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Autore: Glance    09/06/2018    1 recensioni
Dalla deriva di quel dolore tornavano a galleggiare relitti di un passato che vagavano senza un approdo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’aria era carica di elettricità, impregnata del suo odore, di una luce grigio piombo pesante e soffocante.
La pioggia, cadeva monotona e incessante da ore e, il mondo, continuava a muoversi tra suoni indistinti di un inverno come tanti. Il vento si insinuava tra i rami spogli di un viale alberato; al suolo, un tappeto di foglie morte a formare un manto marcescente.
Su di una panchina una ragazza a piedi nudi, con la pelle diafana, ricoperta dalla stoffa sottile di una camicia da notte, i capelli ribelli e ramati, adagiati sulle spalle, lo sguardo perso in un luogo distante.
Il corpo percorso dal tremore incontrollato di brividi di freddo.
La pioggia le scivolava addosso, incollando il tessuto sottile sulla pelle del corpo minuto.
Sembrava essere apparsa dal nulla, o dalle pagine di un libro.
Non era così; era tutto reale come il freddo che sentiva e le lacrime che scivolavano sul suo viso mischiate alla pioggia.
Restava in silenzio, immobile, cercando nella mente di riordinare ricordi che non trovava e forse non aveva.
Immobile e pallida, come una scultura.
Una scultura, che di diverso da una statua, aveva il movimento del petto dato dal respiro e dai singhiozzi, che tendeva a trattenere per una sorta di pudore, e il movimento impercettibile delle labbra, che ripetevano in maniera ossessiva qualcosa che non era comprensibile, ma che era il suo nome.
Lo ripeteva nel timore di poterlo dimenticare, come tutto il resto e, quella, era l’unica cosa che le dava la misura di se, la conferma che c’era stata anche prima di quel momento, di quel risveglio in un posto che di familiare, per lei, non aveva nulla.
In quel giorno, non ancora del tutto consegnato alla luce del mattino, dove le ombre della notte esitavano, rendendo sfocati i contorni, nel profondo qualcosa lasciò la sua presa, e gli occhi si aprirono, e come ogni volta, non aveva nessun ricordo di come fosse riuscita ad arrivare nel luogo del suo risveglio.
Si guardò intorno, avvertendo l’inquietudine di un dolore profondo che la devastava dentro, e con ricordi che sembravano ombre sfuggenti e indistinte, proiettate su di un grande schermo nero.
Anche lei non era che quello, un ombra, che scivolava silenziosa in posti di cui non aveva memoria.
Si alzò, i piedi nudi a contatto con il manto di foglie, che le scatenarono un brivido di disagio.
Cercò di ignorarlo, e di ricacciare indietro le lacrime, sospirando profondamente.
Azzardò un piccolo passo che l’allontanò dalla panchina di quel parco: un lungo viale alberato che sembrava non avere fine.
Sentiva le gambe instabili, come se volessero cedere da un momento all’altro, ma sforzandosi di trovare l’equilibrio, iniziò a mettere un piede dietro l’altro.
L’andatura era insicura, i piedi affondavano nell’umido del terreno, ma la volontà la portò a percorrere un tratto di quel viale che sembrava non avere né un inizio, né una fine.
Una striscia di terra lunga, costeggiata da alberi su ambo i lati, intervallati da panchine, dove l’unico rumore che rompeva il silenzio, erano quei passi incerti e il respiro che si trasformava in nuvole di vapore.
Se non le fosse già accaduto, se non si fosse già trovata in quella situazione, avrebbe creduto di stare sognando ad occhi aperti, in uno di quei sogni troppo reali, dove anche aprendo gli occhi, si fatica a venire fuori; perché quel mondo, è così vero e tangibile, con le sue immagini, i suoni e gli odori.
Iniziò a camminare, un passo dietro l’altro, senza sapere dove si trovasse e dove andare.
Ad un tratto però, il suono rassicurante di qualcosa che conosceva bene riempì l’aria.
