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Autore: Sanae77    28/05/2018    11 recensioni
Tutti pronti per i mondiali del 2018?
No?
I nostri campioni invece lo sono, o lo saranno (si spera).
Prima dovranno andare in ritiro e il capitano, purtroppo, non è molto in forma.
Insieme scopriremo che cosa lo disturba. ;-)
Ho il piacere di annunciare che la storia è stata tradotta da Lyra Nym in spagnolo
https://www.fanfiction.net/s/13826347/1/Rusia-2018-Entre-sue%C3%B1o-y-realidad
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Azumi Hayakawa, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Ho il piacere di annunciare che la storia è stata tradotta da Lyra Nym in spagnolo

https://www.fanfiction.net/s/13826347/1/Rusia-2018-Entre-sue%C3%B1o-y-realidad



Bene, eccoci qua con una nuova avventura per i nostri campioni.
Non avrò un giorno fisso di aggiornamento.
Alcune giornate cadranno proprio con le date delle partite in corso d'opera, ovviamente nel mio mondo Russia2018 avrà un Giappone pronto a conquistare la vittoria; Inoltre la nostra amata Italia non è in gara, quindi non ci resta che tifare i nostri eroi.
Ma se il nostro capitano stesse attraversando una profonda crisi? Che ne sarebbe della Golden Combi?
Non ci resta che scoprirlo.
Grazie a chi vorrà seguire questo mio nuovo 'delirio'. :-D
Sanae77


Betuzze mie, dovete sopportarmi anche stavolta.
Grazie, Guiky e Mel <3






Prologo
 
Il cuore pompa nel petto, prepotentemente, come se volesse uscire fuori e spiccare il volo. La sensazione di angoscia m’avvolge, lasciandomi senza fiato. Continuo a correre malamente mentre il fianco sinistro seguita a perdere sangue. La mano destra tampona la ferita oramai aperta e non riesco a respirare bene.
Ma non smetto di correre perché so che questo goal l’ho promesso a Taro. Il dolore al petto mi coglie ogni volta che penso a lui e al suo incidente. Non è ancora sicuro che potrà giocare la finale, ma ci eravamo scambiati una promessa e non sarò certo io a disattenderla.
Continuo a muovermi in direzione della porta mentre sento la chiazza liquida e calda espandersi a sinistra, la sola mano non riesce più a contenere la fuoriuscita di sangue. Il dottore aveva fatto una fasciatura impeccabile, ma i movimenti veloci e gli scatti improvvisi hanno comunque fatto riaprire la lacerazione.
Da questi ultimi minuti dipende il pareggio contro il Messico.  
Sono distrutto.
Kojiro tenta ancora un tiro disperato che Espadas devia in calcio d’angolo. Il tempo è quasi scaduto, la ferita mi rimanda un dolore lancinante che mi spezza il fiato e mi fa piegare in maniera innaturale per non soccombere. Con la coda dell’occhio vedo Aoi che, alla velocità del fulmine, rilancia un calcio d’angolo verso di me.

Ed è un’esplosione d’immagini nella mia mente.
Il pallone, il mio migliore amico.
L’allenamento sulle palafitte in Brasile. L’odore del mare e la potenza delle onde contro le quali ho combattuto, saltando da un palo all’altro. La profonda determinazione che non mi ha mai abbandonato e che mi ha permesso di arrivare fin qua.
No, non mi arrenderò così facilmente.
L’ho giurato.
L’ho promesso al mio migliore amico.
Alla mia metà in campo.
È il patto della Golden Combi: giocare la finale del World Youth insieme.

Raccolgo tutto il fiato possibile nei polmoni. Tento di non pensare al dolore pungente che mi lancia la ferita e con un ultimo, incredibile sforzo dribblo due avversari, mosso da quell’incredibile determinazione che mi ha sempre contraddistinto e che mi ha permesso di arrivare fin qua.
Mi isolo da tutto mentre, ripercorrendo i passaggi fatti in allenamento, mi preparo al mio tiro: lo sky dive shoot.

