prima erano milionari, ora erano multimiliardari. E allora cosa ci facevano in mezzo alla folla? Sponsorizzavano il loro ultimo modello? Forse sponsorizzavano lo stesso Torneo?

«Asuka!» chiamò la voce venata da un fortissimo accento monegasco di Lili. «Sali su! Potrei accidentalmente schiacciare te e la tua buffa bicicletta» urlò per sovrastare il vento.

«Nemmeno morta» rispose Asuka, ignorandola e continuando a guardare dritto. Lili adorava dare spettacolo ed essere al centro dell'attenzione: Asuka sospettava che insistesse tanto a esserle amica proprio per quel motivo, nonostante la brunetta fuggisse alla sua vista.

«Oh, andiamo! Da quassù la visuale è s-p-e-t-t-a-c-o-l-a-r-e» la invogliò Lili, scandendo bene ogni parola.
Dal centro della pancia della navicella, scese una scala elettronica che quasi schiacciò la bicicletta. «Sali!» ripeté la bionda.

Sfinita, Asuka obbedì.

L'interno del mezzo era lussuoso: divani in pelle nera, pouf di morbido peluche, e, come se non fosse abbastanza, i sistemi informatici e i dispositivi all'ultimo grido facevano bella mostra di sé. Non era la prima volta che Asuka vi entrava ma poteva giurare che non avrebbe mai smesso di meravigliarsi.
Il maggiordomo Sebastian l'accolse con un flûte di champagne che Asuka accettò con riverenza. Il cibo naturale era un bene di lusso visto che scarseggiava da anni. La maggioranza della popolazione si nutriva di pillole chimiche mentre i Rochefort non ne avevano mai assunto una. Vita da ricchi.

«Ehi, Finta Bionda. Grazie per lo champagne» salutò Asuka.

Lili la ricompensò con uno splendido sorriso. Le luci calde mettevano in risalto i riflessi dei suoi occhi azzurri truccati. «Di niente, rozza plebea»

Le fece cenno di avvicinarsi alla vetrata. Asuka trattenne il fiato e posò una mano sullo spesso strato di vetro. Lili aveva ragione: da lassù il panorama era fantastico. La città era tutta un turbinio di luci a neon su sfondo nero, grattacieli di acciaio che parevano fluttuare nell'aria, puntini di tutti i colori che sfrecciavano sulle strade elettroniche.
Stava per commentare, per ringraziare Lili, quando la faccia rossa del dittatore Heimish X apparve in tutto il suo sghignazzare di pixel.

«Quest'alieno plebeo ha rovinato il mio momento magico! Interromperò ogni rapporto commerciale con il Pianeta Marte; Sebastian, prendi nota» esclamò Lili, buttando indietro i capelli con uno stizzito colpo della mano. Asuka la guardò con la coda dell'occhio. Momento magico?

«Salve, popoli di tutte le Galassie. Qui il vostro amato Sovrano Heimish X, Protettore delle Masse, Re di Marte, Beneamato e Stimato Erede al Trono, che vi parla.»
Quando la voce dell'alieno si sparse per tutto il Pianeta Terra, i suoi abitanti tacquero. Nella Piazza Sospesa1 regnava il silenzio e persino lo sfrecciare delle piccole astronavi si era interrotto per ascoltare il messaggio.
«Come voi tutti saprete, oggi è il gran giorno, il giorno in cui annuncio ufficialmente la terza edizione del Torneo Intergalattico! Eterna gloria attende chi vincerà, plauso e ammirazione chi vi parteciperà. Siccome nella scorsa edizione vi è stato qualche piccolissimo incidente di percorso, quest'anno abbiamo deciso di introdurre il Sistema Cyberspazio per garantire la sicurezza dei partecipanti. Quindi... » si fermò per una pausa d'effetto; tutti trattennero il fiato. «... solo coloro che dispongono di un Sistema Cyberspazio potranno partecipare.»
Dalla folla si levò un "No!" di protesta. Il 99% della popolazione terrestre non usufruiva del cyberspazio per cui il Pianeta Terra, per la terza volta consecutiva, non avrebbe potuto competere con le altre Galassie.

Asuka fece spallucce anche se una minuscola parte di sé ribolliva per lo smacco e per l'eclatante ingiustizia.
Al suo fianco, Lili strinse i pugni. «L'ennesima umiliazione» disse tra i denti.

«Ai partecipanti sarà garantito, qualora lo volessero, l'aiuto di un androide di ultima generazione. Chiunque voglia iscriversi, parli adesso o taccia per sempre. Non sono ammessi ritiri... ergo, non sono ammessi vigliacchi» terminò l'alieno con un ghigno. I suoi occhi dalla pupilla verticale scintillavano maligni: sapeva che i terrestri erano esclusi a priori ma, con quell'ultima frase, li aveva condannati all'umiliazione perenne.

E poi, una voce cristallina, che Asuka conosceva fin troppo bene, risuonò: «Noi partecipiamo»

I volti di Lili e Asuka furono proiettati affinché tutti potessero conoscere le temerarie terrestri.

Noi?!

