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Autore: alessandroago_94    04/06/2018    10 recensioni
603 d.C, Italia Settentrionale.
Rufillo ben sapeva che esistevano due realtà quasi contrapposte, due mondi distinti. Ciò che c’era al di là del Limes Tiberiacus, l’ultimo baluardo a difesa di quello che restava della romanità, era qualcosa di travolgente, nella sua immensa barbarie.
O, almeno, così era stato fin all’avvento della regina Teodolinda, prima sovrana cattolica dei Longobardi. Si diceva che ella amasse dedicarsi alla lettura.
Allora, l’ultima missione di una vita lunghissima e resa però resistente dalle continue e tanto desiderate privazioni, sarà quella di far giungere tra le mani di una regnante barbara un preziosissimo testo sacro, così che i suoi occhi così dotti potessero essere per sempre illuminati e guidati dalle parole che avrebbero influenzato per secoli la vita di milioni di persone.
Racconto classificato secondo (a pari merito con FatSalad, Le due cetre) al Contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp.
Racconto vincitore di due premi speciali; Rivelazione maschile (miglior personaggio maschile) e Verità o Menzogna (miglior storia di genere giallo/thriller).
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
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Epilogo

EPILOGO

 

 

 

 

 

 

 

“L’umanità si esprime nella comunicazione, nei rapporti, negli scambi.

Servono ponti (non muri), dialogo (non violenza),

attenzione al punto di vista dell’altro (non prepotenza o fanatismo)”.

Anonimo.

 

 

 

 

“Al tempo di Narsete infuriò una gravissima pestilenza. (…).

Poiché era convinzione diffusa che con la fuga si evitasse l’epidemia,

le case venivano abbandonate dagli abitanti. (…).

Fuggivano i figli lasciando insepolti i cadaveri dei genitori;

 i genitori, dimenticando ogni pietà, abbandonavano i figli in preda alla febbre. (…).

Si sarebbe potuto vedere il mondo riportato al primitivo silenzio;(…).

Le semine, passato il tempo della mietitura, aspettavano intatte il mietitore. (…).

Non c’erano tracce di viandanti, non assassini,

e tuttavia i cadaveri si estendevano a perdita d’occhio;

i pascoli si erano mutati in cimiteri di uomini, e le case degli uomini in covi di fiere”.

Paolo Diacono, Storia dei Longobardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era solo un bambino quando l’Italia intera era stata percossa dalla pestilenza.

Aveva udito, a Ravenna, le parole dei padri che gemevano alla sciagura. Essi maledicevano i loro figli, poiché si erano piegati alle eresie che i Greci, grazie alla recente riconquista, erano tornati ad introdurre dove il Verbo di Cristo non era mai stato tradito o commentato in modo miserevole e blasfemo.

Aveva visto i figli che abbandonavano i genitori, e viceversa, e il subbuglio che era scaturito da quella sorta di caos primigenio era stata la maledizione di un Dio che si era sentito tradito dalle sue genti(1).

Poi, quando circolava la voce che le città ormai fossero spopolate, e che solo fantasmi battessero le strade che portavano a Ravenna, erano giunti loro, i Longobardi(2), coloro che nel suo immaginario si prospettavano come la salvezza di una realtà in rovina.

Era notte fonda e il Vescovo dormiva, placidamente, ma Rufillo ripensava così ai suoi primi anni. Ai loro primi anni, si corresse, poiché li avevano vissuti entrambi.

Ormai però erano troppo lontani.

L’uomo percepiva le sue ossa stanche… e poi avvertì di nuovo quel dolore che gli trafiggeva il petto da tempo. Sembrava fosse sparito, da quando si era lasciato coinvolgere in quel ruolo di guida, come se Dio stesso gli avesse offerto un lieve sollievo, affinché si riponesse in fretta il libro sacro in mani sicure e battezzate.

E mentre la parola di San Benedetto entrava nella sua mente, prepotente come una nenia, lasciò che entrambe le sue mani scivolassero sul petto, per fare pressione.

Questo l’aveva aiutato in passato a provare sollievo, per qualche attimo. Tuttavia, quella volta non bastò.

Si ritrovò a sussurrare una preghiera di lode a Dio e a tutti i Beati discesi sulla Terra per suo volere, e si mise supino sul suo giaciglio.

Il dolore al petto divenne crampo, s’irrorò tra le sue scarne costole e il poveretto s’inarcò, senza neppure accorgersene. E senza accorgersene spirò, quando il suo cuore smise all’improvviso di battere.

Il buio dell’eternità inghiottì così l’essenza di colui che ormai si chiamava solo Rufillo, un uomo che aveva compiuto il fine ultimo della sua vita stessa, e come quel dono era stato impartito ben oltre mezzo secolo prima, esso era infine tornato tra le sagge mani del Creatore.

