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Autore: shilyss    08/06/2018    22 recensioni
Asgard e Jotunheim sono in guerra e non è bastato a fermare il conflitto che Odino restituisse a Laufey Loki, il figlio che gli aveva sottratto, anzi. La presenza del dio degli inganni tra le fila dei Giganti è una sciagura vera e propria. Le sue azioni folli e sconsiderate sono dettate dal rancore, dalla vendetta e dal sottile piacere di seminare il caos e la distruzione, compresa l'ultima malefatta che si inserisce in un momento fondamentale dello scontro. Solo che le intenzioni di Loki non sono chiare mai, in nessun caso.
"C’era qualcosa di tremendo e selvaggio, in quegli occhi verdi e attenti. Un’inquietudine profonda, nera come il mare di tenebre che stavano attraversando. Loki Laufeyson giocherellava davanti a lui con il lungo pugnale scintillante che, solo dieci minuti prima, gli aveva piantato a un millimetro dal collo."
[ ♦ Storia vincitrice del contest “Di Lune, Torri ed Eremiti” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp. ♦ ]
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn, Thor
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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in direzione

 

 

In direzione ostinata e contraria

 

C’era qualcosa di tremendo e selvaggio, in quegli occhi verdi e attenti. Un’inquietudine profonda, nera come il mare di tenebre che stavano attraversando. Loki Laufeyson giocherellava davanti a lui con il lungo pugnale scintillante che, solo dieci minuti prima, gli aveva piantato a un millimetro dal collo col chiaro intento di tagliargli la carotide. Lo aveva afferrato con forza per i capelli, gli aveva premuto l’arma sulla gola mentre ancora dormiva e poi, con quella sua voce bassa e roca, aveva iniziato a elencargli tutte le cose orrende che gli avrebbe fatto, se non avesse acconsentito a soddisfare la sua gentile richiesta. Così, l’aveva chiamata. Poi si era preso la briga di incappucciarlo, imbavagliarlo e condurlo su quella nave veloce e solo dopo che le onde avevano sbattuto per lungo tempo contro la chiglia snella, si era deciso a togliergli il cappuccio dal volto. Il vecchio sacerdote aveva strizzato gli occhi e si era ritrovato in mezzo al mare di fronte al dio degli inganni in persona.

Loki Laufeyson. Utilizzava ancora le armi degli Asi dalle belle else decorate con draghi e pietre preziose comprate dai Nani, ma addosso, sulla corazza di pelle scura, portava un mantello di pelo di lupo di chiara foggia Jotunn. Eppure non era né l’uno né l’altro, rifletté Harold. Non apparteneva al popolo di Odino, che lo aveva educato e cresciuto, né a quello di Laufey, cui era stato ceduto. Si raccontavano oscure storie sul suo conto. Dicevano che fosse spietato e crudele come i Giganti che lo avevano generato, ma fiero e arrogante come gli Asi dai capelli d’oro. Il drakkar scivolava nel nero della notte, fendendo silenzioso le onde.

“Quale rito vuoi che celebri?” domandò a un tratto, spezzando l’aria salmastra e umida, fredda, che gli penetrava nelle ossa ormai vecchie.

L’altro gli rivolse un sorriso gelato. “Lo vedrai tra poco,” sibilò. Diede una controllata rapida alla direzione della nave veloce, poi tornò a puntargli addosso quei suoi occhi troppo verdi, capaci di scrutare fin nelle pieghe più profonde dell’anima di ognuno. Dicevano fosse famoso per i suoi inganni, Loki Laufeyson. Che Odino avesse fatto una sciocchezza, privando Asgard di una mente così sagace e astuta per regalarla agli Jotnar. Era grazie a quel mago dalla lingua svelta, se i Giganti avevano ripreso il prestigio e il lustro perso da millenni. Eppure, nessun beneficio o ringraziamento era toccato al figlio bastardo di Re Laufey, che degli Jotnar aveva la freddezza e degli Asi l’aspetto. Troppo spregiudicato, fiero e diverso, per essere il degno erede di Laufey; troppo simile a Odino, padre che lo aveva ceduto in fretta, per poter reggere le sorti di Jotunheim dalle guglie ghiacciate.

Dicevano anche che Loki amasse parlare: che si trastullasse con le parole, assaporandone il gusto e il peso, come se si trovasse di fronte a un piatto prelibato. Paragone sbagliato, in verità. Era più simile al gioco di un gatto col topo, quello che lui allestiva con le sue vittime. Ma adesso, il figlio di Laufey era laconico e silenzioso. A ben guardare, c’era un’inquietudine strana, nel modo in cui tormentava con le dita affusolate l’elsa intarsiata del pugnale, e le sue labbra, sempre ironiche e beffarde, erano stirate in una un’espressione severa, concentrata. Aveva fretta, l’ingannatore. Ma il motivo, qual era?

Harold assottigliò gli occhi per guardarlo meglio, rabbrividendo sotto il mantello che proteggeva a stento dal freddo il suo corpo ossuto, di vecchio. Ricordava l’ultima volta che lo aveva visto: era solo un ragazzino magro e spaventato, che si guardava attorno con aria circospetta, guardinga, come se si aspettasse da un momento all’altro di essere svegliato da un sogno o da un incubo. Intrappolato in un gioco politico più grande di lui, venduto come una reliquia rubata, strappato agli affetti più cari, aveva tentato, d’accordo con il fratello, di scappare dal suo destino, fuggire lontano. Era stato riacciuffato in tempo. Harold allora era più giovane di adesso. La sua barba non era completamente bianca, ma ancora fulva, spruzzata solo di tanto in tanto da ciuffi candidi, e credeva di avere la risposta a tutte le domande. Laufey scatenerà un’altra guerra, se non riavrà ciò che gli ho preso, non perché gli interessi avere un erede, ma per affermare la sua supremazia. Queste erano le state le sagge parole di Odino, e non si erano incrinate neppure di fronte agli occhi rossi di pianto di Frigga. Così il re dei Giganti aveva ripreso suo figlio e Asgard ne aveva perso uno, ma l’equilibrio dei Nove Regni, il precario ordine che governa i mondi appesi all’Yggdrasill, si era ristabilito.

