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Autore: axSalem    06/06/2018    1 recensioni
[Pricefield] [poker!AU]
La prima volta l’ha interpretata come una casualità, una causalità molto fortuita, avvenente quasi, dovuta soprattutto alla sua inesperienza in luoghi del genere.
Le piace stare al tavolo da gioco: il panno verde scabro come una lingua di gatto sotto i gomiti, le carte i cui dorsi riflettono la luce che proiettano i lampadari, l’emozione un po’ sfibrante e un po’ malsana di giocare per soldi veri. Gli sguardi di sottecchi lanciati dalla dealer.
Ah, quegli sguardi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Toxicity
 
 
 


 
You, what do you own the world?
How do you own disorder, disorder?
Now somewhere between
the sacred silence
Sacred silence and sleep
Somewhere, between the sacred silence
and sleep
Disorder, disorder, disorder.

System Of A Down - Toxicity 


 
La prima volta l’ha interpretata come una casualità, una causalità molto fortuita, avvenente quasi, dovuta soprattutto alla sua inesperienza in luoghi del genere.
Le piace stare al tavolo da gioco: il panno verde scabro come una lingua di gatto sotto i gomiti, le carte i cui dorsi riflettono la luce che proiettano i lampadari, l’emozione un po’ sfibrante e un po’ malsana di giocare per soldi veri. Gli sguardi di sottecchi lanciati dalla dealer*.
Ah, quegli sguardi.
Max non ha mai avuto infezioni di seria entità – solo piccoli casi isolati, come per ogni bambino ‒, ma dopo aver passato le ore sotto quello sguardo ceruleo, quasi di ghiaccio, pensa di poter sapere cosa prova un malato: la pelle si infiamma e si tende, si ricopre di sudore, le vene pulsano noiosamente e si avverte il ronzio del sangue persino negli orecchi, le zone lese ti affannano e fremono di vita propria e, oh! Se potesse donerebbe alla sua aguzzina tutto ciò che hanno toccato i suoi occhi, se potesse si consegnerebbe interamente a lei e la pregherebbe di divenire il proprio antibiotico, il proprio rimedio, la propria cura.
Lenisci dove mi hai infettato.
Questo tipo di pensieri la incupiscono e la sorprendono intimamente, dopo tutto, Max non ha mai conosciuto questo lato di sé, non ha mai sentito una simile attrazione carnale per nessuno; soprattutto, per nessun estraneo, e si meraviglia di scoprire questi pensieri come propri. Piccole e moleste particelle di veleno da succhiar via come quando ti morde una vipera.
 
«Wir werden Mittӓter sein*.».
«Umh?» Max socchiude gli occhi, le palpebre pesanti per il sonno imminente che la stava cogliendo. Non può smettere di meravigliarsi per la voce di Chloe, dall’inflessione così differente e grave e morbida, inusuale.
«Noi saremo partner in crime.».
«Umh…». Il braccio di Chloe – sorprendente come esso sia marchiato da un tatuaggio per tutta la sua lunghezza ‒ le circonda dolcemente la vita e la sua chioma celeste le si posa sulla spalla.
Se significa rimanere ancora per un po’ al suo fianco, allora Max può divenire tutto ciò che Chloe desidera.
 
La seconda volta, Max ha iniziato a percepire il sentore del puzzo acre del sospetto.
È splendido, incantevole, notare la sobrietà della sua divisa: la camicia bianca ed immacolata, il papillon vermiglio, il gilet nero che stringe sui suoi fianchi sottili e sul seno, la targhetta con il logo del casinò e la scritta “CHLOE” vergata da una mano austera, violenta, aggressiva, eppure limpida e leggibile. È splendido notare il contrasto di quell’abbigliamento con la tinta inusuale dei suoi capelli, celesti come le iridi, la ricrescita quasi di un colore roseo.
Max vince, al tavolo del Texas Hold'em. Non vince somme alte e non vince abbastanza spesso da risultare un baro al gioco, ma si allontana dalla sala con un discreto guadagno; le perdite trascurabili, a confronto.
Si allontana dalla sala soddisfatta, e con la sensazione – lungo la nuca, lungo la schiena ‒ di calore strisciante, così caratteristica dello sguardo della dealer.
E fra sé, Max accenna un sorriso.
 