Sono costretto a una deviazione quando un difensore mi si fa incontro.
Sono costretto a lasciare la ferita per darmi lo slancio con le braccia. Questo mi permette d’innalzarmi fino a rovesciare su me stesso e calciare con tutta la forza possibile verso la porta di Espadas.
La ferita si apre del tutto lasciando che il sangue esca copioso.
Il tiro è potente e preciso, ma Espadas è bravo.
Mancano pochi attimi al fischio dell’arbitro che decreterà la fine dell’incontro.
È fatta, la palla sta per entrare in rete. La vedo anche se sono a testa in giù in piena rovesciata.
Ma il secondo successivo, il portiere riesce a deviare con la punta del dito.
Abbiamo perso.
Però…
Un’ombra da sinistra si eleva verso quella palla in volo.
È Taro, l’altra metà della Golden Combi, la mia metà.

 
Di soprassalto si sollevò nel letto, aprì gli occhi e iniziò a stropicciarli. Aveva il cuore in gola e nelle orecchie; erano mesi che quell’incubo lo tormentava fino a farlo svegliare con la bocca secca e i battiti accelerati. Erano passati quindici anni da quella partita. Ed ora, da qualche mese, alla soglia dei trent’anni, si ripresentava ogni notte come un fottuto incubo. Sapeva benissimo che non si era conclusa in quella maniera la sfida.
Tsubasa si portò istintivamente la mano alla vecchia ferita, in un vago ricordo di dolore che adesso non c’era più. Ma inspiegabilmente il sogno glielo faceva sentire come se fosse vero. Il vero autore del goal, in quell’occasione, era stato Shigo Aoi che, arrivando in volata e sfoderando un prodigioso tiro di testa, era finito in rete insieme alla palla.
La sensazione di smarrimento non lo abbandonò, come la sensazione di calore quando ogni volta si svegliava di soprassalto e l’ultimo pensiero era per Taro e per il suo fottuto incidente di tanti anni prima.
Eppure tutto si era risolto per il meglio a suo tempo.
Perché negli ultimi mesi continuava a fare questo sogno ricorrente?
Perché continuava a provare la stessa angoscia che aveva assaporato all’epoca?
Perché continuava a pensare a quanto avesse sofferto per la notizia dell’incidente di Taro?
Perché continuava a rimuginare sull’estenuante allenamento a cui si era sottoposto e che gli aveva provocato quella ferita al fianco?
Al tempo non aveva dato troppa importanza all’accaduto, ma il sogno aveva risvegliato pensieri sopiti e nascosti, che adesso facevano fatica a tornare nei meandri della mente.
Appena appreso dell’incidente di Taro si era dedicato a perfezione lo Sky Dive Shoot con tutto se stesso. Tanto da farsi male.
O era semplicemente stato uno sfogo dopo aver saputo che il suo migliore amico non avrebbe potuto giocare la finale?
Ogni volta quel sogno lo angosciava e lo accaldava.
 
