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Autore: Il_Genio_del_Male    01/06/2018    7 recensioni
Era una notte buia e tempestosa...
[Favola!AU]
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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Per gli abitanti di Fagianolandia, una ridente valle ricca di fiumi e circondata da dolci colline, quell’estate era stata benedetta da un sole sufficiente a far maturare il grano e della sporadica pioggia che aveva scongiurato lo spauracchio della siccità. La sera in cui si svolge la nostra storia, però, il cielo non si limitò a dispensare qualche goccia gentile. Un temporale estivo come ne capita solo una volta l’anno, violento e tremebondo, con plumbee nuvole color ardesia che gravavano minacciose sui tetti mentre l’acqua cadeva a secchiate, alimentata da raffiche di vento in grado di far piegare le cime degli alberi e divellerne non pochi, si abbatté improvvisa su Fagianolandia e sui villaggi della contea.

Fu proprio in uno di questi villaggi che, una volta placatasi l’ira degli elementi, giunse un orso bruno. La sua folta pelliccia era lucida di pioggia. La mole, benché non particolarmente imponente, era distribuita su due zampe invece che su quattro. A giudicare dallo scarso strato di grasso che lo ricopriva e dalla forma del muso, si poteva dedurre senza sforzo la giovane età dell’orso. Aveva occhi molto dolci, di un nero screziato, e artigli ancora poco sviluppati. Nonostante la generale mitezza che traspariva dalla sua andatura tranquilla e dalle tenere orecchie che gli adornavano la sommità del capo, era pur sempre un animale selvatico. Così gli abitanti del villaggio, come videro quella sagoma scura e pelosa avanzare verso il centro cittadino, se la diedero a gambe e corsero a barricarsi dentro le rispettive case, sbarrando porte e finestre in preda ad un’isteria collettiva davvero buffa.

Il giovane orso, il cui nome era Jongin, assistette perplesso al fuggi fuggi generale. Nondimeno, consapevole che la sua specie avrebbe reso se non altro diffidente anche l’essere più ottimista del mondo, sistemò la pesante bisaccia che teneva appesa ad una spalla e, sospirando, si fermò davanti alla prima casetta che trovò sul suo cammino. Bussò.

“Chi mi cerca?” domandò una voce stridente, quasi strozzata.

“Sono un viandante e cerco riparo per la notte. Il temporale mi ha colto di sorpresa, stanotte farà troppo freddo perché io possa dormire all’aperto come mio solito” spiegò Jongin. “Se potessi offrirmi una coperta ed un posto alla tua tavola, te ne sarei davvero grato”.

Il proprietario dell’abitazione si affacciò alla finestra. Era un galletto dal piumaggio bianco neve, con cresta e bargiglio di un rosso acceso. “Non esiterei a farti entrare, se tu non fossi un orso” chiocciò.

“Purtroppo non posso cambiare ciò che sono” replicò sagacemente l’altro. “Tuttavia comprendo il tuo rifiuto. Posso chiederti un semplice piatto di minestra, o qualsiasi pietanza tu abbia in pentola per la cena? Del cibo caldo mi sarebbe di grande aiuto per combattere l’umidità notturna”.

“Ti ripeto, orso, che non esiterei a venirti incontro se tu non fossi un predatore carnivoro. Chi mi assicura che non approfitteresti della mia generosità per papparmi in un sol boccone?” gli occhietti acuti del gallo si assottigliarono, sospettosi. “Nella mia condizione, se solo mi convincessi ad aprire la porta o a passarti del cibo dalla finestra metterei a repentaglio la mia vita. Sei forte e pericoloso. Non posso fidarmi di te, mi dispiace” concluse.

Jongin annuì gravemente. “Capisco” disse, e non aggiunse altro. Con somma pazienza si recò presso ogni casa, bussando e chiedendo asilo. La risposta fu sempre negativa, e le motivazioni addotte le stesse espresse dal galletto. Nessuno di loro osava tendere la mano ad un orso.

Egli però non si perse d’animo. Tornato di fronte all’abitazione del giovane gallo, dove il terreno era meno fangoso, aprì la bisaccia e vi rovistò dentro. Vi tirò fuori dei ciottoli, diversi rametti secchi ed un paiolo in peltro. I suoi movimenti non sfuggirono agli sguardi attenti degli abitanti del villaggio, i quali, sebbene intimoriti dalla presenza dell’orso e ben decisi a non uscire di casa, non resistettero all’urgenza di sbirciare cosa diavolo l’animale avesse intenzione di fare. Lo osservarono dunque riempire il paiolo con l’acqua di un ruscello nelle vicinanze, assemblare un rudimentale falò servendosi dei sassi e delle fascine, estrarre dal suo sacco un mestolo. Infine, colmo dei colmi, lo videro immergere nel pentolone una grossa pietra.

