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Autore: Blue Eich    28/05/2018    2 recensioni
Le loro facce erano pericolosamente vicine.
Ora, secondo il copione, Tsunade avrebbe dovuto imbronciarsi e tirargli un pugno così forte da farlo cadere.
Invece lo baciò d’impeto.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jiraya, Tsunade | Coppie: Jiraya/Tsunade
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Wish for a last chance

2018-15-05-23-59-15

 

Pianse tutta la notte per sfogare il dolore e buttarlo fuori, nell’intimità della sua camera. C’è da dire che Tsunade aveva pianto davvero poche volte nella sua vita e spesso c’entrava la morte. Quand’era ancora uno scricciolo, al funerale del nonno le lacrime non smettevano di scorrere sulle sue guance rubiconde, perché era la prima volta che qualcuno di caro la lasciava per sempre. “Il nonno è diventato un angelo, tesoro, ti proteggerà da lassù.” Ed era stato l’inizio di una maledizione. Vide i loro volti sorridenti sfilarle davanti agli occhi: suo fratello, l’uomo che amava, i suoi genitori… Sgretolandosi poi uno a uno. Ogni volta un pezzettino dentro di lei si era frantumato e stavolta sentiva che non c’era più nient’altro da rompere, basta. Erano spariti tutti e quella consapevolezza le piombò addosso, pesante e angosciante. Era sicura che quei ricordi, che a volte le sembravano mostruosamente vividi, fossero reali? Quelle persone erano davvero esistite? Le percepiva sfocate, lontane… Si raggomitolò di lato. No, era l’alcol a parlare, appesantendole la testa; se fosse stato un essere vivente, probabilmente gli avrebbe dato un calcio per zittirlo.

Singhiozzando, teneva la bottiglia di sakè tra le braccia, come se fosse il neonato che non aveva mai dato alla luce – e ormai, per via della sua età, diventare madre sarebbe stato impossibile. Un po’ le dispiaceva non aver provato quell’emozione, non aver riversato il suo amore su una creatura indifesa, ma d’altronde non puoi perdere qualcuno che non è mai esistito e di conseguenza non puoi soffrire della sua mancanza.

Senza ammetterlo a se stessa sentiva un disperato bisogno di calore umano, ma poteva solo accontentarsi del proprio. Il letto era troppo grande, troppo vuoto. Anche il silenzio, all’infuori dei suoi singhiozzi, era troppo grande e anche il suo cuore troppo vuoto. Sentiva, in sostanza, un grande vuoto e il dolore la pungeva senza tregua. Era pulsante, le mozzava il fiato e le riempiva gli occhi di paura.

Sfiorò il collo della bottiglia con un polpastrello, desiderando che al suo posto ci fosse la mano di Jiraiya. Immaginò di stringerla, per lenire un po’ la solitudine. Energiche e abbronzate tutto l’anno, ecco com’erano le sue mani. Al contrario di quelle smunte e algide di Orochimaru, le sue sprigionavano un avvolgente calore: bastava un istante di contatto per accorgersene. Le ricordava così dalle sporadiche volte in cui aveva avuto occasione di afferrarle, trascinandolo via con sé, perché erano in ritardo per una missione o un allenamento. Si pentiva di non averlo fatto più spesso, invece di tirarlo di malagrazia per un orecchio.

Perché te ne sei andato anche tu…?

Più pensava e più stava male. Però stava male anche senza pensare a nulla e non sapeva se tutto quel sakè avesse migliorato o peggiorato la situazione. Da medico ninja d’élite non conosceva altri rimedi contro le ferite intangibili del cuore, infatti avrebbe volentieri svuotato una cassa intera di sakè nella vasca da bagno e ci sarebbe voluta annegare altrettanto volentieri, peccato avesse un Villaggio da mandare avanti. Oppure una buona idea poteva essere un’iniezione di morfina o qualsiasi altra sostanza in grado di azzerare la sua percezione del dolore, seppur mentale e non fisico. Curioso che il significato del nome del suo assassino fosse proprio “dolore”. Avrebbe potuto sgattaiolare nel magazzino dell’Ospedale e fare incetta di pastiglie, con la tranquillità di chi va nella dispensa di casa propria per dar fondo alla scorta di merendine. Tanto era l’Hokage. Soffocò un grugnito contro al cuscino. Chi voleva prendere in giro? Non riusciva mica ad alzarsi da quel letto.