Per qualche anno, nessuno aveva saputo più nulla di Loki e di come fosse la sua vita a Utgard, presso Laufey. L’attesa e la trepidazione, lentamente, avevano lasciato il passo alla rassegnazione. Non avere nessuna notizia manteneva accesa la flebile luce della speranza, consentiva di immaginare un presente e un futuro, se non roseo, almeno tollerabile per il giovane Loki.

Harold, in quegli anni, si era avvicinato molto alla regina: Frigga aveva abbandonato la corte di Asgard per rifugiarsi nel suo palazzo di Fensalir, offesa per la decisione unilaterale presa da Odino, necessaria ma crudele, che aveva spezzato il suo cuore di madre. La donna, solitamente capace di vedere il futuro e scorgere i piani tessuti dalle Norne, sembrava aver perso le sue abilità divinatorie, come se il dolore provato avesse annichilito il potere che la contraddistingueva. Con lo sguardo luminoso e azzurro posato sui giardini curati che si stendevano sotto le sue finestre, si struggeva per Thor che, dopo aver perso la compagnia del fratello e migliore amico, aveva profuso ogni energia nell’arte del combattimento e solo in esso sembrava trovare soddisfazione. Con voce rotta, si domandava come stesse quel figlio lontano che non era nato dal suo ventre, ma aveva amato intensamente. Ne lodava l’intelligenza vispa e acuta, la grave serietà infantile che, a volte, si intravedeva sotto il suo broncio di bambino, la furbizia e la rapidità con cui, anche mentre giocava o si esercitava con le armi, tentava di volgere a suo favore ogni situazione possibile. Poi, un giorno, arrivarono notizie da Jotunheim.

 

 

Un’onda più alta delle altre si infranse contro lo scafo del drakkar. Spruzzi di acqua gelida raggiunsero i due ospiti. Harold gemette per il contraccolpo subìto, il dio degli inganni, davanti a lui, rise.

“Tutto questo ti diverte? La mia vita non conta niente, sono solo un povero vecchio, ma la tua offesa nei confronti di Asgard avrà ripercussioni che sentirai fino a Jotunheim,” gli rinfacciò offeso. “Agire come hai fatto, in questa situazione, è da folli!”

“Fidati, Harold: conosco bene i metodi degli Asi e degli Jotnar,” fu la risposta data con voce ferma, severa, condita da un velo di disprezzo che sembrava avvolgere entrambi i popoli.

“E io conosco i tuoi,” replicò il vecchio con lentezza, scandendo con cura ogni sillaba. “Ho ascoltato quelli che sono scampati alla tua furia, ho raccolto ogni loro parola. E ho parlato con tuo fratello, Thor.”

Uno scintillio nella notte e il coltello di Lingua d’Argento si conficcò nel legno, a pochi millimetri dalla gamba ossuta di Harold. Una smorfia increspò le labbra sottili di Loki. “Non è mio fratello. Non lo è mai stato,” soffiò a denti stretti, recuperando rapidamente l’arma.

“Siete cresciuti insieme, avete imparato a combattere insieme, avete giocato insieme. Questo non fa di lui un fratello?” insistette il vecchio, rabbrividendo di fronte alla fenditura nell’asse lasciata dal pugnale.

“Il figlio di Odino non è niente se non un avversario,” puntualizzò il dio dell’inganno, e lo disse con una tale ferocia che Harold, istintivamente, si tirò indietro.

 

 

Non avere nessuna notizia è meglio che averne di cattive. Questo diceva sempre a Frigga, tormentata e infelice. Il suo cuore di madre non smetteva di sanguinare, e lui non poteva far altro che cercare di rendere più sopportabile quel dolore finché, un giorno, le sue frasi si erano rivelate profetiche. Loki figlio di Laufey era vivo e vegeto, ma c’era qualcosa, nel suo modo di agire, di storto, sbagliato, eccessivo. Osservando le sue gesta, appariva evidente come il fine giustificasse sempre i mezzi, tutti. Non c’era arma che non fosse disposto a usare, compreso il seiðr, quella magia potente e antica quanto l’Yggdrasill evocata dalle rune, i cui rudimenti gli erano stati impartiti dalla stessa Frigga. Così, con inganni, imboscate e incantesimi, due dei Nove Regni finirono per essere conquistati da Jotunheim. A un’occhiata superficiale, Loki si era semplicemente comportato da guerriero audace, mescolando l’astuzia sfacciata degli Asi con la potenza dell’esercito Jotnar; ad un esame più attento, tuttavia, l’ex figlio cadetto di Odino si era rivelato corroso da una rabbia tremenda che le numerose vittorie pareva non fossero in grado di placare. Il punto era che il dio dell’inganno infieriva, come se si stesse vendicando di un torto antico. Sopruso che, Harold dovette ammetterlo, c’era ed esisteva, sebbene fosse tragicamente indirizzato dalla parte sbagliata o in quella maledettamente giusta.

 

Chiuse gli occhi stanchi un momento. “Tu menti, sei un bugiardo. Hai avuto l’occasione di ucciderlo e condurlo prigioniero presso Laufey: l’hai lasciato andare,” gli ricordò cantilenante.

Loki fece uscire dal petto una risata secca e nervosa e si sporse verso di lui. “Questo, ti ha raccontato? Credevo che le voci che girano ad Asgard sul mio conto fossero, come dire, più interessanti, curiose. Divertenti, persino.”