«Fra qualche giorno dovrò tornare a Seattle, Chloe.».
E finalmente la pressione infima di questa dichiarazione le abbandona lo stomaco a cui si era così saldamente avvinghiata. Max modifica la propria postura, a disagio, sul divano dell’appartamento di Chloe; la speranza più rassicurante che possiede è che la dealer si incazzi e ‒
«Vengo con te, Mittӓter.». Sorpresa, Max volge il capo a scrutare Chloe, la quale le risponde con il suo solito sorriso scaltro e gli occhi che non sono in grado di vacillare, sprezzanti proprio come lo è lei. «Avrò abbastanza soldi, allora, per non infastidirti. Voglio andarmene da questo posto.».
 
La terza volta, arriva al tavolo da gioco più tardi delle serate precedenti.
Ordina un analcolico dal nome impossibile di una città che non ha mai visitato che sa di ananas e cocco, il sapore dolciastro e zuccherino le lascia la sensazione della sete nella gola. Lo sguardo di Chloe riverso nel suo le lascia una sensazione di sete ben differente.
Non comprende il proprio comportamento, ma quando la dealer abbandona il casinò lasciando il turno ad una collega, Max gioca solo un’altra partita – perdente ‒ prima di abbandonare lei stessa l’edificio.
Varcata la soglia, ecco quel bruciore ad infestarle le membra, ecco quella figura divenuta oramai familiare che la invita ad allontanarsi dall’entrata sfarzosa e da sfarzosi occhi indiscreti.
«Mi piaci.». Le sussurra Chloe sulle labbra all’ingresso di un monolocale totalmente anonimo e totalmente a soqquadro. L’accento piacevolmente strascicato dal fumo e da una lenta cadenza germanica. È la prima volta che Max la sente parlare con questa inflessione, diversamente dal modo rigido e stizzito che usa dietro il tavolo da poker.
«Oh, anche tu.».
«Lo so. Perché seguirmi, altrimenti?».
«Forse perché sono ingenua.».
«Anche.». La sua voce è una dolcissima e roca malia che le accarezza gli orecchi, è una dolcissima malia baciarle le labbra sottili piegate in un flebile e furbo sorriso, gli occhi appuntiti come vetri dischiusi appena. «Qual è il tuo nome, ingenua Fräulein*?».
«Maxine. Chiamami Max.».
«Max.».
«Chloe.».
Max si ritrova a domandarsi perché non abbia mai chiamato Chloe per nome, si ritrova a domandarsi perché Chloe non abbia mai chiamato per nome lei.
È la prima notte in cui Max non rincasa all’hotel.
 
«Teilen*.». Chloe prende dalle mani di Max la mazzetta di banconote che quest’ultima le porge, ed inizia con sorprendente velocità a contare il guadagno, sussurrando fra sé e sé le cifre in tedesco. Durante queste operazioni, l’umore di Max è vinto dall’angoscia: c’è troppa familiarità nelle azioni di Chloe, troppa abitudine, e si chiede spesso quante altre donne, quanti altri uomini, possano essere cascati in questo misero gioco di seduzione. Se li immagina in una fila lunga ed ordinata, una processione di cuori infranti e sfruttati infimamente catturati da un paio di iridi cerulee e da una lingua sconosciuta e dalla presenza forte di Chloe. Si sta davvero accodando ad un simile corteo?
Uno schiocco lieve ed una sensazione di languore la riscuotono dai suoi pensieri, Chloe l’ha baciata sul lobo dell’orecchio e la osserva come se avesse colto perfettamente il filo cupo dei suoi pensieri
«Metà per te, metà per me.». Le sussurra e le bacia la guancia. «Raccontami ancora di Seattle.».
Ed il cuore di Max, si allevia un poco.
 
La quarta volta si sente vagamente sulle spine: il sudore è gelido e le percorre la nuca e la spina dorsale con grottesca lascivia, le dita le tremano impercettibilmente.
Eppure, si sente eccitata come poche altre volte nella sua vita.
Il tavolo da gioco è sempre il numero sette, l’analcolico che sorseggia con poca convinzione è sempre l’Arcadia Bay, la dealer porta sempre la targhetta con riportato il nome: “CHLOE”.
Ma c’è qualcosa di profondamente diverso rispetto alle prime tre volte che si è presentata.
C’è consapevolezza.
C’è complicità.
Si perde ad osservare il pulito gioco di dita di Chloe quando rimesta abilmente le carte, è veloce e le sue falangi affusolate sono belle da guardare. E molto più bello era stato sentirsele addosso e fondersi, modellarsi al loro sicuro contatto come se Max fosse fatta di cera bollente e Chloe fosse un’attraente fiamma dall’inusuale colore blu.
Teneramente, suo padre le aveva insegnato il poker. Seattle è sempre stata una città noiosa per Max, durate l’infanzia: troppo cemento, troppi palazzi a grattare crudelmente il cielo, troppe luci per poter anche solo sognare le stelle; suo padre l’aveva dotta con innocenza e lei ricorda con lieta gioia i tempi in cui giocavano insieme e lui la lasciava vincere deliberatamente, solo per vederla sorridere e ridere di infantile contentezza.
Mai avrebbe pensato che quegli insegnamenti le sarebbero serviti a questo scopo.
Ed anzi, ad uno ben più misero.
 
