EPILOGO
“L’umanità si esprime
nella comunicazione, nei rapporti, negli scambi.
Servono ponti (non
muri), dialogo (non violenza),
attenzione al punto di
vista dell’altro (non prepotenza o fanatismo)”.
Anonimo.
“Al tempo di Narsete
infuriò una gravissima pestilenza. (…).
Poiché era convinzione
diffusa che con la fuga si evitasse l’epidemia,
le case venivano
abbandonate dagli abitanti. (…).
Fuggivano i figli
lasciando insepolti i cadaveri dei genitori;
i genitori, dimenticando ogni pietà, abbandonavano
i figli in preda alla febbre. (…).
Si sarebbe potuto
vedere il mondo riportato al primitivo silenzio;(…).
Le semine, passato il
tempo della mietitura, aspettavano intatte il mietitore. (…).
Non c’erano tracce di
viandanti, non assassini,
e tuttavia i cadaveri
si estendevano a perdita d’occhio;
i pascoli si erano
mutati in cimiteri di uomini, e le case degli uomini in covi di fiere”.
Paolo Diacono, Storia
dei Longobardi.
Era solo un bambino quando l’Italia intera era stata percossa
dalla pestilenza.
Aveva udito, a Ravenna, le parole dei padri che gemevano alla
sciagura. Essi maledicevano i loro figli, poiché si erano piegati alle eresie
che i Greci, grazie alla recente riconquista, erano tornati ad introdurre dove
il Verbo di Cristo non era mai stato tradito o commentato in modo miserevole e
blasfemo.
Aveva visto i figli che abbandonavano i genitori, e
viceversa, e il subbuglio che era scaturito da quella sorta di caos primigenio
era stata la maledizione di un Dio che si era sentito tradito dalle sue
genti(1).
Poi, quando circolava la voce che le città ormai fossero
spopolate, e che solo fantasmi battessero le strade che portavano a Ravenna,
erano giunti loro, i Longobardi(2), coloro che nel suo immaginario si
prospettavano come la salvezza di una realtà in rovina.
Era notte fonda e il Vescovo dormiva, placidamente, ma
Rufillo ripensava così ai suoi primi anni. Ai loro primi anni, si corresse,
poiché li avevano vissuti entrambi.
Ormai però erano troppo lontani.
L’uomo percepiva le sue ossa stanche… e poi avvertì di nuovo
quel dolore che gli trafiggeva il petto da tempo. Sembrava fosse sparito, da
quando si era lasciato coinvolgere in quel ruolo di guida, come se Dio stesso
gli avesse offerto un lieve sollievo, affinché si riponesse in fretta il libro
sacro in mani sicure e battezzate.
E mentre la parola di San Benedetto entrava nella sua mente,
prepotente come una nenia, lasciò che entrambe le sue mani scivolassero sul petto,
per fare pressione.
Questo l’aveva aiutato in passato a provare sollievo, per
qualche attimo. Tuttavia, quella volta non bastò.
Si ritrovò a sussurrare una preghiera di lode a Dio e a tutti
i Beati discesi sulla Terra per suo volere, e si mise supino sul suo giaciglio.
Il dolore al petto divenne crampo, s’irrorò tra le sue scarne
costole e il poveretto s’inarcò, senza neppure accorgersene. E senza
accorgersene spirò, quando il suo cuore smise all’improvviso di battere.
Il buio dell’eternità inghiottì così l’essenza di colui che
ormai si chiamava solo Rufillo, un uomo che aveva compiuto il fine ultimo della
sua vita stessa, e come quel dono era stato impartito ben oltre mezzo secolo
prima, esso era infine tornato tra le sagge mani del Creatore.
NOTE
(1)peste di Giustiniano. Dopo i lunghissimi anni durante i
quali si era combattuta la guerra greco-gotica(535-553 d.C.), l’Italia intera,
appena riconquistata e tornata in mani romane(nell’apice dello svolgersi del
progetto di ricostituzione dell’unità imperiale tanto desiderato
dall’Imperatore d’Oriente Giustiniano), fu percossa da una durissima
pestilenza, che sterminò la popolazione.