Asuka quasi cadde per terra e si poggiò una mano sul cuore per calmarne i battiti impazziti.

La folla era scoppiata in grida di esultanza e applausi. A nessuno interessava che le partecipanti fossero due ragazzine, quel che contava era che qualcuno si presentasse per non far perdere la faccia alla Terra.

La confusione che si dipinse sul volto del dittatore fu prontamente e abilmente mascherata da un sorriso sbilenco. «Oh, due giovanissime femmine terrestri. Complimenti, Gaia» commentò mellifluo.

Asuka afferrò velocemente il microfono e, cercando di controllare il tremitio della voce, affermò: «Vogliamo l'androide»
Sentiva gli occhi azzurri di Lili bruciarla dalla rabbia, come se avesse tradito la patria. Poco importava, l'aiuto del robot era stato proposto dallo stesso organizzatore del Torneo, perché snobbarlo?

Heimish scoppiò in una risata. «Tipico dei terrestri. E va bene, avrete l'androide. Domani sera saprete in cosa consisterà la vostra sfida. Buon riposo, Gaia» e detto ciò, i pixel si dileguarono nell'aria.

Le astronavi si sparpagliarono, suonando i clacson all'impazzata, mandando così piccole scariche elettriche lungo i fili delle strade. Avevano le loro eroine. Avevano di che festeggiare.
Ben presto, i televisori sparsi per le città di tutto il Pianeta Terra mandarono in onda le immagini di Lili e Asuka, venerandole e omaggiandole. Ai telegiornali non si parlava d'altro. La parte più povera della popolazione si sentiva rappresentata da Asuka in particolare e dai loro occhi segnati dalla miseria rotolavano grosse lacrime di gioia mista a dolore quando nominavano la ragazza ai microfoni dei giornalisti.

Non immaginavano minimamente che la loro beniamina non solo tremava dall'ansia di prestazione ma li riteneva anche ridicoli. Ormai, però, era impossibile tirarsi indietro.


Giorno dell'Annuncio della Sfida.

I telegiornali della Terra riportavano indignati i commenti a caldo delle altre Galassie riguardo alle torneiste umane.
Nemmeno la presentatrice più pacata e stimata di tutte le reti aveva potuto trattenersi dal replicare. «I soliti sbruffoni!» seguito da uno «Scusate, è l'emozione» aveva detto prima di lasciare spazio alla bitorzoluta faccia di Heimish X.
Era giunto il momento tanto atteso: le partecipanti terrestri avrebbero saputo cosa le aspettava. Sarebbero state le ultime tra tutte le Galassie, il che aveva i suoi vantaggi. Per esempio, sapevano che la sfida che attendeva il Pianeta Venere era molto più tosta rispetto a quella del Pianeta Marte – e ti pareva – quindi le probabilità che il primo venisse squalificato già alla prima tornata erano estremamente alte.

Lili era andata a prendere Asuka direttamente a casa per evitare che venisse assalita dalla folla impazzita. Entrambe erano sedute sul divano davanti al televisore ultrapiatto che occupava l'intero muro del soggiorno dei Rochefort. Disponeva d'intelligenza artificiale per cui le ragazze avrebbero potuto interagire sia con la folla nelle piazze sia con il dittatore.
Asuka odiava il fatto che le sue occhiaie frutto di una nottata insonne venissero esposte così bellamente alla Galassia intera. Sapeva che le stavano guardando tutti e lei avrebbe voluto apparire al meglio. Senza dire una parola, Lili le picchiettò un po' di correttore accompagnato da un occhiolino.

«Buonasera e buongiorno, Via Lattea e Galassie di tutto l'Universo! Il vostro amato Heimish X, Re di Marte...» iniziò il dittatore. Asuka non poté trattenersi dal roteare gli occhi: i salamelecchi l'annoiavano a morte. La pupilla verticale dell'alieno si restrinse per il fastidio ma lui continuò il suo discorso impassibile. «Finalmente è giunto il momento di rivelare la sfida che attende le nostre simpatiche terrestri. Una cosuccia facile facile. Tenendo conto che la Terra partecipa per la prima volta e che le sfidanti sono solo delle bambine, ho deciso di essere magnanimo» concluse trascinando le parole, un sorriso sbilenco sulle labbra sottili.

Lili si tese. «Bambina? Gli farò mangiare la polvere delle mie astronavi!» sibilò tra i denti per non farsi sentire. I suoi occhi, però, tradivano la voglia di rivalsa.

«Alle nostre piccole aspetta un viaggio nel tempo in un posticino su Gaia chiamato Ulan Bator. Una città santa...» pausa ad effetto. «... che custodisce un tesoro immenso, un oggetto che non è di questo mondo né di qualunque altro: la conchiglia di Visnu, un dio hindu. Come sapete, anche gli altri concorrenti hanno il compito di trovare qualcosa. Portatemi la conchiglia e avrete passato il turno» disse Heimish. Nei suoi occhi verdi come lo smeraldo – che per altro nessuno vedeva più sulla Terra: tutto confiscato – balenò una luce avida che si spense immediatamente. «Ah, dimenticavo: avrete tre giorni a disposizione.»