Max trema sotto il suo tocco, freme, elettrica, socchiudendo gli occhi e imprimendo quella sensazione nella sua mente, quella sensazione di tossicità sulla pelle, per ricordarla sempre, sempre, sempre; la fronte aggrottata nello sforzo della memoria, come se fosse in realtà impossibile quel gesto, come se le stesse già sfuggendo tutto dalle mani come finissima sabbia.
«Max. Guardami, ora.».
 
La quinta volta è tutto molto più semplice.
Una vaga abitudine invade le membra di Max: sa come muoversi, sa quando sarà l’esatto momento in cui Chloe le disporrà la carta giusta, cosicché Max potrà passare un turno per sondare il terreno, e rilanciare, poi, sicura della carta kicker* tenuta nel mazzo da inizio partita – Chloe gliel’ha resa disponibile fin da subito ‒ e tutte le altre che, insieme ad essa, le permetteranno di vincere.
Dopo tutto, è quello che Chloe ha sempre fatto durante il corso delle serate che ha passato al tavolo, seppur a sua insaputa.
Nel corso di quei due giorni ha imparato a smorzare il senso di colpa che le deriva dal subdolo gioco di inganni che sta operando con Chloe, nel corso di quei due giorni ha imparato a smorzare la disgustosa sensazione di star facendo tutto questo solo per una mera malia, solo per potersi rifugiare nell’appartamento di Chloe in sua compagnia ed approfittare della vicinanza del suo longilineo e bellissimo corpo.
Per sentirsi chiamare dalla sua voce strascicata e resa ancora più roca dall’amplesso.
Misera, misera Max.
 
Rincorre le sue labbra come se ne dipendesse della sua stessa vita, e finalmente ottenuto un bacio si appresta a riceverne subito un altro, priva per pochissimi secondi del sapore acre di fumo della bocca di Chloe, così necessario, invadente.
«Als ich die Sonne geworden bin Schien ich Leben in die Herzen der Menschen.*». Le sussurra Chloe, e Max sembra comprendere profondamente l’importanza di quelle parole, come se in esse sia celato un importante segreto da custodire gelosamente, e piena di questo senso luminoso di appagamento – impossibile non esserne colta, con le dita di Chloe che le scavano nell’intimità ‒ si sente felice e completa come poche volte è mai stata in vita sua; completamente vinta dalla malia e dal piacere di una donna che a tratti le pare un mutevole e rassegnato spettro.
Eppure così viva.
 
La sesta è anche l’ultima volta in cui Max si presenta al casinò, l’ultima volta in cui siede al tavolo sette del Texas Hold’em.
Già si sente travolgere da una sensazione di amaro disgusto e di dolce nostalgia: il suo volo è fissato per la tarda mattinata del giorno seguente, le sue foto per il reportage su Las Vegas sono state scattate ed ha già lavorato al loro editing. È fiera del lavoro che ha svolto, gli scatti ripropongono fedelmente i neon fluorescenti e le riproduzioni dei più famosi monumenti del mondo – una piccola Tour Eiffel, e lì una piccola piramide del Cairo ‒, ripropongono la folla estatica ed inebriata dall’ambiente, dall’aria di eterne promesse propria di quel luogo; e ovviamente, a tutto questo non manca l’impronta di inconfondibile proprietà degli scatti di Max, saturi di un senso di curiosità e di timida audacia.
Si chiede se, in realtà, tutto questo non sia proprio una conseguenza della città: il suo desiderio di caos, di inganno, di mera eccitazione, l’ammaliante stimolo di Chloe che l’ha avviluppata come se non fosse stata stretta fra le braccia di una donna – di una magnifica donna ‒, ma fra le spire di una spietata e brutale e seducente serpe.
Inutile chiederselo, ormai.
Chloe non la seguirà a Seattle.
Questa rivelazione non la sorprende e la propria inettitudine a riguardo non la meraviglia, Max è certa che il giorno dopo si sveglierà e tutto sarà come se non fosse mai accaduto; chi è Chloe? Cosa mai può possedere di lei qualcuno che dimenticherà? Cosa mai può possedere del mondo chi esiste solo nel caos?
Il disegno di questo castello di carte le pare bellissimo nella sua caducità, cosa le rimarrà in mano?
Perché solo ora percepisce il valore effimero di Chloe, quando prima tutto era così tangibile e necessario?
Max sente concretamente la creazione di un bolla attorno sé, una bolla di completa estraneità che la fa sentire vaga ed incerta, inconsistente, disillusa. Avverte già lo spezzarsi crudo del legame con Chloe – è mai esistito? L'ha mai considerata parte di un legame? ‒ e la guarda con un senso vacuo ad invaderle gli occhi, la guarda come ciò che realmente è: la causa della tossicità percepita costantemente dal suo corpo da sei giorni a quella parte.
A quale corteo pensava, giorni prima, di accodarsi?
Perché la dealer le pare improvvisamente mesta?
La quiete cala nel suo Animo.
 
