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Autore: CoffeeWhite    30/05/2018    1 recensioni
I miei pensieri facevano a botte l'un l'altro, mentre mi interrogavo arrostendo una fetta di pane tostato nella mia piastra per capelli, dato che mi avevano rubato perfino il tostapane.
E io che credevo che i servizi sociali fossero la cosa più vergognosa, pericolosa e peggiore che potesse capitarmi!
Non ci era voluto molto a ricredermi; il ragazzo condannato assieme a me, quello che non si faceva quasi mai vedere, mi terrorizzava anche troppo. Non capivo come dovessi comportarmi con lui nei paraggi, né avevo la minima idea di come evitarlo.
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1. Marishka



Che schifo l'arancione.

Non l'avevo mai tollerato e mai lo avrei tollerato.

Sprizzante, gassoso, solo a vederlo mi si ribaltava lo stomaco, un po' come mi accadeva tutte le volte che bevevo il succo d'arancia, o ancora peggio l'aranciata. E l'aranciata era di colore...? Arancione, pensa un po'.

Solo al pensiero che avrei dovuto portare questa divisa di tre taglie più grande di me mi veniva voglia di bestemmiare in portoricano, esalando fino allo sfinimento tutte le parolacce che i nativi delle Isole Canarie mi avevano insegnato durante il lungo periodo estivo trascorso laggiù, a morire soffocata nel mio stesso sudore. Bei tempi, quelli. Certo, a confronto con il luogo in cui mi trovavo adesso... e a cosa avrei dovuto fare per quattro, lunghissimi mesi da oggi... avevo già iniziato il conto alla rovescia. Mancavano esattamente novantadue giorni, sedici ore e... non ero sicura dei minuti, già i giorni e le ore bastavano a farmi venire voglia di rimettere nella tuta arancione che avevo appena indossato.

 

Quattro pidocchiosissimi mesi che trascorrerò a pulire i cessi, sgraffitare i muri dalle case e dagli edifici scolastici, e levare immondizia dalla strada!

 

Bene. Dopo questa splendida prospettiva futura che avrebbe occupato un terzo del mio nuovo anno di vita potevo letteralmente darmi fuoco e via, stop, almeno non avrei dovuto sopportare la vergogna e l'ira del mio patrigno, lui sì che era una testa di cazzo. Perfino mia madre dopo un anno non l'aveva più sopportato ed è scappata con un altro, donandogli gentilmente la mia custodia. E lui aveva accettato senza esitazione. Ovviamente.

Ripensai all'eventualità di darmi fuoco qui, ora.

Naaa, non era abbastanza originale come morte. Se dovevo morire, tanto valeva farlo in grande stile, no? E poi il fuoco è arancione. No, assolutamente no.

" Ehi, pensi di riuscire a farcela o devi ancora metterti la cipria? Muovi il culo, i bagni ti aspettano! "

Ladies and gentlemen, ecco a voi Ettore Nonricordoilcognome, ossia il guardiano incaricato di badare ai piccoli delinquenti ( come me ) più stronzo di tutta la storia dell'umanità. Ecco uno degli aspetti peggiori che mi toccherà subire nel periodo di tempo che trascorrerò dedicandomi ai servizi sociali: lui.

Grugnendo infastidita, mi legai in una coda altissima i miei capelli riccissimi, fissandoli il meglio possibile con delle mollette. Solo tre giorni fa mi ero fatta le mèches dorate per dare un tocco in più a quella chioma crespa color castagna, ma ora ero costretta a tenerli legati. Avevo la sconsolante premonizione che avrei sudato sette camicie.

Mi diressi verso i bagni femminili.

C'era un odore terribile. Mi trovavo nello spogliatoio di una delle più grandi palestre della città, che per alcuni mesi sarebbe diventata una specie di seconda casa, dato che era anche il nostro luogo d'incontro quotidiano.

Ettore si era già eclissato chissà dove. Grandioso, dov'era il bagno femminile? Gesù, ma perchè i bagni non potevano trovarsi negli spogliatoi, come in qualsiasi palestra che si rispetti?