Si addormentò tra le lenzuola sfatte solo quando fu davvero sfinita, con le guance bagnate e l’impulso di dover vomitare.

 

Era notte. Tsunade lo notò subito, perché la sua testa era inclinata verso l’alto a scrutare il cielo. La sua seconda deduzione fu che fosse estate, per via delle stelle limpide e la brezza che le solleticava la schiena. Le cicale frinivano, nascoste nel verde della foresta, mentre il resto della natura taceva per ascoltarle.

Cercò di capire dove fosse. Voltandosi vide solo le luci tenui di un paio di lampioni, mentre all’orizzonte spuntavano edifici dai tetti colorati. Non riconobbe quella via in particolare, ma non aveva importanza, perché tutta Konoha era casa sua.

Davanti a sé invece aveva il canale. C’era sempre stato, fin da quando Tsunade era bambina a quand’era diventata Hokage. Probabilmente era nato insieme al Villaggio stesso. Il punto era che per quanto le case, i negozi e la gente cambiassero, esso rimaneva imperturbabile al suo posto. Ecco perché quel luogo aveva il potere di rassicurarla: bene o male non cambiava mai.

Si sporse verso lo specchio d’acqua e subito ebbe un moto di sgomento. Era tornata ragazzina, non c’erano dubbi: i lineamenti dolci, la coda alta, il comodo kimono verde acqua... Si toccò d’istinto una guancia, scoprendola vellutata come una pesca. Le sue cellule erano fresche e nuove. Era sotto l’effetto di una tecnica illusoria, per caso? La parte più responsabile di lei si allarmò, quella più spensierata invece fu solo felice di essere ringiovanita.

«Le belle ragazze come te non dovrebbero andare in giro da sole a quest’ora, non lo sai?»

Soffocò un verso di sgomento. Non era possibile… Alzò il capo con uno scatto e lo vide. Anche lui era giovane, alto un metro e un tappo e al posto dei capelli sembrava avesse la criniera di un leone bianco. La scrutava curiosamente, seduto sull’acqua nella posizione del loto.

Tsunade rimase pietrificata e tremante. Aveva capito cosa stava succedendo: aveva già vissuto quella scena e ne ricordava anche il finale.

«Se qualche malintenzionato mi si avvicina, sarà peggio per lui…» Ecco, ai tempi gli aveva risposto proprio così, solo con più superbia. Adesso invece la voce le era uscita a stento, perché era troppo scossa e i battiti cardiaci che le rimbombavano violenti nelle orecchie non erano d’aiuto.

Incantata fissò Jiraiya che, proprio come ricordava, si alzava con calma a pugni stretti. Ascoltò il suono dei suoi geta da quattro soldi che avanzavano sulla superficie, increspandola in delicati cerchi.

Quando raggiunse di nuovo la terraferma con un balzo, Jiraiya le si avvicinò. Sorrideva con giocosa malizia. Il solito sfrontato.

Le loro facce erano pericolosamente vicine.

Ora, secondo il copione, Tsunade avrebbe dovuto imbronciarsi e tirargli un pugno così forte da farlo cadere.

Invece lo baciò d’impeto. E fu come se l’era sempre immaginato. Le sue labbra erano tiepide e sapevano di dolce e di sale marino. Una combinazione che adorò, perché era semplicemente giusta, semplicemente rappresentava lui. I suoi fianchi ancora di una candida acredine vennero afferrati con possessione tale da causarle un tuffo al cuore. Ma in quella stretta non c’era niente di rude, solo tutta l’impazienza che può provare un uomo che aspetta di stringere per la prima volta l’amore della sua vita. Tsunade invece volle sfiorargli le guance in una carezza. Dopo anni – o meglio, decenni – di pugni e schiaffi per una volta voleva riservare loro la gentilezza che meritavano.