Il mondo iniziò a frinire.
«Cos'è Ulan Bator?»
«Cos'è Visnu?»
«Cos'è che devono fare?»
Avevano chiaramente prestato tutti molta attenzione al discorso o, più probabilmente, avevano dimenticato le loro radici e nessuno studiava più la storia della Terra.

Lili scosse i capelli biondi in un gesto di arroganza pura. Di nascosto, però, strinse la mano di Asuka. «Facile come eseguire una piroette. Sarà fatto» trillò.


Presente. Anno prima della Rivoluzione Tecnologica.

La città di Ulan Bator si estendeva davanti ai loro occhi, antica e piena di storia eppure, qua e là, già si potevano scorgere sprazzi delle trasformazioni che l'avrebbero cambiata nel prossimo futuro, rendendola quasi irriconoscibile.

«Collina Zaisan. Un'antica leggenda vuole che, un tempo, tra il monte Chingiltei e il monte Bogdkhan non scorresse buon sangue. I ministri dei monasteri, convinti che ci fosse un demone che influenzasse il loro legame, decisero di porre una collina tra i due monti e la chiamarono Zaisan Hill. Da quel momento non ci furono più incidenti» finì di spiegare l’androide Alisa prima di rivolgere un educato sorriso alle due ragazze.

Lili sbadigliò. «E quindi? C'è la conchiglia?» chiese, vagamente annoiata.

Asuka le diede una lieve gomitata. «Lili! È la storia del tuo pianeta! Vuoi ascoltarla?»

Lili la ignorò e prese a gironzolare con il nasino alla francese all'insù. «Questo posto è così buffo, così primitivo! Insomma, dove sono le autostrade sospese? Come faceva le gente a vivere senza astronavi? Perché i palazzi sono così bassi?» si domandava a metà tra il meravigliato e lo sdegnato.

Per tutta risposta, Asuka si batté una mano sulla fronte. «Su, forza, continuiamo a scalare la collina. Da lassù, se siamo fortunate, vedremo il fiume Tuul Gol.»

«Ma perché dobbiamo scalare se abbiamo l'androide che ci può dire dove sta il fiume?» sbottò Lili, arrestando la marcia. Sbuffava. Non ci voleva proprio salire su quella montagnola polverosa.

Alisa, sempre con le mani giunte e un sorriso gentile, fece un piccolo inchino. «Il Tuul Gol è un fiume della Mongolia centrale e settentrionale considerato sacro dagli abitanti. Costeggia la capitale Ulan Bator e si riversa in un altro fiume che sfocia nel Lago Bajkal» riportò, navigando nel suo server personale per attingere le informazioni.

Asuka scosse la testa. «Qualcosa non mi torna. Ho letto nel palmare che il dio Visnu si getta nell'oceano per salvare la dea Terra ma questo è un fiume che, in più, non sfocia nel mare o nell'oceano. Alisa, cos'altro puoi dirci sulla conchiglia?»

Attorno a loro, Ulan Bator era nel pieno delle sue attività. I monaci si apprestavano a iniziare una nuova giornata, i bambini giocavano a pallone – un pallone di pezza!, esultò Lili – prima di andare a scuola, sorvegliati dai monumenti imponenti e dai monasteri dal tetto a pagoda. Se stringevano gli occhi, potevano scorgere la singolare facciata rossa del monastero di Gandan – "Me lo compro, è delizioso!", aveva strepitato Lili.
«Asuka-san, mi permetto di correggerti. Il dio si gettò nel mare primigenio, non nell'oceano quindi...» intervenne Alisa.

«Quella sciocca conchiglia potrebbe essere ovunque! Lo sapevo che Faccia Rossa ci avrebbe piazzato una bella trappola!» la interruppe bruscamente Lili, incrociando le braccia al petto. «Mi sono stufata. Non abbiamo neppure pranzato e nessuno di questi popolani mi ha chiesto un autografo. È davvero una brutta giornata» aggiunse, voltando la testa da un lato, un broncio a piegarle le labbra screpolate – perché il lucidalabbra nutriente rosa non era cyberspazio-proof.

Alisa aspettò che la tempesta passasse e poi suggerì ad Asuka: «Oltre alla conchiglia, il dio Visnu utilizzò anche un grosso disco d'oro. Dall'alto, con l'aiuto dei dispositivi d'ingrandimento, dovremmo riuscire a individuarlo» sorrise paziente mentre sul viso delle ragazze si formava un'espressione sorpresa del tipo "Perché non ci abbiamo pensato prima?".

«Non è stata poi una così cattiva idea portarti con noi, androide» ammise Lili, finalmente positiva. «Su, seguitemi. Io sono allenata e scattante. Asuka, con quel fisico da maschiaccio, arriva per ultima.» lanciando un sorrisetto alla sua partner, si voltò con una piroetta e iniziò a salire la collina. Non aveva percorso neppure due metri che un leggero spostamento d'aria la fece voltare: Alisa si librava nell'aria, leggiadra. Dietro la sua schiena spiccavano due ali da fata robotiche.
«E tu ora lo dici che puoi volare? Trasportaci su! Cortesemente, è chiaro» trillò Lili, battendo le mani. Alisa annuì e la prese in braccio.