“Divertenti non è il termine esatto, Loki. Spaventose, direi,” lo corresse Harold con un brivido. “Cosa hai voluto dimostrare? Hai piegato i tuoi avversari con una forza e una crudeltà mai viste, nei Nove Regni.” Quello di fronte a lui non era più il ragazzino sempre in vena di fare scherzi che sapeva sciorinare compitamente le rune. Il sorriso sghembo era segnato da una cicatrice verticale bianca e sottile che non scalfiva la bellezza del suo volto, ma gli regalava un’aria feroce. Si chiese perché si ostinava a mantenere quell’aspetto menzognero anche a Jotunheim, e quanto gli fosse costato.

“Davvero?” Il dio dell’inganno parve compiacersi delle sue parole. “Ho solo esercitato il mio diritto di nascita, mio vecchio ficcanaso, dimostrando agli Asi e agli Jotnar quanto bene abbia imparato le loro lezioni,” spiegò implacabile.

“Quale rito devo celebrare, Loki? È Laufey che te l’ha chiesto?”

“Laufey.” L’altro pronunciò il nome masticandone ogni sillaba. “Non credo tu abbia compreso la natura del nostro rapporto.”

Parlava di entrambi i popoli come se non appartenesse a nessuno, pensò il vecchio, riconoscendo nella frase del suo rapitore una nota di chiaro disprezzo. Forse era quella, la chiave per interpretare l’apparente follia che permeava le azioni del Fabbricante di Bugie: l’ingannatore che era stato ingannato, il cui aspetto stesso non era altro che una mistificazione dovuta al seiðr, non faceva altro che agire per se stesso, in nome di un proprio tornaconto personale che non contemplava in realtà né gli interessi di Laufey né quelli di Odino. Alle volte, pareva che la volontà di Loki pendesse da una parte rispetto a un’altra in maniera caotica e imprevedibile. Voci attendibili, di spie sparse per i Nove Regni, raccontavano come Laufey volesse immediatamente muovere verso ad Asgard, attirato non solo dallo Scrigno degli Antichi Inverni rimasto nelle mani di Odino, ma da altre potentissime reliquie. Loki si era opposto con fermezza a quel piano, promettendo e minacciando. Era arrivato a sobillare i Giganti contro il suo stesso padre purché Asgard non fosse attaccata, difendendola persino a viso aperto. C’è chi diceva che quella del dio degli inganni non era altro che una mossa ben studiata: la patria degli Asi sarebbe caduta più fragorosamente, se nel frattempo gli Jotnar avessero trasformato in lande ghiacciate e desolate gli altri Otto Regni. Altri, sostenevano che lo scaltro Loki stesse tergiversando e il suo piano fosse molto più imperscrutabile e folle di quanto non apparisse a uno sguardo superficiale: stava manipolando Laufey per arrivare a Odino, l’uomo che lo aveva ceduto come un trofeo privo di valore facendogli credere di essere di essere un Ase. Voleva porsi come l’unica speranza di Asgard, la sola luce nell’oscurità in grado di riportare all’antico splendore il regno che aveva creduto fosse il suo, per poi gettarlo nel caos e scatenare il Ragnarok.

Quale che fosse la verità, i piani contorti e caotici dell’ingannatore si erano infranti bruscamente quando una delle sue rapide ed efficaci sortite era stata bloccata da Thor. Da allora, l’avanzata degli Jotnar pareva avesse rallentato e l’esercito di Laufey si era messo decisamente sulla difensiva per poi arretrare, perdendo in fretta le posizioni faticosamente guadagnate. Lo stesso Loki era sparito a Utgard, a leccarsi le ferite dopo lo scontro subito, dicevano, ma cosa fosse successo realmente nessuno poteva dirlo con certezza. Lui e Thor avrebbero dovuto morire sul campo di battaglia, invece erano sopravvissuti entrambi.

 

 

“Se non è per Laufey è per te stesso,” mormorò il vecchio mentre il drakkar dalla prua snella continuava a fendere le onde gelide. “Jotunheim verrà sconfitta, Loki. In mezzo alla ritirata, anziché scappare, tu rapisci me, un prete. Quale rito pensi che potrebbe salvarti, dalla disfatta, dalla giusta punizione che ti attende per i tuoi crimini?”

“Un’altra parola e sarai morto.”

“Io sono anziano, Loki figlio di Laufey,” insistette Harold, “ho vissuto una vita lunga e piena. Non ho niente da perdere, ormai. Ma tu?”

Stavolta, il dio dell’inganno non rispose. Si passò una mano tra i capelli scuri, resi umidi dall’aria salmastra, serrò le palpebre e si concesse, per la prima volta dopo molte ore, di riflettere sulla decisione assurda e folle che aveva preso, le cui conseguenze avrebbero aumentato ancora di più il disordine e il caos nei Nove Regni. Era troppo tardi per tirarsi indietro, e forse neanche lo avrebbe voluto. Se solo non fosse tornato, se la curiosità non lo avesse divorato e la sua mente scaltra non si fosse messa a ragionare sul vantaggio che gli concedeva il suo aspetto ambiguo di Ase, non si sarebbe trovato su quel drakkar in mezzo al mare con quel maledetto prete dalla voce cantilenante. Doveva essere pazzo, se aveva ritenuto che il suo piano sballato potesse funzionare.

 

Una nebbia densa come una cappa scura avvolse la nave stretta, dal cielo scomparvero le stelle, ma Loki si orientò ugualmente nella notte grazie a una bussola che estrasse rapido da una tasca. Regalo antico, tenuto addosso per anni e anni, rigirato tra le dita in letti troppo freddi o non scaldati abbastanza. C’era un’incisione, sul retro, che l’ingannatore non sfiorò, come sempre faceva. Non perché l’avesse dimenticata, ma per non spezzare il filo di quegli eventi mutati tanto rapidamente da farlo agire in maniera impulsiva e sconsiderata. Lui, che ponderava sempre ogni gesto, parola, sguardo senza far mai trapelare cosa si agitasse nel suo petto. Chiuse tra le dita il bell’oggetto finemente cesellato, su cui già il vecchio sacerdote aveva posato lo sguardo incuriosito. Ne aveva senz’altro riconosciuta l’origine, ma certo non il donatore, pensò il dio degli inganni. Si stava domandando, piuttosto, a chi l’avesse rubato, perché era tanto bello da parere un gioiello.