La curiosità del gallo ebbe la meglio sulla propria paura. “Perché mai hai messo a cuocere una pietra, orso?” stridette.

Jongin ci pensò su. “Hai ragione, ce ne vogliono almeno un paio affinché la zuppa venga bene” e detto ciò ne aggiunse un’altra, tratta sempre dalla sua capiente bisaccia. Riprese a mescolare.

“Ho capito bene?” il pennuto strabuzzò gli occhi. “Intendi ricavare una zuppa da- da-” balbettò allibito.

“Mi stupisci, gallo. Forse non conosci la ricetta della zuppa di pietre?” l’orso lo guardò con sufficienza. “E sì che si tratta di un piatto basilare, nonché estremamente semplice da preparare. Servono acqua in abbondanza, due o tre pietre di medie dimensioni e del sale, che ahimè mi manca” disse alzando le spalle. “E poi basta mescolare di tanto in tanto, lasciando cuocere a fuoco medio per circa un’ora. Il risultato è un’eccellente minestra, molto corroborante. È la mia preferita. Certo, se non avessi finito il sale…” mormorò rivolto al calderone. “Tanto peggio. Verrà un po’ insipida ma ugualmente buona”.

Il galletto, ormai oltremodo intrigato dalla peculiarità della situazione, gettò alle ortiche la sua naturale ritrosia. “Posso dartene io un po’, e anche del pepe” offrì.

“Sarebbe molto gentile da parte tua, gallo” gli sorrise Jongin.

“Chiamami Sehun” ribatté quegli velocemente, allontanandosi dalla finestra per alcuni istanti. Vi fece ritorno recando con sé, insieme alle spezie promesse, una bottiglia di olio d’oliva.

“Grazie, grazie davvero” l’orso ricevette il cesto piegando il capo a mo’ di inchino. “Poiché ti sei mostrato tanto generoso, ti farò assaggiare la zuppa una volta che sarà ultimata”.

“E sia, uhm- qual è il tuo nome, orso?” domandò il galletto, un po’ impacciato.

Ancora una volta l’animale snudò i denti amichevolmente. “Jongin” rispose. Versò gli ingredienti nella pentola, mescolò e li restituì senza incidenti al proprietario.

Fu allora che gli abitanti del villaggio, assicuratisi che l’orso non rappresentasse una minaccia, iniziarono poco a poco ad uscire dai loro nascondigli. Chi si avvicinò circospetto, chi -più coraggioso- approcciò Jongin per chiedere delucidazioni sui tempi di cottura, chi semplicemente incredulo che fosse possibile mettere insieme un pasto con qualche pietra; tutti, nessuno escluso, vollero contribuire alla riuscita della minestra. Un bel toro nero dalle possenti corna di nome Kyungsoo fornì i fagioli del suo orto e il coniglietto color crema che lo accompagnava, Joonmyun, aggiunse delle carote. Yifan, un airone grigio chiaro, porse con il suo lungo becco dei gambi di sedano che lui stesso coltivati. Il cavallo Chanyeol, nitrendo, offrì alcune foglie di bieta ed un grosso cavolfiore. Dopo di lui venne Zitao, un grazioso panda, che teneva tra le zampe diverse patate. Jongdae, fiero Germano Reale dalle seducenti piume variopinte, portò del prezzemolo fresco e l’agnello Yixing qualche zucchina verde. Baekhyun, vivace allodola, asserì che senza un paio delle sue cipolle la zuppa non avrebbe saputo di alcunché. Completarono la folla dei fornitori uno scoiattolo di nome Minseok, che recò chicchi d’orzo in abbondanza, e Lu Han, un bel cervo adulto che aggiunse alla lista qualche grappolo di pomodori succosi, resi ramati dal calore del sole.

Jongin accettò di buon grado l’aiuto ed i consigli che tardivi giungevano da parte di chi gli aveva voltato le spalle per paura. Ad ogni nuovo contributo rispose che la zuppa di pietre ne avrebbe giovato in gusto, e pazienza se la ricetta originale era assai più parca di ingredienti. La cottura fu accompagnata da chiacchiere allegre intorno al fuoco e dall’acciottolio della porcellana dei piatti che, sempre più numerosi, andavano aumentando in attesa della minestra. Quando l’orso decretò dopo un ultimo assaggio che era ora di cena, la notizia fu accolta con vero giubilo e molto appetito.