«Ti offrirò una seduta dal miglior parrucchiere di Gaia, Alisa! Detto fra noi, quei capelli rosa sono veramente fuori moda» fu l'entusiastico ringraziamento della bionda.


Asuka ancora consultava il suo palmare quando posò i piedi in cima alla Zaisan Hill. «Qui dice che Visnu sconfisse anche un demone» lesse, inarcando le sopracciglia. «Era un tipo tosto, eh.»

Alisa attivò i dispositivi d'ingrandimento e li porse alle ragazze. «Vi ricordo che manca un giorno allo scadere della sfida» informò, tanto per non mettere ansia.

Improvvisamente, Lili esultò. «Vedo qualcosa che luccica!» strillò, poi il sorriso sulle sue labbra si spense. «Oh... vedo tante cose che luccicano» si corresse, delusa.

Asuka riconsegnò decisa il suo strumento ad Alisa. «Quanti giorni di cammino?» chiese.

Lili si voltò verso di lei con la bocca aperta. «Sei impazzita, ma chérie? Perdiamo tempo così.»

Asuka la ignorò mentre si preparava alla discesa. «È la nostra ultima possibilità, Oca Bionda. Non deluderò la mia gente, contano su di me» sbottò, gli occhi scuri fissi sul fiume in lontananza.

Lili tacque per un momento poi proruppe: «Ma se tu disprezzi "la tua gente"!»

Asuka scrollò le spalle.

Lili pestò i piedi a terra. «E va bene, vengo con te» assentì.

La brunetta voltò leggermente la testa per rivolgerle una smorfia. «Che strazio.»


Parco Nazionale di Khustain Nuruu, sulla riva del fiume Tuul Gol.

Mentre Lili rotolava e saltellava nel verde delle sconfinate praterie del Parco, Asuka si rimboccò le maniche della tuta e si piazzò davanti al fiume con aria di sfida. «A noi due.»

Alisa le planò dolcemente accanto. Si guardava nervosamente attorno, voltando la testa a destra e a sinistra. «Percepisco delle vibrazioni strane» comunicò, serrando i pugni. I suoi occhi innaturalmente verdi scrutavano l'orizzonte.
Le narici di Asuka, pizzicate dalla strana sensazione di respirare ossigeno puro, non riuscivano nemmeno a distinguere l'odore dell'androide da quello di un qualsiasi essere vivente. Figurarsi percepire le vibrazioni!, pensò.

«Finta Bionda, vieni a dare una mano!» ordinò Asuka, inginocchiandosi e immergendo le braccia fino al gomito nel fiume per cercare gli oggetti mistici.

Un urlo squarciò l'aria.
Una voce che aveva tormentato Asuka per ben cinque giorni.
Voltò la testa di scatto. «Lili, arrivo!» gridò. Fece per alzarsi ma qualcosa la trattenne. «Che diamine...?»
L'acqua del fiume aveva intrappolato le sue braccia in una morsa invisibile ma ferrea. Asuka osservò imbambolata il placido turchese scorrere davanti ai suoi occhi senza potersene distaccare.
Cos'era quella? Magia? Fede? Aveva violato un posto sacro e ora ne pagava le conseguenze? Sarebbe rimasta così fino all'imbrunire? E poi il tempo sarebbe scaduto e lei si sarebbe ritrovata circondata dai computer del papà di Lili.
Avrebbe deluso la sua famiglia.
Avrebbe distrutto il sogno di rivalsa di un intero pianeta.
Gli occhi iniziarono a pizzicarle ma lei trattenne le lacrime. Non avrebbe dato anche questa soddisfazione al bastardo di Heimish.

«Asuka-san!» si allarmò Alisa. Era a pochi metri da terra, le mani sul cuore di microchip. «Lili-san è stata trascinata in fondo al fiume! E... oh, cos'è successo alle tue braccia?»

La ragazza sollevò lo sguardo, afflitta. «Sono bloccata. La conchiglia non c'è, Lili annegherà perché quella scema bionda non sa nuotare e perderemo. Ma perché abbiamo partecipato a questo stupido Torneo? Sapevamo che ci avrebbero ingannati tutti»
Sarà stata la disperazione, sarà stata la stanchezza, ma Asuka avrebbe giurato di vedere il barlume di un'emozione balenare negl’inumani occhi di Alisa.
Insperatamente, l'androide indicò un punto imprecisato oltre la sua testa. «La conchiglia! E c'è anche il disco d'oro!» urlò.

E finalmente Asuka poté muovere le braccia. Si tese per afferrare gli oggetti quando una mano bianca e affusolata che sbucava dall'acqua attirò la sua attenzione. «Lili!» gridò, spaventata e sollevata allo stesso tempo.

«Asuka-san, presto! La conchiglia sta sparendo!» avvisò Alisa.

La brunetta sbuffò. Ti pareva! L'aveva detto lei che l'Oca Bionda era un flagello per l'umanità. «Prendila tu!» ordinò all'androide.
Lei fece un cenno con il capo prima di lanciarsi nel blu e... esserne respinta. Cadde rovinosamente a terra. «Non capisco. Non c'è nessuna spiegazione logica!» commentò. Se fosse stata umana, Asuka avrebbe detto che era in preda al panico.

