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Autore: AlessandroConte    30/05/2018    0 recensioni
Storie varie brevi e lunghe, in prosa e in versi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA  VINCITA 
 
“Ti è mai capitato di vincere qualcosa?” chiedeva il pensionato alto a quello basso. Avevano finito di fare una breve coda in quella tabaccheria-ricevitoria e avevano in mano la ricevuta stampata a fede delle schede giocate.
“Ah sì” rispose Basso.
Non si erano neppure detto ‘piacere’ eppure sembravano già amiconi pronti a sedersi assieme per una briscoletta al Circolo dell’Ente.
“Davvero? E quanto?” e Alto sembrava ancora più triste e allampanato alla notizia.
“Una settantina.”
“Di mila euro?”
“Già.”
“E giochi ancora?”
“Ho il vizio. Poi sono volati via tutti.”
“Donne? Investimenti sbagliati? Dimmi, dai, che muoio dall’invidia.”
“Quali donne e investimenti! Il fisco, e più di quello i parenti, assassini a domicilio. E sono rimasto come prima, con le pezze al culo.”
“Ho capito” e Alto sembrava un po’ più sollevato alla notizia. “Ma scusa. Se l’esito è stato quello, sai già cha tasse e familiari ti prenderanno tutto.”
“Lo so, ma io non gioco per guadagno. È per la soddisfazione.
Quandi vinsi, l’emozione fu così forte che non riuscivo quasi a respirare. Il cuore ha accelerato per tutto il giorno. È terribilmente bello azzeccare i numeri che hai scelto.
Io se vinco un’altra volta sai che faccio? Mi godo l’emozione e la schedina la faccio in mille pezzi.”
Si guardarono Alto e Basso, ognuno col suo qualcosa nello sguardo, un cenno e tornarono alla propria non-occupazione.
 
Alessandro Conte
 
 
UN  PIANTO    
 
Sul bordo del giardino sto al coperto
mentre una pioggerella sta cadendo.
Mi sento ancor più solo e limitato,
ma, senza che lo speri, s’avvicina
il gatto infreddolito a strofinarsi.
Rimaniamo lì assorti al gocciolare
dell’acqua fra i rametti d’una pianta
esposta al vento e sempre senza un tetto.
M’avvedo che dagli occhi inumiditi
ruscello in parallelo col cespuglio.
   Non so perché m’abbia commosso quello;
   sarà che mi è sembrato tanto bello.
 
Alessandro Conte
 
 
LA  VISITA                               
                    
“Gargiulo, Scuotti, voi proprio non volete uscire più!”
“No, no, direttò” lo rassicurò Scuotti, “ chi ve l’ha detto? è vero Amedè? Noi vogliamo uscire.”
“Silenzio!” urlò il funzionario. “Una fetente di visita... ; voi l’avete fatto apposta.”
“No, no, direttò” garantì Gargiulo, “ma quale apposta. Ci è venuto tutto spontaneo, così, all’improvviso, è vero, Nicolì?”
“Silenzio!
Ma come? La delegazione in visita, una fetente di domanda vi avevano rivolto: ‘Ragazzi, come ve la passate qui dentro?’ e voi non la finivate più.
Non potevate rispondere che va tutto bene, con utili passatempi, vitto abbondante come vi avevo suggerito quando vi ho fatto il discorsetto?”
“Direttò” si giustificò Gargiulo, “è stato quell’onorevole che ha chiesto se ritenevamo che un po’ di, come ha detto?, di compagnia femminile fosse necessaria dentro al carcere di tanto in tanto.”
“Lo so quello che hai risposto, Gargiù: che se ‘la cosa’ era una tantum non ci si faceva niente dato che vi viene duro un’ora sì e una no.”
“Sì, direttore, ma per scherzare. Che dovevo dire? che ci mandassero una femmina fissa a testa? E che figura avreste fatto voi? direttore di bordello?”
“Silenzio! Dovevi dare una fetente di risposta sensata invece di dichiarare che anche per occupare con soddisfazione un posto qua ci vuole culo, come a Montecitorio”.
“Direttò” intervenne Scuotti in difesa del collega, “ma è vero; là culo ce ne vuole più che qua: Pecoraro Scanio che fa il ministro, non l’ha detto lui che quando gli va lo piglia nel sedere? Luxuria...”
“Silenzio, bestia!
Proprio tu che al vescovo, non fàrmici pensare. Ma che volevi significare?”
“Stai silenzio, Niculì” consigliò Amedeo, azzittendolo, “ che il direttore s’incazza e noi da qua dentro non usciamo più.”
“Il direttore è già incazzato” confermò il direttore “e qualche provvedimento restrittivo ve lo meritate dopo la figura di merda che abbiamo fatto.
Scuotti tu al vescovo hai detto che secondo te non fa niente che non ‘formicate’ con le femmine e hai detto, fortunatamente perchè pure senza femmine, che vi ‘rovinerebbero l’atmosfera’, parole tue, l’amore si fa bene anche fra maschi; e hai aggiunto testualmente: ‘Lei, Santità, lo dovreste sapere bene’, è vero?”
“Ma, direttò, non volevo significare che anche i preti lo fanno perchè pure loro stanno senza femmina.”
“Silenzio, macaco! quanto più parli, tanto peggio è.”
“Stai silenzio, Niculì” ribadì Amedeo.
“Ma è possibile” si dannava il direttore “che un fetente di prelato…”
Si bloccò all’istante non volendo certo, insultare il vescovo; ma i due avevano colto e a turno:
“Noi, direttò, non abbiamo sentito.”
“Dite pure, direttò, state fra amici.”
Quello, sbiancato, li squadrò, feroce:
“Silenzio!
Voi due, in attesa di ulteriori misure, sarete separati: uno in una cella e uno in un’altra.”
Era quanto di peggio potesse succedere al connubio Nicola-Amedeo ormai legati da una vita. Ma Gargiulo mentre i secondini si apprestavano a riaccompagnarli in cella volle avere l’ultima parola a dispetto di tutti i ‘silenzio!’ a cui avrebbe dovuto soggiacere:
“Direttore” e ogni inflessione confidenziale era scomparso dalle sue corde impostate su di un tono di grande dignità offesa, “ripeto che quello che serve per star bene dovunque qua dentro è il culo e fortunatamente di quello ne abbiamo a strafottere.”
 
Alessandro Conte
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Vi do appuntamento a mercoledì prossimo, 6 giugno, con altre storie)
   
 
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