Il rumore dei tacchi dei miei stivali rimbombò freneticamente, mentre aprivo e chiudevo una miriade di porte a casaccio. Sospirai. Durante le ore lavorative non ci era permesso utilizzare il cellulare, infatti la prima cosa che aveva fatto il nostro amorevole custode era stata sequestrarceli. Non presentarsi, sequestrarci i cellulari, dopo essersi assicurato che li avessimo spenti. Bastardo.

La mia unica consolazione era che non sarei stata l'unica deficiente, altri quattro ragazzi erano costretti a condividere il mio stesso destino. Li avevo adocchiati quando Ettore aveva preso i nostri cellulari, gettandoli in un vecchio secchio delle pulizie che aveva sistemato sotto la sua scrivania. Due maschi e una ragazza. L'ultimo ragazzo non l'avevo visto, però. 

Aprii con un calcio una porta a due ante che sbatterono violentemente contro le rispettive pareti, provocando un botto assurdo, che fece sobbalzare dalla paura la ragazza inginocchiata sul pavimento dei bagni femminili. Vidi il secchio pieno sfuggirle di mano e inondare sia lei che il pavimento in una pozza d'acqua marroncina.

" Oh!! Merda... " la sentii sibilare mentre si rialzava il più in fretta possibile, ma a causa dell'acqua mise una scarpa in fallo e crollò a terra con una culata che io non mi sarei mai augurata di provare.

Rimase di schiena, in quella posizione per qualche secondo, respirando affannosamente, le palpebre serrate. Poverina, le natiche dovevano farle un male cane. Era il caso di...?

" Ops " mormorai. Lei aprì di scatto le palpebre osservando il soffitto. Poi inclinò appena il capo, finché non mi trovai nella sua visuale. Mi girai col busto, afferrando una delle ante e richiudendola dolcemente, producendo solo un lieve cigolio. Feci la stessa cosa con l'altra.

Successivamente mi rigirai, soddisfatta.

Lei non si era mossa.

" Ops? " ripetè lentamente, senza smettere di fissarmi in modo strano " Ops?! S-seriamente? Non ti è venuto in mente di meglio?!? "

Feci spallucce.

" Spiacente sorella, non me l'avevano detto che la mia compagna di cessi soffriva di attacchi di cuore e aveva seri problemi di equilibrio. Ma ora ci sono io, ti renderò il lavoro più leggero, contaci "

La sua espressione cambiò. I suoi occhioni neri si restrinsero, brutto segno. Una volta, in discoteca, una ragazza aveva preso a fissarmi in quel modo; dopo neanche cinque minuti era scoppiata una violenta zuffa, con tanto di graffi e capelli strappati. A mia discolpa andava detto che il ragazzo a cui mi ero avvinghiata piuttosto impudicamente aveva omesso di informarmi di essere già impegnato con quella. E poi perché prendersela con me? Era lui che la stava tradendo, o no?

Per questo, indietreggiai prudentemente verso i lavandini, marcando la distanza tra me e lei. Anche perché la mia nuova amica era decisamente robusta e sicuramente molto più alta di me. Però era anche tremendamente pallida, come se non mangiasse da giorni.

" Riesci ad alzarti? " le chiesi, rovistando tra le tasche del mio completino arancione. Tirai fuori un sacchettino di plastica trasparente contenente vermicelli di zucchero gommosi. 

La tipa non mi rispose. Appoggiò il peso sui talloni e si mise in piedi, stavolta lentamente.

La fissavo con calma, mentre succhiavo un verme tra le labbra.

" Maledizione... " borbottò, afferrando i due lembi sporgenti dalla tuta arancione, strizzandoseli tra le dita. La scena mi fece sfuggire più di una risata. La ragazza se ne accorse e il suo sguardo d'ebano tornò su di me, ancora più minaccioso di prima.

" Dimmi, co-cosa ti fa ridere d-di pr-p-pre-preciso? "

Aggrottai la fronte, catturando un altro vermetto e prendendo ad esaminarlo con attenzione. " Non saprei... ma sì, se dovessi dire... per ora, la tua pronuncia "

Senza dire una parola, la ragazza tirò su il secchio rovesciato e afferrò qualcosa dal fondo, lanciandomelo.

" Ehi! " esclamai colta alla sprovvista, facendo appena in tempo ad evitare lo strofinaccio inzuppato che andò a spiaccicarsi contro gli specchi che sovrastavano i lavandini dietro di me.