«La mia bisnonna mi ha raccontato che, tempo fa, l'uomo credeva che l'universo fosse mosso da forze mistiche» ricordò Asuka. «Vediamo se stanno dalla mia parte» fece, spavalda, e si tuffò.

Nell'esatto momento in cui afferrò il corpo inerme di Lili, la corrente cominciò a trascinarla. Anche se Asuka sapeva nuotare, era veramente difficile resistere a quella potenza. «Alisa, aiutaci!» la pregò appena riuscì a emergere per prendere una boccata d'aria.

«Arrivo!» dichiarò l'androide e di nuovo ad Asuka parve di scorgere un'espressione decisa sul suo volto che, per un attimo, la rese umana anche se aveva spiccato il volo grazie a due ali robotiche.
Si mantenne a distanza di sicurezza dal fiume. «Datti la spinta!» suggerì.

«Una parola...» boccheggiò Asuka ma obbedì e fece scattare il braccio verso le mani tese di Alisa. Fu prontamente afferrata e ammirò i propulsori negli stivaletti del robot attivarsi per tirare fuori lei e Lili.
Avrebbe voluto urlare per il bruciore che sentiva al braccio che reggeva il corpo della sua partner. Tutta la sua vita l'aveva condotta a quel momento: gli allenamenti, gli studi, gli insegnamenti di papà, i racconti della bisnonna.

Non li stava deludendo, giusto?

E poi, finalmente, crollarono sull'erba verde e profumata. Ancora affannando, Asuka si trascinò verso Lili e le diede alcuni schiaffetti sul viso. «Andiamo, sveglia» la incitò.

Per tutta risposta, Lili le sputò un getto d'acqua in pieno volto. «Stupida! Perché non hai preso la conchiglia?» bofonchiò, la voce roca. «Era lì, l'ho vista.»

Asuka si piazzò i pugni sui fianchi, ignorando la stanchezza. «Bel ringraziamento! Stavi per annegare! Ho salvato te ma non l'unico neurone che avevi nel cervello!»

L'altra si rialzò scomposta, puntellandosi sui gomiti e continuando a tossire e sputare acqua. «Il mio avatar stava per annegare, Asuka. Magari avrei avuto qualche ripercussione, qualche trauma, che ne so, ma sicuramente non sarei morta. Avremmo vinto.»

«Ma sembrava dannatamente reale!» si giustificò nervosamente Asuka, allargando le braccia.

Sul viso di Lili apparve un'espressione maliziosa. Anche se era pallida e l'acqua le gocciolava dal mento, era radiosa. Le scoccò un'occhiata significativa ed emise un risolino sciocco, di quelli che facevano scattare il pugno di Asuka. «Ma allora t'importa di me, camionista» insinuò, la voce che scendeva di un'ottava.

«Le tue tecniche da "Galassiopolitan" non attaccano con me, Finta Bionda» l'avvisò Asuka, ignorando il brivido che scese lungo la sua schiena. Che le prendeva? Lei odiava la riccona. Okay, non la odiava ma non la reggeva proprio.

Lili liquidò quel rifiuto con un gesto della mano. «Dettagli. Stai finalmente accettando la verità, Asuka Kazama, e cioè...» s'interruppe notando gli occhi spalancati della brunetta. Sollevò un sopracciglio. «Beh, perché ti meravigli tanto? Io sono favolosa, è logico che mi ami, plebea! Mi vuoi rispondere? Asuka?» picchiò la mano sull'erba fresca per la stizza.

Asuka tese la mano tremante. «Lili... nei tuoi capelli...» sussurrò in un filo di voce, inclinandosi verso di lei.

Lili s'irrigidì. «Cos'ho nei capelli? Levamelo subito! Che schifo!» strillò, gli occhioni azzurri strabuzzati.

La mano di Asuka s'infilò gentile tra le ciocche bionde della sua partner e ne sfilò una piccola conchiglia. «L'hai trovata, Lili» disse sconvolta la brunetta.

«Ovvio, io trovo sempre tutto» si pavoneggiò la bionda.

Alisa batté le mani. «Ottimo lavoro!»
Picchiettò con l'indice sull'orologio che portava al polso e due occhi dalla pupilla verticale brillarono avidi. «Trovata?» chiese la proiezione di Heimish X.

Asuka tese orgogliosamente la mano per mostrargli la conchiglia. Lili, nonostante sembrasse un pulcino inzuppato, assunse un'espressione fiera. Beccati questa, dicevano i suoi occhi.

«Mi avete sorpreso, terrestri. La prossima sfida non sarà così semplice» minacciò il marziano.

Asuka sollevò il pugno ma, prima che potesse raggiungere la sghignazzante faccia dell'alieno, tutto attorno a lei assunse contorni verdi e neri: il parco idilliaco si era tramutato in una costellazione di pixel.

E poi tutto sparì.


Casa di Lili, 14 ore dopo. 50 d.R.T.