La barca raggiunse la riva. Loki costrinse Harold a saltare nell’acqua gelida e il vecchio incespicò e cadde bocconi sulla battigia. Lingua d’Argento, invece, sbarcò a terra senza fatica alcuna, agile ed elegante figura stagliata contro il nero della notte. Lo sollevò dalla sabbia e dal mare che quasi lo trascinavano via, spingendolo sulla spiaggia che diveniva terra.

“Dove mi stai portando?” gridò il sacerdote sentendo il pugnale che gli premeva contro la schiena. Aveva ancora i polsi legati.

Di nuovo, la voce del dio degli inganni lo raggiunse roca. “Siamo quasi arrivati, porta ancora solo un po’ di pazienza. Poi, se farai come ti dico, ti lascerò libero,” promise, ma aveva parlato troppo in fretta, e nei suoi occhi color di giada si agitavano ombre scure. Era come se Loki Lingua d’Argento avesse perso la sua solita protervia. Camminava rapido sull’erba umida e la terra scoscesa, come se il tempo non fosse abbastanza e avesse fretta, spingendolo davanti a sé senza premura alcuna.

 

Fu allora che apparve il Tempio, ormai poco più che un ammasso di mura diroccate e abbandonate a se stesse, con i rampicanti che ne infestavano le mura insinuandosi nei pertugi e nelle fenditure della roccia. Dimenticato da tutti, o quasi, ma ancora potente centro di forze antiche più degli Asi e dei Vanir e degli Jotnar. L’ingannatore spinse dentro a forza il sacerdote guardandosi attorno circospetto e teso.

“Come fai a conoscere questo posto?” boccheggiò Harold varcando l’arco di pietra antica, decorato con incisioni di un tempo passato e perduto, dimenticato. “La strada che conduce fin qui è segreta. Non esistono mappe, per Bar Duhl.”

“Esistono, invece. Basta solo cercarle,” ribatté Loki. Un sorriso sbieco, compiaciuto gli attraversò il bel viso affilato. Il vecchio non ebbe il tempo di domandarsi come riuscisse, una mente brillante come quella, a dedicarsi a imprese inique e oscure che nessun lustro portavano al suo nome. L’Ase che non era tale lo spinse a forza nel sacello. Qui il sacerdote si fermò, pallido in volto. “Cos’è questo?” balbettò.

Illuminato dalla luce fioca di decine di lunghe candele, c’era un altare. Ogni dettaglio era stato curato. I calici d’oro dove gli sposi avrebbero bevuto per sancire la loro unione, la spada e l’anello da scambiarsi assieme alle promesse, il drappo di seta e oro su cui posare ognuno degli oggetti necessari a celebrare il matrimonio.

Harold cercò con la coda dell’occhio l’ingannatore. “Di chi?”

Dietro di lui, Loki premette con più forza la lama all’altezza del fianco fino a farlo gemere. “Il mio,” ringhiò.

Non erano soli, nell’ampia sala. Due guardie sbucarono dal nulla. Una di loro, ad occhi bassi, disse in fretta qualcosa al dio dell’inganno nell’aspra lingua degli Jotnar. Lingua d’Argento aggrottò le sopracciglia scure, rifletté un momento sulla risposta da dare. Parlò brevemente al soldato, e il vecchio sacerdote riconobbe, nelle parole svelte del suo carceriere, alcuni brandelli della rapida conversazione: aveva chiesto se la ragazza fosse pronta e ordinato di condurla lì.

Deglutendo, Harold valutò la sua situazione e quella di Loki: c’era un solo motivo per cui a un uomo come lui poteva venire in mente l’idea folle di contrarre un matrimonio mentre tutti i Nove Regni erano sconvolti dalla guerra. Si morse le labbra pregando gli Antenati, supplicando mentalmente le Norne: non poteva aver osato tanto.

“Bada a ciò che fai, Loki figlio di Laufey. La tolleranza degli Asi è assai limitata.”

Il dio degli inganni gli afferrò i capelli, costringendolo a scoprire la carotide pulsante, appoggiando la lama affilatissima di un pugnale sulla sua pelle raggrinzita. “Come la mia,” osservò torvo. Poi, apparve lei. Una figura di donna sottile, esitante, con il volto coperto, scortata dalle due guardie di poco prima. Si avvicinò all’altare togliendosi il cappuccio, e Harold gemette di dolore. “Non lei, non puoi farlo,” boccheggiò. Alla luce fioca delle mille candele, aveva riconosciuto Sigyn della Casa di Freya. “È una mostruosità.”

 

Forse erano le mura nere del sacello, a far sembrare la ragazza un’apparizione. Oppure, l’effetto etereo era dovuto solo al pallore del viso di Sigyn che si mescolava al pizzo candido che le fasciava le spalle esili, le braccia sottili. Avvolta in una nuvola di seta bianca, avanzò tremando verso l’altare, i bei capelli d’oro parzialmente sciolti sulla schiena. Il sacerdote credette di sentire Loki irrigidirsi vedendola, ma fu solo un istante o un’impressione. Venne trascinato dietro l’altare e costretto a indossare il sacro manto.

“Ora pronuncia le parole del rito! Sbrigati!” ordinò il dio degli inganni. Al posto del pugnale afferrò la spada antica, ma ancora affilata, che aveva recuperato da un tumulo ghiacciato su Jotunheim e avrebbe dovuto offrire in dono alla sua consorte.

“Che stai facendo, sei pazzo? Freya ti ucciderà e, se non ci riuscirà, ci penserà Odino, anzi Thor!” si ribellò Harold, sconvolto e inorridito. Lei no, per le Norne, no. Conosceva quella ragazzina. L’aveva vista bambina correre nei campi. Era onesta, gentile, sincera. La guardò in viso, fissò i suoi occhi grigi grandi e rotondi, spauriti e liquidi, e ne ebbe un’immensa pietà. “Pagherà con il suo sangue per questo, figlia mia.”