" De-devi pulirli " spiegò " dopo che mi avrai aiutata ad asciugare il p-pa-pavimento "

" Scordatelo! " sbraitai, lasciandola interdetta " Il casino l'hai combinato tu e il pavimento spetta a te, tesoro. A me gli specchi "

" No! " ribattè lei " Dobbia-dobbiamo lavorare insieme! "

Alzai gli occhi al cielo.

" Ah sì? Beh, in tal caso dettiamo un paio di regole, ok dolcezza? Guardami: ti sembro una abituata ai lavoretti manuali? "

Lei rimase muta, fissandomi con aria confusa.

Mi strinsi nelle spalle. " Sssì, ecco, forse ho sbagliato termine... ovvio, dipende poi da cosa intende uno con lavoretti manuali, però... " tentai di spiegare, nel vano tentativo di farle sparire quell'espressione da ebete che metteva a disagio persino me. " Cazzo, sto cercando di renderti le cose comprensibili, va bene? " sbottai, gesticolando " Non sono abituata a questi lavori! Anzi, non sono abituata a trascorrere interi pomeriggi a pulire, pulire, pulire e... pulire l'ho già detto? Perciò intendiamoci, che chi sporca pulisce. Il resto andrà ripartito, come è giusto che sia, ma il pavimento è tutto tuo. Bene, felice di aver parlato per entrambe, so di averti fatto un favore e non è necessario che mi ringrazi, ora possiamo tornare al lavoro, su! "

Presi controvoglia lo straccio e iniziai a tracciare ghirigori di schiuma sugli specchi, cercando di togliere contemporaneamente un pezzo di caramella che mi era rimasto incastrato tra i denti. Se non avessi visto la ragazza avvicinarsi a me attraverso il vetro dello specchio non mi sarei nemmeno accorta di lei.

" Ti serve qualcosa? " chiesi, senza interrompere le mie mansioni.

" Solo una domanda: chi cavolo c-credi di essere? "

Sorrisi mestamente, scuotendo appena la testa. " Se hai voglia di alzare le mani già il primo giorno non ti fermerò. Mi auguro solo che tu sia più svelta a mollare schiaffi di quanto lo sei a parlare "

Per un attimo mi sembrò quasi che stesse valutando l'offerta. Evidentemente si stava chiedendo se le avrei davvero permesso di picchiarmi. " Non vo-v-voglio fare a b-botte con te " disse infine " né con altri. Ho già i miei guai "
" Che hai fatto per finire qui? "
" E tu? "
Ridacchiai. " Mmmh... atti osceni in luoghi pubblici "
" C-certo..." borbottò lei, poco convinta " Io ho servito da bere a dei minorenni. Se-senza saperlo "
" Tutto qui? " domandai, sinceramente delusa " Pensavo a qualcosa di peggio. Nel tuo caso si è trattato di semplice incoscenza "
" Nel tuo invece semplice esib-bizionismo, v-vero? " ribattè pungente, strizzando un panno intriso d'acqua nel secchio.
No, pensai, tornando a voltarmi, non è stato per quello.