Quando riaprì gli occhi, Asuka era distesa nella capsula ViaggiCyberspazio del papà di Lili. Bussò due volte e, con uno sbuffo assordante, la capsula si aprì, lasciandola uscire. Si sgranchì braccia e gambe per riattivare la circolazione.
Si diresse verso la capsula che ospitava Lili e bussò. «Finta Bionda?» chiamò. Nessuna risposta. Asuka bussò di nuovo e chiamò con voce più alta ma, di nuovo, nessuno rispose.
Leggermente preoccupata, diede un'occhiata al monitor del computer. Non mostrava nessun segnale né segnalava la presenza di un organismo attivo.
«Dove diavolo sei finita?» borbottò Asuka, uscendo dalla sala per andare a cercare il padre di Lili. Sicuramente avrebbe saputo risolvere il problema: era lui l'esperto, l'inventore del Sistema Operativo ViaggiCyberspazio.

Il lussuoso loft dei Rochefort si trovava all'ultimo piano di un elegante grattacielo sospeso. Asuka vi aveva trascorso un paio di ore una volta e si era interrogata sulla disparità rampante nella società terrestre. Mentre correva a perdifiato verso lo studio, si rese conto che la sua visione era cambiata. Se prima di partecipare a quell'assurdo Torneo riteneva che la povertà fosse colpa della pigrizia del popolo e dell'eccessivo affidamento che facevano sulla tecnologia, ora era ben consapevole del fatto che la società intergalattica richiedeva un prezzo.
Però le cose potevano cambiare. E, vincendo questo Torneo, le cambieremo. La sua gente era forte e si adattava a tutto. Come aveva fatto Asuka a non vederlo fino ad ora? Dov'è la bionda quando ne ho bisogno?, pensò.

«Monsieur Rochefort! Ho bisogno del suo aiuto! Lili non è tornata!» gridò Asuka mentre spalancava con poca grazia la porta dello studio del signor Rochefort. «Scusi l'intrusione, è urgente» si giustificò. Davanti a lei, modelli di astronavi e serie di calcoli di cui non capiva niente coprivano le pareti dello studio. Il papà di Lili era al computer e al suo fianco...

«Ciao, Asuka-san!» salutò felice Alisa l'androide.

Asuka richiuse la porta alle sue spalle, sorpresa. «Alisa, ciao. Non dovresti essere nei laboratori di Heimish?»

Lei annuì. «Sì. Ma i terrestri stanno protestando perché ritengono che Heimish abbia manomesso il sistema di Rochefort-sama per abbassare il punteggio della vostra sfida. Le altre Galassie li appoggiano per cui Heimish, per questioni di popolarità, mi ha mandata qui per risolvere il problema in sua vece» spiegò.

Erano troppe notizie da assimilare insieme: Asuka tese le mani come per frenare quel flusso di informazioni. «Wow, aspetta. Come facevate a sapere che Lili non è tornata se io sono arrivata praticamente ora? E com'è possibile che le altre Galassie siano dalla nostra parte? Voglio dire, noi siamo gli sfigati, tutti ci vogliono fuor.» gesticolò freneticamente mentre parlava.

«Vi siete guadagnate molti tifosi, cara Asukà» chiarì il signor Rochefort, gli occhi fissi sull'enorme schermo, con quel forte accento monegasco che le ricordò, senza un motivo logico, Lili.

Arrossì. «Salve. Davvero? Tifosi? Come?» replicò sinceramente sconcertata, infilandosi le mani tra i capelli arruffati.

«Hanno trasmesso la sfida in diretta, 24 ore su 24, sul canale dedicato al Torneo. Una città magica, Ulan Bator» rispose prontamente il papà di Lili, accennando un sorriso che lasciava molto a intendere.

Ad Asuka mancò la terra sotto i piedi e dovette appoggiare la schiena alla porta per non crollare.
La loro sfida trasmessa in diretta.
Ciò significava che tutte le Galassie avevano assistito alla sua dichiarazione di amore patriottico per la Terra.
E non solo quella...
Si batté una mano sulla fronte. «È una tragedia!» commentò.
Rivivendo tutti quei momenti nella sua testa per valutare il danno, Asuka si rese conto che le sfuggiva un sorriso a ogni battutina sciocca dell'Oca Bionda, che i dettagli maggiormente impressi nella sua memoria riguardavano il modo in cui il vento le accarezzava i capelli, come il sole accendeva mille riflessi nei suoi occhi azzurri o come la tuta fasciava le gambe slanciate. Ancora tremava al ricordo della mano bianca che sbucava dall'acqua.

Maledizione, pensò.