Era tutto esattamente come doveva essere e ciò bastò a intiepidirle il cuore. Il primo bacio con Dan non era stato così. Era successo e basta e subito dopo avevano sorriso con timidezza, imporporati d’emozione in volto. Invece con Jiraiya non voleva che finisse subito. Voleva consumarle quelle labbra, succhiare avida fino all’ultima goccia di tutte le sensazioni che potevano donarle. Ma soprattutto voleva che le sue braccia la stringessero più forte che potevano… E non la lasciassero. Mai più.

Furono costretti a staccarsi, anche se Tsunade così come sarebbe morta annegata nel sakè avrebbe potuto considerare anche l’idea di soffocare per un bacio. Finirono ad ansimare, fronte contro fronte.

Durante quei frangenti Jiraiya, con il suo animo poetico, cercò di memorizzare il più possibile. Avrebbe potuto comporre senza difficoltà un tema di almeno dieci pagine descrivendola in ogni caratteristica e imperfezione che contribuivano a renderla, per lui, più perfetta. Si soffermò sulla curva graziosa del naso, sul colorito delle guance, sulle labbra dischiuse, sugli occhi da cerbiatta… Occhi color miele che lo fissavano tremanti e smarriti come mai prima d’ora.

«Sarebbe dovuta andare così…» gli sussurrò. Un’altra lacrima era scesa a bagnarle la pelle e Jiraiya la fece scomparire sotto il suo pollice.

«Quindi hai veramente pianto per me…»

«Certo, stupido!»

Fu un riflesso automatico, incontrollabile: Tsunade gli assestò un pugno sul petto. In fondo sapeva che non avrebbero resistito più di cinque minuti senza che lui facesse o dicesse qualcosa di idiota, meritandosi di essere colpito.

Jiraiya rise: in quarant’anni non era cambiata di una virgola e proprio per questo l’amava. Poi la sua espressione divenne seria. «Tsunade, non piangere più» mormorò, accarezzando appena una delle ciocche che le ricadevano ai margini del viso. «Voglio che tu sia felice.»

Fu come se dentro Tsunade una bomba fosse scoppiata, diffondendo calore e armonia a macchia d’olio. Tutta la sofferenza non c’era magicamente più e le venne addirittura da sorridere.

«Sai, per me sei sempre stato più importante di quanto credi…» gli confessò, accostandosi al suo orecchio. E credeva non ci fosse modo più sincero per dirlo.

Per un attimo, sotto il cielo stellato di una Konoha del passato, tutto era stato assolutamente perfetto.

 

Tsunade si svegliò con il suo sorriso da casanova impresso nella mente. E d’un tratto non aveva più voglia di piangere, ma solo di sorridere come una sciocca ragazzina innamorata. Libera da ogni rimpianto, finalmente aveva sconfitto il dolore: non la spaventava più e avrebbe voluto gridarlo al mondo intero.

 

 

 

Angolo Autrice
Bonsoir! Tutto questo è nato mentre cercavo di elaborare il lutto per Jiraiya e grazie a una conversazione con un amico, che sosteneva non ci fossero mai stati per certo contatti fisici tra di loro. Quindi mi sono detta: perché non dare loro un’ultima possibilità, cambiando il passato? Nel mondo ninja tutto è possibile, quindi anche questo sogno, come regalo d’addio per Tsunade.
Ho cercato di calarmi nel suo punto di vista e sono abbastanza soddisfatta del risultato. Mi dispiace solo non aver tirato in ballo la loro famosa scommessa e allungato quindi il discorso, ma sento che va bene così. Non si esclude che Tsunade potrebbe sognarlo altre volte, chissà!
Grazie per aver letto. Alla prossima!
– H.H
 
   
 
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