Soffiavo con foga sulle mie mani arrossate e raggrinzite, una volta che ebbi finito di lavare tutti i bagni, nel tentativo di alleviare il bruciore. Accidenti, eravamo rimaste a lavorare per un paio d'ore e adesso i bagni erano perfino più puliti di me.
" Be-bene " disse la mia compagna di lavoro, asciugandosi il sudore con una manica della camicia a righe " Abbiamo fatto u-un b-b-buo-buon lavoro. Il nostro turno è f-fini-to. C-ci vediamo dooo-doma-domani " esitò un attimo, guardandomi di sbieco " Mi chiamo Mari-ri... Marishka. Tu? "
" Marishkaaa?? " dissi strabuzzando gli occhi " Tua madre non poteva scegliere un nome ancora più complicato da darti, considerando la tua lieve ba-ba-baaaalbuzie? "
Non le piacque la battuta.
Il suo sguardo mi trafisse con la forza di una lama, mentre si dirigeva in fretta e furia verso l'uscita, sbattendo la porta con così tanta forza da farmi sobbalzare. Il sacchetto delle caramelle mi sfuggì di mano e i vermicelli si sparpagliarono per terra.
" Oh! " ruggii " Merda!! "
Niente male come primo pomeriggio; me l'ero cavata egregiamente e mi ero fatta anche una nuova amica.
" Il mio nome è Aleida, ciao!! " le urlai dietro.
Forse c'ero andata giù pesante, ma che potevo farci? Mi divertiva il modo in cui parlava, anche se io non ero mai stata il classico prototipo di ragazza modello, anzi, si poteva dire che possedessi un carattere tutto mio ( di cui ero segretamente gelosa ); le persone con le quali mi ero lasciata andare, seguendo il mio istinto senza porre freni alla lingua avevano sempre finito per odiarmi, ma sentivo che con questa Marishka sarebbe andata diversamente. Saremmo diventate amiche. Dopotutto il fatto che non mi avesse già mandata a quel paese dopo tutte le provocazioni che le avevo lanciato in quelle due ore rappresentava già di per sè un ottimo segno.
Tornai agli spogliatoi per raccattare le cose che avevo lasciato nell'armadietto. Mi strappai di dosso la tuta arancione, la appallottolai tra le mani, la stropicciai, la schiacciai in fondo allo scomparto, provando disgusto solo a guardarla.
Poi sbattei con forza l'anta dell'armadietto senza preoccuparmi di chiudere il lucchetto ( se qualcuno avesse trovato quell'indumento sporco e rovinato anche solo minimamente attraente, buon per lui ) e mi avviai verso l'uscita.
" Ehi, dove pensi di andare? Devi timbrare il cartellino, prima "
Riecco quel rompicoglioni di Ettore.
Feci dietro-front e lo raggiunsi, con entrambe le mani tese.
" Dammi il cellulare, stavo per dimenticarlo "
" Eccotelo " sbuffò, schiaffandomelo sul palmo destro. Sorrisi, abbassando la mano. L'altra però rimase tesa. Ettore rimase a fissarla per qualche momento.
" Che vuoi ancora? "
" Il cartellino "
" Quale cartellino? "
" Quello che devo timbrare, idiota! Sbaglio o prima mi hai richiamata dicendo che dovevo timbrare un... "
" Il cartellino che ho dato a te e ai tuoi colleghi quando ci siamo presentati. Ce l'hai tu "
Mi aveva dato un cartellino? Quando?
Vagai con il cervello attraverso i ricordi della scorsa mattina, quando avevo incontrato per la prima volta quell'omino disgustoso alto un metro e un tappo e con metà arcata dentale in piombo.
" Non mi hai dato nessun..." ad un tratto ricordai. Mentre cenavo al parco ieri sera mi era caduto un sacco di ketchup dal panino sulle mani e non avendo fazzoletti a portata di mano avevo usato quello... ops.
" Ehm, l'ho perso " mormorai, sorridendo e fingendomi mortificata. Lui fece un respiro profondo, prendendo fiato per quella che sarebbe stata una ramanzina lunga almeno venti minuti.
" Non puoi darmene un altro? Non avevo neanche iniziato ad usarlo! " insistetti, aprendo il cellulare e premendo il tasto di accensione. Mentre attendevo che lo schermo diventasse fucsia, osservai il custode aprire svogliatamente i cassetti alla ricerca di una nuova schedina. Diedi un'occhiata a ciò che c'era sulla sua scrivania. Perbacco, peggio del bidone dei rifiuti a casa mia. Vasetti di yogurt accartocciati e lasciati a metà, una pila di fogli da compilare, alcuni completamente macchiati d'inchiostro e di scarabocchi indecifrabili, svariati pezzi di carta con sopra scritti diversi numeri di cellulare, cibo spazzatura, cartacce ovunque tranne che nel cestino, occhiali da vista tenuti insieme con il nastro adesivo, un crocifisso, un bicchierone di carta contenente probabilmente del caffè e un paio di riviste colorate semiseppellite sotto i documenti. Senza farmi notare mi avvicinai e sollevai appena una delle riviste. Wow, esattamente quello che avevo immaginato.