 

“E io ucciderò te se non farai come ti dico! Sposaci. Sposaci adesso!” gridò Loki colpendolo con l’elsa. Il prete si ritrovò a terra, sentì Sigyn che gridava. Poteva riconoscere il sapore del sangue che gli colava dal labbro spaccato. Nonostante il dolore, raccolse le forze e le parole mentre Lingua d’Argento lo rimetteva bruscamente in piedi. Gli cercò gli occhi.

“Non ti legherò a quella ragazza. Uno come te con una come lei sarebbe un’aberrazione,” disse con lentezza.  “Non perdere tempo, ammazzami qui: non celebrerò nessun matrimonio, stanotte.”

Il dio degli inganni imprecò furibondo, e Harold proseguì implacabile. “Ti stanno già cercando, non è vero?”

 

Fu quello il momento esatto in cui capì di averlo in pugno. Ansimando e con un sapore metallico in bocca, comprese. Lui la voleva. Quell’anima nera, crudele, spietata e feroce aveva messo gli occhi su di lei. Desiderava che fosse sua, per sempre, quella notte stessa. E pretendeva che la loro unione fosse legale, sancita dalle leggi divine e terrene. Se lo avesse ucciso, questo non sarebbe potuto avvenire e Sigyn sarebbe stata salva. La vita del vecchio per quella della ragazza era un buon compromesso, decise.

Loki piegò le labbra in una smorfia amara, incrociò, per un solo istante, lo sguardo dolce e triste della fanciulla accanto a lui. I segugi di Odino si erano già attivati. Avevano certamente fiutato le loro tracce, sarebbero calati presto su di loro. Si concesse il lusso di guardarla alla luce delle mille candele che facevano risplendere i suoi capelli color tramonto. Che idea assurda, aveva avuto; ne avrebbe pagato il prezzo. Schiuse le labbra per dire qualcos’altro di terribile, ma Sigyn posò una mano sul suo braccio teso, scosse la testa, avanzò di un passo. Fissò il prete con i suoi occhi profondi e grigi. “Voi non capite, Harold” iniziò con voce rotta. “Vi prego. Fate in fretta, vi prego. Anche Laufey sarà qui a momenti.”  

“Ti verranno a salvare, mia povera ragazza, presto.” ribatté il vecchio sicuro. L’avrebbe protetta, impedendo che quell’unione avesse luogo con ogni fibra del suo essere. Freya e Odino avrebbero apprezzato il suo coraggio.

Sigyn scosse la testa. “Per favore. Questa guerra presto finirà. La tua benedizione no. Rimarrà con noi qualsiasi cosa succeda.” Aveva gli occhi lucidi e le tremavano le labbra.

“Noi? Cosa stai dicendo, Sigyn? Tu verrai liberata.”

Una risata beffarda uscì dal petto di Loki. Accanto a lui, la ragazza rispose seria in volto. “Gliel’ho chiesto io, Harold. Volevo fossi tu. Non te lo ha detto?” mormorò, e allora il sacerdote si accorse che il vestito chiaro della ragazza era di ottima fattura e gusto, ma antico. Un abito di famiglia, rubato da un baule per andarsi a sposare di nascosto con l’uomo sbagliato. Batté le palpebre stanche mentre una consapevolezza nuova lo aggrediva improvvisamente. “Di quale sortilegio sei vittima, bambina mia?”

“Ci stanno cercando, lo sappiamo. Ma se voi celebrerete il rito, forse potremmo fuggire lontano e salvarci,” spiegò Sigyn; la sua mano delicata scivolò in quella del dio degli inganni accanto a lei. Il sacerdote vide il gesto e non poté fare a meno di comprendere.

 

No, la ragazza non era lì contro la sua volontà. Il dio degli inganni non l’aveva rapita e ora Sigyn, singhiozzando, piangeva e raccontava di un amore che c’era sempre stato, di un’attesa insopportabilmente lunga, disperata, straziante. Ma Lingua d’Argento non è il valoroso principe di una fiaba: è un condottiero scaltro e sagace che ha dimostrato più di una volta quant’è pericoloso; un individuo così geniale e imprevedibile da essere definito pazzo ma, soprattutto, è il dio del caos e dell’inganno: nessuna cosa ha una sola faccia, per lui, nemmeno l’amore.

Di nuovo, nella testa di Harold tornò a incunearsi la domanda senza risposta che si era fatto sul drakkar: qual era l’obiettivo di Loki? Che tipo di minacce crudeli o promesse struggenti aveva utilizzato, per convincere Sigyn a sposarlo proprio in quel momento? Fu illuminato da una nuova consapevolezza, sempre più atroce. “Era l’unico modo?”

“Non c’è tempo!” lo interruppe Loki con voce urgente. “Ho sempre avuto la devozione della dea della fedeltà.” Sfilò dalla tasca la meravigliosa bussola con cui si era orientato quand’erano sul drakkar e gli mostrò a labbra strette l’iscrizione che il prete aveva notato appena nella luce livida della luna.

Lingua d’Argento, altrimenti loquace, non aggiunse una sillaba né raccontò di quando lei gliel’aveva posata sul palmo della mano poco prima che lasciasse Asgard per sempre. Le sue dita sottili e delicate, sulle sue, gli avevano fatto premere il coperchio intarsiato sfiorando le rune incise. “Così non perderai la strada di casa,” aveva detto, e si era alzata in punta di piedi per riuscire a sfiorargli le labbra. Bacio incerto, nervoso, immaturo, scambiato tra da due ragazzini, riemerso all’improvviso dalle pieghe di un passato che il dio degli inganni, per scelta o necessità, non ricordava mai. Forse questa è una menzogna, però. Una delle bugie dietro cui si arroccava l’altero principe di Jotunheim e, nonostante tutto, di Asgard.