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

 

(1)peste di Giustiniano. Dopo i lunghissimi anni durante i quali si era combattuta la guerra greco-gotica(535-553 d.C.), l’Italia intera, appena riconquistata e tornata in mani romane(nell’apice dello svolgersi del progetto di ricostituzione dell’unità imperiale tanto desiderato dall’Imperatore d’Oriente Giustiniano), fu percossa da una durissima pestilenza, che sterminò la popolazione.

Pare proprio, secondo fonti importanti come quelle che vi ho riproposto a inizio capitolo, che questa epidemia mortale generò il caos ovunque nella penisola; si diceva allora che bisognasse fuggire dagli infetti e dalle zone dove la malattia si stava propagando, così le persone abbandonavano le loro case, i loro parenti ammalati e tutto quanto, scappando. Questo generò non solo la rapidissima diffusione del morbo, trasportato ovunque dai fuggitivi, ma anche una situazione caotica e ingovernabile. Quando i Longobardi giunsero in Italia, ancora i segni di questa epidemia influenzavano la vita della popolazione locale; città abbandonate, campagne spopolate e ormai totalmente ricoperte da foreste e boschi, e un’economia praticamente nulla. Il Nord e il Centro Italia furono tra le zone maggiormente colpite, come parte dell’Anatolia e del Medio Oriente, luoghi da cui si era propagata la peste.

 

(2)l’arrivo dei Longobardi in Italia fu qualcosa di davvero incredibile, e di sicuro emotivamente forte anche all’epoca. Immaginate queste carovane; lunghissime file di carri, bambini e vecchi al seguito, animali di ogni sorta.

La migrazione dei Longobardi fu davvero spettacolare soprattutto per il fatto che fu totale, giacché questo popolo varcò le Alpi dopo un durissimo viaggio(iniziato il giorno di Pasqua del 568 d.C.), affrontato proprio assieme alla totalità dei beni posseduti. Ancora oggi possiamo osservare opere dell’epoca raffiguranti le marce dei nuovi invasori, con l’arrivo di uomini armati sconosciuti seguiti da famiglie, carri e bestiame.

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Ringrazio chiunque sia giunto fin qui.

Sapete, questo racconto è stato un vero e proprio parto. Non ci crederete, ma è dal 2014 (!) che io volevo scrivere un racconto sui Longobardi. Ci ho provato a più riprese ma nulla mi ha mai ispirato più di tanto. Poi, ecco questo Contest; di certo mi ha offerto un modo per esternare idee e conoscenze che da anni vivono nella mia mente, e che non ero mai riuscito a mettere seriamente su carta. Ringrazio quindi il giudice, perché senza il suo Contest probabilmente non sarei mai riuscito a scrivere questo testo.

Perché proprio i Longobardi? Beh, sono indubbiamente il mio popolo barbarico preferito da sempre. Poi, li considero un po’ come coloro che hanno dato inizio al Medioevo in Italia, e una delle basi della nostra Storia, siccome il loro arrivo crea quella frammentazione che poi continueremo a notare fino all’Unità.

Non solo; ci hanno lasciato tanto a livello culturale (anche parole che utilizziamo ancora tutti i giorni).

Secondo recenti studi parrebbe proprio che una buona parte della popolazione italiana odierna discenda dai Winnili. I Longobardi giunsero in Italia dopo secoli di lunghe e rigide migrazioni, di sofferenze e di privazioni, e vennero nella nostra Penisola per renderla la loro dimora. Ebbene, essi poi furono sconfitti e i loro nomi ad un certo punto sparirono dalla Storia. Ma non dal nostro patrimonio genetico e culturale.

Abbiamo ancora nomi di regioni che discendono da questo periodo tormentoso per l’Italia; la Lombardia, terra dei Longobardi, e la Romagna, terra dei Romani.

Insomma, i Longobardi sono vivi ancora oggi, e sono dentro di noi, in quello che vediamo e in come ci esprimiamo.

Grazie miei fedeli lettori per tutto quanto, non ho più parole per ringraziarvi per la vostra vicinanza e il supporto infinito che mi avete offerto. Spero che questo racconto insolito sia stato di vostro gradimento (non so se avete notato una particolarità che ho voluto provare ad attuare in questo testo, e cioè creare una storia dentro ad un’altra storia; infatti, noi abbiamo seguito la vicenda di Rufillo e dell’amico Vescovo, ma nel frattempo abbiamo anche vissuto, nei ricordi del nostro protagonista, una serie di vicende appartenenti al passato senza l’influenza del presente narrativo).

Grazie, e un grande grazie a Kim, che mi ha sempre detto che avrei potuto farcela e mi supporta in ogni mio momento di profonda crisi con la scrittura.

Ci vediamo presto; spero già questa settimana di riuscire a pubblicare un’altra storia per un Contest, poi torniamo dal nostro principe, spero. Comunque, conto di tornarci sopra entro metà mese.

 

 

   
 
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