Pare proprio, secondo fonti importanti come quelle che vi ho
riproposto a inizio capitolo, che questa epidemia mortale generò il caos
ovunque nella penisola; si diceva allora che bisognasse fuggire dagli infetti e
dalle zone dove la malattia si stava propagando, così le persone abbandonavano
le loro case, i loro parenti ammalati e tutto quanto, scappando. Questo generò
non solo la rapidissima diffusione del morbo, trasportato ovunque dai
fuggitivi, ma anche una situazione caotica e ingovernabile. Quando i Longobardi
giunsero in Italia, ancora i segni di questa epidemia influenzavano la vita
della popolazione locale; città abbandonate, campagne spopolate e ormai
totalmente ricoperte da foreste e boschi, e un’economia praticamente nulla. Il
Nord e il Centro Italia furono tra le zone maggiormente colpite, come parte
dell’Anatolia e del Medio Oriente, luoghi da cui si era propagata la peste.
(2)l’arrivo dei Longobardi in Italia fu qualcosa di davvero
incredibile, e di sicuro emotivamente forte anche all’epoca. Immaginate queste
carovane; lunghissime file di carri, bambini e vecchi al seguito, animali di
ogni sorta.
La migrazione dei Longobardi fu davvero spettacolare
soprattutto per il fatto che fu totale, giacché questo popolo varcò le Alpi
dopo un durissimo viaggio(iniziato il giorno di Pasqua del 568 d.C.),
affrontato proprio assieme alla totalità dei beni posseduti. Ancora oggi
possiamo osservare opere dell’epoca raffiguranti le marce dei nuovi invasori,
con l’arrivo di uomini armati sconosciuti seguiti da famiglie, carri e
bestiame.
NOTA DELL’AUTORE
Ringrazio chiunque sia giunto fin qui.
Sapete, questo racconto è stato un vero e proprio parto. Non
ci crederete, ma è dal 2014 (!) che io volevo scrivere un racconto sui
Longobardi. Ci ho provato a più riprese ma nulla mi ha mai ispirato più di
tanto. Poi, ecco questo Contest; di certo mi ha offerto un modo per esternare
idee e conoscenze che da anni vivono nella mia mente, e che non ero mai
riuscito a mettere seriamente su carta. Ringrazio quindi il giudice, perché
senza il suo Contest probabilmente non sarei mai riuscito a scrivere questo
testo.
Perché proprio i Longobardi? Beh, sono indubbiamente il mio
popolo barbarico preferito da sempre. Poi, li considero un po’ come coloro che
hanno dato inizio al Medioevo in Italia, e una delle basi della nostra Storia,
siccome il loro arrivo crea quella frammentazione che poi continueremo a notare
fino all’Unità.
Non solo; ci hanno lasciato tanto a livello culturale (anche
parole che utilizziamo ancora tutti i giorni).
Secondo recenti studi parrebbe proprio che una buona parte
della popolazione italiana odierna discenda dai Winnili. I Longobardi giunsero
in Italia dopo secoli di lunghe e rigide migrazioni, di sofferenze e di
privazioni, e vennero nella nostra Penisola per renderla la loro dimora.
Ebbene, essi poi furono sconfitti e i loro nomi ad un certo punto sparirono
dalla Storia. Ma non dal nostro patrimonio genetico e culturale.
Abbiamo ancora nomi di regioni che discendono da questo
periodo tormentoso per l’Italia; la Lombardia, terra dei Longobardi, e la
Romagna, terra dei Romani.
Insomma, i Longobardi sono vivi ancora oggi, e sono dentro di
noi, in quello che vediamo e in come ci esprimiamo.
Grazie miei fedeli lettori per tutto quanto, non ho più
parole per ringraziarvi per la vostra vicinanza e il supporto infinito che mi
avete offerto. Spero che questo racconto insolito sia stato di vostro
gradimento (non so se avete notato una particolarità che ho voluto provare ad
attuare in questo testo, e cioè creare una storia dentro ad un’altra storia;
infatti, noi abbiamo seguito la vicenda di Rufillo e dell’amico Vescovo, ma nel
frattempo abbiamo anche vissuto, nei ricordi del nostro protagonista, una serie
di vicende appartenenti al passato senza l’influenza del presente narrativo).
Grazie, e un grande grazie a Kim, che mi ha sempre detto che
avrei potuto farcela e mi supporta in ogni mio momento di profonda crisi con la
scrittura.
Ci vediamo presto; spero già questa settimana di riuscire a
pubblicare un’altra storia per un Contest, poi torniamo dal nostro principe,
spero. Comunque, conto di tornarci sopra entro metà mese.