 

Harold si morse le labbra, poi con un sospiro iniziò a officiare il rito nuziale che sapeva a memoria, e la sua voce solenne venne raccolta dalle mura umide e antiche di Bar Duhl. Un matrimonio andrebbe celebrato alla luce del sole, di giorno, in un tempio abbellito con fiori e addobbi colorati, alla presenza di amici e parenti, non nel segreto della notte. Il soffitto del sacello era crollato da un numero indefinibile di secoli e le colonne portanti, nude e protese verso il cielo, sembravano denti aguzzi pronti a divorare la notte buia e senza stelle. Eppure, in fondo, non c’era un posto migliore per rubare il tempo alle Norne e sfuggire alle armate degli Asi e degli Jotnar – di quale altra colpa si era macchiato il dio degli inganni?

Invocò le Norne e gli dèi Antenati e si mise a elencare alla coppia nervosa e preoccupata i diritti e i doveri che avrebbero regolato la loro unione. “Scambiatevi i pegni e le promesse,” concluse infine e, com’era in uso sia presso gli Asi che i Giganti, Loki offrì a Sigyn la spada antica che aveva trafugato da un tumulo dov’era sepolto un suo antenato e lei gli mise al dito un anello d’oro e fu vinta dall’emozione.

“Non ho mai sognato che avrei incontrato qualcuno come te, che me ne sarei innamorata, ma è successo,” mormorò guardandolo negli occhi, stringendogli le mani. “Non sei il principe delle fiabe, l’ho sempre saputo: non è bastato. Ho provato a dimenticarti: non ci sono riuscita. Forse, non l’ho mai voluto davvero. Ti ho aspettato per giorni, mesi, anni, fino a smarrire il tuo viso e la tua voce. So chi sei e cosa hai fatto e non mi faccio illusioni sulla tua natura, ma non importa. Ti resterò accanto qualunque cosa accada,” disse Sigyn e i suoi occhi brillavano fieri e innamorati.

 

Loki forse pensò alla sera in cui si era intrufolato in uno dei fragorosi banchetti degli Asi per spiare le loro mosse, il volto coperto da un mantello, e all’istante in cui se l’era ritrovata davanti all’improvviso. Attorno a loro la gente rideva e ballava e si ubriacava. L’aveva riconosciuta a stento – la ragazzina di ieri che gli aveva regalato la bussola non era che l’ombra della donna di oggi – e una curiosità improvvisa lo aveva convinto a restare. Thor, in lontananza, beveva e cantava e ancora non lo aveva riconosciuto.

“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato,” gli aveva detto Sigyn sorridendo. “Non ho mai sognato che avrei perso qualcuno come te, ma che lo avrei ritrovato sì, ogni notte. Ti ho aspettato per così tanto tempo!”

Lingua d’Argento si era guardato attorno nervoso. “Il mio ritorno ad Asgard porterà guerra, disordine, morte.” La voce del fabbricante di bugie si era velata di un tono beffardo e cattivo che non l’aveva spaventata affatto, così come non era rimasta intimorita dal modo in cui si era chinato verso di lei. Gli aveva sfiorato la mascella affilata, i suoi polpastrelli avevano toccato le labbra sottili e segnate da una cicatrice antica. “Sei un bugiardo. Non sei qui per distruggere Asgard.” Così aveva mormorato.

 

Nel tempio di Bar Duhl, sotto un cielo nero senza più luna né stelle, il dio dell’inganno forse ripensò ai canti di quella sera lontana, oppure alla tenaglia che si stava per chiudere attorno al suo collo. O a entrambi. “Non posso farti nessuna promessa,” disse in fretta alla donna che stava sposando. “Mentirei, lo sai.”

Un istante dopo, l’aria fu squarciata dal rombo del tuono e una saetta si abbatté sulla soglia del rudere e così Sigyn non ebbe mai modo di replicare, né tantomeno poté farlo Harold. Thor Odinson li aveva raggiunti prima che il rito nuziale fosse completato. Entrò nel sacello stringendo Mjollnir, che sfrigolava mandando strali elettriche nell’abside semidistrutta. “Mi dispiace,” si ritrovò a dire con un filo di voce il vecchio, rivolgendosi allo stesso tempo al figlio di Odino e ai due amanti sfortunati. Nessuno dei presenti gli badò.

Tutta l’attenzione di Loki era stata catturata dall’arrivo di quello che, per un certo periodo della sua vita, aveva creduto essere suo fratello. “Sei in ritardo,” disse piegando le labbra in un sorriso sbieco e freddo, lupesco.

“E tu sei quasi un uomo sposato. Sarei dovuto arrivare prima,” ammise il tonante lanciando uno sguardo ad Harold, a Sigyn e alle mille candele che illuminavano la tetra notte sopra Bar Duhl.

L’anziano prete pensò con una fitta di rimorso a quello che avrebbe potuto essere e non era stato: al destino dei Nove Regni se Odino non avesse ceduto Loki ai Giganti di Ghiaccio quando non era che un ragazzo, alla svolta che avrebbe potuto avere la guerra che funestava i rami dell’Yggdrasill se lui avesse concesso al dio degli inganni di scappare dai suoi molti nemici, all’infelicità assurda cui si era condannata Sigyn innamorandosi dell’uomo sbagliato. Pensò che quando la sua barba era ancora fulva non aveva avuto il coraggio di opporsi al suo re, ma che adesso non aveva nulla da perdere e non avrebbe lasciato che Thor e Loki si uccidessero a vicenda su quel suolo sacro. Il dio del tuono stringeva il martello con aria minacciosa e il suo bel viso fiero trasudava decisione, quello dell’inganno sorrideva tetro e pareva pronto a scattare con la stessa letale precisione di una fiera affamata a caccia nel bosco. Aprì la bocca per riparare il torto antico che riempiva il suo cuore di vergogna ma, di nuovo, il primo figlio di Odino avanzò verso l’altare e lo interruppe. Prese la coppa d’oro, la riempì di idromele e la porse a Lingua d’Argento.