- × -

La routine di Seattle la culla come una placida e rassicurante corrente d’oceano, la prendono alla deriva i propri impegni lavorativi e tante altre piccole cose insignificanti come cucinarsi i waffle alla mattina o chiamare i suoi genitori per rassicurarli che sì, il viaggio è andato bene ma scusa, mamma, ora proprio devo andare. Ti richiamo.
Il tempo passato a Las Vegas lo sente utopico, come lontano mesi, anni, e non si è affatto stupita
‒ stranamente, in altre occasioni un'osservazione del genere l'avrebbe incuriosita e non poco ‒, quando, alla redazione, il capo le ha commentato le foto dicendole che paiono sonnolente e febbricitanti, distanti, ovattate, eppure madide di una sorta di distaccata meraviglia, di distaccato e carnale Amore.
Max, l’amore – Amore, poi? Con la maiuscola? ‒, lo avverte solo con nostalgica tenerezza nei suoi sogni; e quante volte si sveglia piangendo senza saper dare una spiegazione alle sue lacrime.
Nei suoi sogni invasi dalla presenza di una dealer, sconosciuta, dall’improbabile chioma cerulea.


 




 
* dealer: "Mazziere" in inglese;
Wir werden Mittӓter sein: letteralmente, in tedesco: "Noi saremo partner in crime"; Mittӓter è il termine che significa, appunto; "partner in crime";
Fräulein: "Signorina" in tedesco;
Teilen: "Dividiamo" in tedesco;
kickerLa carta più alta non usata dal giocatore per la propria combinazione
* Als ich die Sonne geworden bin Schien ich Leben in die Herzen der Menschen: "When I became the sun I shone life into the man's heart", dal testo di Toxicity dei System Of A Down;

 

NdA:
Dopo... tempo (e non poco, ormai è quasi passato un anno) torno a scrivere su questo fandom di questa splendida coppia che, beh, si commenta da sola, adoro la Pricefield.
Come la volta scorsa, questa fanfiction mi è uscita un po' di getto: l'idea covava nella mia mente già dal Salone Internazionale del Libro, dove per una "coincidenza" mi sono ritrovata a pensare a Chloe come una dealer e l'idea in sé era alquanto attraente per scriverci sopra qualcosa assolutamente senza alcun impegno, giusto per il gusto di scrivere e di sfogare la mia (molto fra virgolette) vena creativa.
Mentre la mia Originale piange in un angolo sconsolata, ma non importa.
Tornando seri: io propongo questa fanfiction per ciò che è, una piccola cosa creata senza impegno particolare, giusta per svagare me e per svagare voi, che nel caso vi sia piaciuta, beh, ha fatto il suo piccolo e mero dovere.
Ringrazio chi è arrivato fin qua, la Giuria delle Cose Porno Poracce che non Riescono ad Essere Scritte (con le maiuscole perché è una Giuria importante ed autorevole), e soprattutto, ringrazio GirlWithChakram, il perché lo sa lei, e l'Anima gentile che mi ha fornito tutte le cosucce in tedesco, che mica mi fido di Google Translate, io.
(Sto pubblicando 'sta roba senza riguardarla, chissà che orrori ci sono là in mezzo, aiut-)
Grazie per la lettura!
  
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