Invero, la serata trascorse in completa armonia. La zuppa fu ritenuta squisita all’unanimità, e i complimenti allo chef non si fecero attendere. L’orso ringraziò, mangiò di buonumore e conversò amabilmente, minimizzando le lodi e insistendo che invece il merito era di tutti, che il gusto squisito della pietanza dipendeva dalla cura con cui ogni singolo abitante aveva partecipato alla sua preparazione. Se mai qualcuno avesse ancora nutrito dei dubbi sulla bontà delle sue intenzioni, essi si sciolsero come neve al sole. Jongin parlò della sua vita raminga ma pacifica con serenità e modestia, pronunciò battute di spirito argute e pose domande intelligenti sulla vita del villaggio. Insomma intrattenne i suoi ospiti come un eccellente anfitrione, tanto che in breve anche i più reticenti si ritrovarono a ridere insieme a lui. Tra questi vi era Sehun. Il galletto fissò l’orso bruno durante la cena, dapprima con simpatia e poi con crescente ammirazione. Jongin era bello, scuro e robusto, era alla mano, generoso, semplice. Trattava con assoluta cortesia chi prima lo aveva rifiutato, Sehun incluso. E quella sua bontà lo confondeva.

Turbamenti del giovane gallo a parte, la cena fu un assoluto successo per il villaggio intero. I suoi abitanti, trascinati da quel nuovo clima di convivialità, si comportarono da vecchi amici. Vicini che sino ad allora si erano scambiati a malapena due parole bevvero insieme alla salute del simpatico orso e della zuppa di pietre, specie con specie: toro e coniglio, allodola e scoiattolo, panda e papero, airone e cavallo, cervo e agnello.

Terminato il pasto, tutti si dichiararono sazi e soddisfatti. Joonmyun, rivelatosi il sindaco di quella piccola comunità, affermò che una tale esperienza andava senza dubbio ripetuta quanto prima. “Siamo stati sciocchi a non pensarci prima. Adesso che il caro Jongin ci ha insegnato la ricetta di questa eccellente zuppa non abbiamo più scuse. Propongo di riunirci a cena almeno una volta alla settimana per cucinarla; e badate, è fondamentale che ci siamo tutti perché, a sentire le parole del nostro amico, il segreto affinché venga così buona è la compagnia” disse allegro, proponendo un ultimo brindisi.

L’orso, ascoltato il discorso del sindaco e osservata la reazione gioiosa (ancorché influenzata in piccola quantità dall’alcol) degli abitanti, decise che era arrivato il momento di togliere il disturbo. Sciacquò gli utensili nel fiume, comprese le pietre, asciugò e ripose tutto nella sua sacca. Così facendo però attirò l’attenzione degli altri animali. Sehun, vinta la timidezza, si spinse a domandargli il perché di quel gesto.

Jongin si strinse nelle spalle. “È ora che io mi rimetta in cammino. C’è ancora luce, la temperatura si è un poco rialzata. Ho molta strada da fare” spiegò.

Un coro di lamentele insorse di fronte a una tale affermazione. Come si era verificato per la donazione degli ortaggi, allo stesso modo gli abitanti del villaggio fecero a gara per offrire un alloggio confortevole al gentile orso, in modo da impedirgli di trascorrere la notte all’addiaccio.

“Ho una stanza per gli ospiti molto accogliente, ti ci troverai bene” propose Sehun, seguito ed imitato dal resto degli animali. “Inoltre”, aggiunse timidamente, “se volessi potresti fermarti più di una notte. Ne sarei lieto, amico mio” concluse guardandolo speranzoso.

La frase non sfuggì all’udito fino dell’orso. “Ti ringrazio, Sehun. Ringrazio tutti voi, ma non posso restare. Altri villaggi reclamano la zuppa di pietre. Il mio compito qui è terminato” caricò la bisaccia in spalla. “Mi mancherete. Ma se vorrete ricordarvi di me, dell’orso che sembrava una minaccia e che vi ha insegnato il gusto della condivisione e dell’accoglienza, allora preparate un bel pentolone di minestra e mangiatela alla mia salute”.

Scorgendo il dispiacere balenare negli sguardi dei suoi nuovi amici, si accinse ad abbracciarli uno ad uno. Quando fu il turno di Sehun, il galletto faticò molto a lasciar andare Jongin. “Resta” lo pregò.

“Non posso. Quando avrete bisogno di me tornerò da voi” promise l’orso, arruffando affettuosamente il piumaggio del gallo.

Mentre lo osservavano andarsene via, gli animali ripensarono alle parole di Jongin e al loro prezioso significato. A lungo le serbarono nel cuore; talvolta scordandole, pur senza perderle. Quelli che di loro si sposarono le insegnarono ai figli, e ai figli dei figli. Non tradirono la memoria dell’orso. Non dimenticarono.

Ma non lo videro mai più.

 

 

 

 

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