“Sbrigati fratello, saranno qui tra poco. Io vi coprirò le spalle. Maledette le Norne, quanto hai fatto incazzare Laufey e Odino. Ci vorranno mesi, per spiegare a tutti la tua assurda trappola.” L’altro rilassò leggermente le spalle e gli rispose con un cenno del capo e un mezzo ghigno soddisfatto, accettando il calice.

 

 

Al banchetto degli Asi, Thor non si era limitato a bere e a cantare a squarciagola. Aveva notato che Sigyn si era appartata nell’ombra, gli era parso di intravedere le falde scure di un mantello e poi l’aveva vista allontanarsi con le guance rosse e gli occhi lucidi. Non gli era servito altro, per convincersi che era necessario raggiungere la macchia scura appena fuori la sala. L’ingannatore lo attendeva nel buio, stringendo tra le mani i suoi lunghi pugnali lucenti, ma Thor non si aspettava nulla di meno. Cercò di riconoscere nell’uomo dai lineamenti affilati di fronte a lui il ragazzino dall’aria imbronciata con cui aveva condiviso ogni cosa; pensò anche che il Loki di allora non esisteva più e che il figlio di Laufey era un avversario degli Asi, ma quella riflessione gli sembrò debole, infondata, ingiusta.

“Ho commesso uno sbaglio, Loki. Uno di quelli che spezzano il destino di un uomo. Avrei dovuto oppormi, fermare Odino, quel giorno. Eri mio fratello.”

“Così non è stato.” La voce del dio degli inganni lo raggiunse alle spalle. Quella che aveva di fronte non era che una copia perfetta, ma irreale. Sentì la punta di una lama affilata premergli contro la schiena, all’altezza dei reni.

“Non c’è giorno che non abbia rimpianto quella scelta,” proseguì. “Ero solo un ragazzo, mi dico, ma non basta.”

Dietro di lui, Loki rimase in silenzio, come se dovesse riflettere sulla risposta giusta da dare. “Lo eravamo entrambi,” soffiò infine con una punta di velato rammarico.

“Ho tentato di raggiungerti a Jotunheim, qualche volta.” Avvertì una mezza risata sarcastica, piena di compassione. “Non saresti riuscito a riportarmi indietro nemmeno con Mjollnir.”

Per un momento troppo lungo rimasero entrambi in silenzio, poi giunse il momento della domanda finale, quella che avrebbe deciso il corso delle loro vite. Thor strinse il pugno della mano destra: sarebbe bastato così poco per richiamare il suo martello, e farlo sarebbe stato un gesto responsabile e saggio. Tutte cose che lui non era affatto.

“Perché sei qui, fratello? Per distruggere Asgard o per salvarla?” La sua voce si era fatta severa e grave, come era giusto che fosse.

Loki aveva avvicinato le labbra al suo orecchio e, nell’oscurità in cui erano avvolti, aveva parlato, spiegato e raccontato, senza mai togliergli la lama dalla schiena. Attorno al fuoco, guerrieri e nobili bevevano ancora tra grida e schiamazzi, inconsapevoli di quello che stava succedendo a pochi metri da loro.

“Come posso fidarmi di te, dio degli inganni?” aveva ammesso infine.

Nonostante non potesse vederlo, fu certo che Loki stesse sorridendo. “Fidati del mio rancore, fratello.”

 

 

Un vento severo e impietoso prese ad accanirsi all’improvviso sulle rovine di Bar Dhul. Sigyn rabbrividì e così fece il vecchio prete. Alcune delle candele che illuminavano il tempio si spensero e l’uomo vide la ragazza stringersi contro l’armatura di pelle intrecciata dell’ingannatore e lui cingerle con un braccio la vita stretta e offrirle la coppa da cui aveva bevuto. La figlia di Freya posò le labbra sul bordo metallico e sorseggiò il liquido dolciastro. Fedeltà e inganno stavano per unirsi, Thor era lì, accanto a loro, e Harold perse per un momento la forza che lo aveva animato fino a pochi istanti prima. Fu Loki a riscuoterlo dal suo torpore. “Riprendi il rito ora!” gridò. “Gli Jotnar sono vicini e così il resto delle guarnigioni Asi. Sputa fuori quella fottuta benedizione!”

 “Eravate d’accordo?” boccheggiò il prete rivolgendosi ai due giovani uomini nel pieno delle loro forze che un tempo erano stati fratelli e pareva non avessero mai smesso di esserlo.

Thor si accigliò. “Maledizione Loki, ma come, non glielo hai detto? Non sa niente?”

“Mi avrebbe creduto secondo te, questo maledetto vecchio testardo? Ho risparmiato tempo e fatica,” si giustificò l’ingannatore sprezzante.

“Loki è una spia di Asgard da molto tempo, orami,” si degnò di spiegare il dio del tuono. “Se le armate degli Jotnar hanno iniziato a ritirarsi, è per le informazioni che mi ha passato per mesi, anni. Ora però Laufey lo ha scoperto, Odino ha bisogno di prove tangibili per revocare la pena che gli ha inflitto in contumacia e, al momento, è troppo compromesso per accoglierlo. Non ha un posto dove andare. Sposali prima che lo trovino, affinché Freya sia costretta a dargli asilo politico.”

Harold batté le palpebre. “Una spia?” I pezzi che aveva cercato di ricostruire da quando era stato rapito iniziarono a ricomporsi formando un quadro dalle immagini nitide e definite.

“Una spia quasi morta, per l’esattezza,” fu la severa puntualizzazione di Lingua d’Argento.

Il prete annuì. “Nel nome degli Antichi dèi, con i poteri conferitemi dalle radici stesse dell’Yggdrasill che reggono tutti i Nove Mondi io vi dichiaro marito e moglie,” sussurrò solenne, “e vi offro la mia benedizione, Loki della Casa di Laufey e di Odino, Sigyn della Casa di Freya. Possano le Norne filare per voi un destino benigno.”