Con la mano afferrò la coperta e, scansandola delicatamente per non svegliare Sanae al suo fianco, posò i nudi piedi a terra, assaporando il refrigerio regalatogli dal fresco pavimento. Facendo forza sulle gambe si alzò e andò verso la porta per non disturbare la moglie.
Passando di fronte alla cameretta si affacciò per osservare i figli. Hayate e Daibu dormivano beati nelle pose più assurde che avesse mai visto. Neanche le rare volte che aveva dormito con Ryo, aveva mai visto qualcuno riposare in quel modo. Oltretutto i due, inseparabili, finiva sempre che si concentravano in un solo letto. Tanto che con Sanae avevano deciso alla fine di arrendersi e comprare ai gemelli un gran lettone matrimoniale.
Avevano passato quasi nove mesi nella pancia della madre insieme, e chi erano loro per decidere di tenerli così lontani? Si erano arresi all’evidenza del profondo legame tra i due e avevano ceduto alla richiesta fisica dei bambini di avere un contatto reale e duraturo. Avevano solo nove anni, avrebbero avuto tutta la vita per stare separati.
Una fitta al fianco lo riportò indietro nel tempo quando, alle elementari, Taro gli aveva comunicato che avrebbe lasciato Nankatsu per seguire il padre nel lavoro. Memore di questi ricordi non aveva assolutamente voluto che i figli provassero una simile angoscia, quindi aveva assecondato il loro desiderio di dormire insieme.
Tornò a guardarli sorridendo, poi afferrò il cellulare dalla consolle e scattò una foto. Doveva assolutamente farla vedere a Taro, era certo che i gemelli sarebbero diventati la nuova Golden Combi, un domani. L’altra metà in campo popolava i suoi pensieri quotidiani da anni e finora aveva convissuto bene con questo.
Perché, allora, da qualche mese era così in crisi per i sogni che affollavano la sua mente?
Perché si sentiva quasi in imbarazzo a mantenere la stessa confidenza del passato?
Perché, certe volte, si trovava a pensare che avrebbe dovuto diradare i contatti?
Perché il solo pensiero di diradare i contatti gli spezzava il fiato nei polmoni?



Osservò la foto imprigionata sullo schermo e capovolse l’oggetto, sorridendo. Non capiva esattamente quale fosse la testa di Hayate e quale i piedi di Daibu, da tanto che erano incastrati.
Aprì la chat con Taro, ma la richiuse quando, arrivato in cucina, si accorse che erano solo le tre di notte.
Era la quarta volta consecutiva che, quella settimana, si svegliava al medesimo orario, per il medesimo incubo.
Posò il telefono sul pianale, afferrò un bicchiere e lo riempì di acqua. Poi si spostò verso la finestra e, portandosi il vetro alle labbra, osservò la città risplendere sotto di lui.
Barcellona era magnifica di notte. Lo era anche durante il giorno, ma la quiete notturna gli regalava sempre una sensazione di benessere in tutto quel caos.
Restò a contemplare le calde luci e a sorseggiare l’acqua fresca, finché due braccia delicate non lo avvolsero da dietro.
 
“Ancora quel sogno?” chiese Sanae preoccupata.
Erano mesi che trovava il marito in piedi durante la notte in giro per casa. Le aveva sempre detto di aver avuto un incubo, ma che non ne ricordava il contenuto. Aveva la sensazione che non gli stesse raccontando la verità.
Nonostante tutto non aveva insistito, rispettando il suo volere. Tra loro non c’erano mai stati problemi o segreti ed era sicura che quando Tsubasa fosse stato pronto le avrebbe detto che cosa lo turbava tanto.
“Già” rispose lui, intrecciando una mano alle sue esili dita.
Sanae liberò un braccio dalla stretta e con il palmo disteso s’intrufolò sotto la maglia, massaggiandogli la schiena.
“Dai, vieni a letto ché domani devi partire con la nazionale.”
La voce di sua moglie, impastata dal sonno, lo fece sentire in colpa. Non solo per farla destare e preoccupare la notte, ma anche per averle mentito sul sogno.
Non era affatto vero che lui non ricordava niente. Lo ricordava eccome, ma questo gli stava provocando sensazioni troppo contrastanti e non voleva far preoccupare Sanae per nulla. Oltretutto da quando aveva saputo del ritiro con la Nazionale gli incubi erano aumentati e, se possibile, questo lo aveva impensierito ancora di più. Di conseguenza i risvegli erano divenuti sempre più frequenti e i sogni sempre più nitidi. Gli sembrava di rivivere le medesime situazioni, ma sotto altri aspetti, sotto altri punti di vista, sotto pensieri che non aveva mai fatto e che ora, invece, facevano fatica non solo a venir fuori, ma anche a venire accettati.
Doveva confessarlo: questa situazione lo stava mandando fuori di testa e in vista dell’imminente mondiale non era tollerabile. Anche perché doveva condividere, come al solito, la camera con Misaki. E se finora non era mai stato un problema ora lo poteva diventare visto gli incubi avuti in quei mesi.
   
 
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