Lei e Lili non erano ciò che avrebbe definito "amiche" sia perché non si frequentavano – se si escludevano le rare volte in cui avevano passato qualche momento insieme, sempre sotto pressione di Lili – sia perché la ragazza rappresentava tutto ciò che Asuka disprezzava in una persona: era arrogante, snob, aveva la puzza sotto al naso, era nata nel lusso e il suo sorriso bianco non era mai stato spento dall'ombra delle preoccupazioni, in più credeva che il mondo girasse attorno a lei e che tutti fossero al suo servizio.
E allora perché sono così in ansia? Perché aspetto disperatamente che varchi la porta cantando quelle sue stupidi canzoni in francese?
Si morse il labbro inferiore.
Forse perché quei tre giorni le avevano dato l'opportunità di conoscere meglio Lili e di scoprire che, sì, oltre ai difetti, aveva anche dei pregi. Incredibile.
Era testarda, forte, non si lasciava abbattere, era ottimista, competitiva, furba e spaventosamente persuasiva. Sotto alcuni aspetti, le somigliava parecchio; sotto altri, era il suo completo opposto.
Ora non voglio pensare alle implicazioni di queste assurdità. Asuka scosse la testa e si avvicinò ad Alisa. «Cos'è andato storto?» chiese. «C'è davvero lo zampino di Heimish?»

Gli intelligenti occhi dell'androide rimasero fissi sullo schermo. «Questo ancora non sono in grado di dirlo. Ci vorrebbero settimane solo per smantellare tutti i sistemi di sicurezza dei computer del re. Ciò che posso fare è dimostrare che il programma è stato manomesso dall'esterno. Ora stiamo cercando di capire quale sia stato l'errore e correggerlo altrimenti non riporteremo Lili-san indietro» spiegò velocemente, armeggiando con i fili e i tasti.
Asuka non ne capiva molto anche se era nata circondata da quegli aggeggi. La sua famiglia non poteva permettersi le ultime avanguardie e lei ne era estremamente contenta: non le piacevano le macchine. Ma, formulato quel pensiero, non poté far almeno di scoccare un'occhiata di sottecchi ad Alisa.
L'androide le piaceva. Perché? Perché non la considerava parte della tecnologia? Perché le veniva spontaneo trattarla come un essere umano? Erano bastati solo tre giorni per farle cambiare idea sull'argomento androidi?
A un certo punto Alisa si accorse del suo sguardo e le sorrise. Un sorriso caldo.

Il Torneo mi ha fatto impazzire. Prima la gente, poi Lili, ora Alisa.

L'oggetto dei suoi pensieri sembrò percepire cosa stava succedendo nella sua testa perché la rassicurò. «Tranquilla. La riporteremo a casa» sussurrò serena.

Asuka agitò le mani in un goffo tentativo di dissimulazione. «L'Oca potrebbe starsene a Ulan Bator se non fosse per il Torneo!» esclamò ma sulla lingua sentiva il retrogusto amaro della bugia.


Due giorni dopo

«La sfidante terrestre Emilie Rochefort è ancora bloccata nel cyberspazio, precisamente in una località chiamata Ulan Bator. I migliori ingegneri informatici, tra i quali spiccano il padre della stessa e l'androide del re marziano Heimish, sono impegnati da tre giorni nel tentativo di sistemare il cortocircuito. Vi terremo aggiornati. Per ora, il punteggio delle terrestri resta invariato.»

Asuka Kazama quasi ringhiò. «Taci» ordinò al televisore e quello si spense in automatico. La mamma e il papà si scambiarono un'occhiata d'intesa. Sapevano che Asuka andava su tutte le furie quando facevano così, perché insistevano?

«Povera bambina» commentò la mamma. «Bloccata nel cyberspazio tutta sola. Il padre dev'essere sconvolto, non la smette di lavorare.»

Asuka sbatté il bicchiere sul tavolo.

«Sappiamo che sei preoccupata ma non è colpa tua. È stato un errore del Sistema» intervenne il papà, versandole l'acqua.

«Non sono preoccupata» biascicò la ragazza ma la mamma la fulminò con lo sguardo.
«Negare i tuoi sentimenti non ti porterà da nessuna parte» l'avvisò. Probabilmente si riferiva al senso di colpa ma Asuka, come chiunque abbia qualcosa da nascondere, si sentì punta sul vivo e spalancò gli occhi. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì niente.
Si zittì, sconfitta.
Provava davvero qualcosa per l'Oca Bionda o era solo il senso di colpa? Ma senso di colpa di cosa? In fondo era solo rimasta bloccata a Ulan Bator virtuale. Fissò il piatto ancora pieno sul tavolo.
Pessima. Quella non era la Asuka Kazama per la quale aveva combattuto, una ragazza codarda che si chiudeva nella propria stanzetta e se la prendeva con gli altri pur di non affrontare se stessa, proprio no.
Se davvero il cuore perdeva un battito ogni volta che pensava a quegli occhi azzurri, allora doveva darsi una mossa.

Si alzò da tavola. «Torno a Ulan Bator» dichiarò e voltò le spalle alla mamma e al papà senza dare loro il tempo di controbattere e senza vedere, fortunatamente, che sui loro volti era comparsa l'espressione di chi la sapeva lunga.


«Interrompiamo le trasmissioni per annunciare che la sfidante terrestre Asuka Kazama è tornata nel cyberspazio per "fare compagnia"...» lo speaker si agitò sulla sedia, entusiasta. «... alla sua partner Emilie Rochefort, bloccata da quasi tre giorni. Ricordiamo che nella storia del Torneo Intergalattico non si è mai verificato un evento simile. Trasmetteremo il salvataggio sul canale dedicato al Torneo, disponibile in tutte le Galassie. Buona visione!»