Porco.
" Tieni " sospirò, porgendomi un nuovo cartellino. " Devi infilarlo nella fessura della macchinetta sulla parete, qui. E fai attenzione perché non ne ho altri "
" Perché non appunti i nostri nomi e i nostri orari... che ne so, in un registro? " gli chiesi, strisciando la carta nella fessura, che produsse un lieve fischio.
" Perché non ho voglia di farlo. E ho altre cose ben più importanti da fare che badare a cinque rimbambitelli come voi, perciò tu limitati alle pulizie per questi mesi e fatti gli affari tuoi, d'accordo? "
Cose ben più importanti, eh? Certo, ad esempio sfogliarti tutta quella valanga di riviste porno..., pensai mentre riabbassavo lo sguardo sul cellulare.
" Ehi!! Cosa...? " esclamai, sorpresa. Mi richiedeva il codice pin.
Ettore, il quale si era appena seduto, ruotò la sedia verso di me, con un'aria decisamente infastidita. " Che altro c'è?! "
Gli misi l'apparecchio sotto il naso. " Guarda! Vuole il codice!! "
Lui scrollò le spalle, tracciando una x su un questionario. " Se te la sei scordata, cazzi tuoi. Non ti posso aiutare "
Stronzo.
" Ma non me la sono scordata!! " sbraitai, chiudendo il telefonino con uno scatto e prendendo ad esaminarlo con maniacale attenzione " Io non ho mai inserito la pin come misura di sicurezza!! ... Questo cellulare non è mio "
Ettore alzò gli occhi grigi al soffitto.
" Sei rimasta solo tu. "
" E allora? "
" E allora quello è l'unico cellulare rimasto, di conseguenza: è il tuo "
" E invece no! " insistetti vittoriosa, notando un graffio sul fianco sinistro ben poco familiare. Lo afferrai per una spalla e lo costrinsi a voltarsi " Guarda qui! Il mio cellulare non ha mai avuto un segno del genere! E' possibile che uno di quegli sfigati avesse un cellulare simile al mio e tu glielo abbia dato per sbaglio? "
Il custode trangugiò con diffidenza parecchi sorsi di caffè freddo, prima di appoggiare il bicchiere sulla scrivania, ruttare sonoramente e vagare con lo sguardo per la stanza per qualche secondo.
" Ora che mi ci fai pensare, il penultimo ragazzo, quello che era qui dieci minuti fa, ha preso un cellulare nero identico al tuo. Si sarà confuso "
" Il ragazzo biondo? "
" L'altro "
" Quale? Quello con i capelli tinti di verde? "
" L'altro "
Sbuffai innervosita. Doveva essere stato quello che non si era fatto vedere. 
" Merda, ora mi tocca raggiungerlo! "
" Provaci, se ci riesci "
Lo squadrai. " Che vuoi dire? "
" Sembrava avere fretta di tornarsene a casa. "
Non attesi neppure che finisse la frase; mi fiondai all'esterno della palestra, cercando con gli occhi dappertutto.
La palestra non era esattamente al centro della città, ma già dopo poche centinaia di metri si entrava per le strade di immensi quartieri trafficati. Perciò... niente da fare, avrei dovuto aspettare l'indomani per riavere il mio cellulare.
La sola idea che quel teppista da due soldi leggesse i miei messaggi o guardasse certi video che avevo salvato... cazzo, che nervi!
Se solo si fosse azzardato, gliela avrei fatta pagare! Anzi... dando per scontato che l'avrebbe sicuramente fatto in ogni caso, mi rigirai fra le mani il suo cellulare, pervasa da un intenso desiderio di ridurlo a un mucchio di pezzetti di plastica.
E il giorno dopo gli avrei detto: " Mi dispiace tanto per quello che è successo, considerala una sorta di vendetta dettata dalla giustizia, niente di troppo personale, anche se devi ammettere che non sarebbe successo niente se solo fossi stato un po' meno rincoglionito da prendere il cellulare giusto, brutto imbecille!!! "... ecco, avrei fatto più o meno così.
Per il momento comunque, l'unica cosa che volevo era tornare a casa.
Se mi sbrigavo sarei riuscita a prendere l'autobus, il sole ormai era quasi del tutto scomparso e tra poco avrebbe iniziato a fare freddo, non mi ero neanche portata la giacca dietro. Ficcai il cellulare nella tasca dei jeans e mi incamminai.







Sì, ho preso ispirazione da Misfits :D demenza e risate vanno sempre d'accordo con me! E anche un filo di drammaticità che in futuro non guasterà mai

 

 

  
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