Il rumore soffice e ovattato di passi che battevano sul terreno, e da lontano, si palesò un ombra dai contorni che percepì familiari e il cuore, le si allargò leggero di sollievo.
Lui era lì: non solo nella sua mente, ma in quella realtà sconosciuta.
Era lì, come faceva sempre, ogni volta che quel velo si squarciava su quel nuovo presente, per salvarla dal vuoto in cui quel risveglio la scaraventava tutte le volte, cercando di fagocitarla.
Qualcuno di cui istintivamente sentiva di potersi fidare, che percepiva come parte di se, pur non riuscendo ancora a collocarne i tratti nella sua memoria.
Quel qualcuno arrivò correndo, agile e deciso. Con un gesto che gli apparteneva, che chissà quante altre volte aveva fatto.
Lo sguardo dilatato per il sollievo di essere, ancora una volta, arrivato in tempo.
Era stata avvolta nel morbido di una coperta e stretta tra le braccia.
Un abbraccio rassicurante, accogliente, dove si era sentita protetta e al sicuro, ma il ricordo era come circondato da una nebbia, come il viso che la scrutava dolce e preoccupato.
In quegli occhi che la guardavano teneramente sollevati, era come osservare uno specchio che le rimandava la sua immagine.
L’immagine di una lei serena, che aveva familiarità con il mondo dal quale lui proveniva.
Intuiva, che qualcosa la legava a quell’uomo, che continuava a sussurrare il suo nome con una dolcezza che la commuoveva fino alle lacrime, senza capirne il perché.
Delicatamente, la riconduceva tra ricordi che scopriva appartenerle, ed in fondo ai quali, ogni volta, lo ritrovava, con lo stesso sorriso.
Poteva attraversare lande desolate fatte di niente assoluto, perdersi infinità di volte, ma continuare a percepire in se quello sguardo sconfinato.
Anche questa volta, le era bastato seguire il suono rassicurante di quella voce, per tornare a ripercorrere lentamente una strada, che ad ogni passo, le regalava dettagli conosciuti.
Ogni volta, era come tornare da un butto sogno, con il respiro ed il cuore in tumulto e, pian piano, ritrovare il senso di tutto in quegli occhi.
Il tocco delle sue mani, che raccoglievano il gelo delle sue tremanti, era l’ancora di salvezza, il faro in mezzo alla tempesta.
Erano quelle mani a strapparla dall’abisso che tutte le volte la reclamava; lo facevano con pazienza e determinazione.
La dolcezza della voce, accompagnava gesti lenti e rassicuranti.
Lui l’amava e lottava contro il mostro, che in lei, divorava e dilaniava.
Un mostro, che tante volte, era sembrato sconfitto, ma che puntualmente, inaspettato, tornava a derubare ricordi, a saccheggiare la sua vita, e sempre, tutto un mondo andava in frantumi.
Il suo mondo, e le certezze; tutto ciò che era conosciuto, sovvertiva i suoi punti, la sua bussola interiore impazziva sotto la spinta di una forza sconosciuta, e nel suo cielo, non vi era più una stella polare da seguire e così iniziava a naufragare in quel mare scuro e tempestoso, fatto di silenzio e tenebre, dove irrimediabilmente pezzi di se si perdevano.
Una disperata consapevolezza, dopo, liberava le lacrime di un pianto trattenuto, scioglieva il pudore di una normalità negata, e il cuore impazziva e le gambe cedevano ad una fame d’aria che non trovava conforto in nessun respiro.
“ Sei a casa adesso. Sei al sicuro. Sono qui. Sarò qui sempre. Respira.”
Pian piano, dalla deriva di quel dolore tornavano a galleggiare in lei relitti di un passato che vagavano senza un approdo, che la corrente infrangeva sulle scogliere impervie e scoscese della sua mente.
Sarebbero riemerse da abissi profondi, errando in una immobilità apparente che la prossima tempesta improvvisa e inaspettata avrebbe riportato in lei con antiche forme.
  
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