Prima della Rivoluzione Tecnologica, Ulan Bator, cyberspazio.

Era strano pensare che una città dov'era stata solo tre giorni le fosse mancata tanto.
Considerando che ho patito le pene dell'inferno per trovare la conchiglia, meditò Asuka, percorrendo la strada che conduceva alla Piazza Sukhbataar. Le coordinate che il papà di Lili le aveva consegnato confermavano che la bionda era da quelle parti. Cos'avrà fatto in questi giorni?
Alzando gli occhi, vide una delle attrattive principali della capitale, il Tempio lamaista dell'Oracolo, assaltato da un'orda di persone del posto che assistevano attenti a quella che sembrava un'esibizione.
Asuka incrociò le braccia al petto: doveva trovare Lili e quella marmaglia le avrebbe solo causato problemi. «Permesso...» borbottava mentre si faceva largo nella marea a suon di spallate.
«Ssh!» qualcuno le ordinò. Lei s’immobilizzò di scatto. Era forse una funzione religiosa? Ma quello ormai era un museo!

«E finalmente scorsi la conchiglia!» proruppe una voce melodiosa, provocando un coro di "Oooh!". «Stavo affogando, la corrente mi trascinava ma non potevo abbandonarla. Così, con uno sforzo sovrumano, allungai i capelli e...»

Non so se ridere o piangere, rifletté Asuka, osservando Lili recitare in modo teatrale la loro avventura nel Parco. Sulla testa bionda aveva calcato un favoloso copricapo ingioiellato che stonava con la tuta rosa. Straniera e scema: una combinazione fatale. La brunetta si batté una mano sulla fronte.

Lili si fermò al centro dello spiazzale, le mani sul cuore, il capo calato in una fintissima posa di sconforto. Tutti si tesero.
Lei li osservò da sotto le ciglia bionde – le si era sciolto il mascara, chiaramente – per aumentare la suspense. Fece un passo in avanti e allargò le braccia. Tutti si mossero.
Lei aprì la bocca per prendere fiato. Tutti si zittirono.
Un sorrisetto soddisfatto le piegò le labbra.

«Ora vi starete chiedendo come sono sopravvissuta alla furia del dio Visnu tramutatosi in acqua. Ebbene, mia dolce plebaglia, la verità è che non ero sola. Con me c'era l'androide dal cuore più umano che abbia mai conosciuto, anche se aveva urgentemente bisogno di un coiffeur, e la mia anima gemella, l'altra metà della mela, una ragazza bruttina, rozza e maleducata, ma forte e impavida come non se ne sono mai viste» raccontò, la voce che si alzava e tremava dall'emozione.

"Oooh!" rispose ancora la folla, rapita.

Asuka inarcò un sopracciglio. Voleva arrabbiarsi con l'Oca Bionda per averla chiamata "bruttina" ma proprio non ci riusciva. Il sollievo per averla trovata viva e vegeta lavava via ogni briciolo di rancore che cercava di evocare.

«Quando mi sono ripresa, lei era lì, immersa in una valle di lacrime. "Lili, svegliati, non posso vivere senza di te!" urlava. Poverina, mi si spezzava il cuore. Sapete cos'ho fatto?» s'interruppe per ammiccare. «L'ho ricompensata con un bacio» concluse, scatenando gli applausi degli spettatori.

Era decisamente il momento di intervenire. Asuka superò la calca di gente commossa. Solitamente si sarebbe sentita a disagio davanti a centinaia di occhi ma il Torneo l'aveva temprata. «Time out, Oca. Hai messo KO un'intera città con le tue balle. Non mi hai dato nessun bacio e certamente io non piangevo disperata» intervenne finalmente.

Ebbe la soddisfazione di vedere le labbra di Lili schiudersi senza emettere fiato per lo shock. «Sei tornata» riuscì a sussurrare in un filo di voce, dopo vari tentativi.

Asuka scrollò le spalle. «Non potevo certo lasciare questi poveretti nelle tue grinfie!» sghignazzò.

La bionda mise il broncio, piccata. «Guarda che mi adorano, esattamente come te» replicò, sbattendo le ciglia.

Quel punto se l'era guadagnato per cui la brunetta non rispose. Si limitò a una pacca sulla schiena. «Come no» tagliò corto.

Si accorse che la folla attendeva in trepidazione. Lili le diede un pizzicotto per attirare la sua attenzione. «Vogliono il bacetto» canticchiò. «Non possiamo deluderli!»

Asuka risucchiò l’aria, indignata. «Questo è un colpo basso!» si ribellò, puntandole un dito contro.

Lili ridacchiò – erano guai seri per Kazama. «Quanti capricci inutili» commentò con tono estremamente malizioso prima di chiudere gli occhi e posare le labbra screpolate su quelle di Asuka.
La platea, indecisa se scioccarsi o esultare, restò a guardare immobile come uno stoccafisso, il fiato sospeso, ignara di essere a sua volta guardata dai televisori di tutte le Galassie.

Come (reagirono) e quando Lili e Asuka seppero ciò, però, è un'altra storia.

  
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