“E io benedico la vostra unione con Mjollnir, la reliquia degli Asi che protegge le nozze. Adesso sparite, presto!” ordinò Thor. Loki annuì e, mano nella mano con Sigyn, attraversò rapidamente l’abside illuminata dalle candele.

“Fratello!” Il dio del tuono lo bloccò prima che l’altro oltrepassasse definitivamente i resti dell’arco d’ingresso di Bar Duhl. “Non fare niente di idiota o ti fracasserò ogni singolo osso con Mjollnir. Tienilo a mente sempre.”

“Non so come, ma non mi stupisce,” ghignò Lingua d’Argento, e sparì nella notte.

“Tu sapevi.” Harold si accostò a Thor rabbrividendo per il freddo. “Ho unito la fedeltà all’inganno e non posso fare a meno di chiedermi se abbia fatto bene. La userà per salvarsi la pelle e io l’ho permesso. Conosci il suo nome e la sua natura”

“La conosco, sì. È mio fratello.” Thor fissava il punto dove la coppia era sparita con le sopracciglia aggrottate. “Ad ogni modo non preoccuparti per loro. Non è lui che ha scelto Sigyn, ma il contrario.”

 

 

Asgard era in festa. I venti freddi di Jotunheim non soffiavano in quei giorni con gelida ferocia sulle sue guglie dorate, sui tetti spioventi. Il principe perduto viveva ancora credendosi figlio di Odino, e ombre solo accennate adombravano i suoi occhi verdi e attenti. Camminava nervoso verso il castello, con l’aria imbronciata e lo sguardo già troppo severo, quando la figlia di Freya, Sigyn, gli si parò davanti. Aveva lunghe trecce bionde che le arrivavano fino alla vita e un abito color primavera, ma il giovane Ase non notò il rossore che le imporporava le guance, né diede troppo peso alle ciglia lunghe e nere che le coprivano lo sguardo dolce.

 Le rivolse un’occhiata breve. “Se cerchi mio fratello,” disse scrutando con attenzione il fazzoletto ricamato che la ragazzina stringeva tra le dita, “è a prepararsi per la gara nell’arena.” La sorpassò torvo, ma la voce della bionda lo inchiodò dov’era.

“Non è per Thor, ma per te.” Sigyn si era morsa le labbra, aveva stretto forte le palpebre, per sforzarsi a far uscire quella singola, terrificante frase, dalla sua gola. Il dio degli inganni che ancora non era tale si voltò con lentezza, fissando la ragazzina stupito. Sigyn, svelta, gli mise tra le mani il sottile lino filato e ricamato con cura. “Indossalo domani, se vuoi,” disse, e fuggì via, le trecce al vento. Loki, sbalordito, rimase a fissare il fazzoletto donato – il primo pegno che riceveva da parte di una ragazza – e non riuscì a dirle, lui che un giorno sarebbe stato chiamato Lingua d’Argento, che era onorato di tanta attenzione. Eppure, lei lo venne a sapere. Lo vide dagli spalti sfoggiare il bianco quadratino di lino, ben assicurato alla lancia sottile.

 

“Non ho mai immaginato che avrei potuto perderti davvero. Ci sarebbe sempre stato un luogo e un tempo dove avremmo potuto ritrovarci,” disse Sigyn. Era quasi l’alba e avevano cavalcato tutta la notte. Forse la salvezza era vicina.

Loki Laufeyson gettò un’occhiata attenta ai boschi e alle montagne che si erano lasciati alle spalle, alle nuvole che testimoniavano il passaggio di Thor. “Si smarrisce solo chi non conosce la strada,” osservò mentre un sorriso furbo e storto gli attraversava le labbra beffarde.

 

Fine

 

Specchietto Autore:

Storia partecipante al contest “Di Lune, Torri ed Eremiti” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
Nickname sul forum e su EFPShilyss/shilyss

Pacchetto ed elementi scelti:

·         Pacchetto Imperatore per intero (forza, potere/prepotenza drasticità – situazione A - punto di vista anziano e situazione B – un personaggio piange un errore antico).

·         Pacchetto Matto per intero (libertà e follia, disordine/menzogna).

·         Prompt 3 – benedizione.

·         Citazione 8 «I never dreamed that I’d meet somebody like you… And I never dreamed that I’d lose somebody like you» Wicked Game, Ursine Vulpine) tradotta nel testo in maniera letterale e spezzata (Non ho mai sognato che avrei incontrato qualcuno come te/Non avrei mai sognato che avrei perso qualcuno come te) e in traduzione libera, molto (non ho mai immaginato che avrei potuto perderti). 

·         Fandom: “Thor.”

·         (Pacchetto secondario: amanti, significato separazione, situazione b – elementi di una fiaba stravolti).

 

 

Note autore
Il titolo della storia è ispirato a De André. Il dettaglio della spada presa da un tumulo che Loki deve offrire a Sigyn, fa parte dei veri rituali matrimoniali vichinghi. L’invocazione di Harold agli Antenati richiama la battuta di Heimdall in Infinity War. “La vita del vecchio per quella della ragazza,” è un calco da Sin City. Alcune delle battute di Loki e Thor come “fidati del mio rancore”, “sei in ritardo” sono prese dalla trilogia di Thor della Marvel. Utgard è l’effettiva capitale di Jotunheim – così risulta dall’Edda – e il nome dei Giganti viene declinato Jotunn/Jotnar.

Il nome Bar Duhl scelto per il Tempio è un richiamo a Tolkien. L’espressione “difendere a viso aperto”, un omaggio a Dante (canto di Farinata degli Uberti). Nelle mie storie, Sigyn non è mai così sicura di sé come in questa shot, ma del resto voleva scappare con Loki e dividere la sua vita con lui praticamente da sempre.
Vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fino a qui e spero che la storia vi sia piaciuta.


Shilyss

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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